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28/02/2011, 00:40

Tutti gli ambasciatori del mondo sono stati di recente richiamati a Washington

By Edoardo Capuano - Posted on 24 febbraio 2011

Clicca per ingrandireA quanto pare, con una mossa senza precedenti, quasi tutti gli ambasciatori degli Stati Uniti delle varie nazioni mondiali sono stati richiamati a Washington per una conferenza al vertice. Questo evento, passato inosservato, si è concluso il 4 febbraio 2011.

Il sito internet, politico.com, riporta che gli “ambasciatori di quasi tutte le 260 ambasciate degli Stati Uniti, ei consolati, in più di 180 paesi sono attesi per la convocazione presso il Dipartimento di Stato per quella che viene annunciata come la prima riunione di questo tipo“.

L’huffingtonpost.com, riporta: “il Segretario di Stato Hillary Rodham Clinton sta convocando una riunione senza precedenti degli ambasciatori degli Stati Uniti“.

Il primo pensiero logico che viene alla mente è: quanto sarà grave la crisi questa volta? Deve essere necessariamente più grave delle precedenti dato che è la prima volta che tutti gli ambasciatori vengono richiamati in patria. Perché, inoltre, la stampa non ha riportato un evento così insolito, che coinvolge ogni ambasciatore diplomatico degli Stati Uniti nel mondo?

Le speculazioni si sprecano.

Forse per concordare un piano di salvataggio, che sia il più possibile coerente, per il prossimo futuro?

Per mettersi d’accordo sul punteggio di debito di ogni nazione, quando uscirà una nuova moneta unica globale?

Una svalutazione del dollaro?

Altri documenti riservati da Wikileaks?

Mentre la maggior parte degli americani erano occupati dal SuperBowl, e i principali telegiornali erano concentrati sulle rivolte in Egitto, quasi nessuno si è interessato a questo evento … bel momento per fare qualcosa al “di sotto dei radar”.

Nel sito del dipartimento di stato americano si legge questo comunicato per la stampa datato primo febbraio. L’incontro si è tenuto “ufficialmente” per parlare del QDDR.

Il segretario di Stato Hillary Rodham Clinton ha convocato per la prima volta il Global Chiefs of Mission Conference. Questa sarà la prima volta che gli ambasciatori degli Stati Uniti si riuniranno contemporaneamente. Il principale scopo della conferenza sarà quello di preparare l’attuazione delle raccomandazioni nella Quadrennial Diplomacy and Development Review.
(QDDR)

“Il QDDR fornisce un progetto per l’elevazione del potere civile americano” ”per far meglio avanzare i nostri interessi nazionali ed essere dei partner migliori per l’esercito degli Stati Uniti“.

Alcuni degli obiettivi del QDDR

Creazione di un Sottosegretario per la crescita economica, l’energia e l’ambiente
Istituire un nuovo ufficio per le risorse energetiche
Creazione di un Sottosegretario per la sicurezza civile
Un Sottosegretario per il controllo delle armi e sulle questioni di sicurezza internazionale
Istituire un Ufficio per Antiterrorismo
Istituzione di un coordinatore per le questioni cybernetiche

In sintesi, sembra che il Dipartimento di Stato stia cercando di stabilire un controllo più efficace sulle ambasciate estere e sui loro programmi. Il QDDR è stata l’unica spiegazione ufficiale offerta dal Dipartimento di Stato per quanto riguarda la ragione della chiamata tutti gli ambasciatori stranieri. Chissà cos’altro è successo durante la riunione a porte chiuse…

Fonte: neovitruvian.wordpress.com

http://www.ecplanet.com/node/2348

28/02/2011, 00:43

Una Terra fredda e affamata con una guerra nucleare regionale


Anche una guerra nucleare circoscritta potrebbe innescare un raffreddamento globale senza precedenti e ridurre le precipitazioni per anni, secondo simulazioni al computer del governo degli Stati Uniti.

Gli esperti ipotizzano che ciò provocherebbe carestie ed epidemie diffuse.

Durante la Guerra Fredda si temeva che un conflitto nucleare tra superpotenze come Stati Uniti e l'allora Unione Sovietica avrebbe causato un "inverno nucleare".

Si ipotizzava che centinaia di esplosioni nucleari avrebbero innescato enormi incendi; il fumo, la polvere e la cenere avrebbero oscurato il sole per settimane, mentre livelli pericolosi di radiazioni avrebbero infestato l'ambiente, portando infine alla morte della maggior parte dell'umanità per fame e malattie.

Oggi gli Stati Uniti sono l'unica superpotenza in campo e l'inverno nucleare appare come poco più che un brutto sogno. La guerra nucleare però rimane una minaccia molto concreta - per esempio tra potenze nucleari come l'India e il Pakistan.

Quali effetti avrebbe sul clima un conflitto "regionale" come questo? Per capirlo, gli scienziati della NASA e di altre istituzioni hanno simulato al computer una guerra con cento bombe come quella usata a Hiroshima - equivalente a 15mila tonnellate di TNT- solo lo 0, 03 per cento dell'arsenale nucleare del mondo.

Gli incendi derivanti dalle esplosioni lancerebbero circa cinque milioni di tonnellate di fuliggine nella parte superiore della troposfera, lo strato inferiore dell'atmosfera terrestre.

Nelle simulazioni al computer della NASA la fuliggine assorbirebbe il calore solare e, come una mongolfiera, salirebbe rapidamente ancora più in alto, dove rimarrebbe ancora più a lungo.

Invertire il riscaldamento globale?

Il raffreddamento globale provocato da queste gigantesche nubi nere non sarebbe catastrofico come l'inverno nucleare di una guerra tra due superpotenze, ma gli effetti "porterebbero a cambiamenti climatici senza precedenti", dice il ricercatore Luke Oman della NASA.

La Terra attraversa attualmente un trend di riscaldamento a lungo termine. In seguito a un conflitto nucleare circoscritto in una regione del mondo, però, le temperature globali si abbasserebbero di 1, 25 °C nei due o tre anni successivi.

I tropici, l'Europa, l'Asia e l'Alaska subirebbero un raffreddamento più accentuato, da 3 a 4 °C. Parti dell'Artide e dell'Antartide diventerebbero un po' più calde per via dei cambiamenti dei venti e della circolazione delle acque di mari e oceani.

Dopo dieci anni, le temperature globali medie rimarrebbero di 0, 5 °C inferiori a quelle precedenti il conflitto.

Anni senza estate

Per un periodo dunque la Terra sarebbe un pianeta più freddo e affamato.

" I risultati dello studio suggeriscono che l'agricoltura subirebbe gravi danni soprattutto nelle zone soggette a gelate di tarda primavera e inizio di autunno", dice Oman, del NASA's Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland.

"Potrebbero verificarsi situazioni simili alla distruzione dei raccolti e alle carestie provocate dall'eruzione del Monte Tambora nel 1815, ma su scala mondiale e per molti anni di seguito", aggiunge. L'eruzione del vulcano indonesiano introdusse "l'anno senza estate".

Tutti questi cambiamenti provocherebbero anche alterazioni nell'atmosfera, riducendo le precipitazioni del 10 per cento su scala mondiale da uno a quattro anni. Anche dopo sette anni, la media delle precipitazioni mondiali sarebbe più bassa del 5 per cento.

"Il messaggio che emerge dal nostro studio", conclude Oman "ammonisce che anche un conflitto nucleare circoscritto avrebbe conseguenze globali".

http://www.antikitera.net/news.asp?id=10039&T=3

14/03/2011, 00:43

Le guerre sono necessarie per rinvigorire l'economia

Clicca per ingrandireIl peggior nemico dei mercati è l'incertezza. A evidenziarlo, questa volta, sono Massimo Guidolin ed Eliana La Ferrara dell'Università Bocconi che in un libro analizzano 101 conflitti scoppiati nel periodo compreso tra il 1971 e il 2004, misurandone gli effetti sugli indici di Borsa Msci World, Usa, Uk, France e Japan. Oltre che sul tasso di cambio del dollaro e sui prezzi del petrolio e dell'oro.

Da questa analisi emerge chiaramente come i mercati siano contrari all'incertezza che precede un conflitto, mentre reagiscono mediamente con un rialzo quando le guerre scoppiano. “Anche il caso libico sembra avvicinarsi allo schema medio”, afferma Guidolin, “la Borsa italiana, la scorsa settimana, è crollata alla notizia dei violenti scontri, dopo che simili situazioni si erano risolte in modo più pacifico in altri paesi dell'area, ma prima che una guerra civile fosse ufficialmente scoppiata. Questa settimana, al formalizzarsi di un'opposizione e della spaccatura del paese in due, le borse si sono riprese. Ma attenzione: si tratta di effetti medi, sui quali non si può fare affidamento nelle decisioni d'investimento legate a un singolo episodio”.

Secondo quanto affermato dalla ricerca i mercati borsistici nazionali hanno “maggiore probabilità di reagire in modo positivo piuttosto che negativo all'avvio di un conflitto: il mercato borsistico americano è quello che mostra le reazioni più forti e produce extra rendimenti positivi in corrispondenza del 12% dei conflitti analizzati”.

E per le commodity?

In questo caso le reazioni alle guerre sono variegate: il movimento di un indice che comprende tutti i beni è positivo nel 6,9% dei casi, negativo nel 4,9%. Ma ci sono eccezioni, compresa l'inaspettata reazione dei future sul petrolio all'avvio di conflitti in Medio Oriente, che è negativa nel 45% dei casi, positiva nel 27%. In pratica, il greggio sale fortemente prima delle guerre vere e proprie, ma quando il conflitto scoppia scompare la domanda in eccesso motivata dalle pressioni speculative e i prezzi dei future sul petrolio scendono. Ma è proprio l'investimento in future sul petrolio, sapendolo usare, il più profittevole: secondo lo studio dei due docenti della Bocconi, infatti, investendo sistematicamente in future sul petrolio nei momenti di guerra si guadagna mediamente l'80% in più di chi non interviene su questi mercati.

Le alternative?

