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22/04/2011, 09:22

Lo fanno per due principali motivi, entrambi riconducibile da parte del governo alla necessità di prepararsi contro un attacco di terra delle forze NATO. In realtà, questa motivazione è secondaria, dato che, probabilmente, Gheddafi non si aspetta uno sbarco della coalizione, né tantomento al momento l'ipotesi è presa in considerazione dal comando, o, meglio, dall'asse F-GB-USA(-D). Il governo libico originario deve porre rimedio alle continue defezioni nell'esercito lealista; in secondo luogo c'è bisogno di far salire la mobilitazione popolare, sia per lanciare agli alleati (di Tripoli) il messaggio che la gente è con Gheddafi, sia per far aumentare tra le persone la percezione del pericolo e del comune nemico: costruendo una milizia popolare si crea un effetto psicologico di "ultima istanza" che può portare benefici alla resistenza. Il fatto che abbondino gli esempi storici di milizie costruite, indottrinate, pronte, ma poi svanite all'arrivo dei nemici... beh... non importa.

22/04/2011, 10:08

ragazzi..
caccia al bottino..


http://www.comedonchisciotte.org/site/m ... e&sid=8208

Questo stesso giornale ci ha rivelato lo scorso marzo che ci sono 200 miliardi di dollari dei fondi libici che fanno impazzire gli occidentali.

Questo è il denaro che circola nelle banche centrali, in particolare in quelle britanniche e francesi. In preda a una crisi finanziaria senza precedenti, la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti vogliono a tutti i costi impossessarsi di questi fondi sovrani, il cui l’importo è stimato essere circa 200 miliardi di dollari. “Queste sono le vere ragioni dell’intervento della NATO in Libia”, afferma Nouredine Leghliel, analista borsistico algerino trasferitosi in Svezia, che è stato uno dei primi esperti a sollevare la questione.

Questi 200 miliardi di dollari, di cui gli Occidentali non parlano che a mezza voce, sono al momento congelati nelle banche centrali europee. Spesso associano questo denaro alla famiglia Gheddafi, “cosa che è totalmente falsa”, sottolinea il signor Leghliel. I grandi gruppi finanziari nascondono segretamente questi investimenti nelle loro società e filiali.

ecc. ecc.

come ho gia` detto..
piu` bombe buttano,
piu` il conto e` salato per gli insorti..
e poi c`e` il business della ricostruzione..


Più continua il caos, più la guerra dura e più gli occidentali traggono profitto da questa situazione che torna a loro vantaggio”, chiarisce il nostro analista. Il caos nella regione farebbe comodo a tutto l’occidente. I britannici, soffocati dalla crisi della finanza, troverebbero così le risorse necessarie. Gli statunitensi, per mire squisitamente militari, si istallerebbero in modo definitivo nella fascia del Sahel e la Francia potrà ricoprire il ruolo di subappaltatore in questa regione da lei considerata come una sua appendice.
Ultima modifica di mik.300 il 22/04/2011, 10:10, modificato 1 volta in totale.

22/04/2011, 10:24

Questo è quello che da sempre ho "predicato".[:D]

22/04/2011, 13:03

Sulla scia di mik.300:

http://www.voltairenet.org/article169543.html

La rapina del secolo: l’assalto dei «volenterosi» ai fondi sovrani libici
di Manlio Dinucci

L’obiettivo della guerra in Libia non è solo il petrolio, le cui riserve (stimate in 60 miliardi di barili) sono le maggiori dell’Africa e i cui costi di estrazione tra i più bassi del mondo, né il gas naturale le cui riserve sono stimate in circa 1.500 miliardi di metri cubi. Nel mirino dei «volenterosi» dell’operazione «Protettore unificato» ci sono anche i fondi sovrani, i capitali che lo stato libico ha investito all’estero.

