29/11/2010, 13:16
Blissenobiarella ha scritto:
Si la Gelmini ci tiene al merito ed infatti:
Gelmini promuove eCampus
di Letizia Gabaglio
Grazie a un decreto del ministro, basterà una semplice richiesta per parificare alle università private gli atenei telematici, compresi quelli che il Comitato di valutazione giudica negativamente. Il Cepu in pole position
La riforma dell'Università forse non passerà prima che sia crisi conclamata, ma un risultato il ministro Gelmini lo porterà a casa: dare la possibilità alle università telematiche di diventare atenei a tutti gli effetti, anche se privati.Insomma, permettere a realtà come eCampus di sedere allo stesso tavolo della Bocconi o della Luiss. A sdoganare le telematiche è il Decreto ministeriale per la programmazione 2010-2012 trasmesso dal Ministero agli organi consultivi (Conferenza dei Rettori, Consiglio nazionale degli studenti e Consiglio universitario nazionale), che un articolo (leggi) di Giampaolo Cerri su ItaliaOggi ha reso pubblico.Dell'ascesa quasi inarrestabile di eCampus, l'università telematica di Francesco Polidori, fondatore del Cepu e grande amico di Silvio Berlusconi, che promette corsi superabili con due ore di studio al giorno, sufficienti a passare un esame ogni mese e mezzo, L'espresso ha già parlato (leggi). E proprio in quell'inchiesta si dava conto del fatto che molte università private sono considerate negativamente dal Comitato nazionale di valutazione eppure ricevono dei finanziamenti pubblici. Le telematiche, però, non sono ancora ammesse ai finanziamenti. Ecco quindi che, in zona Cesarini, così come era accaduto per l'accreditamento firmato dal ministro Moratti poche settimane prima della fine del suo mandato, Francesco Polidori potrebbe contare su una "promozione".A permettere il passaggio di categoria è l'articolo 6 del Decreto, che al punto "c" prevede "nelle prospettive del potenziamento della formazione a distanza presso le università non telematiche, la trasformazione delle università non statali telematiche esistenti in università non statali (non telematiche), su proposta delle interessate". Quindi basterebbe che uno degli undici atenei telematici si proponesse per la conversione in università tradizionale per ottenere l'accreditamento. Cerri cita fonti ministeriali anonime che indicano proprio nella creatura nata da una costola del Cepu l'ateneo in pole position per la scalata.A preoccupare è poi anche il punto "a" dello stesso articolo del Decreto, che prevede l'istituzione di nuovi atenei privati "che prevedano corsi di laurea (...) in lingua inglese, rivolti anche a studenti extracomunitari, finalizzati a soddisfare i fabbisogni formativi del mondo del lavoro" e il punto "b" che apre anche a "filiazioni italiane di università straniere". Insomma, proprio tutti quei casi in cui, secondo la denuncia (leggi) del Cimea, l'istituto che si occupa di valutare le equivalenze accademiche, è più facile che si nasconda una laurea bufala
http://espresso.repubblica.it/dettaglio ... us/2138731
29/11/2010, 13:24
29/11/2010, 19:08
29/11/2010, 20:01
[color=blue]
Proteste in italia e anche al Cern di Ginevra.
Da 400 docenti appello pro-riforma
La Gelmini boccia il rettore di Firenze
"Stop a lezioni? Appello inaccettabile"
L'invito del rettore: niente lezioni martedì durante l'esame in Aula della riforma. Il ministro: solito copione
http://www.corriere.it/cronache/10_novembre_29/protesta-ricercatori-svizzera_4b55088e-fbaf-11df-bfbe-00144f02aabc.shtml
L'appello dei Professori
Difendiamo l'Università dalla demagogia
E’ troppo tempo che l’Università italiana ha bisogno di una cura incisiva ed efficace. È troppo tempo che il mondo accademico aspetta una riforma capace di restituirgli il prestigio perduto. È troppo tempo che gli studenti italiani bravi e meritevoli non hanno più la possibilità di frequentare istituzioni universitarie competitive rispetto al resto dell’Europa e del mondo.
Pertanto i sottoscritti docenti universitari intendono ribadire il loro generale apprezzamento per il disegno di legge sull’Università in discussione in queste ore alla Camera.