Secondo la ricerca condotta da Guidolin e La Ferrara, nel periodo 1971-2004, si è avuto un effetto ricchezza, seppur debole, investendo in azioni Usa (chi ha puntato su questo mercato sarebbe solo il 4% più ricco della controparte più ingenua), ma questo effetto è risultato più forte nel caso delle azioni britanniche (ricchezza superiore del 27%.

http://www.ecplanet.com/node/2362

14/03/2011, 12:33

vimana131 ha scritto:

Le guerre sono necessarie per rinvigorire l'economia

http://www.ecplanet.com/node/2362


Non avevamo dubbi, caro vimana131.... [V]

14/03/2011, 12:35

Il sisma del Giappone e l’impatto sull’economia mondiale

Fonte:
http://www.chicago-blog.it/2011/03/13/i ... -mondiale/

di Oscar Giannino

Che impatto può avere nell’economia mondiale il terribile colpo abbattutosi sulle coste nordorientali del Giappone? Per una stima seria, occorre conoscere le prime valutazioni giapponesi sullo stock di capitale fisico che è andato distrutto o seriamente danneggiato per l’evento, cioè quante infrastrutture di trasporto e logistiche e impianti produttivi sono fuori uso, e per quanto tempo. In base a una stima geoeconomica che vede tra il 17 e il 22% del potenziale produttivo giapponese nell’area interessata dalla maggior intensità del sisma e a un effetto conseguente di minor crescita quest’anno fino a un punto di Pil, alcune considerazioni possono essere svolte subito. Stiamo parlando della terza economia mondiale, visto che da metà 2010 la Cina l’ha superata come seconda intorno a quota 5.400 miliardi di dollari di Pil annuo. Per le caratteristiche dell’interscambio giapponese col resto del mondo, si possono distinguere tre diversi ambiti in cui lo sconvolgimento naturale estenderà le sue conseguenze: quello commerciale, energetico, e monetario.
L’export giapponese è tornato a superare di slancio quota 650 miliardi di dollari nel 2010, dopo il fortissimo rallentamento da 780 a 580 subito nel 2009. Ma andrà probabilmente incontro a un nuovo marcato rallentamento. Nel 2010, per Tokyo il primo Paese sbocco delle sue merci è diventata la Cina, non più gli Stati Uniti come dall’intero secondo dopoguerra. Per quanto il Giappone per il boom cinese abbia quasi dimezzato la sua quota di manufatti sul totale planetario, dal 15,5% del 2001 a poco più dell8%, il Giappone odierno è ancora guida in 70 diversi settori con oltre 250 imprese leader con fatturati superiori al miliardo di dollari, e una settantina superiori ai 10 miliardi, dall’auto ai semiconduttori alla componentistica meccanica. Toyota, Honda e Mitsubishi restano fortissimi. Ma a beneficiare del freno all’export giapponese verso Cina e Usa saranno innanzitutto gli altri Paesi asiatici, a cominciare dalla Corea del Sud. Insieme alla Cina in America, si avvanteggeranno del colpo subito dal Giappone.

Stante la fortissima crescita in corso sull’intera sponda pacifica, l’effetto sul commercio mondiale potrebbe essere di pura traslazione a vantaggio di quei Paesi, e compensato dal fatto che la necessaria ricostruzione giapponese che si metterà subito in moto abbisognerà di più import. Se andrà così la crescita mondiale sarebbe solo scalfita, dal dramma abbattutosi sul Giappone: un meno 0,1 o 0,2%, secondo le prime analisi ufficiose in sede WTO e World Bank, rispetto al 4,7% attualmente atteso.

Poiché ad esser colpiti sono circa il 13% della capacità di generazione elettrica giapponese ma a quanto pare oltre il 20% della capacità di raffinazione petrolifera, gli effetti sull’energia mondiale potrebbero essere più apprezzabili. Stiamo parlando del terzo importatore petrolifero mondiale, e di conseguenza uno stallo di una quota significativa della sua capacità di raffinazione comporta nel breve un raffreddamento sul prezzo del barile. E’ stata la tendenza subito verificatasi sia sulle quotazioni del petrolio WTI americano, sia sul Brent britannico, venerdì. Vedremo domani sui mercati se verrà confermata, ma sulla carta – cioè speculazione a parte – il sisma dovrebbe sia pur solo in parte equilibrare l’ascesa del petrolio connessa alle vicende libiche e arabe. Questo nel brevissimo periodo, perché per la ricostruzione e lo stop di sicurezza alle centrali in ogni caso iol Giappone avrà bisogno di più combustibili fossili e dunque contribuire al rialzo del barile. Nerl breve l’effetto immediato sul gas dovrebbe essere di innalzarne da subito il costo, perché il Giappone ne ha più bisogno.

Il terzo aspetto di rilievo mondiale è quello monetario. Il Giappone – a parte il rimbalzo del 2010 – era il caso di scuola di un Paese in stagnazione malgrado tassi d’interesse bassissimi e deficit pubblici elevatissimi, tanto che il debito pubblico sul Pil ha superato quello dell’Italia. La risposta keynesiana alla crisi non ha funzionato, la stagnazione derivava da una enorme bolla immobiliare nei libri delle banche alla quale per anni si è preferito non dare risposta ristrutturandole, e da una situazione demografica in cui gli anziani in sempre maggior numero fanno esplodere i costi del welfare. Il cataclisma spingerà ulteriormente i tassi d’interesse in terreno negativo, e la politica di bilancio inevitabilmente a ulteriore deficit. La lezione di Kobe e del terremoto del 1995, da molti richiamata subito dopo il sisma, è di puntare a un effetto rimbalzo proprio atraverso la leva della spesa pubblica infratrutturale. Al di là del dramma del Giappone, però, tassi negativi e debito pubblico sono due messaggi sbagliati per il resto del mondo: piacciono oggi all’America e alla FED, dispiacciono alla BCE e alla Germania.

19/03/2011, 12:57

L’EPOCA DI CIO’ CHE SEMBRAVA IMPOSSIBILE

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mar 18th, 2011

DI MICHAEL R. KRATKE
Freitag

Fonte:
http://www.altrainformazione.it/wp/2011 ... possibile/

Lo Stato federale centrale americano è spremuto e quest’anno non è più in grado di contribuire. Molti Stati sono già sull’orlo del fallimento.
L’FMI e le agenzie di rating sembrano essersi accorti che la crisi del debito è più grave negli Stati Uniti che nell’eurozona: nel bilancio 2011-2012 si prevede un indebitamento doppio rispetto alla media dell’Unione Europea. Vale la pena di dare un’occhiata a ciò che avviene oltre Atlantico: ci sono tanti freni al debito e proibizioni al deficit quanti ne potrebbe desiderare qualsiasi spirito conservatore. Dal 1917 esiste un quadro legale per il debito federale, quantificato in numeri assoluti. Attraverso la legge o vincoli costituzionali dello Stato in questione, inoltre, tutti gli Stati (escluso il Vermont) sono obbligati a presentare un bilancio equilibrato. Eppure sono gli Stati Uniti, e la maggior parte dei suoi Stati federati, che sprofondano nel debito più profondamente dell’Irlanda o della Grecia.
Non è per caso se le agenzie di rating minacciano gli americani con una drastica svalutazione della solvibilità. A livello interno, si parla di una svalutazione dei buoni americani sotto il livello del Giappone. Per la prima volta, nel Congresso Usa si discuterà della possibile bancarotta di alcuni Stati che fanno parte dell’Unione, situazione che la Costituzione americana non contempla. Azioni di questo tipo sono rischiose, ma secondo Patrick McHenry, nuovo presidente repubblicano del Comitato di controllo della Camera dei Rappresentanti, il problema deve essere dibattuto. Il presidente della Banca centrale, Bernanke, va più lontano e prospetta nientemeno che la bancarotta dello Stato federale centrale.

Validità per 100 anni
Il segretario del tesoro Geithner ha chiesto con insistenza al congresso di poter aumentare il limite del debito ed elevare quello attuale di 14,3 bilioni di dollari (14.300 miliardi di dollari, ndr), ma i repubblicani hanno rifiutato. Se non arrivano a un accordo entro fine marzo, la potenza mondiale sarà, di fatto, in bancarotta. Situazione che è davvero inconcepibile: anche un parlamento dominato da repubblicani dovrà cedere e aumentare il limite; evidentemente solo in cambio di ulteriori e grandi tagli di spesa.

Il debito federale per il prossimo bilancio annuale, che comincia a giugno, si aggira attorno ai 14,8 bilioni di dollari. In questo modo, gli Stati Uniti si permettono, su scala federale, un debito del 100% e una tassa di deficit che arriva nuovamente al 10%, come nel momento peggiore della crisi finanziaria mondiale del 2009. Il maggior creditore è la propria banca centrale (la Federal Reserve), seguita da vicino dalla Cina, il Giappone, alcuni Stati del Golfo e la Gran Bretagna. Nel frattempo, la scadenza media dei buoni del tesoro dello Stato federale è di 50 mesi, e questo significa che nei prossimi 12 mesi bisognerà rifinanziare il 40% del debito federale. Non sorprende, dunque, che si parli di allungare la validità con buoni da 50, 60 e persino 100 anni. Per il momento, grazie alla politica dei bassi tassi d’interesse, il carico non pesa molto sul bilancio federale, ma le regole potrebbero cambiare.

Non solo lo Stato centrale, ma anche la maggior parte degli Stati federali, annunciano dei grandi buchi nei propri bilanci: 125 mila milioni di dollari per i bilanci del 2011-2012, mentre per l’anno in corso la somma supera i 130 mila milioni. Se questi bilanci saranno approvati, la tassa sul deficit per il 2010-2011 in Nevada arriverà al 45,2%; in Illinois al 44,9%; nel piccolo New Jersey al 37,4%; in Texas al 31,5% e in California al 29,3%.
Tutti gli Stati federati registrano, in media, un deficit del 20%. Più crescerà la crisi immobiliare e lavorativa su scala regionale, maggiore sarà il deficit. La crisi più grave dopo quella degli anni ‘30 ha ora drammaticamente raggiunto le entrate fiscali, che sono attualmente di un 12-15% al di sotto del livello precedente alla crisi. Senza l’aiuto finanziario dell’Unione – circa 140 mila milioni di dollari dall’inizio del 2009 -, che ha coperto circa il 30-40% del deficit, molti Stati sarebbero già in bancarotta da molto tempo. Senza un nuovo indebitamento, senza un flusso monetario da Washington, il deficit degli stati federati non avrebbe mai potuto essere finanziato.

