25/11/2010, 19:21
25/11/2010, 19:26
02/12/2010, 09:36
[color=blue]Federalismo
Ruini scende in campo
di Francesco Peloso
Apre un dialogo senza reticenze con la Lega Nord, e appoggia l’accelerazione sulla riforma di Marcegaglia e Formigoni.
Il federalismo è ormai una scelta irreversibile e bisogna anche valutare la possibilità di procedere a due velocità, cioè prima il nord se è più avanti, quindi le altre regioni. Il cardinale Camillo Ruini batte un colpo, ed è di quelli che si fanno sentire. Apre un dialogo senza reticenze con la Lega Nord, fa capire che la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e il presidente della Lombardia Roberto Formigoni, hanno più di una ragione a voler rompere gli indugi sulla riforma federale quando chiedono, senza attendere oltre, di far partire prima il nord del Paese, perché è già pronto.
Alla vigilia del convengo sui 150 anni dell’unità d’Italia promosso dal “Progetto culturale” della conferenza episcopale, guidato dallo stesso Ruini, l’ex presidente dei vescovi italiani affronta alcuni dei nodi politici del Paese con estrema decisione. In un’intervista rilasciata alla Radio Vaticana, il cardinal sottile - nelle more di una crisi politica che coinvolge in pieno la maggioranza di governo e inevitabilmente la leadership berlusconiana - sceglie di interloquire in modo forte con la Lega senza rinunciare al principio base della solidarietà fra le vari parti del Paese, ma ponendo con maggior forza l’accento sull’urgenza della riforma federale dello Stato. E anche per questo ha incassato un immediato riconoscimento da parte del leader del Carroccio Umberto Bossi che, non senza ironia, ha commentato: “E pensare che prima ci voleva in galera, come cambia velocemente il mondo”. In effetti, Ruini, se da una parte ha accolto le ragioni del leghismo, allo stesso tempo ha giocato di sponda con il governatore della Lombardia individuandolo come referente privilegiato.
In ogni caso non c’è dubbio che Ruini marchi una differenza, in materia di federalismo, anche rispetto all’impostazione data fin qui al problema dal cardinale Angelo Bagnasco. Nelle parole dell’arcivescovo di Genova, infatti, l’apertura alla riforma federale si è sempre accompagnata ad un richiamo anche più forte alla necessità vitale di non dividere l’Italia, di non lasciare indietro il Meridione. Ruini, ieri, ha di fatto capovolto l’ordine dei fattori provando a ricollocare la Chiesa nel dibattito intenso di queste settimane. D’altro canto è evidente che nello stesso episcopato esistono sfumature e sensibilità differenti sul momento che attraversa il Paese. In ogni caso, oggi, sarà proprio Bagnasco ad aprire i lavori del meeting sulle celebrazioni dell’unità d’Italia. Ancora, particolare non secondario, durante i lavori del convegno che svolgeràfino a sabato, farà il suo ritorno in pubblico in grande stile Dino Boffo, fedelissimo di Ruini, defenestrato dal Giornale di Feltri, e ora di nuovo al comando di Tv 2000.
Sul federalismo le parole di Ruini sono state estremamente chiare: l’Italia, ha detto, è un “Paese molto vario, composito, anche molto ricco di individualità che non si può ingabbiare in una struttura troppo uniforme”. E tuttavia “l’importante è che questo federalismo non solo sia solidale come tutti diciamo, ma anche valorizzi positivamente e responsabilizzi le classi governanti, le classi dirigenti delle varie parti del Paese”. “Qui – ha osservato ancora il cardinale - dobbiamo dire con sincerità che ci sono diverse velocità, diverse capacità di assumere le proprie responsabilità e di gestire in modo efficace sia la cosa pubblica, sia l’iniziativa privata da parte delle classi dirigenti locali”. Insomma il cardinale accetta la sfida federalista fino in fondo, e anzi chiama la Chiesa e i cattolici a giocarla senza più incertezze, la proposta di Ruini farà certamente discutere.