I fondi sovrani gestiti dalla Libyan Investment Authority (Lia) sono stimati in circa 70 miliardi di dollari, che salgono a oltre 150 se si includono gli investimenti esteri della Banca centrale e di altri organismi. Ma potrebbero essere di più. Anche se sono inferiori a quelli dell’Arabia saudita o del Kuwait, i fondi sovrani libici si sono caratterizzati per la loro rapida crescita. Quando la Lia è stata costituita nel 2006, disponeva di 40 miliardi di dollari. In appena cinque anni, ha effettuato investimenti in oltre cento società nordafricane, asiatiche, europee, nordamericane e sudamericane: holding, banche, immobiliari, industrie, compagnie petrolifere e altre.

In Italia, i principali investimenti libici sono quelli nella UniCredit Banca (di cui la Lia e la Banca centrale libica pos-siedono il 7,5%), in Finmeccanica (2%) ed Eni (1%): questi e altri investimenti (tra cui il 7,5% dello Juventus Football Club) hanno un significato non tanto economico (ammontano a circa 4 miliardi di euro) quanto politico.

La Libia, dopo che Washington l’ha cancellata dalla lista di proscrizione degli «stati canaglia», ha cercato di ricavarsi uno spazio a livello internazionale puntando sulla «diplomazia dei fondi sovrani». Una volta che gli Usa e la Ue hanno revocato l’embargo nel 2004 e le grandi compagnie petrolifere sono tornate nel paese, Tripoli ha potuto disporre di un surplus commerciale di circa 30 miliardi di dollari annui che ha destinato in gran parte agli investimenti esteri. La gestione dei fondi sovrani ha però creato un nuovo meccanismo di potere e corruzione, in mano a ministri e alti funzionari, che probabilmente è sfuggito in parte al controllo dello stesso Gheddafi: lo conferma il fatto che, nel 2009, egli ha proposto che i 30 miliardi di proventi petroliferi andassero «direttamente al popolo libico». Ciò ha acuito le fratture all’interno del governo libico.

Su queste hanno fatto leva i circoli dominanti statunitensi ed europei che, prima di attaccare militarmente la Libia per mettere le mani sulla sua ricchezza energetica, si sono impa-droniti dei fondi sovrani libici. Ha agevolato tale operazione lo stesso rappresentante della Libyan Investment Authority, Mohamed Layas: come rivela un cablogramma filtrato attraverso WikiLeaks, il 20 gennaio Layas ha informato l’ambasciatore Usa a Tripoli che la Lia aveva depositato 32 miliardi di dollari in banche statunitensi. Cinque settimane dopo, il 28 febbraio, il Tesoro Usa li ha «congelati». Secondo le dichiarazioni ufficiali, è «la più grossa somma di denaro mai bloccata negli Stati uniti», che Washington tiene «in deposito per il futuro della Libia». Servirà in realtà per una iniezione di capitali nell’economia Usa sempre più indebitata. Pochi giorni dopo, l’Unione europea ha «congelato» circa 45 miliardi di euro di fondi libici.

L’assalto ai fondi sovrani libici avrà un impatto particolar-mente forte in Africa. Qui la Libyan Arab African Investment Company ha effettuato investimenti in oltre 25 paesi, 22 dei quali nell’Africa subsahariana, programmando di accrescerli nei prossimi cinque anni soprattuttto nei settori minerario, manifatturiero, turistico e in quello delle telecomunicazioni. Gli investimenti libici sono stati decisivi nella realizzazione del primo satellite di telecomunicazioni della Rascom (Re-gional African Satellite Communications Organization) che, entrato in orbita nell’agosto 2010, permette ai paesi africani di cominciare a rendersi indipendenti dalle reti satellitari sta-tunitensi ed europee, con un risparmio annuo di centinaia di milioni di dollari.