Situazione d’emergenza finanziaria in California
Il rubinetto monetario ora si è però chiuso, facendo scoppiare il panico finanziario, e tutti i governatori federali sono disperati. Jerry Brown, appena entrato in carica a gennaio, ha dichiarato la situazione d’emergenza finanziaria in California. E quindi i detenuti sono liberati in anticipo; le vacanze scolastiche prolungate; scuole, università, biblioteche e musei chiusi (o privatizzati); salari fortemente ridotti; l’offerta di posti pubblici paralizzata; e migliaia di funzionari inviati in vacanza o in pensione anticipata. In questo modo si sono aggiustati i conti e si è smesso di pagare fatture multimilionarie accumulate nel corso degli anni, con prevedibili conseguenze disastrose per l’economia regionale, sostenuta dalla domanda pubblica. Tasse e aggravi fiscali sono fortemente aumentati in 30 stati federali, e bisognerà aumentarli ancora.
Le città, i municipi e gli stati federali americani sono per ora indebitati per un importo di tre bilioni di dollari. Come si diceva, funzioneranno ancora un po’ grazie all’aiuto finanziario federale. Col 2011 è finito il programma Build American Bonds, con cui l’Unione aveva assunto un terzo degli interessi. Il mercato irromperà immediatamente perché, a differenza che in Europa, sia le città che gli Stati sono senza capitali e hanno grosse difficoltà ad emettere buoni del tesoro (il New Jersey ha appena fallito nell’operazione). Gli interessi, insieme ai costi per la permuta d’inadempimento creditizio (credit default swaps) dei buoni municipali, montano alle stelle. Le cose diventeranno davvero gravi quando i ciclopici deficit dei fondi di pensione entreranno nel campo visivo. Le perdite multimilionarie subite durante la crisi da questi depositi di professori e funzionari, non possono essere coperte dagli Stati federali, i quali non riescono nemmeno a farsi carico della ritardata riforma sanitaria. La verità è che per gli Stati Uniti non si riesce a vedere all’orizzonte la fine della crisi finanziaria.

Michael R. Krätke, membro del Consiglio Editoriale di SINPERMISO, è professore di economia politica e diritto fiscale all’Università di Amsterdam, ricercatore all’Istituto Internazionale di Storia Sociale della stessa città, cattedratico e direttore dell’Istituto di Studi Superiori all’Università di Lancaster, nel Regno Unito.



Fonte: http://www.rebelion.org
Link: http://noticia.php?id=123778
Traduzione per Comedonchisciotte.org a cura di MARIO SEI

20/03/2011, 18:55

La febbre dell’oro in Cina, segnale di una crisi finanziaria mondiale?
11/03/2011

In Cina sembra proprio che sia scoppiata la febbre dell’oro. Si sa che l’oro è uno dei metalli più rari, e dunque preziosi, esistenti al mondo. Secondo i dati del World Gold Council, il Consiglio Mondiale dell’Oro, sulla terra ci sono 165.000 tonnellate di oro, estratte durante tutto il corso della storia umana; per avere un’idea esatta di quanto sia poca la quantità d’oro esistente, basta dire che tutto l’oro del mondo entrerebbe in una stanza lunga 20 metri, larga sempre 20 metri e profonda ancora 20 metri, ossia un cubo. E’ dunque, la rarità a rendere l’oro un bene tanto prezioso.

Negli ultimi anni, la Cina sta sperimentando una veloce e iperbolica crescita economica, tanto che nel 2010 è diventata la seconda economia del mondo ed entro pochi anni diventerà la prima economia del mondo, sorpassando gli Stati Uniti.

Ovviamente, la crescita economica della Cina si riflette anche e forse soprattutto nel consumo di oro. Sempre secondo il citato World Gold Concil, nel corso del 2010 la domanda di oro in Cina è stata di 579,5 tonnellate, più del doppio rispetto a quella statunitense, arrivata a 233,3 tonnellate. Secondo quanto riportato da Forbes, il 25% della produzione mondiale di oro finisce in Cina. E’ tra i precursori che imboccarono con decisione la strada dell’incremento dell’oro nella riserva della sua banca centrale.

Dal 2007 la Cina, anno in cui ha superato il Sudafrica, è il principale produttore mondiale di oro e nel corso dell’ultimo anno ha registrato una produzione record di 340 tonnellate. Benchè, sia ormai il principale produttore mondiale di oro, la enorme domanda interna, nel 2010 ha fatto crescere le importazioni di ben cinque volte rispetto al 2009. Nel corso del primo mese del 2011, la febbre dell’oro ha avuto una forte impennata, se si considera che la Banca Industriale e Commericale della Cina ha venduto circa 7 tonnellate di oro fisico, contro le 15 tonnellate dell’intero 2010.

La Cina, dunque, ha una vera e propria febbre per l’oro, ma perchè accresce gli acquisti del metallo giallo? Non è facile dare una risposta, ma si possono avanzare alcune ipotesi. Innanzitutto, potrebbe tutelare i propri investimenti internazionali, diversificando l’uso del piramidale eccedente monetario generato dalle esportazioni. Finora, il principale investimento era rappresentato dai dollari e dai titoli cartacei del debito pubblico degli Stati Uniti. Di fatto la Cina detiene la più grande riserva mondiale di dollari, più di 2.800 miliardi, oltre ad essere il paese che possiede la quota piu alta del debito pubblico statunitense (altri 1.160 miliardi sempre in dollari). Altra possibile spiegazione di questo accumulo d’oro sarebbe la necesita di tutelarsi contro i forti rincari dei beni agricoli, in tal senso la FAO mette in guardia contro l’impennata dei costi, e la Banca Mondiale pronostica scarsità del cibo e possibili ribellioni a macchia di leopardo.

Non mancano altre ipotesi, anche inquietanti. La Cina vorrebbe imporre al mondo, come moneta di riserva mondiale il Yuan, la sua moneta, in sostituzione o parallela al moribondo dollaro. A tal fine è necessario che –oltre alla forza propulsiva della sua economia- sia rispaldata, garantita e protetta anche dall’oro. Se la Cina ha deciso di accelerare l’incremento delle proprie riserve in oro, come passaggio necesario per internazionalizzare il yuan, possiamo ben aspettarci un considerevole balzo verso l’alto del prezzo dell’oro. Secondo varie fonti stiamo andando a ritmo sostenuti verso questo scenario. Ad esempio, Chuck Butler, presidente di EverBank, prevede che l’oro nei prossimi anni possa raggiungere i 5.000 dollari.

Un dato comunque sembra certo. Secondo il Wall Street Journal, la Cina già dal prossimo aprile permetterà la conversione diretta della propria moneta in altre valute; ciò al fine di favorire e facilitare gli scambi dei propri operatori commerciali.

E’ da escludersi la possibilita di sostituire il dollaro con una moneta d’oro, come recita il comma 1, dell’art 4 del trattato di adesione al FMI, ratificato nel 1978, ma c’è da aggiungere che di fronte a sconvogimenti totali ed alla riconfigurazione della gerarchia delle economie reali nell’epoca del l’emersione multipolare, anche questi accordi potrebbero andare a rotoli o ridefinirsi; per cui, anche questa ipotesi non è poi tanto fantaeconomia. Persino il Brasile, nell’ultimo conclave del G20, ha espresso a voce alta la proposta di sostituire il dollaro con un paniere di monete (tra cui il yuan, il real carioca, la valuta del Sudáfrica ecc). Già da tempo la Russia si è pronunciata per una soluzione analoga o alternative orientate in tal senso. La grande debacle dell’egemonia dell’economia finanziaría, resa visibile dal finanziamento pubblico ai suoi santuari principali (Wall Street e la City londinese), ha determinato uno spostamento di risorse verso le materie prime, oro, produzione di alimenti, cioè beni tangibili non più cartacei.

Il prodotto lordo degli Stati Uniti è costituto ancora dai “prodotti finanziari” e dall’export del settore armamentista (che vive fondamentalmente con il bilancio statale). I consumatori nordamericani, in realtà consumano troppe merci d’uso quotidiano importate dalla Cina.

Nel corso dell’ultima visita del presidente cinese a Washington, abbiamo assistito ad un inatteso capovolgimento della prospettiva. La Cina ha firmato contratti con la Boing per 600 milioni di dollari; in cambio, Obama ha dovuto ascoltare il massimo leader cinese dire in piena Casa Bianca che il dollaro non è eterno, ha già compiuto la sua principale funzione, e che si va verso un’evoluzione. Chi l’avrebbe immaginato cinque anni addietro? La realtà supera quasi sempre la fantasia.

In altre parole, Hu-Jintao ha calato apertamente le carte sul tavolo e cosa più importante, non è un azzardo, nè una bravata; ha potuto farlo perchè ha i muscoli necessari per difendere con energie i suoi argomenti. La settimana precedente alla visita di Hu-jintao, esattamente l’11 gennaio, la Cina ha collaudato con succeso il cacciabombardiere Jian 20 (J-20), che fornisce la superiorità -o una altissima competitività- negli spazi in cui si determina una parte importante della gerarchia strategica. Gli Stati Uniti si saranno ricordati del loro gioiello costretto ad atterrare dall’aviazione cinese dopo aver violato la sovranità aerea.

L’ultima ipotesi, la più inquietante, e per questo lasciata per ultimo, è che la febbere dell’oro di Pechino è dettata dalla certezza che siamo alla vigilia di un altro terremoto finanziario mondiale. Tutti i Paesi e le grandi economie occidentali, industriali sono altamente indebitati ed i loro debiti pubblici sono praticamente insostenibili, impagabili. La Cina diagnostica e pronostica quel che è a tutti gli effetti il “tracollo occidentale”, e corre ai ripari per tutelarsi da questa possibile ed imminente crisi financiaría mondiale. Siamo alla vigilia della grande crisi, momentaneamente superata negli anni 2008 e 2009 con I grossi trasferimenti di denaro pubblico alle banche ed imprese in crisi?