Ma il porporato non si è limitato a questo e ha affrontato anche un altro tema ostico, quello di una certa vocazione all’ irriformabilità del Paese. E guardando all’attuale momento politico, il cardinale ha rilevato: “certamente le formule politiche vanno sempre adattate. Devono evolversi con l’evolversi delle situazioni. Certamente uno dei punti più deboli dell’Italia è che il Paese sembra in realtà poco riformabile”. “Si parla sempre – ha aggiunto - della necessità di riforme, di vario tipo, politiche, istituzionali, costituzionali, economiche, finanziarie, della scuola, dell’università. Si cerca di operare anche in questo senso ma, diciamo così, il tessuto connettivo dell’Italia è molto vischioso quindi difficilmente riformabile”. Dietro a tutto questo c’è un corporativismo che resiste, e però, ha spiegato il cardinale, “se si evitano tutti i cambiamenti il Paese non tiene il passo con i tempi e le conseguenze le paghiamo tutti”.[/color]
06/12/2010, 21:35
Federalismo all'italiana
[color=blue]Dove sta andando la Spagna
I brutti presagi di Zapatero dopo le elezioni in Catalogna. Il vantaggio dei partiti autonomisti e l'estrema confusione del decentramento
http://www.ilfoglio.it/soloqui/6980
Il successo dei nazionalisti moderati della Ciu in Catalogna nelle elezioni della scorsa settimana è certamente un brutto presagio per Zapatero, che ha davanti a sé le elezioni municipali nel 2011 e le legislative nel 2012, ma non significa che la Spagna rischi la secessione. “Interpretare i risultati di queste elezioni in senso separatista sarebbe un errore, perché la Ciu è un partito democristiano a forte caratterizzazione catalanista, ma non è indipendentista”, osserva Sergio Soave. La prova di ciò è che per ventitré anni, fino al 2003, la Ciu ha avuto la maggioranza nel parlamento catalano, e come partito più forte della regione più ricca della Spagna ha sempre preferito appoggiare i partiti nazionali al governo.
Due sono gli aspetti interessanti che emergono dal voto catalano. La prima è che in Spagna ogni singolo risultato a vantaggio di partiti autonomisti, compreso quello in Catalogna, ha degli effetti impercettibili, imprevedibili, ma certi in termini di evoluzione di un federalismo giovane e confusionario. La seconda è che proprio per la confusione e le istituzioni recenti il sistema spagnolo ha non poche analogie con il processo che vede avanzare il nostro federalismo “all’italiana”: sono entrambi stati che i costituzionalisti rabbrividiscono a definire federali, e che invece preferiscono classificare come “neo-policentrici”. In altre parole, si tratta di paesi con forti differenze regionali e culturali interne, a cui si è risposto con un lungo periodo di centralizzazione, e poi, dal Dopoguerra in Italia e dal dopo Franco in Spagna, con la previsione di un fortissimo decentramento formale di competenze legislative e amministrative.
In tutti e due i casi però la Costituzione ha concesso una forte autonomia formale, senza prevedere concrete procedure di coordinamento. Risultato: Senati deboli e poco rappresentativi delle autonomie e generale, estrema confusione, con un principio unitario sostanzialmente ignorato. Anche per questa ragione, è soprattutto grazie a successi elettorali di partiti autonomisti e all’informalità di intese e accordi extra-parlamentari che i due regionalismi sono avanzati. In particolare, dice al Foglio il costituzionalista Stefano Ceccanti, “la maggiore attribuzione di competenze alle autonomie dipende dalla situazione del governo nazionale: se ha la maggioranza assoluta in Parlamento, il governo le competenze non le cede, se la maggioranza non ce l’ha, di competenze ne cede anche troppe”.
Nonostante origini simili il percorso dei due federalismi è stato diverso: in Spagna le comunità autonome più forti sono riuscite, fin dal varo della costituzione del 1978, a imporre un regionalismo “à la carte”, cioè rapporti bilaterali con il centro, pretendendo ognuno propri determinati spazi di autonomia. La Catalogna non ha nessuna intenzione di andare in un equivalente della nostra conferenza stato-regioni, perché sa di ottenere di più contrattando da sola; i Paesi Baschi hanno più di una volta disertato all’ultimo le riunioni comuni. Non è che il sistema in assoluto funzioni bene, le conferenze sono decine a seconda della materia trattata, per non parlare degli incontri bilaterali. Le regioni, poi, tra di loro non si incontrano mai. #8232;Teniamoci strette le nostre relazioni centro-periferia, verrebbe da dire. Alla fine le regioni fanno spesso fronte compatto, si accordano prima di andare a trattare con il governo, hanno nel tempo difeso interessi territoriali e non partitici, sfruttando la forte legittimità del presidente regionale eletto direttamente (cosa che in Spagna tra l’altro non c’è).