Ancora più importanti sono stati gli investimenti libici nella realizzazione dei tre organismi finanziari varati dall’Unione africana: la Banca africana di investimento, con sede a Tripoli; il Fondo monetario africano, con sede a Yaoundé (Camerun); la Banca centrale africana, con sede ad Abuja (Nigeria). Lo sviluppo di tali organismi permetterebbe ai paesi africani di sottrarsi al controllo della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, strumenti del dominio neocoloniale, e segnerebbe la fine del franco Cfa, la moneta che sono costretti a usare 14 paesi, ex-colonie francesi. Il congelamento dei fondi libici assesta un colpo fortissimo all’intero progetto. Le armi usate dai «volenterosi» non sono solo quelle dell’operazione bellica «Protettore unificato».

22/04/2011, 20:07

Libia: centinaia di soldati si consegnano alla frontiera tunisina.

Sono più di cento i soldati libici che, nelle ultime ore, incalzati dall'offensiva dei ribelli anti-Gheddafi sul versante occidentale della Libia, hanno passato il confine tunisino, a Dhiba, per consegnarsi. I militari, confermano oggi i media locali, hanno attraversato la linea di confine disarmati. Tra essi, anche tredici ufficiali.


http://www.unionesarda.it/Articoli/News/220771

22/04/2011, 20:08

Un centinaio di soldati libici, tra cui 13 ufficiali, hanno varcato il confine con la Tunisia e, disfattisi delle armi, hanno percorso a piedi i circa 200 metri che separano i due versanti, nel posto di frontiera di Dhiba. Una nave con aiuti dell'Unicef ha raggiunto Misurata. Il senatore Usa McCain a Bengasi






Tripoli - Potrebbe essere un segnale di cedimento del regime: più di cento soldati libici nelle ultime ore hanno passato il confine tunisino, a Dhiba, per consegnarsi. I militari hanno attraversato la linea di confine disarmati. Tra essi anche tredici ufficiali. Secondo alcuni testimoni, citati dai media tunisini, i soldati libici, una volta disfattisi delle armi, hanno percorso a piedi i circa duecento metri che separano i due versanti - della Libia e della Tunisia - del posto di frontiera di Dhiba, ieri teatro di un feroce combattimento. Su di esso, una volta conquistato dagli insorti, il vessillo verde è stato sostituito da quello monarchico scelto dai ribelli, mentre, secondo quanto riferisce l’Afp, un trattore ha demolito il grande ritratto di Gheddafi che, sino a ieri, campeggiava sul confine.

Aiuti dell'Unicef a Misurata Una nave con aiuti salva-vita dell'Unicef ha raggiunto il porto di Misurata, nella Libia occidentale. "I bambini hanno urgente bisogno di protezione a Misurata", ha detto Shahida Azfar, Direttore regionale Unicef per il Medio Oriente e Nord Africa. "Con questi nuovi aiuti si potrà provvedere ai loro bisogni di base, ma il loro recupero a lungo termine inizierà soltanto quando finiranno i combattimenti". Questi ulteriori aiuti - di cui beneficeranno da 15.000 a 25.000 persone - includono: kit di pronto soccorso, acqua potabile, tavolette per la depurazione dell’acqua, kit igienici e ricreativi per i bambini.

Droni Usa in azione sulla Libia I ribelli libici si sono dichiarati oggi "entusiasti" per la decisione degli stati Uniti di impiegare aerei senza pilota nell’ambito della missione Nato in Libia. I combattenti dell’opposizione hanno auspicato che il loro utilizzo possa mettere termine all’assedio di Misurata da parte delle forze fedeli al colonnello Gheddafi. "Siamo onorati. Si tratta di un aereo speciale che può essere utilizzato in aree urbane. Speriamo che ciò possa ridurre la pressione sulla popolazione di Misurata", ha dichiarato Mustafa al Guerriani, un portavoce del Consiglio nazionale di transizione di Bengasi.

John McCain a Bengasi Il senatore americano John McCain è arrivato a Bengasi, la roccaforte dei ribelli libici. Come annunciato precedentemente da Brooke Buchanan, portavoce del senatore repubblicano ex candidato alla Casa Bianca, McCain incontrerà i leader degli insorti che combattono contro il regime del colonnello Gheddafi.

