La sorte della biblioteca di Alessandria narra veramente la storia di una antica conescenza perduta,uno dei tanti vasi di pandora a mio avviso eliminati ed arrangiati nel corso del tempo,da prima del medioevo ad oggi.
La Biblioteca reale di Alessandria fu la più grande e ricca biblioteca del mondo antico ed uno dei principali poli culturali ellenistici.
Andò distrutta nell'antichità in data imprecisata (presumibilmente intorno all'anno 270 o forse verso l'anno 400 e in circostanze misteriose).
Anche in suo ricordo è stata edificata, ed è in funzione dal 2002, la moderna Bibliotheca Alexandrina.
La Biblioteca di Alessandria fu costruita intorno al III secolo a.C. durante il regno di Tolomeo II Filadelfo. Questo polo culturale, annesso al Museo, era gestito da un sovrintendente, ruolo di grande autorità. Il sovrintendente era nominato direttamente dal re (il primo filologo ad occupare tale carica fu Zenodoto di Efeso). Questi dirigeva una squadra di preparatissimi grammatici e filologi che avevano il compito di annotare e correggere i testi delle varie opere. Di ciascuna opera si redigevano delle edizioni critiche, che venivano poi conservate all’interno della Biblioteca. Si suppone che al tempo di Filadelfo i rotoli conservati fossero circa 490.000 (quando non bastò più lo spazio, venne costruita una seconda struttura, la Biblioteca del Serapeo).
Fonti antiche e moderne identificano quattro possibili occasioni dove sarebbe potuta intervenire una distruzione parziale o totale della Biblioteca:
1.L'incendio del 48 a.C. di Giulio Cesare;
2.L'attacco di Aureliano intorno al 270 d.C.;
3.Il decreto di Teodosio I del 391 d.C.;
4.La conquista araba del 642 d.C.
http://it.wikipedia.org/wiki/Biblioteca_di_AlessandriaQuesto è un articolo nel quale mi sono imbattuto,ma non ho fatto verifiche sui fatti o dati riportati,mi auguro siano giusti...in questo senso mi appello al giudizio degli storici del forum.
Chi distrusse la biblioteca di Alessandria?
La grande biblioteca di Alessandria fondata da Tolomeo II (280 a.C. ca) è diventata il simbolo della salvaguardia della conoscenza della civiltà classica. Questa straordinaria miniera fu barbaramente distrutta nel Medio Evo.
Di grande prestigio, si stima che la biblioteca contenesse quarantamila volumi su svariati argomenti. Vi si trovavano opere di astronomia, matematica, fisica, medicina e filosofia, molte delle quali erano copie di testi geroglifici e cuneiformi degli egiziani e dei babilonesi. Custodiva anche storie di tutti i paesi del mondo conosciuto: dell’Egitto, di Babilonia, di Persia, delle terre del Nord Africa, delle terre dell’Europa occidentale.
Benché costituisse la più grande collezione bibliografica del mondo antico, la biblioteca probabilmente possedeva solo pochi libri unici; quasi tutti i documenti erano copie di manoscritti che si trovavano in altre biblioteche o centri culturali. La biblioteca di Alessandria, tuttavia, era considerata la più importante miniera di informazioni del mondo di quel tempo. La sua scomparsa è ritenuta a ragione una catastrofe ed un evento che simboleggia la perdita del rispetto per il sapere che seguì il collasso della civiltà classica. Si stima che dei volumi contenuti nella biblioteca, così come in altre biblioteche del tempo, sia andato perduto il 95%. Ciò che rimane degli scritti antichi è una minuscola traccia di ciò che esisteva una volta.
Un racconto, che sembra sia comparso nel tredicesimo secolo (menzionato prima da Abd al Latif, morto nel 1231, e più tardi da Gregory Bar Hebraeus, morto nel 1286), narra che gli arabi, sotto il califfo Umar, distrussero la biblioteca di Alessandria subito dopo la conquista dell’Egitto nel 639 d.C. La narrazione ricorda che il califfo, quando venne a sapere dell’esistenza del centro, dichiarò che se i libri lì conservati concordavano con il Corano erano superflui, se non concordavano, erano eretici. In entrambi i casi i libri non avevano valore ed era meglio distruggerli. I libri della biblioteca furono incendiati, usati per riscaldare i bagni del palazzo.
