Indagato consigliere del Csm, Matteo BrigandìSecondo l'accusa ha consegnato le carte alla giornalista de Il Giornale per scrivere l'articolo su Ilda BocassiniE’ indagato dalla procura di Roma, per abuso d’ufficio, il consigliere del Csm, Matteo Brigandì della Lega, in relazione all’inchiesta per la quale è stata eseguita oggi una perquisizione nell’abitazione della cronista de Il Giornale, Anna Maria Greco. L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Pierfilipo Laviani, è partita da una segnalazione ufficiale fatta dal Consiglio superiore della magistratura. Brigandì, secondo l’accusa, avrebbe passato documenti interni al Csm alla giornalista che ha poi redatto un articolo sul procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, dal titolo “La doppia morale di Bocassini”. A disporre le perquisizioni è stato il pubblico ministero Silvia Sereni. Il provvedimento è stato disposto per la presunta violazione dell’articolo 323 del codice penale, quello relativo all’abuso d’ufficio.
Brigandì non è nuovo agli onori delle cronache. Ex democristiano, ex socialista poi leghista. Ex avvocato di Umberto Bossi, “procuratore della Padania”, nel 2006 viene condannato in primo grado per truffa aggravata alla regione Piemonte. Memorabile, nell’occasione, la difesa d’ufficio di Bossi: “Se non è una questione di donne, Matteo è innocente”. E difatti Brigandì sarà poi definitivamente assolto nel 2009. Ma gli rimane un altro processo da affrontare: Brigandì è infatti imputato in corte di Appello per violazione degli obblighi di assistenza nei confronti della figlia, oggi ventiduenne, quando questa aveva 15 anni. In primo grado è stato condannato a sei mesi con la condizionale, e durante il processo ha versato 28mila euro alla figlia. Ma il giudice lo condannò per gli anni precedenti. Ecco uno stralcio delle motivazioni della sentenza: “L’imputato negava di essersi disinteressato della figlia. Segnalava pure che aveva un reddito di 5mila euro al mensili, che doveva mantenere un’altra figlia, che doveva una cospicua somma di denaro al partito di cui faceva parte”. Una giustificazione che non fece presa sulla corte: “Sul fatto che l’imputato sarebbe onerato da obblighi verso il partito… non pare si debbano spendere molte parole sulla priorità dei suoi obblighi”.
“I carabinieri – si legge in una nota del quotidiano – hanno fatto irruzione a casa della giornalista intorno alle nove: hanno sequestrato il computer di Anna Maria Greco e persino quello del figlio della cronista. Nel provvedimento di notifica si legge che altre perquisizioni saranno effettuate all’interno della redazione romana del quotidiano. “Per l’ennesima volta la casta dei magistrati mostra il suo volto violento e illiberale”, è il primo commento del direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti. “La perquisizione nell’abitazione privata della collega Anna Maria Greco, autrice dell’articolo che conteneva sentenze pubbliche del Csm, non solo e’ un atto intimidatorio ma una vera e propria aggressione alla persona e alla liberta’ di stampa. Stupisce che soltanto le notizie non gradite ai magistrati inneschino una simile repressione quando i magistrati stessi diffondono a giornalisti amici e complici atti giudiziari coperti da segreto al solo scopo di infangare politici non graditi”.
Il consigliere del Csm Brigandì nei giorni scorsi aveva ammesso di aver visionato il fascicolo sul procedimento disciplinare di Ilda Boccassini e aveva anche aggiunto di averlo restituito agli uffici di Palazzo dei Marescialli dopo pochi minuti escludendo di aver mai passato le carte ai giornalisti de Il Giornale. Inoltre lo stesso consigliere Brigandì, settimana scorsa ha chiesto al vice presidente del Csm, Michele Vietti, di far luce sull’episodio.
Sulle perquisizioni è intervenuto Franco Siddi, segretario generale della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana). “Oggettivamente, non se ne può più”, ha detto. “Nello scontro politica-magistratura non possono essere chiamati a pagare i giornalisti se danno notizie, ancorché su di esse e sulla loro valenza in termini di interesse pubblico, ciascuno possa avere opinioni diverse”. La perquisizione di oggi, ha aggiunto, “a carico della collega appare, allo stato, assolutamente incomprensibile, oltreché, nei fatti, pesantemente invasiva. Le notizie ‘riservatè, non escono mai con le proprie gambe”. Ma, “se si volesse prendere a prestito una espressione del moderno linguaggio politico-giudiziario, si potrebbe dire che si va a cercare presunte colpe, neanche meglio precisate, nell’utilizzatore finale. Cosi non si può andare avanti”. E, conclude, “ai giornalisti è chiesto, tanto più in questa fase di scontro politico e istituzionale dai toni esasperati, di alzare l’asticella della responsabilità, per non fare la fine dei vasi di coccio. Ma occorre misura e rispetto, da parte di tutti”.
Matteo Brigandì rischia di essere sospeso dalla carica di consigliere del Csm. L’articolo 37 della legge del 1958 istitutiva del Csm prevede infatti che ogni consigliere del Csm può essere sospeso se sottoposto a un procedimento penale per un delitto non colposo; si tratta dunque di un provvedimento facoltativo, mentre la sospensione è “di diritto”, cioè automatica nel caso in cui un componente del Csm sia sottoposto alla custodia cautelare o arrestato. La decisione nei casi facoltativi spetta allo stesso organo di autogoverno dei magistrati.
Su Brigandì, però, potrebbe anche abbattersi una tegola ancora più pesante, ma non in relazione all’inchiesta della procura di Roma: rischia di dover lasciare definitivamente il Csm se la Cassazione confermerà una delle due condanne che gli sono state inflitte in appello, per diffamazione e violazione degli obblighi di assistenza familiare. E’ ancora infatti la legge istitutiva del Csm a prevedere la “decadenza di diritto” qualora un componente del Csm sia stato condannato con sentenza irrevocabile per un delitto non colposo.
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