Scontri in Siria: dieci morti È di almeno dieci morti il bilancio delle vittime degli scontri avvenuti oggi in diverse città della Siria tra polizia e manifestanti che protestano contro il regime di Bashar al-Assad. Lo riferiscono fonti dell’opposizione siriana citate dalla tv satellitare al-Arabiya. In particolare, un morto si registra nella zona di Duma, mentre altre vittime si segnalano nei dintorni di Hama.

http://www.ilgiornale.it/esteri/centina ... comments=1



forse cio' e'l'unico modo xche' la guerra in libia sia di breve durata

22/04/2011, 20:23

Stati Uniti: Barack Obama e il malumore dei suoi generali - L’ANALISI

Il rapporto tra Barack Obama e i generali non è mai stato troppo facile: gli scontri sulla strategia da adottare in Afghanistan, le tensioni e i malumori sulla gestione della crisi libica e, infine, i miliardi di dollari che verranno tagliati dal budget del Pentagono hanno alimentato le incompresioni tra la Casa Bianca e i militari.

Per “governare” questa difficile situazione, il presidente ha deciso di inviare al Pentagono Leon Panetta, 73 anni, attuale direttore della Cia, ex braccio destro di Bill Clinton, democratico da sempre. Prenderà il posto di Robert Gates che, da tempo, ha annunciato la sua intenzione di lasciare la poltrona di Segretario alla Difesa.

Leon Panetta sembra essere la migliore, forse l’unica soluzione per la successione di Gates. Per diversi motivi. E’ un politico di lungo corso, in grado di gestire una eredità così pesante (Gates è ritenuto uno dei migliori ministri della difesa degli Stati Uniti degli ultimi decenni) e con le doti necessarie per navigare nelle difficili acque del Pentagono, piene del malumore dei soldati nei confronti dei piani alti dell’Amministrazione.

Ha i contatti e le relazioni giuste, Leon Panetta. Soprattutto a Capitol Hill, dove ha stretto legami con i più influenti e importanti congressmen dei due partiti. L’annuncio della sua nomina potrebbe arrivare a maggio. Il suo nome avrebbe convinto Barack Obama, ma ora si tratta di presentarlo con la dovuta convinzione ai vertici della forze armate.

Panetta non è un tecnico. E la sua breve esperienza come capo della Cia non l’ha trasformato in un vero esperto sui temi della sicurezza nazionale. Era stato mandato da Obama a gestire l’Agenzia nel dopo Bush. Si è comportato abilmente, evitando di perseguire, o mettere sotto pressione i funzionari che avevano seguito le indicazioni della precedente amministrazione. Questo gli ha fatto conquistare la stima degli uomini e le donne di Arlington.

Ma non gli ha evitato di essere al centro delle critiche per due dei più clamorosi errori compiuti dall’Agenzia negli ultimi anni: i mancati controlli su Umar Abdulmutallab, il nigeriano che stava per far saltare in aria un aereo della Northwest Airlines mentre stava per atterrare a Detroit, e la strage della base Cia di Khost, in Afghanistan, quando un talebano infiltrato si fece esplodere, uccidendo sette agenti dell’Agenzia.

Leon Panetta dovrebbe andare al Pentagono per far digerire ai generali i 400 miliardi di dollari di tagli nel budget per le spese militari nel prossimo decennio, ma soprattutto dovrebbe convincerli ad avere un atteggiamento diverso nei confronti della Casa Bianca.