Per secoli gli europei hanno dubitato di questa storia. Per la verità, però, c’erano fondate ragioni per credere che fosse vera. Già dalla fine del diciannovesimo secolo gli storici seguirono una strada diversa. Affermavano che, sulla base delle prove, i primi arabi ebbero grande rispetto per il sapere, e il periodo tra il settimo e l’undicesimo secolo finì per essere considerato come un’età dell’oro islamica, quando le società musulmane erano le prime al mondo per le scienze e la medicina.
In concreto si sosteneva che gli arabi fossero i liberatori, piuttosto che i distruttori, del sapere classico. Un primo esempio di questo modo di pensare è il libro di Robert Briffault del 1919, The Making of Humanity, per il quale il vero Rinascimento, o la rinascita del sapere classico avvenne in realtà nella Spagna dell’undicesimo secolo piuttosto che nell’Italia del quindicesimo secolo.
Il pensiero di Briffault, con la sua visione negativa del cristianesimo e della cultura europea, può essere considerato come una prima forma di corretezza politica. La sua tesi è diventata un costume predefinito di pensiero in gran parte del mondo accademico, e ciò ha i suoi riflessi sulle teorie riguardanti il destino della biblioteca di Alessandria. Un primo esempio di questa tendenza preconcetta la si incontra nella pagina di Wikipedia che riguarda la biblioteca. Qui si legge una prolissa discussione circa la distruzione del centro culturale. L’accidentale distruzione causata da Giulio Cesare occupa un posto di primo piano, come lo occupano altre vere o probabili distruzioni avvenute in periodi tardivi dell’Impero Romano. La devastazione finale che deve sicuramente essere la più importante, quella condotta dagli arabi, è menzionata molto brevemente alla fine, ed è licenziata “come una montatura o una propaganda”.
Ma se il disastro procurato dagli arabi è una mistificazione, allora cosa accadde alla biblioteca? Perfino gli autori della pagina di Wikipedia ammettono che, dopo la prima distruzione a causa di Cesare, la biblioteca fu ricostruita e rifornita di libri. Bisognava che si sottolineasse proprio questo: fino alla scomparsa della civiltà classica (a quanto pare avvenuta nel settimo secolo), la biblioteca potè essere rifornita e ricostruita. In gran parte i volumi che essa conteneva non erano esemplari unici, erano copie di libri disponibili anche in altre biblioteche e centri di erudizione che punteggiavano il mondo mediterraneo. Fu solo con la sparizione completa della civiltà classica – insieme alle infrastrutture culturali, sociali ed economiche – che il rifornimento dei volumi per la biblioteca divenne impossibile. I volumi perduti quindi non poterono essere ricollocati, perchè anche tutte le altre copie, nelle altre biblioteche e accademie, erano andate perdute.
Nonostante le affermazioni degli autori di Wikipedia, c’è una prova inconfutabile secondo la quale la più vasta dissoluzione della cultura classica avvenne nel settimo secolo, e che ciò fu una diretta conseguenza delle conquiste arabe. Inoltre c’è una chiara evidenza che questa perdita fu il risultato di un atto di politica calcolato.
Questo fatto si nota chiaramente nell’improvvisa rottura, nel settimo secolo (nelle terre conquistate e controllate dai musulmani), di tutti i legami culturali con il passato.
Fino al primo quarto del settimo secolo la civiltà classica era ancora viva nel mondo mediterraneo. La vita cittadina fiorì, come avvenne anche per l’economia e le arti. L’alfabetismo si diffuse e le opere degli autori classici, di filosofi, matematici e fisici, furono rese disponibili e discusse nelle accademie e biblioteche sparse in Medio Oriente, Nord Africa ed Europa.
In Egitto nel corso del sesto secolo, celebri filosofi come Olimpiodoro (morto nel 570) presiedevano il mondo accademico che probabilmente aveva, se non la biblioteca originale, almeno una biblioteca ben fornita e finanziata. L’accademia alessandrina del tempo era vista come l’istituzione del sapere più illustre del mondo allora conosciuto, e non ci sono dubbi che la sua biblioteca eguagliava, se non superava, la biblioteca fondata da Tolomeo II.
Gli scritti di Olimpiodoro e dei suoi contemporanei dimostrano profonda familiarità con con le grandi opere classiche, molto spesso citano filosofi oscuri e storici le cui opere sono scomparse da tempo. Tra la gente comune del tempo l’alfabetismo era la norma, e l’interesse per la lettura era soddisfatto da una vasta classe di scrittori professionisti che componevano opere teatrali, poesie e brevi novelle.