Fonte: ucv-italiano.blogspot.com - claya55.blogspot.com
Attilio Folliero e Cecilia Laya, Caracas 27/02/2011
Aggiornato 08/03/2011

http://www.nexusedizioni.it/apri/Argome ... -mondiale/

23/03/2011, 00:00

Il Fmi fa il conto dei guai: petrolio, inflazione, disoccupazione, banche. Il mondo sottoposto a stress-test

ROMA-Il Fondo Monetario Internazionale fa il conto dei guai ed è una lista lunga una quaresima senza garanzia di resurrezione. Primo guaio: con il petrolio a 105/110 dollari al barile l’economia mondiale rallenta, in alcune aree si ferma. Quando il Fmi contava, la Libia non era ancora quel che è adesso, lo Yemen non rischiava la guerra civile, l’Arabia Saudita non aveva ancora mandato truppe in Bahrain: il petrolio sopra quota cento era un rischio, ora è una probabilità. Secondo guaio: l’aumento dei costi delle materie prime. Alimentari e non solo. Significa inflazione. E inflazione chiama aumento dei tassi. Quando il Fmi faceva di conto, la guerra in Libia era alle sue prime settimane, l’Egitto non era percorso da nuova instabilità, il Giappone non era ancora stato piegato dal terremoto, la comunità internazionale non aveva messo in bilancio gli enormi costi degli stress-test alle centrali nucleari. L’inflazione era una minaccia, ora è una promessa. Terzo guaio: i debiti delle banche che ancora si aggirano come mine vaganti nei bilanci pubblici degli Stati. Ora le banche saranno sottoposte anche loro a stress test, di sicurezza finanziaria. Se i “collaudi” saranno seri e stringenti, qualcuna fallirà, se saranno leggeri, la mina non sarà disinnescata. Quarto guaio, davvero mondiale: troppi milioni di giovani sono disoccupati. Nel mondo sviluppato e in quello tagliato fuori dallo sviluppo. Quinto e ultimo guaio, questo soprattutto italiano: poca competitività, cioè produrre merci costa troppo rispetto alla concorrenza mondiale.

E’ un conto da “ragionieri” quello del Fmi, ma forse le cifre in colonna, le varie voci del conto sono la politica interna e internazionale che viene e verrà. Il Nord Africa e il Medio Oriente non reggono il peso di una popolazione giovane e disoccupata. L’Europa non regge il peso di una spesa pubblica e di pubblici disavanzi. Gli Usa non reggerebbero un nuovo caro petrolio che fermerebbe pure la Cina. L’inflazione da materie prime minaccia il consenso dei governi, democratici e non. E’ il mondo che è sottoposto, suo malgrado, a stress-test.

http://www.blitzquotidiano.it/politica- ... st-793955/

25/03/2011, 15:22

STA PER PARTIRE L’ ATTACCO ALL’EURO ?

Immagine

mar 24th, 2011

DI MARCELLO FOA
blog.ilgiornale.it

Fonte:
http://www.altrainformazione.it/wp/2011 ... o-alleuro/

Dunque riepiloghiamo: in Portogallo il governo cade, salta il piano anticrisi, aumenta il rischio default e i tassi di interesse sui Buoni del tesoro esplodono al 7%. Un paio di settimane fa Moodys aveva declassato la Grecia e pochi giorni fa anche l’Irlanda ha ricominciato a ballare con tassi al 10%. Fosse successo sei mesi fa, i mercati finanziari sarebbero impazziti e nei giornalisti saremmo qui a scrivere titoloni.

Ma il comportamento dei mercati è davvero strano: l’euro, anzichè deprezzarsi, continua a restare sopra 1,40 contro il dollaro. Non me la bevo, anzi sono molto sospettoso. Non scordiamocelo: i veri guadagni sono quelli che si fanno accumulando posizioni in tempi non sospetti. E poco fa è uscita un’agenzia che alimenta la mia diffidenza:

New York – L’Euro area può «collassare», disintegrarsi, con «tensioni abbastanza forti. Un collasso dell’euro area non è impensabile». Lo ha detto il più famoso finanziere americano Warren Buffett in un’intervista alla Cnbc, sottolineando che «ci sono interessi potenti e forti che non vogliono che questa accada». «In molti pensano che sia impensabile» che l’area euro si disintegri. «Io non ritengo sia impensabile. Ritengo che ci vorranno molti sforzi per evitare che avvenga».

Buffet è noto come il Saggio di Obama ed è molto cauto nelle sue esternazioni pubbliche. Se si espone così significa che sta scommettendo contro l’euro ed è verosimile che altri finanzieri facciano altrettanto.
Delle due l’una: o il mercato considera che, nonostante Portogallo, Irlanda e Grecia, il dollaro (ovvero l’America) siano messi addirittura peggio oppure tra non molto partirà un attacco feroce all’euro, che, peraltro, le divisioni tra la Merkel e l’irresponsabile Sarkozy potrebbero incoraggiare.
Allacciare le cinture di sicurezza ?

Fonte: http://blog.ilgiornale.it
Link: http://blog.ilgiornale.it/foa/2011/03/2 ... o-alleuro/

04/04/2011, 09:06

Il mondo si sta svegliando......



RIPRISTINARE LA SOVRANITA’ ECONOMICA
VERSO LE BANCHE DI PROPRIETA’ DELLO STATO


Immagine

apr 3rd, 2011

DI ELLEN BROWN

Fonte:
http://www.altrainformazione.it/wp/2011 ... llo-stato/

"E l’ora di dichiarare la sovranità economica dalle banche multinazionali che sono responsabili di gran parte della nostra crisi economica attuale. Ogni anno inviamo oltre un miliardo di dollari di dollari dei contribuenti dell’Oregon a banche estere e multinazionali sotto forma di depositi, solo per vedere che il denaro è investito altrove. È il momento di mettere i nostri soldi a lavorare per gli abitanti dell’Oregon"

Rispondendo ad un bisogno non soddisfatto per il credito alle amministrazioni locali, alle imprese e ai consumatori locali, tre stati nel mese scorso hanno prfesentato degli atti per l’introduzione di banche di proprietà statale – Oregon, Washington e Maryland – unendosi a Illinois, Virginia, Massachusetts e Hawaii per portare il numero totale a sette.
Mentre Wall Street riporta profitti da record, le banche locali si dibattono, il credito per le piccole imprese e dei consumatori rimane contratto, ed i governi locali sono in bilico sulla bancarotta. Si parla addirittura di consentire a governi statali di presentare istanza di fallimento, qualcosa che la legislazione vigente vieta. Il governo federale e la Federal Reserve sono riusciti a trovare miliardi di dollari per puntellare le banche di Wall Street che hanno precipitato la crisi del credito, ma non hanno esteso questa generosità per i contribuenti e le amministrazioni locali che sono stati costretti a pagare il conto.
Nel mese di gennaio, il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke ha annunciato (1) che la Fed aveva escluso un piano di salvataggio della banca centrale per i governi statali e locali. Il deficit di bilancio di Stato collettivo per il 2011 è previsto a 140 miliardi di dollari, solo l’1% dei 12.300 miliardi dollari (2) la Fed è riuscita a raggranellare tra liquidità, prestiti a breve termine, e altre condizioni finanziarie per salvare Wall Street. Ma il presidente Bernanke ha detto che la Fed è limitata per statuto dal comprare il debito del governo municipale con scadenza di sei mesi o meno che sia direttamente assistito da imposte o altre entrate assicurate, una forma di debito che rappresenta meno del 2% del mercato globale municipale. I governi statali e municipali, a quanto pare, sono in proprio. (3)
Di fronte all’inazione federale e alla crescente crisi di bilancio locale, un numero crescente di Stati stanno valutando la possibilità di creare proprie banche di proprietà dello Stato, seguendo il modello del North Dakota, l’unico Stato che sembra essere sfuggito indenne alla crisi del credito. La Banca del Nord Dakota (BND) vecchia di 92 anni, attualmente l’unica banca di proprietà statale degli Stati Uniti, ha contribuito a evitare al North Dakota i disastri che incombono sui bilanci di altri Stati. Nel 2009, il North Dakota esibiva il maggiore avanzo di bilancio che avesse mai avuto. La BND contribuisce a finanziare non solo il governo locale ma anche banche e imprese locali, mettendo a disposizione i fondi per i prestiti alle banche commerciali di sostegno al credito delle piccole imprese.
Nell’ultimo mese, tre Stati hanno introdotto atti per le banche di proprietà statale, secondo il modello del Nord Dakota. L’11 gennaio, un disegno di legge per istituire una banca di proprietà statale è stata introdotta nella legislatura dello Stato dell’Oregon (4); Il 13 gennaio, un disegno di legge simile è stato introdotta nello Stato di Washington (discusso in un precedente articolo (5)) E il 4 febbraio, un simile atto è stato introdotto nella legislatura del Maryland (6) per uno studio di fattibilità. Essi si uniscono a Illinois (7), Virginia (8), Hawaii (9) e Massachusetts (10), Che hanno introdotto atti analoghi nel 2010.
Ampio sostegno
Le proposte di legge sono ampiamente sostenute da proprietari di piccole imprese. Il Seattle Times ha segnalato (11) il 3 febbraio che il 79% di 107 imprenditori interpellati dalla Main Street Alliance di Washington, ha sostenuto la proposta di legge dello Stato di Washington. Più della metà ha dichiarato di aver sperimentato una stretta del credito d’affari, e tre quarti di coloro hanno detto che potrebbero creare nuovi posti di lavoro se le loro esigenze di credito fossero soddisfatte. Un sondaggio condotto dalla Main Street Alliance dell’Oregon ha prodotto risultati simili (12). La loro indagine, che ha riguardato 115 aziende in 28 comuni, ha scoperto che due terzi dei piccoli imprenditori avevano ritardato o cancellato espansioni a causa di problemi di credito, al 41 per cento era stato negato il credito; e il 42 per cento avevano visto le loro condizioni di credito peggiorate. Tre quarti degli imprenditori intervistati ha sostenuto la proposta di legge dell’Oregon.
A sostenere l’idea (13) di una banca di proprietà statale è anche il tesoriere dello Stato dell’Oregon Ted Wheeler, con questa versione: egli pensa che l’Oregon può sbloccare una capacità supplementare di prestito in collaborazione con le istituzioni esistenti creando una banca "virtuale". Lo Stato non avrebbe bisogno di costruire nuovo banche di cemento e mattoni che richiedono centinaia di nuovi dipendenti al loro servizio. I nuovi strumenti procurati allo Stato per essere una "banca" potrebbero essere organizzati in modo rapido ed economico attraverso una cornice che lui chiama una "banca virtuale di sviluppo economico". In un editoriale (14) pubblicato su Oregonlive.com il 9 febbraio, ha scritto:

Questo nuovo modello dovrebbe consolidare i vari programmi di prestito per lo sviluppo economico dell’Oregon, e consentire al governo dello Stato di intervenire come partecipante a nuovi prestiti, il che contribuirà a garantire a qualificati cittadini dell’Oregon ulteriori finanziamenti. Abbiamo anche strumenti di investimento strategico, quali l’Oregon Growth Account che potrebbero essere meglio utilizzati come parte di questo quadro.