Per più di un motivo:
- perché riorganizza e moralizza gli organi di governo degli atenei;
- perché limita la frantumazione delle sedi universitarie, dei corsi di laurea e dei dipartimenti;
- perché introduce norme più efficaci e razionali per il reclutamento dei docenti;
- perché stabilisce regole certe e trasparenti per disciplinare i casi di disavanzo finanziario e di mala gestione;
- perché fissa dei criteri di valutazione per le singole sedi universitarie e per i singoli professori;
questo provvedimento rappresenta un passo nella direzione giusta per cercare di far uscire l’Università italiana dallo stato di grave prostrazione in cui essa si trova.
Tutto è sempre migliorabile; anche questo disegno di legge lo è. Ma non ci sembra né logico né onesto invocare la diminuzione dei finanziamenti all’intero comparto dell’istruzione, provocati dalla difficile situazione finanziaria del Paese, come una buona ragione per respingere il provvedimento. Tanto più adesso che il governo sembra si stia trovando le risorse utili per avviare il necessario processo riformatore.
Ci sembra, inoltre, intollerabile che, dopo anni e anni di tanto sistematico quanto sterile ostruzionismo, una parte del mondo universitario e del corpo studentesco prepotente nei comportamenti ma modesto nelle dimensioni abbia saputo produrre solo una protesta demagogica fine a se stessa, dando spazio alla violenza di piazza e contribuendo al contempo a lasciare gli Atenei italiani fermi nel loro attuale stato di crisi.[/color]
29/11/2010, 20:03
[color=blue]Trovo inutile dialogare con chi sta manifestando contro il Ddl Gelmini
http://www.loccidentale.it/articolo/trovo+inutile+dialogare+con+chi+sta+manifestando+contro+il+ddl+gelmini.0099305
Da studente universitario, a Bologna, ero iscritto all’Unione goliardica, la fatidica Ugi che vide le gesta di tanti "fuori corso" (ricordiamo, per tutti, Marco Pannella e Bettino Craxi) che poi avrebbero avuto un ruolo nella politica italiana.
Erano i primi anni ‘60 e si parlava di un progetto di riforma universitaria presentato dal ministro democristiano Giovanni Gui. Noi ci riunivamo frequentemente alla Casa della Cultura (un’altra istituzione di quei tempi) e ascoltavamo lunghi interventi contrari al cosiddetto piano Gui (la scenografia era molto simile alla descrizione del cineforum in cui Fantozzi smitizzava con una battuta il celebre film "La corazzata Potiemkin", ma nessuno all’Ugi di Bologna aveva il coraggio di imitarlo).
Per capirci un po’ di più mi ero procurato il documento incriminato e lo avevo persino letto senza riuscire a capire i motivi per cui ricevesse tante critiche. Così, una sera mi rivolsi ad un ragazzo seduto vicino a me e gli chiesi a bruciapelo: "Perché siamo contrari al piano Gui?". L’interpellato rimase di stucco e mi guardò con l’aria di uno che si chiede: "Ma questo che cosa vuole da me? Che cosa gli ho fatto di male?". Poi capì che non poteva cavarsela e assumendo un’aria seria e compunta rispose: "Il piano Gui vuole l’efficienza dell’Università ma non l’Università efficiente". In quel momento pensai di aver smarrito qualche passaggio essenziale e non mi azzardai più a chiedere ulteriori spiegazioni. Mi restò tuttavia la convinzione - sempre confermata durante lo scorrere dei decenni e l’assistere ai tanti movimenti studenteschi succedutisi nel tempo - che a chiedere spiegazioni sui motivi di tante lotte, occupazioni, manifestazioni e scontri con le forze dell’ordine avrei ricevuto sempre la medesima evanescente risposta di quella nottata bolognese. Ecco perché trovo inutile "dialogare" con gli studenti che manifestano contro il disegno di legge Gelmini.
Mettono a soqquadro le città esibendo slogan deliranti, parole d’ordine stupidine, come se anche in politica si dovesse pagare il fio delle malattie esantematiche. Diverso è il caso dei ricercatori (ne parlano come se i nostri Atenei abbondassero di futuri premi Nobel incompresi, pronti ad essere ricevuti - se solo lo volessero - all’estero con tutti gli onori, ma desiderosi di dare il loro indispensabile contributo ad una patria matrigna). La realtà è un’altra ed è sempre la solita.