I rapporti con Barack Obama non sono buoni. Già mesi prima, sono peggiorati con lo scoppio della guerra in Libia. I generali non capiscono l’approccio politico del Comandante in Capo. Lui cerca di essere analitico, ma loro, i soldati, lo vivono come confuso, incerto, insicuro sulle strategie e gli obiettivi da raggiungere.
Il Dossier Tripoli è emblematico. Lui dice che vorrebbe abbattere il regime di Gheddafi e poi approva dei piani bellici che sono in contraddizione con quell’obiettivo, è il leitmotiv dei militari. Un intervento soft ci mette in un angolo- ripetono- provocando la situazione di stallo militare in cui si trova il conflitto libico
.
La questione è che Barack Obama vuole solo un impegno limitato in Libia (come in Afghanistan) e i generali sono costretti a seguire questa linea politica che li mette in grave difficoltà (dal punto di vista tecnico).
Questa dicotomia (tra militari e civili) si è sempre registrata, ma con la presidenza Obama si è accuita. Tra la Casa Bianca e il Pentagono c’è una forte incomprensione. Leon Panetta dovrà tentare di sciogliere il nodo.

http://blog.panorama.it/mondo/2011/04/2 ... -lanalisi/


Immagine Immagine Immagine
Ultima modifica di Ufologo 555 il 22/04/2011, 20:26, modificato 1 volta in totale.

22/04/2011, 23:05

La rapina del secolo: l’assalto dei «volenterosi» ai fondi sovrani libici
di Manlio Dinucci*
Manlio Dinucci torna sugli aspetti sottolineati nelle nostre colonne, all’inizio della guerra in Libia: le potenze coloniali "volontarie" si sono appropriate dei colossali investimenti esteri dello stato Libico. Il denaro congelato nelle banche occidentali, minacciava il monopolio della Banca Mondiale e del FMI, finanziando dei progetti di sviluppo nel Terzo Mondo. Continua a "girare" (non più nella forma di investimento, ma di garanzie bancarie), questa volta a favore degli occidentali.
22 aprile 2011