Le banche "creano" soldi sfruttando il loro capitale (15) nei prestiti. Ad una esigenza patrimoniale dell’8%, possono attirare capitale con un fattore di dodici, purché in grado di attrarre depositi sufficienti (raccolti o presi in prestito) per eliminare i controlli in uscita. Gli Stati danno via questo potere di leveraggio quando hanno messo i loro depositi nelle banche di Wall Street e investito lì i loro capitali.
I governi statali e municipali hanno asset dappertutto riposti in fondi separati per i tempi di congiuntura sfavorevole, che sono in gran parte investiti in banche di Wall Street per un rendimento molto modesto. Allo stesso tempo, gli Stati prendono in prestito da Wall Street a tassi d’interesse molto più alti e devono preoccuparsi di cose come il rating, le tasse in ritardo, e swap su tassi di interesse, che hanno dimostrato di essere investimenti molto buoni per Wall Street e investimenti molto cattivi per i governi locali.
Consolidando la loro attività nelle proprie banche di proprietà statale, i governi statali e locali sono in grado di sfruttare i propri fondi per finanziare le proprie operazioni, e possono fare questo in sostanza senza interessi, dal momento che possiedono la banca e avranno indietro gli interessi. La BND ha contribuito per più di 300 milioni di dollari alle le casse dello Stato negli ultimi dieci anni, un risultato notevole per uno Stato con una popolazione che è meno di un decimo della dimensione della Contea di Los Angeles.
Il crescente movimento per stabilire la sovranità economica locale attraverso le banche di proprietà statale è stata un’iniziativa popolare che è cresciuta spontaneamente in risposta a bisogni non soddisfatti per il credito locale. In Oregon, la spinta è venuta da un gruppo di volontariato attivo chiamato Oregonians for a State Bank (16) in collaborazione con il Working Families Party (17). A Washington, un ruolo importante è stato svolto dal Main Street Alliance, un progetto dell’Alliance for a Just Society (Ex NWFCO) (18). Il principale difensore legislative nello Stato di Washington è il Repubblicano Bob Hasegawa. In Maryland, la campagna è stata avviata dal Center for State Innovation (CSI) (19), con sede nel Wisconsin, in collaborazione con il Service Employees International-Union (SEIU) (20) e la Progressive States Network. Il Progressive Maryland (21) è un sostenitore di primo piano delle ONG. Analisi dettagliate delle iniziative nello Stato di Washington e dell’Oregon e dei loro benefici previsti sono stati effettuati da CSI (22). Per gli sforzi di base in altri Stati e per le petizioni che possono essere firmate, vedere http://publicbankinginstitute.org/state-info.htm. (23)

Ellen Brown è un avvocato e presidente del Public Banking Institute. Ha scritto undici libri, Tra cui Web of Debt: The Shocking Truth About Our Money System and How We Can Break Free (2010).(La ragnatela del debito: la scioccante verità sul nostro sistema monetario e come liberarsene)


Fonte: http://webofdebt.wordpress.com

Link: http://webofdebt.wordpress.com/2011/02/ ... ned-banks/
Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org a cura di ETTORE MARIO BERNI

NOTE:
1) http://online.wsj.com/article/SB1000142 ... 61160.html
2) http://www.thenation.com/print/blog/156 ... rporations
3) http://www.webofdebt.com/articles/nobai ... street.php
4) http://www.leg.state.or.us/11reg/measur ... intro.html
5) http://www.webofdebt.com/articles/washington_state.php
6) http://mlis.state.md.us/2011rs/billfile/SB0789.htm
7) http://www.ilga.gov/legislation/billsta ... ssionID=76
8) http://lis.virginia.gov/cgi-bin/legp604 ... 1+sum+HJ62
9) http://www.capitol.hawaii.gov/session20 ... number=200
10) http://www.patriotledger.com/business/x ... owned-bank
11) http://seattletimes.nwsource.com/html/o ... -+Politics)
12) http://www.oregonlive.com/business/inde ... k_sta.html
13) http://www.youtube.com/watch?v=GTVeVu4I ... ded#at=530
14) http://www.oregonlive.com/opinion/index ... te_ba.html
15) http://www.jdoqocy.com/click-4172469-10 ... =hqlklta13×7a&url=http%3A%2F%2Fwww.entrepreneur.com%2Ftradejournals%2Farticle%2F201865756.html
16) http://oregoniansforastatebank.org/take-action/
17) http://action.oregonwfp.org/p/dia/actio ... on_KEY=847
18) http://allianceforajustsociety.org/
19) http://www.seiu.org/splash/
20) http://www.progressivemaryland.org/page.php?id=268
21) http://publicbankinginstitute.org/state-info.htm

12/04/2011, 17:19

Paolo Barnard: SCIAME SISMICO

http://www.paolobarnard.info/intervento ... php?id=203

Tre quarti catastrofico, nel finale un po’ di speranza. Lo dico con estrema serietà, non gioco a far sensazione con gli allarmi. Il motivo per cui scrivo ciò che segue è che se non si accetta di vedere le cose come esattamente stanno, non potremo mai agire per salvare il salvabile. I media e i pubblici ufficiali mentono, non ci dicono neppure un terzo della verità. Temono il panico civile, ma così ci condannano.

Sappiamo per certo (gli abruzzesi più di tutti purtroppo) che prima di un devastante terremoto ci sono dei segnali precisi da cogliere. Per esempio il cosiddetto sciame sismico, oppure la fuga inspiegabile e in massa di animali dai boschi o dagli stagni, o i cambiamenti nella ionosfera e le emissioni anomale di gas radon dal terreno. Poi arriva il cataclisma. Nell’economia della nostra vita di oggi, parlo di voi famiglie, sta accadendo la stessa identica cosa. Ci sono i segnali peggiori, ci sono tutti, si stanno srotolando davanti ai nostri occhi in queste ore, mentre state leggendo queste righe e smaltendo le calorie di Natale, e poi arriverà il cataclisma, ma non uno qualsiasi, sarà Il Cataclisma. Sui tempi non è possibile sbilanciarsi, ma non saranno decenni, al massimo 2 o 4 anni, forse prima. Di seguito quei segnali:

1) Gli Stati Uniti stanno nascondendo al mondo la gravità della crisi che hanno scatenato, soprattutto i devastanti danni interni al Paese stesso. Non trovo parole migliori per darvi l’idea di quanto appena affermato di quelle scritte il 13 dicembre scorso sull’acuto Huffington Post di Washington: “Se vi siete goduti i primi 3 round della crisi finanziaria, adorerete i prossimi 6, quando i mercati pesteranno a sangue le banche di Wall Street, con il governo che le rianimerà coi sali per un altro round di botte (mentre i manager incasseranno miliardi). Ma alla fine non funzionerà, Wall Street andrà al tappeto trascinandosi dietro i cittadini in una Grande Depressione che i vostri pronipoti studieranno sui libri di scuola, ridendo dei goffi tentativi di Obama di raddrizzare i conti mentre l’America si sta beccando in faccia la peggior tempesta di tutta la sua storia”.

Gli USA andranno al tappeto, per la semplice ragione che 35 anni di economia neoliberista li hanno letteralmente distrutti: le loro banche sono in pratica tutte fallite e si reggono solo grazie a esborsi immensi di denaro pubblico, ma non ce lo dicono; i debiti dei cittadini sono stellari e in aumento senza speranza di essere ripagati; i debiti delle municipalità ancora peggio, e stanno fallendo interi Stati dell’unione; e le dimensioni piene della truffa finanziaria che hanno sparso nel mondo neppure si sono manifestate ancora (i dettagli nei miei aggiornamenti precedenti). Il gigante a stelle e strisce non ha speranze, questa volta va al tappeto e tutto il mondo rimarrà di pietra. Basterebbe la grippatura del primo motore economico mondiale (non contate sulla decantata Cina, è ancora un nano rispetto agli USA) per garantire all’Europa il tracollo. Ma diciamola tutta, ma proprio tutta: noi europei siamo stati da 40 anni assoggettati alla nostra particolare cura all’arsenico chiamata Neomercantilismo franco-tedesco, più Unione Europea e Unione Monetaria (tutto spiegato nell’aggiornamento 6), per cui noi avremo il dubbio privilegio di vederci arrivare lo Tsunami americano mentre stiamo agonizzando sotto le macerie di un terremoto. E sarà ancora peggio per voi miei affezionati lettori, perché mentre sguazzeremo fra i relitti del Titanic europeo che cola a picco nel gelo delle speranze, chi avrà letto Il Più Grande Crimine saprà che tutto questo fu precisamente voluto a tavolino da un nugolo di uomini che non erano né il Pdl, né la Mafia, né la Camorra, né la Casta.