Da noi per decenni è valsa la seguente regola: chiunque fosse riuscito a varcare la soglia di un ministero, di una scuola, di un Ateneo o di un qualsiasi ufficio pubblico e a sedersi dietro ad una scrivania o ad una cattedra, magari restandoci per anni sulla base di rapporti di lavoro precari, acquistava un diritto a rimanerci, prima o poi, in maniera stabile. Così, anche in seguito ai vari blocchi del turn over, si sono accumulati centinaia di migliaia di precari, fino a quando non ci si è resi conto – con la crisi della finanza pubblica - che era impossibile stabilizzarli. Ma il cosiddetto precariato è diventato il metro di misura della qualità delle riforme, in quanto nessuno dei progetti di riordino dei diversi settori della pubblica amministrazione adottati da questo Governo è stato ritenuto adeguato dalla sinistra se non risolveva interamente – e non poteva farlo – la stabilizzazione dei precari.
E’ stato così con la riforma Brunetta. Poi è stata la volta della scuola primaria e secondaria (nonostante che il Governo avesse esteso ai precari rimasti senza incarico l’indennità di disoccupazione). Adesso siamo arrivati all’Università.
La pressione è tanto forte che gran parte dello stanziamento (circa un miliardo di euro) previsto nella legge di stabilità per gli Atenei è destinato alla riapertura dei concorsi per professore associato. Nessuno, tanto meno i media o quelli che salgono sui tetti, si è preoccupato di fornire qualche dato all’opinione pubblica che osserva esterrefatta il disordine creato nelle città contro il ddl Gelmini in discussione alla Camera.
In Italia esiste il medesimo numero di Atenei della Germania, una nazione che ha qualche decina di milioni di abitanti in più. Tenendo conto delle tre fasce del personale docente (ordinari, associati e ricercatori) da noi esiste un docente universitario ogni 27,7 studenti iscritti.
Nella scuola primaria e secondaria uno ogni 10 circa. Che altro dire, se non porre qualche semplice domanda ai manifestanti: impiegare più proficuamente le risorse non è forse un modo per averne di più a disposizione? E ancora: è possibile risolvere i problemi del sistema universitario soltanto garantendo posti di lavoro?[/color]
29/11/2010, 20:08
rmnd ha scritto:È troppo tempo che gli studenti italiani bravi e meritevoli non hanno più la possibilità di frequentare istituzioni universitarie competitive rispetto al resto dell’Europa e del mondo.
rmnd ha scritto:[color=blue]Trovo inutile dialogare con chi sta manifestando contro il Ddl Gelmini
http://www.loccidentale.it/articolo/trovo+inutile+dialogare+con+chi+sta+manifestando+contro+il+ddl+gelmini.0099305
CUT[/color]
29/11/2010, 22:13
associare le due parole gelmini/ministro mi fa ballare il monitor.Lawliet ha scritto:
Una cosa è certa; trovare un ministro peggiore della Gelmini sarebbe stato un compito arduo.
29/11/2010, 22:39
Lawliet ha scritto:rmnd ha scritto:È troppo tempo che gli studenti italiani bravi e meritevoli non hanno più la possibilità di frequentare istituzioni universitarie competitive rispetto al resto dell’Europa e del mondo.
E le istituzioni universitarie competitive si costruiscono togliendo i soldi per la carta igienica?
L'Italia nonostante la pessima situazione delle sue università esporta una tra le miglior classi di ricercatori e studenti del mondo. Quindi c'è un controsenso, come si fanno ad esportare cervelli se l'insegnamento universitario scarseggia? Son autodidatti? Le università funzionano eccome, il problema è che non ci sono fondi per la ricerca. Ed invece di darglieli, si toglie il poco che hanno. Si toglie per dare ai ricchi chiaramente, dato che le università private vengono finanziate sempre di più (ma vorranno farle diventare pubbliche? Sarebbe uno scoop).
Stiamo parlando poi della stessa persona che due anni fa "per sconfiggere i baroni" stabilì che nelle commissioni sarebbero dovuti esserci solo professori ordinari. Eh bè, che duro colpo..rmnd ha scritto:[color=blue]Trovo inutile dialogare con chi sta manifestando contro il Ddl Gelmini
http://www.loccidentale.it/articolo/trovo+inutile+dialogare+con+chi+sta+manifestando+contro+il+ddl+gelmini.0099305
CUT[/color]
A quest'altro simpaticone chiederei solo una cosa: venisse a parlare con me. Venisse a parlare con qualsiasi iscritto del mio corso (solo perché son sicuro del mio giardino), con gente che può metterlo in saccoccia quando e dove gli pare, insomma. Che tristezza lodare un decreto in virtù di un odio antico per il '68, ma l'avrà letto almeno?
30/11/2010, 00:13
30/11/2010, 00:33
Lawliet ha scritto:
I ricercatori di cui si parla non sono l'intera categoria, sono i 25000 "professori assistenti" senza i quali salterebbero una marea di corsi scientifici (per lo più).