Eppure gli spagnoli hanno capito una cosa: differenziare da subito le diciassette Comunità Autonome, cioè attribuire loro competenze decentrate diverse a seconda delle rivendicazioni politiche e delle differenti amministrazioni locali. Da noi, a parte la divisione in regioni speciali e ordinarie, le regioni sono sempre state considerate uniformemente, anche perché il timore di tutti i governi è stato quello che il decentramento “differenziato” mettesse a rischio l’unità, che incentivasse movimenti centrifughi. Ora è invece urgente, e non c’è certo bisogno di condividere una visione leghista per dire questo, permettere che le regioni che vogliono fare qualche passo federalista prima delle altre lo facciano.
La Lombardia e il Veneto si preparano da qualche anno, Formigoni l’ha ribadito la scorsa settimana: bisogna differenziare le regioni. “I trend delle regioni sono diversi”, continua Ceccanti, “per cui trattarle differentemente non è insensato. L’importante è che le competenze cedute vengano concepite come specialità a livello sperimentale, cioè che tramite meccanismi di valutazione le regioni possano dimostrare che le hanno usate bene. In caso contrario, le competenze devono poter tornare al centro”.
Differenziare non significa voler premiare i “bravi” e abbandonare “i meno bravi”. In Spagna l’iniziale trattamento differenziato delle comunità autonome, che ha fatto sì che per vari anni Catalogna e i Paesi Baschi fossero di gran lunga le regioni più federali del paese, ha portato anche tutte le altre, per quanto non spinte da forti ragioni etnico-culturali, a rivendicare e ottenere le stesse competenze. Nemmeno in Italia si tratterebbe di una differenziazione ad oltranza. E' piuttosto un processo che può iniziare decentrando competenze a favore di alcune regioni e che mira, ad un certo punto, ad uniformarle tutte e venti, ma a un livello superiore, di “federalizzazione” più efficiente. L’idea è che è comunque meglio che qualcuno, piuttosto che nessuno, inizi ad attivare e testare maniere efficienti per gestire amministrazioni e competenze di nuova acquisizione. In maniera che chi arriva dopo possa partire da esperienze già sperimentate e competere a rialzo in un circolo uniforme, virtuoso (e terribilmente utopistico) di “bravi tutti”.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Carolina de Stefano[/color]
08/12/2010, 20:20
(from:
)
[color=blue]Difference Between North and South Jersey
http://www.differencebetween.net/miscellaneous/difference-between-north-and-south-jersey/
North vs South Jersey
The major differences between South and North Jersey is the cost of living, population density, traffic, high taxes, and real estate costs. North Jersey has mostly hills and low mountains, with an expensive living style; people pay higher taxes and have more job opportunities. North Jersey is close to NYC, and has more city life and more crowded streets and roads, clogged with motor cars; South Jersey has Philadelphia as its neighbor. Malls are full of people shopping, and there are better schools and public transport, larger homes and schools, when compared to South Jersey. North Jersey is one of the most expensive areas to live in. Southern Jersey is about 30% cheaper.
The difference between North and South Jersey folks is that Northerners are stereotypical, honest and busy, with no time to meet and greet, whereas Southerners have a polite behavior, but hidden sarcasm. Southerners usually have different meanings hidden behind their words, and the subtleties of the southern language is hard to understand. Northerners use honest and direct speech, and they generally speak faster, with open sarcasm and curse frequently. The culture of the North in comparison to the South, in many ways, is harder to adapt to, due to conversation moves. The Northern culture depicts honesty and efficiency, unlike the Southern, which is more like living in a spy novel where everyone speaks in a code or an alien language.
North Jerseys are overwhelmed by New York sports, and South Jersey folks are Eagles and Macaroons fans. You are a Southerner if you call common tourists ‘shoobies’, and ask for jimmies as ice cream toppings. You are in South Jersey if the nearest store to your house is Wawa, and on Friday night in the summers you avoid the Atlantic City Expressway. Northerners call tourists ‘bennies’, and like to have sprinkles as an ice cream topping. In South Jersey, you have hoagies instead of subs as in North Jersey, whereas you would prefer Italian ice and say ‘wooder’ for ‘wahtar’ and ‘mawl’ for ‘shahp’ if you are in South Jersey.