4. Depuis
Roma (Italia)


La Banca Centrale della Libia
L’obiettivo della guerra in Libia non è solo il petrolio, le cui riserve (stimate in 60 miliardi di barili) sono le maggiori dell’Africa e i cui costi di estrazione tra i più bassi del mondo, né il gas naturale le cui riserve sono stimate in circa 1.500 miliardi di metri cubi. Nel mirino dei «volenterosi» dell’operazione «Protettore unificato» ci sono anche i fondi sovrani, i capitali che lo stato libico ha investito all’estero.
I fondi sovrani gestiti dalla Libyan Investment Authority (Lia) sono stimati in circa 70 miliardi di dollari, che salgono a oltre 150 se si includono gli investimenti esteri della Banca centrale e di altri organismi. Ma potrebbero essere di più. Anche se sono inferiori a quelli dell’Arabia saudita o del Kuwait, i fondi sovrani libici si sono caratterizzati per la loro rapida crescita. Quando la Lia è stata costituita nel 2006, disponeva di 40 miliardi di dollari. In appena cinque anni, ha effettuato investimenti in oltre cento società nordafricane, asiatiche, europee, nordamericane e sudamericane: holding, banche, immobiliari, industrie, compagnie petrolifere e altre.
In Italia, i principali investimenti libici sono quelli nella UniCredit Banca (di cui la Lia e la Banca centrale libica pos-siedono il 7,5%), in Finmeccanica (2%) ed Eni (1%): questi e altri investimenti (tra cui il 7,5% dello Juventus Football Club) hanno un significato non tanto economico (ammontano a circa 4 miliardi di euro) quanto politico.
La Libia, dopo che Washington l’ha cancellata dalla lista di proscrizione degli «stati canaglia», ha cercato di ricavarsi uno spazio a livello internazionale puntando sulla «diplomazia dei fondi sovrani». Una volta che gli Usa e la Ue hanno revocato l’embargo nel 2004 e le grandi compagnie petrolifere sono tornate nel paese, Tripoli ha potuto disporre di un surplus commerciale di circa 30 miliardi di dollari annui che ha destinato in gran parte agli investimenti esteri. La gestione dei fondi sovrani ha però creato un nuovo meccanismo di potere e corruzione, in mano a ministri e alti funzionari, che probabilmente è sfuggito in parte al controllo dello stesso Gheddafi: lo conferma il fatto che, nel 2009, egli ha proposto che i 30 miliardi di proventi petroliferi andassero «direttamente al popolo libico». Ciò ha acuito le fratture all’interno del governo libico.
Su queste hanno fatto leva i circoli dominanti statunitensi ed europei che, prima di attaccare militarmente la Libia per mettere le mani sulla sua ricchezza energetica, si sono impa-droniti dei fondi sovrani libici. Ha agevolato tale operazione lo stesso rappresentante della Libyan Investment Authority, Mohamed Layas: come rivela un cablogramma filtrato attra-verso WikiLeaks, il 20 gennaio Layas ha informato l’ambasciatore Usa a Tripoli che la Lia aveva depositato 32 miliardi di dollari in banche statunitensi. Cinque settimane dopo, il 28 febbraio, il Tesoro Usa li ha «congelati». Secondo le dichiarazioni ufficiali, è «la più grossa somma di denaro mai bloccata negli Stati uniti», che Washington tiene «in deposito per il futuro della Libia». Servirà in realtà per una iniezione di capitali nell’economia Usa sempre più indebitata. Pochi giorni dopo, l’Unione europea ha «congelato» circa 45 miliardi di euro di fondi libici.
L’assalto ai fondi sovrani libici avrà un impatto particolar-mente forte in Africa. Qui la Libyan Arab African Investment Company ha effettuato investimenti in oltre 25 paesi, 22 dei quali nell’Africa subsahariana, programmando di accrescerli nei prossimi cinque anni soprattutto nei settori minerario, manifatturiero, turistico e in quello delle telecomunicazioni. Gli investimenti libici sono stati decisivi nella realizzazione del primo satellite di telecomunicazioni della Rascom (Re-gional African Satellite Communications Organization) che, entrato in orbita nell’agosto 2010, permette ai paesi africani di cominciare a rendersi indipendenti dalle reti satellitari sta-tunitensi ed europee, con un risparmio annuo di centinaia di milioni di dollari.
Ancora più importanti sono stati gli investimenti libici nella realizzazione dei tre organismi finanziari varati dall’Unione africana: la Banca africana di investimento, con sede a Tripoli; il Fondo monetario africano, con sede a Yaoundé (Camerun); la Banca centrale africana, con sede ad Abuja (Nigeria). Lo sviluppo di tali organismi permetterebbe ai paesi africani di sottrarsi al controllo della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, strumenti del dominio neocoloniale, e segnerebbe la fine del franco Cfa, la moneta che sono costretti a usare 14 paesi, ex-colonie francesi. Il congelamento dei fondi libici assesta un colpo fortissimo all’intero progetto. Le armi usate dai «volenterosi» non sono solo quelle dell’operazione bellica «Protettore unificato».

22/04/2011, 23:54

Libia: esercito potrebbe rititarsi da Misurata.
Il viceministro degli Esteri libico ha affermato che l'esercito di Tripoli potrebbe ritirarsi da Misurata e lasciare che siano le tribù della zona ad affrontare gli insorti.

Venerdì 22 aprile 2011 23.32

http://www.unionesarda.it/Articoli/News/220824

23/04/2011, 00:09

Debord ha scritto:

La rapina del secolo: l’assalto dei «volenterosi» ai fondi sovrani libici
di Manlio Dinucci*

Anatomia dei fondi sovrani libici

Il petrolio in Libia ha generato un’enorme liquidità da investire all’estero. Soprattutto in Italia. Anatomia dei fondi sovrani libici. Il cui destino è ora incerto quanto quello di Gheddafi.

Secondo le stime dell'IEA1 la Libia, è il quarto produttore di petrolio in Africa, con una produzione media di 1,8 milioni di barili al giorno e riserve pari a 42 miliardi di barili. La crisi (guerra civile?) in corso nel Paese ha ridotto la produzione di greggio del 75%, con evidenti ripercussioni sui prezzi, ma i media rassicurano che Russia e Mare del Nord hanno riserve sufficienti a colmare tale deficit.