2) Negli ultimi giorni i Credit Default Swaps (CDS) per chi investe nell’Eurozona sono andati alle stelle. Che significa? I CDS sono una sorta di assicurazione che un investitore fa per difendersi dal pericolo che i suoi investimenti finiscano al macero se i debitori fanno bancarotta. I mercati dei CDS sono un perfetto termometro della salute di quei debitori. Se si ritiene che essi siano affidabili, ok, ma se li si ritiene in punto di morte ovviamente il prezzo delle polizze CDS schizza alle stelle. Per esempio il CDS iTraxx Europe five-year index, che dice quanto affidabili siamo noi europei per chi ci vuole prestare denaro, è al livello record di 105. Ma ecco la chicca: vi ricordate che noi Stati dell’Eurozona siamo stati ridotti alla condizione di non avere più moneta sovrana (lire, marchi…) e di dover PRENDERE IN PRESTITO DAI PRIVATI OGNI SINGOLO EURO che spendiamo per la vita pubblica? Ecco, immaginate cosa ci costerà da adesso prendere in prestito tutti quei soldi con dei CDS a quel livello, cioè con gli investitori (coloro che ce li prestano) coi sudori ghiacci e quindi con tassi d’interesse - che gli dobbiamo pagare per compensare i loro rischi - altissimi. Ma non saranno nei guai solo i Tremonti della situazione, lo saranno anche le aziende (dove lavori tu), i negozi (dove lavori tu), i ristoranti e bar (idem), cioè chiunque dovrà lavorare con le banche dell’Eurozona per chiedere prestiti, perché la catena della sfiducia non si ferma, e infatti “il credito in Europa continuerà ad agonizzare… i problemi non se ne andranno nel 2011” dice Teo Lasarte, european credit strategist di Bank of America Merrill Lynch (loro se ne intendono).

3) Il 15 dicembre del 2010, l’agenzia di rating Moody’s ha lasciato intendere che declasserà i titoli di Stato spagnoli. Ovvero: i pescecani stanno girando in circoli sempre più stretti attorno alla Spagna. Al primo morso, affondiamo tutti fra le loro fauci. Che significa? Primo, se stiamo con la metafora degli squali, cioè coloro che ho descritto ne Il Più Grande Crimine e che profitteranno della nostra rovina, le agenzie di rating sono come chi ti spintona fuori bordo proprio mentre attorno alla barca si affollano i pescecani. Esse (Moody’s, Standard and Poor’s o Fitch), senza averne alcun diritto sancito da concordati internazionali, hanno il potere di bocciare l’affidabilità economica di interi Stati, cioè dicono: “La Spagna ha le pezze al sedere (troppo debito), e quindi da ora se essa vuole vendere i suoi titoli di Stato dovrà promettere tassi d’interesse molto più alti (per compensare il rischio di chi glieli compra)”. Immediatamente i mercati dicono alla Spagna “non ti diamo più un soldo se non fai quello che dice Moody’s”, e la Spagna non ha scelta, deve obbedire, perché ricordate che non ha più moneta sovrana, ha invece l’euro che deve sempre prendere in prestito appunto vendendo titoli di Stato. Ma questo innesca immediatamente un circolo vizioso micidiale, dove la bocciatura di Moody’s allarma i mercati, che pretendono più interessi dal governo, ma se il governo paga interessi più alti si indebita ancora di più e questo porta ad un’altra bocciatura di Moody’s che porta a costi sempre più alti per la Spagna, che portano ad altre bocciature… fino all’inferno. Cioè Irlanda e Grecia. Ma attenzione qui, perché ci sono due conseguenze, una sanguinosa, l’altra mortale. La prima è che uno Stato come la Spagna, con una disoccupazione al 20,6% (nei giovani 43,6%), dovrà disperatamente tagliare la spesa pubblica senza pietà al fine di compiacere ai mercati di cui sopra, il che innesca un altro circolo vizioso di licenziamenti, povertà, quindi meno consumi, quindi aziende che vanno sotto, quindi ancora licenziamenti ecc. Come è noto i tagli alla spesa pubblica sono oggi il comando perentorio in tutti gli Stati dell’euro, e il Financial Times scrive “questi correttivi di spesa smorzeranno i mercati del lavoro fino alla fine del 2011”… auguri, mie care famiglie. La seconda è che tutti gli economisti concordano che se la Spagna fa lo stesso botto di Irlanda e Grecia, questa volta esplode anche l’Europa, semplicemente perché un salvataggio della Spagna è troppo costoso. Cioè sbancherebbe tutta l’Eurozona. Moody’s ha entrambe i palmi delle mani appoggiati alla schiena di Madrid, che sta in bilico sul bordo della nave, e sotto ci sono fauci micidiali. Lo spintone non è una questione di forse, ma solo di quando, perché come ho già scritto in passato le cause del crollo europeo sono tutte ancora presenti (l’euro per primo) e nessun politico le ha mai volute veramente affrontare. La Spagna va sotto e noi tutti con lei. Fine dell’Eurozona e dell’Unione Europea.

4) La Swiss National Bank è stata la prima banca centrale europea a rifiutare ufficialmente i titoli di Stato portoghesi e irlandesi. Perché importa? Il segnale sia alle banche colleghe che ai mercati è drammatico, in particolare per i governi di Lisbona e Dublino che vengono così etichettati come infetti. Nel presente arrangiamento, dove la dipendenza degli Stati sovrani dai mercati è del 100%, ciò equivale a una ghettizzazione che non lascia speranza. Si noti come tutti questi segnali innescano sempre una spirale verso il basso da cui le nazioni colpite non possono salvarsi. Ciò non accade a caso, e lo spiego più sotto (parte del Più Grande Crimine). L’estensione di questa ‘unzione’ da parte della Swiss National Bank a Spagna e Italia è del tutto fuori dal controllo dei relativi governi, e la SNB si è rifiutata di chiarire se ciò può accadere a breve, commentando glacialmente “Quello che conta è il mercato”.

5) George Soros ha detto che la UE è a rischio di distruzione. Perché questo tizio conta? Soros è il più autorevole e micidiale investitore privato del mondo, è l’uomo che nel 1992 ha spaccato la schiena alla Gran Bretagna facendone collassare la sterlina, e la GB non è il Burkina Faso, è uno dei Paesi più potenti del mondo. Poi ha tagliato le gambe all’Italia, alla Korea ecc. Una parola allarmante del sopraccitato ha sui mercati (sempre quelli da cui noi Stati dell’Eurozona dipendiamo per avere ogni singolo euro da spendere) lo stesso effetto che un ammalato di peste bubbonica avrebbe sulla folla in piazza se si mettesse a urlare “ho la peste!”. Esattamente 24 ore prima del sopraccitato annuncio di Moody’s, Soros aveva rilasciato al Financial Times di Londra la seguente dichiarazione: “I tassi d’interesse imposti ai titoli di Stato dei governi europei più deboli soggetti al salvataggio della UE sono troppo alti. Essi rendono impossibile per quei governi il riscatto a fronte degli Stati più forti. Il circolo vizioso renderà i governi deboli sempre più deboli, lo scontro fra debitori e creditori sarà più aspro, e c’è il pericolo concreto che l’euro finisca per distruggere la coesione politica e sociale dell’Unione Europea”. Capito mercati? l’Europa si sta suicidando, ha detto Soros. Così funzionano i ‘pizzini’ del Vero Potere, si parlano fra di loro in questo modo, e bisognerebbe che una Wikileaks veramente dedicata a spulciare nelle cose che contano (e non nel semi-nulla finora rivelato) divulgasse la lista delle scommesse con i derivati che il Soros Fund Management LLC del buon George ha piazzato in questi mesi, assieme alla ridda di altri scommettitori (chiamati Hedge Funds) internazionali. La domanda è: quante di queste scommesse sono state piazzate contro l’euro e l’Eurozona? L’uso dei derivati per scommettere contro interi Paesi destinati artificiosamente alla rovina non è una novità; nel mese di settembre del 2010 gli Hedge Funds (come quello di Soros) avevano già piazzato centinaia di milioni di dollari di scommesse contro la Grecia. Cioè: letteralmente sono come chi scommette 100 denari che il mercato della carne crollerà, e poi sparge la voce che c’è la mucca pazza nelle bistecche.

6) Dal vertice della Banca Centrale Europea, a quello della Banca d’Italia, per passare per i comunicati dei tecnocrati di Parigi e Berlino, il coro è unanime: il Patto di Stabilità va imposto con maggior rigore. Cioè: se il paziente sta soffocando, tappategli anche le narici. Questo significa che vogliono dare il colpo di grazie all’Europa e ammazzarla una volta per tutte. Spiego: quando l’Unione Monetaria (l’euro) fu creata, i suoi padri pensarono di dotarla di una camicia di forza, proprio così, infatti in gergo finanziario si parla di straightjacket. Si tratta cioè di regole per immobilizzare gli Stati aderenti in certe condizioni economiche, che sono: inflazione bassa e armonizzata, deficit di bilancio non oltre il 3% del Prodotto Interno Lordo (PIL) e debito pubblico non oltre il 60% del PIL. Questa camicia di forza è stata chiamata Patto di Stabilità. Ci dissero che avrebbe innescato un processo virtuoso per l’Europa dove gli Stati avrebbero ripulito i conti di casa e tutti saremmo stati più ricchi e felici. Balle, proprio una menzogna totale. Non voglio parlare difficile, ma guardate che oggi tutti, ma proprio tutti quelli che contano in economia e finanza hanno già detto che il Patto di Stabilità è un suicidio, è una corda saponata bella e buona, che ci, vi, sta ammazzando. Tutti meno i criminali che l’hanno voluta e/o sostenuta, cioè i soliti Mario Draghi, Jean Claude Trichet, Jaques Attali, Jaques Delors, Theo Waigel, Giuliano Amato, Angela Merkel ecc. Alcuni di costoro infatti sono ancora oggi come cani rabbiosi a latrare in giro per l’Europa che non solo questa sciagura è valida, ma che va addirittura rafforzata. A una convention dei democristiani tedeschi in Baviera a inizio 2011, proprio il governatore della Banca Centrale Europea Jean Claude Trichet ha tuonato: “I governi europei non hanno scelta, devono cambiare politiche, devono rinforzare assai il Patto di Stabilità, e le politiche di spesa vanno riportate sul sentiero della virtù”. Tenete a mente queste ultime 4 parole, perché sono grottesche “il sentiero della virtù”. La criminosità del Patto, e cerco di essere semplice, si snoda in diversi aspetti molto complessi, ma di fondo ciò che esso fa – che è stato programmato per fare – è di costringere i Paesi meno ricchi d’Europa a limitare drasticamente la spesa pubblica; ma va compreso che per nazioni come la Grecia, la spesa pubblica è l’unica speranza di sopravvivenza per il grande pubblico, visto che il settore privato non è ancora in grado di generare abbastanza ricchezza da solo; in tal modo Grecia, Portogallo, Irlanda, ma anche l’Italia fra un po’, sono condannate a non poter mai raggiungere un livello di ricchezza apprezzabile; questo innesca il solito effetto a spirale negativa di svalutazione del loro mercato nazionale, che significa meno investimenti, che significa più disoccupazione e sottoccupazione, che significa più spese statali per gli ammortizzatori sociali, che significa però sgarrare il Patto di Stabilità, che significa attirarsi la bocciatura delle agenzie di rating, che significa perdere sempre più investimenti e pagare salatissimi i soldi che quei governi devono prendere in prestito, che significa ancora più disoccupazione che significa sempre più esborsi statali, altre bocciature, altri collassi economici… all’infinito. Non c’è salvezza da sta trappola, e non ci deve essere, perché lo scopo finale di essa, cioè del Patto di Stabilità, è proprio di collassare interi Paesi europei per rendere in semi schiavitù sia lo loro forza lavoro che i loro governi. Cioè: creare “sacche di lavoro alla cinese in Europa”, per gli scopi descritti nel mio saggio il Più Grande Crimine e aggiornamenti. Ovvero creare quella che Marx chiamò “l’armata di riserva dei disoccupati”, da cui la grande industria attinge a piene mani per ricattare con arroganza sia i governi che i sindacati. Leggi Mirafiori… ma è un’altra storia.