It is not quite sure where the magical line divides North and South Jersey. Southerners overwhelmed by Philadelphia residents and Northerners are dazzled by New York, as quoted by Benjamin Franklin: That “this state is a barrel tapped at both ends.”[/color]
08/12/2010, 20:36
08/12/2010, 21:05
Thethirdeye ha scritto:
http://www.youtube.com/watch?v=vL2RtA6Zl3w
Dovresti vederlo rmnd.... è proprio un film istruttivo...
08/12/2010, 21:18
rmnd ha scritto:
uhmmm grazie Thethirdeye ma francamente non mi sembra un granchè.
08/12/2010, 21:22
Thethirdeye ha scritto:rmnd ha scritto:
uhmmm grazie Thethirdeye ma francamente non mi sembra un granchè.
Beh.... è solo una commediola leggera.
Ma lo hai visto il film?
08/12/2010, 21:30
08/12/2010, 21:46
Blissenobiarella ha scritto:
Ma va? E dire che ci sono comunità di zingari e immigrati anche li...
08/12/2010, 23:10
08/12/2010, 23:34
Blissenobiarella ha scritto:
Più o meno del target che tu apostrofi come dedito alla criminalità...Quanto ai portafogli, si rischia altrettanto sui tram a torino. Ho subito un solo scippo nella mia vita ed è stato qui. Un'altro lo ho evitato grazie ad una vecchina fantastica che ha praticamente messo in fuga l'aspirante ladro, sempre qui al nord ovviamente. Ho subito due furti d'auto, uno al nord, uno al sud. Solo che al sud ci sono stata 24 anni, qui otto.
E guarda caso, Se controlli le statistiche ti accorgerai che il numero di reati cresce man mano che ci si sposta nelle grandi città e non non al sud:
La città più pericolosa per reati commessi ,denunciati nel 2001, ogni 100mila abitanti è Roma con 1.227,83. Seguita da Bologna con 1.209,88, Rimini 1.201,45, Genova 1.044,11, Torino 773,48, Firenze 771,35, Trieste 746,97, Prato 722,75, Milano 688,71, Livorno 545,75, Palermo 522,87, Napoli 501,21.
Fonte: Direzione centrale ai reati criminali denunciati, 2001
http://www.siciliainformazioni.com/gior ... p?arg=2114
Le aree metropolitane restano le più esposte alla delinquenza.
Si corrono rischi più alti a Rimini, Bologna, Milano, Torino e Genova
http://forum.chatta.it/politica/7943188 ... miate.aspx
In calo i reati in Italia. Rimini, Bologna e Milano le città più a rischio
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLi ... iew=Libero
Inoltre, nella graduatoria dei delitti totali in rapporto al numero di abitanti spicca l’Emilia Romagna, con Rimini in testa (quasi 7.500 reati ogni 100 mila abitanti), immediatamente seguita da Bologna, Milano, Torino, Genova, Firenze e Roma.
http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-i ... tti-71582/
Spero di non averti turbato troppo
http://www.siciliainformazioni.com/giornale/numerario/index.jsp?arg=2114
....Palermo e Napoli, poi, undicesima e dodicesima per pericolosità, sono più frequentabili di Livorno....
09/12/2010, 00:26
09/12/2010, 01:23
Blissenobiarella ha scritto:
Sono rapporti stilati dagli organi di controllo -_-'. Puoi leggere tu stesso, ci sono tutti i link
Tutto ad un tratto non basta basarti sugli effetti e ti vien voglia di analizzare le cause? Ti preoccupi della sorte del tuo portafoglio al sud, bè non sta più sicuro al nord.
Se proprio lo vuoi sapere lo scambio tra super vecchina e aspirante borseggiatore è stato nel dialetto del luogo, infatti li per li non capivo cosa stesse succedendo e cosa c'entrassi io.
Non ho fatto in tempo a chieder il cognome all'uomo, che se l'è data a gambe appena il tram si fermato, ma stando al suo colorito candido avvampato di fucsia, era uno che il sole del sud non aveva mai visto nemmeno in cartolina.
Ma poi ti rendi conto di quale posizione stai cercando di sostenere? Il meridione è responsabile dei crimini che si commettono al sud e deve prendersi le sue responsabilità. Ma crimini si commettono anche al nord, solo che secondo te i responsabili dei crimini del nord sono ancora i meridionali. Ma guarda un po', i crimini e i reati non sono un invenzione delle regioni del sud Italia. Forse non ci fai caso, ma la propensione al crimine è una caratteristica che tutta l'umanità condivide in maniera più o meno equa. C'è una sola ragione al mondo per cui il padano medio dovrebbe esserne esente?