Ma dove sono investiti gli ingenti ricavi che la Libia (rectius: Gheddafi) incassa dalle esportazioni petrolifere? Finora se lo sono chiesto in pochi, e la risposta interessa il Belpaese molto da vicino. Perché fondi sovrani di Tripoli, in cui investiti i surplus generati dall'oro nero, hanno riempito il carrello della spesa anche dalle nostre parti.

E oggi rappresentano la faccia nascosta del petrolio libico.

In questi anni la Libia ha effettutato i suoi investimenti esteri attraverso la Banca centrale e due fondi sovrani2. Il primo è il fondo LAFICO (Libyan Foreign Investment Company), costituito nei primi anni Settanta. Il secondo è il fondo LIA (Libyan Investment Authority), costituito nel 2006 con capitali trasferiti dalla stessa LAFICO; detiene capitali per 70 miliardi di dollari (pari al 75% del PIL di Tripoli). Infine c’è la banca centrale. Secondo il Fondo monetario internazionale, le attività nette all'estero cumulate dei tre soggetti ammonterebbero a 152 miliardi di dollari a fine 2010, quasi il 160% del PIL.

Soggetti diversi ma che rispondono direttamente al governo libico (rectius: a Gheddafi), sebbene qualcuno li consideri distinti e reciprocamente autonomi3.

Negli ultimi due anni, il fondo LIA ha intrapreso un imponente piano di investimenti all'estero e in particolare in Italia. L'intensa sinergia con il nostro Paese è dovuta innanzitutto al mutato contesto geopolitico in cui Tripoli venne a trovarsi all'indomani della fine delle sanzioni Onu nel 2004. Per anni l'embargo aveva interdetto il fondo libico, uno dei dieci maggiori fondi sovrani al mondo, dalla partecipazione agli ambienti finanziari internazionali, ragion per cui fino a sette anni fa era quasi esclusivamente liquido. Cadute le restrizioni, Gheddafi si ritrovò una montagna di capitali da investire in giro per il mondo. A cominciare dall'Italia, alla luce del Trattato di amicizia del 2008 che inaugurò una più più stretta collaborazione tra i due Paesi.

Prima della scalata libica, l'Italia era uno tra i meno partecipati dai fondi sovrani esteri. Oggi gli investimenti libici nel nostro Paese sono diretti soprattutto nei comparti energetico, bancario, impiantistica ed infrastrutture. Da cui si può dedurre non solo l'intenzione di investire per massimizzare i propri rendimenti, ma anche di acquisire partecipazioni in settori considerati strategici. Influenzando a proprio vantaggio la volontà decisionale delle aziende in cui investono.
Le aziende italiane in cui la Libia è presente sono4:

Unicredit
Entrato in Banca di Roma nel 1997 con l'acquisizione dello 0,56% da parte del fondo LAFICO, oggi il governo libico detiene il 7,2% del primo gruppo bancario italiano. In palese violazione dello statuto.

Fiat
Nel 1976 il fondo LAFICO ha acquistato il 9% di FIAT, diventandone il secondo azionista dopo la famiglia Agnelli. Nel 1982 la partecipazione salì al 13%. Nel 1986 il fondo LAFICO ha ceduto la sua quota realizzando una plusvalenza di 2,6 miliardi di dollari. Nel 2000 il fondo LIA è entrato in Fiat acquistando il 2%.

Finmeccanica
Il fondo LIA detiene il 2.01% dell'azionariato e di recente aveva manifestato l'intenzione di arrivare al 5%. Va aggiunto che nel 2009 l'azienda ha firmato un accordo col governo libico per la cooperazione in un vasto numero di progetti, tra cui la creazione di una joint venture partecipata assieme al fondo LAFICO. Finmeccanica è molto attiva nel Paese, sia direttamente che tramite le controllate Ansaldo e Selex Sistemi Integrati, con contratti d’appalto per un valore complessivo di centinaia milioni di euro.