In Egitto le opere di scrittori greci come Erodoto e Diodoro erano conosciute e molto apprezzate. Questi ultimi insieme a scrittori egiziani come Manetone composero ampie storie dell’Egitto del tempo dei faraoni. Queste opere fornirono agli abitanti della nazione e di altre parti dell’Impero un collegamento diretto col passato faraonico. Con esse il cittadino istruito conosceva il nome del faraone (Cheope) che fece costruire la Grande Piramide, così come quello di suo figlio (Chefren), al quale si deve la seconda piramide a Giza, e quello di suo nipote Micerino, che innalzò la terza e più piccola struttura. Queste versioni ellenizzate dei nomi erano trascrizioni estremamente accurate dei nomi egiziani (Khufu, Khafre e Menkaure). Nella storia del paese, scritta da Manetone, il cittadino colto dell’Impero avrebbe avuto una descrizione dettagliata del passato d’Egitto, corredata da un approgondito resoconto degli atti dei faraoni come delle descrizioni dei vari monumenti e dei sovrani che li fecero erigere.
Il cambiamento avvenuto in Egitto dopo la conquista araba può essere descritto solo in termini di catastrofe. Tutto il sapere del passato del paese scomparve, e fu un evento quasi fulmineo. Si consideri la descrizione delle Piramidi di Giza e della loro costruzione scritta dallo storico arabo Al Masudi (considerato l’Erodoto arabo), pare del decimo secolo (sebbene ci siano buone ragioni per credere che sia precedente):
Surid, Ben Shaluk, Ben Sermuni, Ben Termidun, Ben Tedresan, Ben Sal, uno dei re d’Egitto che regnarono prima del diluvio, costruì due grandi piramidi; e, nondimeno, essi furono in seguito nominati dopo un individuo chiamato Shaddad Ben Ad… Esse non furono costruite dagli Aditi, che non riuscirono a conquistare l’Egitto, a causa delle loro forze militari, di cui gli egiziani si impadronirono con l’inganno… la ragione della costruzione delle piramidi fu il seguente sogno che fece Surid trecento anni prima del diluvio. In sogno vide che la terra era rovesciata e che gli abitanti erano prostrati su di essa, che le stelle vagavano in modo confuso non rispettando il loro corso e si scontravano procurando un fragore incredibile. Il re, sebbene molto colpito dalla visione, non rivelò a nessuno il suo sogno, ma era consapevole che qualche evento importante avrebbe avuto luogo.
Questo è ciò che fu presentato come ‘storia’ in Egitto dopo la conquista araba, poco più che una raccolta di leggende. L’Egitto, di fatto, aveva perso la sua storia.
Altri scrittori arabi mostrano la stessa ignoranza. Per esempio i commenti di Ibn Jubayr, che lavorò come segretario presso il governatore di Granada Moorish, e che visitò il Cairo nel 1182. L’illustre viaggiatore parlò delle antiche piramidi, descrivendole come miracolose costruzioni e meravigliose da ammirare, somiglianti ad enormi padiglioni che si innalzavano verso il cielo; due in particolare toccavano il firmamento. Egli si chiedeva se fossero le tombe dei primi profeti menzionati nel Corano o i granai del patriarca biblico Giuseppe, ma alla fine giunse alla conclusione che solo il Grande e Glorioso Dio potesse sapere la loro storia.
Non si deve immaginare che la perdita di collegamento con il passato avvenisse gradualmente. Fin dall’inizio gli arabi mostrarono assoluto disprezzo per la cultura e la storia sia dell’Egitto che degli altri paesi della regione che conquistarono. Subito dopo l’invasione dell’Egitto, il califfo stabilì una commissione il cui scopo era quello di scoprire e saccheggiare le tombe faraoniche. E’ noto che le chiese e i monasteri cristiani, di cui molti in quell’epoca possedevano biblioteche ben fornite, subirono la stessa sorte.