E non è finita, per le vittime c’è ancora agonia: quando esse si trovano nelle pietose condizioni in cui sono state cacciate dal Patto di Stabilità, la UE dei tecnocrati criminali le costringe ad accettare i famosi ‘salvataggi’ del Fondo Monetario Internazionale e della UE stessa. Significa che Grecia, Irlanda e Portogallo, e chiunque verrà poi, si trovano a farsi prestare somme enormi in euro, che è una moneta che non possono emettere, per cui l’unica scelta che hanno per ripagare quell’immenso debito è di succhiare il sangue ai propri cittadini con tagli alla spesa sociale, al pubblico impiego, e ai salari. E giù di nuovo in una spirale infernale da cui è impossibile risorgere. Questo orrore criminoso è stato persino denunciato dai Nobel dell’economia Stiglitz e Krugman, ma viene liberamente ammesso anche dai giornalisti finanziari stranieri a viso scoperto se non li si cita per nome. Sto parlando non di noiosi numeri scritti sul Sole 24 Ore, ma di sofferenze di milioni di persone come me e voi famiglie per anni a venire.

Quindi la determinazione dei Padroni dell’Europa di confermare e rafforzare il Patto di Stabilità ci spedisce come continente dritti all’inferno, ora, mentre scrivo.

Questi i segnali, inequivocabili, assolutamente chiari. E non si dimentichi il lettore/lettrice che alla UE sono stati sottratti gli strumenti principe per salvarsi dallo schianto. Come dire che il circo dell’Unione Europea ha lanciato 17 Stati in acrobazie impossibili e non gli ha messo sotto la rete, che era l’uso delle propria moneta sovrana (lire, marchi, franchi, dracme…) per compensare il crollo di occupazione e salari, per rassicurare i mercati del ripagamento dei debiti e per sostenere le aziende con iniezioni di spesa a deficit mirata alla produttività (i dettagli ne Il Più Grande Crimine).

Segnale 1, segnale 2, 3, 4, 5, 6… e poi la terra trema e tutto crolla. Crolleranno gli USA (che si salveranno, ma solo dopo averci travolti), e crollerà l’Unione Europea, e le conseguenze saranno storiche, epiche nelle proporzioni, cioè “una Grande Depressione che i vostri pronipoti studieranno sui libri di scuola”. Ok, questo sta per accadere qui, non in un film. Ora cosa fare.

Stiamo trattando una materia di estrema serietà, che io tento di semplificare da mesi per la comprensione dei cittadini non esperti, e dunque sarei uno sciocco se non dicessi che le soluzioni sono complessissime e tecnicistiche, che richiedono sforzi ad alto livello e organizzazioni che noi cittadini non possiamo neppure iniziare a contemplare. Ma ciò che noi possiamo fare è importantissimo e fattibile. Come sempre ho detto, prima cosa è divulgare queste realtà a chiunque, e non demordere di fronte a sguardi allucinati o risposte come “ma va là, è fantascienza… Barnard è un pazzoide… è colpa di Berlusconi… governo ladro ecc.” (mi scrivono gli operai da tutt’Italia e sono quelle le risposte che i loro colleghi sbottano a fronte di questi temi. A proposito di chi si dà la zappa sui piedi…). Poi organizzarsi per innanzi tutto chiedere l’apertura di un dibattito pubblico sull’uscita dall’Euro e il ritorno ordinato (cioè con tutele intragovernative contro gli attacchi speculativi) alle monete sovrane. Infine che l’Italia, con propria moneta, sposi un programma di spesa a deficit per creare ricchezza al netto per i cittadini, e che deve andare nella doppia direzione di essere investita in aumenti di produttività nell’economia reale (quella che produce cose vere e non giochi finanziari) e di creare un programma governativo di piena occupazione e pieno Stato sociale. Nel capitolo LA PIENA OCCUPAZIONE ERA POSSIBILE de Il Più Grande Crimine è spiegato che tutto ciò è non solo economicamente possibile, ma vi sono anche i nomi di economisti di statura mondiale che da decenni sostengono la tesi della spesa a deficit e piena occupazione. Infatti vi ricordo che:

1) uno Stato con moneta sovrana può onorare qualsiasi debito pubblico senza problemi e nessuna agenzia di rating lo può strangolare. Il Giappone con Yen sovrano ha un debito doppio rispetto alla Grecia, doppio!, e non solo non è in croce, ma gli investitori sono corsi in massa a rifugiarsi nello Yen in questi mesi. 2) la spesa a deficit dello Stato a moneta sovrana che crei occupazione, investimenti dal pubblico al privato e produttività, non crea inflazione e si auto-cura grazie all’aumento del PIL nazionale, e infine non ha limiti di spesa, essendo denaro che lo Stato NON DEVE PREDERE IN PRESTITO DA ALCUNO, e che crea dal nulla. 3) il debito dello Stato a moneta sovrana NON E’ il debito dei cittadini, ma al contrario è la loro ricchezza. 4) Non c’è alcun potere privato al mondo in grado di sconfiggere uno Stato a moneta sovrana che decida di fare quanto sopra.

Questo ritorno dello Stato a moneta sovrana alla sua funzione primaria è l’unica speranza in assoluto di creare un cuscino di sopravvivenza per i milioni di noi che saranno travolti dal Cataclisma. Per spezzare il piano di storica criminosità del Vero Potere di distruggere l’Europa e creare sacche di lavoro alla cinese qui da noi, non v’è altra strada.

23/04/2011, 15:13

Banche: rapporto shock sugli aumenti di capitale

di: Francesco De Dominicis
Pubblicato il 22 aprile 2011

http://www.wallstreetitalia.com/article ... ge=1118219

Basilea 3, per i banchieri italiani, ormai è un'ossessione. Non passa giorno senza prese di posizione da parte di esponenti degli istituti, preoccupati per gli effetti delle nuove regole sul capitale, giudicate troppo severe. I big del credito si muovono anche sotto traccia. Interlocutore principale è Banca d'Italia: è a via Nazionale, del resto, che si definisce l'assetto normativo per l'industria bancaria della Penisola. Il pressing sul governatore Mario Draghi - e pure sulle seconde linee di palazzo Koch - è assai cresciuto nelle ultime settimane.

La linea d'azione è messa a punto dalla lobby dell'Abi. E nel comitato esecutivo di ieri, a Milano, è stata ribadita la necessità di sensibilizzare sia il governo sia le autorità di vigilanza. Sul tavolo, le statistiche sull'andamento del settore creditizio. Segnali negativi dalle sofferenze, a febbraio cresciute a 92 miliardi di euro (più del doppio rispetto ai 43,2 del 2009) di pari passo con le difficoltà dei clienti nel rimborsare i prestiti.

A far tremare i vertici dell'industria bancaria, però, non sono i numeri su incagli e rate scadute,
ma i dati riservati sugli sforzi necessari per allinearsi a Basilea 3, l'impianto regolatorio su requisiti patrimoniali delle banche. Secondo un rapporto che circolava ieri nella sede milanese della Confindustria del credito, ai primi cinque gruppi bancari del nostro Paese servirebbero complessivamente 38,5 miliardi di euro. Molto di più, dunque, rispetto agli sforzi fatti e pari a 10,5 miliardi.


Corrado Passera Finora hanno approvato iniezioni di denaro fresco IntesaSanpaolo (5 mld), Ubibanca (1), Mps (2,5) e Banco Popolare (1), Tra le big del credito, solo Unicredit non ha ancora sciolto le riserve. Per piazza Cordusio si parla di 8,5 miliardi. Cifra che porterebbe il conto finale a 20 miliardi, lontano dalla stima. Calcolatrice alla mano, comunque, per ora ne mancano 28.

Nel rapporto non ci sono i nomi dei cinque istituti passati ai raggi X Tuttavia è il Monte dei paschi l'unico a essere individuabile nel ranking. L'elemento che svela l'identità è legato ai Tremonti bond (definiti in termini tecnici public sector injections), visto che Mps è l'unica fra le big italiane ad aver chiesto l'aiuto del Tesoro. Ciò nonostante per Rocca Salimbeni servirebbe uno sforzo pari a 10,5 miliardi di euro, ben 8 in più rispetto al rafforzamento già varato.

Il mercato bancario è in fibrillazione e Basilea 3 pare essere una zavorra insopportabile per il settore. Fra i banchieri c'è chi auspica passi indietro, su scala internazionale, da parte delle autorità e delle istituzioni. E chi, d'intesa con la Confindustria e sindacati del settore, vorrebbe lanciare l'allarme rosso sul credit crunch, cioè una improvvisa chiusura dei rubinetti dei finanziamenti.