Di quei 25000 la Gelmini ne vuole assumere 4500 in tre anni, ovvero 1500 per anno. Ma scherziamo? E chi insegna più alle facoltà scientifiche?
Cioè, vogliamo sinceramente dire che bisogna risparmiare su 20000 ricercatori? Quanto costano? 40 milioni all'anno? Un decimo dell'aumento sui prof. di religione? Un decimo dei finanziamenti alle università private? Un milionesimo dell'evasione fiscale e della corruzione italiana? Mezzo jet di uno di quelli comprati per 100m ciascuno?
Dai..
30/11/2010, 11:41
[color=blue]UNIVERSITA', IL REALISMO NECESSARIO
Riforma che va difesa
«Del valore dei laureati unico giudice è il cliente; questi sia libero di rivolgersi, se a lui così piaccia, al geometra invece che all'ingegnere, e libero di fare meno di ambedue se i loro servigi non gli paiano di valore uguale alle tariffe scritte in decreti che creano solo monopoli e privilegi». (Luigi Einaudi, La libertà della scuola, 1953).
http://www.corriere.it/editoriali/10_novembre_30/giavazzi-riforma-universita_d4d29fcc-fc4a-11df-8fb3-00144f02aabc.shtml
Il ministro Gelmini non ha il coraggio di Luigi Einaudi, non ha proposto di abolire il valore legale dei titoli di studio. Né la sua legge fa cadere il vincolo che impedisce alle università di determinare liberamente le proprie rette, neppure se le maggiori entrate fossero interamente devolute al finanziamento di borse di studio, cioè ad «avvicinare i punti di partenza» (Einaudi, Lezioni di politica sociale, 1944). Né ha avuto il coraggio di separare medicina dalle altre facoltà, creando istituti simili a ciò che sono i politecnici per la facoltà di ingegneria. Perché a quella separazione si oppongono con forza i medici che grazie al loro numero oggi dominano le università e riescono a trasferire su altre facoltà i loro costi.
Ma chi, nella maggioranza o nell'opposizione, con la sola eccezione del Partito Radicale, oggi appoggerebbe queste tre proposte? La realtà è che la legge Gelmini è il meglio che oggi si possa ottenere data la cultura della nostra classe politica.
Il risultato, nonostante tutto, non è poca cosa. La legge abolisce i concorsi, prima fonte di corruzione delle nostre università. Crea una nuova figura di giovani docenti «in prova per sei anni», e confermati professori solo se in quegli anni raggiungano risultati positivi nell'insegnamento e nella ricerca. Chi grida allo scandalo sostenendo che questo significa accentuare la «precarizzazione» dell'università dimostra di non conoscere come funzionano le università nel resto del mondo. Peggio: pone una pietra tombale sul futuro di molti giovani, il cui posto potrebbe essere occupato per quarant'anni da una persona che si è dimostrata inadatta alla ricerca.
«Non si fanno le nozze con i fichi secchi», è la critica più diffusa. Nel 2007-08 il finanziamento dello Stato alle università era di 7 miliardi l'anno. Il ministro dell'Economia lo aveva ridotto, per il 2011, di un miliardo. Poi, di fronte alla mobilitazione di studenti, ricercatori, opinione pubblica e alle proteste del ministro Gelmini, Tremonti ha dovuto fare un passo indietro: i fondi sono 7,2 miliardi nel 2010, 6,9 nel 2011, gli stessi di tre anni fa. «La legge tradisce i giovani che oggi lavorano nell'università, non dando loro alcuna prospettiva». Purtroppo ne dà fin troppe. Per ogni dieci nuovi posti che si apriranno, solo due sono riservati a giovani ricercatori che nell'università non hanno ancora avuto la fortuna di entrare: gli altri sono destinati a promozioni di chi già c'è.
La legge innova la governance delle università: limita l'autoreferenzialità dei professori prevedendo la presenza di non accademici nei consigli di amministrazione (seppure il ministro non abbia avuto la forza di accentuare la «terzietà» del cda impedendo che il rettore presieda, al tempo stesso, l'ateneo e il suo cda). Per la prima volta prevede che i fondi pubblici alle università siano modulati in funzione dei risultati.
La valutazione è l'unico modo per non sprecare risorse, per consentirci di risalire nelle graduatorie mondiali e fornire agli studenti un'istruzione migliore. Per questo l'Anvur, l'Agenzia per la valutazione degli atenei, è il vero perno della riforma. Purtroppo il ministro Mussi, che nel precedente governo la creò, ne scrisse un regolamento incoerente con la legge. Fu bocciato dal Consiglio di Stato e ha dovuto essere riscritto da zero con il risultato che l'Anvur parte soltanto ora.