I più grandi monumenti d’epoca romana e faraonica furono depredati delle loro pietre, e Saladino cominciò l’operazione spogliando i monumenti più piccoli di Giza. Con il materiale ricavato fece costruire la cittadella del Cairo (tra il 1193 e il 1198). Suo figlio e successore, Al-Aziz Uthman, andò oltre, e si impegnò a fondo per abbattere la Grande Piramide. Egli riuscì a staccare dalla struttura il rivestimento esterno dei blocchi di pietra calcarea levigata (ricoperta dalle storiche e inestimabili iscrizioni) ma alla fine sospese il progetto a causa del suo costo.
La perdita di rapporti con il passato si manifestò in tutte le terre conquistate dai musulmani. Basta qui ricordare che il poeta e matematico persiano Omar Khayyam, alla fine dell’undicesimo secolo, ignorava quasi del tutto l’illustre storia del suo paese e credeva che i grandi palazzi, come Persepoli e Susa, costruiti dagli imperatori achemenidi Dario e Serse, erano stati costruiti da un re-genio chiamato Jamshid.
Ci si chiede quale sia allora il tanto propagandato rispetto arabo nei confronti del sapere e delle scienze di cui si sente tanto parlare nella letteratura accademica moderna. Senza dubbio gli arabi permisero – per un po’ – l’esistenza di qualche forma di scienza e di sapere che essi conobbero nelle grandi città d’Egitto, Siria, Babilonia e Persia. L’unico sapere tollerato, però, fu quello di natura essenzialmente pratica e utilitaristica, un fatto ammesso anche dai filo islamici e da Briffault. Di conseguenza, per un certo periodo, gli arabi furono mecenati di medici, matematici e fisici.
Anche il sapere utilitaristico fu subito soffocato sotto il peso di una teocrazia islamica (diffusa da Al Ghazali nell’undicesimo secolo) che considerava le nozioni delle leggi scientifiche come un insulto ad Allah ed una violazione della libertà del suo agire.
L’annientamento di tutte le scienze avvenne molto prima di quanto non si pensi generalmente. L’intero concetto di un’età dell’oro islamica, i tre secoli tra il settimo e il decimo, nel corso dei quali il mondo musulmano godette complessivamente di un livello culturale più alto rispetto all’Europa, è poco più che un mito. Questa età, come hanno notato gli archeologi con loro meraviglia, non trova riscontro nell’archeologia.
Non vi è traccia della favolosa, ricca Baghdad di Harun al Rashid del nono secolo. I primi resti musulmani a Baghdad, come ovunque nel mondo musulmano, risalgono alla prima metà del decimo secolo. (Ci sono pochi monumenti datati al settimo secolo, e nessun’altra testimonianza tra questi sue periodi). La mancanza di testimonianze archeologiche è altrettanto vera per Cordoba in Spagna, presumibilmente una metropoli di mezzo milione di abitanti nei secoli ottavo, nono e decimo. Anche i più antichi resti islamici di Cordoba vengono ricondotti alla metà del decimo secolo. Tutto ciò suggerisce che la datazione della comparsa dell’islam nel mondo è stata seriamente equivocata e in qualche modo predatata di tre secoli. Ciò significa che, tra le altre cose, la distruzione delle culture native nelle terre conquistate dai musulmani avvenne più velocemente di quanto non si pensi generalemente. Così Al Masudi avrebbe dimostrato la sua completa ignoranza sulle piramidi e sulla storia d’Egitto non tre secoli dopo la conquista musulmana, ma solo pochi decenni dopo.
Bisogna riconoscere che la questione della cronologia è ancora estremamente controversa. Sono necessari ulteriori scavi in tutto il Vicino Oriente per confermare ciò che accadde davvero nei tre secoli di cui si è persa testimonianza. Tuttavia, sembra che l’intera età dell’oro islamica sia un fenomeno presente solo su carta e nell’immaginazione dei narratori delle Notti Arabe.
Allora resta la domanda se gli arabi furono i responsabili della distruzione della biblioteca di Alessandria. Le prove indicano con evidenza che non solo distrussero la biblioteca o le biblioteche di Alessandria, ma che contemporaneamente misero a fuoco tutto il sapere secolare (fatta eccezione delle scienze) in tutto il Medio e Vicino Oriente.
Così la civiltà classica fu devastata in Europa per mezzo di un blocco economico, in Medio Oriente da una costante e deliberata azione di annientamento.
Adattamento R.P. Fonte: John O’Neill, American Thinker, 2 maggio 2010
http://www.bibbiablog.com/2010/05/27/ch ... essandria/