Juventus
Nel 2002 il fondo LAFICO ha acquistato il 5,31% della società, partecipazione salita al 7,5% nel 2009.

ENI
Il fondo LIA detiene l’1% di ENI, ma in base ad un precedente accordo ha facoltà di portare la sua partecipazione al 10%, diventando così il secondo azionista del gruppo dopo il governo italiano (che possiede il 30%). il gruppo ENI, ha un giro di affari in Libia pari al 13% del proprio fatturato. È il caso di ricordare la costruzione del gasdotto Greenstream realizzata da Saipem, il più lungo gasdotto sottomarino nel Mediterraneo, che unisce Libia e Italia convogliando otto miliardi di metri cubi di gas al giorno.

Mediobanca
Il fondo LIA detiene azioni per 500 milioni di dollari. Secondo molti esperti, l’investimento permetterà al governo libico di investire con maggiore libertà nelle imprese italiane.

Olcese
Il fondo libico LIA possiede il 21,7% della nota azienda tessile. Olcese è la prima società italiana in cui la Libia ha fatto il suo ingresso.

Retelit
La Lybian Post Telecommunications Information Technology Company è primo azionista del gruppo con il 14,798%.
Fonte: http://www.agoravox.it/Anatomia-dei-fon ... ibici.html

Mica male come "movente" eh...[8D]

23/04/2011, 00:32

Intanto, il presidente francese Sarkozy ha acettato l'invito del Consiglio di transizione libico di visitare Bengasi.

http://www.televideo.rai.it/televideo/p ... menumain=6

E che ci va a fare a Bengasi?Ad arraffare tutto il petrolio forse?!? [:251]
Ultima modifica di Lord Nerevar il 23/04/2011, 00:34, modificato 1 volta in totale.

23/04/2011, 10:15

L'ho detto ... Berlusconi aveva firmato il trattato e la Francia ce l'ha ... soffiato! [:(!]

23/04/2011, 11:44

http://www.repubblica.it/esteri/2011/04 ... -15284554/

TRIPOLI - Le forze di Muammar Gheddafi si starebbero ritirando dalla zona di Misurata, l'importante centro commerciale e porto della Tripolitania in mano ai ribelli a cui danno l'assedio da quasi due mesi. Un militare del regime catturato dai rivoltosi ha riferito che venerdì è arrivato l'ordine del ritiro. La sua dichiarazione conferma quanto anticipato dal viceministro degli Esteri libico, Khaled Kaim, su un cambio di strategia, legato alla volontà del regime di affidare le decisioni sul controllo della terza città libica alle tribù locali. "La situazione a Misurata sarà allentata e ad occuparsene con le buone o le cattive saranno le tribù e la gente di Misurata e non più l'esercito libico", ha affermato Kaim.

perfetto..

e se questa tribu` locale (i cittadini di misurata)
non vuole questi insorti
(provenienti dall`esterno..
come testimoniato da servizi rainews..)
che facciamo..
bombardiamo anche loro..??

chi assedia chi?
chi rappresenta chi?

ma quante bufale
dobbiamo ancora sentire??
Ultima modifica di mik.300 il 23/04/2011, 11:46, modificato 1 volta in totale.

23/04/2011, 12:15

(Bisognerebbe chiederlo a Sarkozy ...) [8)]

23/04/2011, 17:36

"La tattica dell'esercito è avere avere una soluzione chirurgica, ma con gli attacchi aerei non funziona", ha aggiunto Kaim, spiegando che l'idea è che le tribù cerchino prima un accordo con i ribelli, chiedendo loro di deporre le armi. Se ciò non accadesse, passeranno all'azione diretta, cercando di riprendere il controllo della città.

qualcuno si e` chiesto
se gli insorti sono di misurata?

ribadisco..
chi assedia chi?
ma era un assedio?

mah..
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