La legge però non deve essere approvata ad ogni costo. Agli articoli ancora da discutere sono opposti (dall'opposizione, ma anche dalla Lega) emendamenti che la snaturerebbero. Uno alquanto bizzarro, dell'Udc, abroga il Comitato dei garanti per la ricerca, introdotto su richiesta del Gruppo 2003, i trenta ricercatori italiani i cui lavori hanno ottenuto il maggior numero di citazioni al mondo. La scorsa settimana Fli ha proposto che i 18 milioni che la legge finanziaria destina ad aumenti di stipendio per chi nell'università già c'è non siano riservati ai giovani, ma estesi a tutti. Così quei 18 milioni si sarebbero tradotti in venti euro al mese in più per tutti, anziché quaranta al mese per i giovani. Fortunatamente quell'emendamento non è passato. Ma altri sono in agguato, tra cui alcuni che introducono ope legis di vario tipo. Se passassero, meglio ritirare la legge.
Il Pd ha annunciato che voterà contro. Davvero Bersani pensa che se vincesse le elezioni riuscirebbe a far approvare una legge migliore? Migliore forse per chi nell'università ha avuto la fortuna di riuscire a entrare. Dubito per chi ne è fuori nonostante spesso nella ricerca abbia ottenuto risultati più significativi di chi è dentro.
Francesco Giavazzi
30 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA[/color]
30/11/2010, 13:52
rmnd ha scritto:
Scusa se torno sul medesimo argomento, ma nel privato non funziona così.
Non capisco perchè nel pubblico, i precari siano essi ricercatori o addetti ai call center pensino di avere il diritto di essere assunti a tempo indeterminato.
Quindi non condivido per nulla le motivazioni dei ricercatori se la loro protesta si riassume nella pretesa del posto fisso. Non è quello che un ricercatore deve (scusa il gioco di parole) ricercare. Se vuole il posto fisso faccia dell'altro. Le motivazioni possono essere altre, quali la difficoltà nel fare ricerca scientifica in Italia, la mancanza di fondi e quindi di mezzi, bassa renumerazione, 'baronato'..mancanza di meritocrazia, ma non protestino e non facciano saltare le lezioni perchè vogliono il posto fisso.
[IMHO]
30/11/2010, 14:21
Lawliet ha scritto:rmnd ha scritto:
Scusa se torno sul medesimo argomento, ma nel privato non funziona così.
Non capisco perchè nel pubblico, i precari siano essi ricercatori o addetti ai call center pensino di avere il diritto di essere assunti a tempo indeterminato.
Quindi non condivido per nulla le motivazioni dei ricercatori se la loro protesta si riassume nella pretesa del posto fisso. Non è quello che un ricercatore deve (scusa il gioco di parole) ricercare. Se vuole il posto fisso faccia dell'altro. Le motivazioni possono essere altre, quali la difficoltà nel fare ricerca scientifica in Italia, la mancanza di fondi e quindi di mezzi, bassa renumerazione, 'baronato'..mancanza di meritocrazia, ma non protestino e non facciano saltare le lezioni perchè vogliono il posto fisso.
[IMHO]
Non ci siamo Armando, e a me sembra che tu faccia finta di non capire.
I ricercatori (alcuni dei quali conosco personalmente) che assumono il ruolo di professori associati non sono dei "baroni", sono persone che guadagnano MENO di quanto dovrebbero (dato il doppio compito) e che sono nella maggior parte dei casi COSTRETTI dai professori ordinari, e dalla morale, a dare una mano all'università. Certo, il doppio incarico aiuta la loro carriera e apre la possibilità di essere assunti da enti di ricerca privati più importanti (qui o all'estero), ma il sogno della loro vita non è di certo essere dei professori "supplenti" (perché alla lunga di quello si tratta), se son diventati ricercatori un motivo ci sarà.
Togliamo i ricercatori assistenti dalle università.. bene, OTTIMO. Ma chi le fa le lezioni al posto loro?
Quei 40 milioni di risparmio servono a pagare lo stipendio di altri professori ORDINARI oppure vengono cancellati dalle università pubbliche per confluire in quelle private?
La seconda Armando.
30/11/2010, 14:52
rmnd ha scritto:
E se l'università è in queste condizioni non è colpa di questa riforma ma semmai delle mancate o sbagliate riforme del passato.
30/11/2010, 15:16