I pasticci della Nato in Libia, odiata anche dai ribelli - L’ANALISI
Doveva portare aiuto militare alle sgangherate milizie degli insorti e far cadere il regime di Gheddafi ma, a tre settimane dall’intervento internazionale, in Libia la Nato è sotto attacco sia dal regime che dagli stessi ribelli. Tripoli l’accusa di crimini di guerra per i bombardamenti sulle città mentre a Bengasi alla rabbia per l’insufficienza dei raid contro le truppe governative si è aggiunto un vero e proprio attacco politico per l’improvviso ruolo da arbitro imparziale assunto dalla flotta alleata.
Martedì, due navi da guerra alleate hanno bloccato quattro imbarcazioni cariche di armi, munizioni e viveri dirette da Bengasi a Misurata, città nella quale i ribelli sono assediati dalle truppe del raìs. Il brigadiere generale Mark van Uhm, portavoce del comando Nato a Bruxelles ha dichiarato che “le nostre forze continueranno a far rispettare l’embargo delle armi e se armi saranno scoperte a bordo di navi fermate saranno confiscate” ha precisato l’ufficiale olandese. “Se queste navi trasportano anche altre cose, le altre merci potranno proseguire verso la loro destinazione”.
Al momento di varare l’operazione navale per fare rispettare l’embargo delle armi contro la Libia, la Nato ha dichiarato che l’embargo sarebbe stato applicato in modo imparziale, sia verso le forze di Gheddafi che verso gli oppositori del regime ma è evidente che in questo modo si favoriscono le meglio armate forze governative, le stesse che la Nato bombarda ogni giorno anche se con risultati spesso limitati. Lo stesso van Uhm ha infatti sfidato il ridicolo aggiungendo che la “priorità numero uno” degli interventi militari della Nato è la città di Misurata, che sta diventando il luogo martire della guerra in Libia. “Dei carri armati sono nascosti nella città e civili vengono usati come scudi umani”, ha detto il generale giustificando i raid che l’aviazione alleata sta facendo su questa città.
Il ruolo contraddittorio e non certo risolutivo della Nato stride con le dichiarazioni di tutti i leader occidentali che da un lato affermano che Gheddafi se ne deve andare e dall’altro sembrano voler prolungare la vita del suo regime. Forse hanno dimenticato che per von Clausewitz “non si comincia alcuna guerra, o non si dovrebbe razionalmente cominciarne alcuna, senza dirsi ciò che si intende realizzare mediante la guerra e nella guerra”.
Secondo i dati ufficiali dal 31 marzo a oggi gli aerei dell’Alleanza Atlantica hanno condotto 851 sortite, con 334 attacchi e dal 19 marzo è stato distrutto il 30 per cento del potenziale militare di Gheddafi. Se è vero forse è ancora troppo poco per influire sul conflitto.
La reazione degli insorti, che già lunedì avevano protestato a Bengasi contro l’insufficienza dell’azione militare alleata, non si è fatta attendere. Per il capo militare dei ribelli, il generale Abdel Fattah Younis, ex ministro degli interni di Gheddafi “se la Nato aspetta ancora una settimana non resterà più niente a Misurata“.
La Nato, ha aggiunto, “lascia morire gli abitanti di Misurata e ci ha deluso, si sta muovendo con molta lentezza, permettendo alle forze di Gheddafi di avanzare. Che fa la Nato? Bombardano qui e là mentre gli abitanti di Misurata sono minacciati di sterminio” ha detto Younis concludendo che “la Nato è diventata il nostro problema“.
E potrebbe avere ragione poiché impedendo l’arrivo di rifornimenti a Misurata e con i pochi e scarsamente efficaci raid effettuati dopo il ritiro dall’operazione dei velivoli statunitensi, gli alleati non stanno offrendo un contributo determinante alla causa degli insorti.
Basti pensare che sul fronte della zona petrolifera, nelle ultime ore i ribelli hanno dovuto ritirarsi di circa 20-30 km da Brega verso Agedabia dopo l’intenso fuoco di artiglieria e mortai governativi. Secondo testimoni le forze di Gheddafi hanno ricevuto rifornimenti e sono divenute più aggressive. Se Agedabia dovesse cadere ancora nelle mani dei lealisti Bengasi sarebbe di nuovo in pericolo.
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Gianandrea Gaiani ha seguito le missioni militari italiane degli ultimi 20 anni. Dirige Analisi Difesa, collabora con i quotidiani Il Sole 24 Ore, Il Foglio e Libero ed è opinionista di Radio Capital e numerosi programmi RAI. Ha scritto “Iraq Afghanistan: guerre di pace italiane”
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