A riportare tutti con i piedi per terra, durante il direttivo di marzo, ha pensato Corrado Passera: «Realisticamente - queste le parole dell'ad di Ca' de Sass - occorre riconoscere l'impossibilità di modificare l'impianto generale di Basilea 3». Passera ha spostato l'attenzione sulla necessità di ripristinare «condizioni operative favorevoli per le banche italiane, non va allentata la pressione finalizzata al ripristino di una situazione in cui sia possibile per le nostre aziende di credito tornare a fare ricavi adeguati». Il fiato sul collo delle Fondazioni e degli altri soci, d'altra parte, comincia a farsi sentire. E di sicuro non è pensabile chiedere ancora a lungo sforzi all'azionariato, senza garanzie su dividendi di un certo livello.

Il quadro è complicato. E gli occhi dei big del credito sono puntati anche sui nuovi stress test internazionali. Si tratta delle verifiche sui bilanci e sui patrimoni di 90 banche europee, messi alla prova con ipotetici, nuovi shock sui mercati finanziari (come Lehman Brothers del 2008). I dati sono stati già consegnati: le big five italiane li hanno portati a via Nazionale il 6 aprile scorso. I risultati, invece, arriveranno a giugno. E l'appuntamento agita - e non poco - le acque del mondo creditizio.

I banchieri italiani, secondo quanto discusso ieri in Abi, chiederanno che la diffusione dei risultati avvenga a borse chiuse e magari di venerdì. Più di qualcuno, poi, teme che possano essere realizzate, su scala nazionale, delle vere e proprie black list. La banca centrale spagnola si è già mossa in questa direzione qualche mese fa, imponendo la ricapitalizzazione delle bad bank. E ai piani alti degli istituti si teme che anche Bankitalia, adesso, possa seguire l'esempio iberico.

24/04/2011, 20:06

In Spagna il fenomeno dei senzatetto è ormai un dramma

By Edoardo Capuano - Posted on 22 aprile 2011

SenzatettoIl sindaco di Madrid, Alberto Ruiz-Gallardón, candidato dal Partito Popolare (PP) per un nuovo mandato, ha chiesto al suo partito di inserire nel programma una proposta di legge che conceda all'Ayuntamiento (municipalità) il potere per sgomberare i senzatetto dalle strade, in nome della “sicurezza e del decoro pubblico”, sempre e quando ci siano le risorse assistenziali “sufficienti e gratuite”.

Il sindaco ha voluto sottolineare che questo tipo di proposta non è funzionale alla campagna elettorale per le municipali, quanto alla necessità di avviare una riflessione profonda sull'argomento in vista delle elezioni politiche del 2012.

Il suo intervento è conseguente all'allarme lanciato dal presidente dell'Asociación de Comerciantes de Gran Vía, Florencio Delgado, che ha parlato di situazione “disastrosa”, non riferendosi alla politica ma alle vittime di quest'ultima. Il sindaco, cavalcando i malumori, ha inoltre assicurato che Madrid dispone già di servizi a riguardo e che i senzatetto dormono per strada “per volontà non per necessità”.

Le affermazioni del sindaco hanno sollevato un vespaio di polemiche in Spagna. Ángel Pérez, del partito Sinistra Unita (IU), ha subito risposto alla provocazione mossa dal candidato del PP, sostenendo che la questione dei mendicanti è “sociale”, non “estetica”, e che piuttosto che lottare per “toglierli dalle strade”, bisogna investire per reinserirli socialmente attraverso “politiche di occupazione e formazione” e attraverso l'applicazione dei diritti fondamentali nei confronti delle persone che detengono il diritto di cittadinanza, ossia “tutti quelli che vivono in città”.

Quattordici associazioni spagnole che si occupano di offrire aiuto ai senzatetto hanno denunciato congiuntamente la posizione espressa dal sindaco, che associa ai senzatetto concetti quali “delinquenza, sporcizia, violenza”, ricordandogli che queste persone, abbandonate al loro destino, sono vittime della violenza e non viceversa e che non hanno scelto la loro condizione, al contrario, la subiscono. Ricordano inoltre che proibire a queste persone di vivere per strada va contro i diritti dei cittadini.

il 14 aprile Gallardòn ha risposto alle critiche sostenendo che la sua posizione non si può definire né “populista”, né di ordine “estetico”, e che non ha intenzione di “cacciare” i senzatetto, piuttosto restituirgli “dignità”, dando alla polizia il potere di mandare senzatetto, mendicanti, prostitute e tossicomani a dormire in albergo, anche “usando la forza” se questi dovessero manifestare opposizione. Sottolinea: è una questione di “solidarietà”.

In realtà molti spagnoli, compresi i politici, ancora non conoscono quella che è la vera realtà delle persone che abitano sui marciapiedi cittadini dei centri urbani spagnoli e che la notte, dopo aver affrontato una battaglia per aggiudicarsi il cassonetto da svaligiare (si stima che sia l'11 percento dei senzatetto), vanno a dormire in aeroporto, nelle banche, nelle stazioni e nelle strade, dove son spesso vittime di furti, violenze fisiche e sessuali.

Nel 2005, la Croce Rossa stimava che gli abitanti dei marciapiedi erano saliti a quota 30mila, e sostiene che oggi, in piena crisi economica, il numero sia decisamente aumentato. Secondo i dati diffusi dall'Instituto Nacional de Estadística, pare che l'87 percento dei senzatetto siano uomini, l'età media è 38 anni, e in media percepiscono 320 euro al mese. Il dato più sconvolgente è che quasi la metà siano spagnoli (parte degli immigrati stanno, infatti, abbandonando il Paese) e che il 30 percento di loro, nonostante la drammaticità della loro condizione, non abbiano mai toccato né alcol né droga. Quasi la metà di questi uomini hanno figli, ma solo nel 10 percento dei casi vivono con loro. Inoltre il 37 percento dei senzatetto vive in questa situazione da più di tre anni.

Uno studio della Croce Rossa ha inoltre rivelato che più della metà dei senza tetto deve alla disoccupazione la sua condizione, e che quasi il 20 percento si ritrova per strada dopo una rottura sentimentale.

In Spagna si contano 615 centri (di cui l'80 percento sono di proprietà privata) che nel 2008 offrivano 13.650 posti letto, il 4,7 percento in più che nel 2006. Negli ultimi anni le spese necessarie per il mantenimento di questi centri è aumentato di quasi il 20 percento.

A causa della crisi, l'aumento dell'utenza ha costretto le principali città ad ampliare i servizi sociali. A Barcellona, per esempio, nel settembre del 2009 sono stati inaugurati sette nuovi comedores (ristoranti) e nel corso di quest'anno, con l'aumento del 10 percento dell'utenza causa della crisi, il servizio è stato ulteriormente ampliato, con cento nuovi posti, servizio anche nel fine settimana e servizio di pasti a domicilio (quasi 4 mila). Il servizio Comidas en compañía (pasti in compagnia), attivato all'interno del Programma di Azione Sociale contro la Povertà, è finalizzato non solo alla distribuzione di pasti nutrienti a costi bassi (dai 50 centesimi ai 3 euro, a seconda delle possibilità economiche dell'utente), quanto alla costruzione di vincoli di amicizia tra gli utenti, tenendo conto che un altro dei problemi principali dei senzatetto è la solitudine.

http://www.ecplanet.com/node/2437
Ultima modifica di vimana131 il 24/04/2011, 20:06, modificato 1 volta in totale.

16/05/2011, 23:55

Usa/ Raggiunto limite a indebitamento pubblico, 14.300 mld usd
di: Apcom Pubblicato il 16 maggio 2011| Ora 17:32

New York, 16 mag. (TMNews) - Entro oggi il debito pubblico degli Stati Uniti raggiungerà quota 14.292 miliardi di dollari, il limite fissato per legge all'indebitamento pubblico. Lo ha annunciato il segretario al Tesoro Timothy Geithner ricordando che a questo punto il governo farà ricorso a "misure speciali" -come quelle di "sospendere l'emissione del debito"- per consentire al governo di evitare il default del Paese almeno "fino al prossimo 2 agosto". Tra le misure adottate, anche la sospensione temporanea di due fondi pensioni pubblici come il Civil Service Retirement and Disability Fund e il Governement Securities Inverstement Fund. La mossa dovrebbe concedere a Casa Bianca e leader congressuali il tempo necessario a raggiungere un accordo sulle misure per ridurre il deficit pubblico e rappacificare il clima politico in modo da consentire al Congresso d'innalzare il limite dell'indebitamento pubblico americano. L'opposizione repubblicana concorda infatti sulla necessità di alzare il limite dell'indebitamento ma non ne intende approvare un nuovo senza avere prima ricevuto la garanzia che il governo terrà maggiormente sotto controllo la spesa pubblica. Il raggiungimento del tetto del debito "dovrebbe essere un campanello d'allarme per il sistema politico: è il momento di essere seri sul tutelare la fiducia e il credito", ha detto il direttore del National Economic Council, Gene Sterling al Wall Street Journal. Ci potrebbero volere alcuni mesi prima che le due parti raggiungano un accordo. Casa Bianca e repubblicani stanno infatti inviando segnali contrastanti. Il vice presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, la scorsa settimana aveva dichiarato che democratici e repubblicani stavano trattando su una soluzione di compromesso. Dallo show della Cbs, "Face of the Nation", il presidente della Camera dei Rappresentanti, il repubblicano John Boehner, lo ha però smentito: "non vedo progressi".

http://www.wallstreetitalia.com/article ... d-usd.aspx

17/05/2011, 03:05

vimana131 ha scritto:

Usa/ Raggiunto limite a indebitamento pubblico, 14.300 mld usd


Wow! Roba da far impallidire. Debito pubblico al 140% del PIL. In pratica ci hanno sorpassato e non di poco. Il nostro debito e' di circa 1800 miliardi di euro e 120% del PIL. Ora fanno compagnia a Grecia, Zimbabwe e Libano.
Prevedo tempi molto cupi.[8)]
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