Per Hynekeniano; Di K. Descher, Storia Criminale del Cristianesimo - Tomo II: il Tardo Antico (2001) San Scenute, il priore del monastero Bianco di Atripe
Egitto, 348 circa - 466 d.C.
Scenute (che in saitico significa “figlio di Dio”, in ellenico Skenutes) ebbe al Concilio di Efeso, come accompagnatore, Cirillo, “un ruolo eminente” (Lessico di Teologia e Storia della Chiesa). Prima di intraprendere la brillante carriera ecclesiastica, come di frequente accade, da ragazzo Scenute allevò bestiame in Egitto. Presto entrò nel monastero Bianco dello zio Pgol, dove, secondo il suo discepolo Visa, a furia di punizioni e digiuni, “la pelle gli si era incollata alle ossa”. Dal 383 divenne lui stesso priore del monastero Bianco di Atripe nella Tebaide, un doppio monastero in cui vivevano 2200 monaci e 1800 monache. Persino Johannes Leipoldt, moderno biografo di Scenute che tanto spesso prende le sue difese, asserisce che fu “più duro di un tiranno” e tormentò “pagani e peccatori” con instancabile e “terribile violenza”, un uomo “il cui pugno è svelto come la sua lingua [...] un vero eroe”. Scenute, il “grande abate”, “profeta” e “apostolo”, non si tirò indietro né dal macchinare inganni alla luce del Sole, né tanto meno dal commettere omicidi di propria mano. Sapeva molto meglio trattare i propri monaci come figli minori: una risata, un sorriso e per decenni li bastonò selvaggiamente, occasionalmente uccidendone anche qualcuno. Visa, nella sua biografia Vita di Scenute, descrive ciò con una frase molto convincente: “... la terra si sollevò e il sacrilego precipitò ancora vivo all’Inferno.” Nei gruppi teocratici i maltrattamenti erano abbastanza in voga. Si bastonava non soltanto per rendere “migliore” e rafforzare la propria “autorità” ma, per così dire, anche per purificare magicamente e allontanare il miasma nocivo. La punizione corporale era prevista già dal diritto sacerdotale ebraico, ma non bisognava superare i 40, e in seguito i 39 colpi (il diritto egizio prevedeva 100 colpi, mentre il diritto ellenico, secondo i casi, ammetteva sia 50 che 100 colpi). In epoca cristiana la punizione corporale mediante la “frusta”, seppure mantenuta e praticata, era commisurata al ceto sociale! Anche le penitenze ecclesiastiche prevedevano la flagellazione. Il XVI Sinodo di Toledo (693) emise un’ordinanza che prevedeva 100 frustate per coloro che, provenienti dai ceti meno abbienti, avevano peccato di idolatria o di adulterio. Non soltanto i laici meno abbienti, ma anche gli stessi monaci subirono, dal V fino al XIX secolo, ogni sorta di punizioni corporali! In particolar modo nei monasteri, questa pratica fu in auge per lungo tempo; ancora Jean Paul scrive che “un novizio cattolico diventa monaco a furia di botte”. Scenute, alternando esaltazioni a profonde depressioni, aveva fissato per iscritto le regole in ogni particolare, che trattava come fosse una questione di Stato. Per Scenute non si trattava tanto di far “rispettare le regole importanti per il monastero, quanto di far valere i suoi diritti signorili”. Talvolta egli riconobbe la barbarie della sua autorità; confessò che Dio non gli suggerì mai di “condurre questa grande guerra”, promettendo solennemente di lasciare i peccatori al giudizio del Cielo. Purtroppo questi slanci duravano poco. Scenute agì, presume Leipoldt, più duramente di quello che le regole monacali richiedessero. Ogni infrazione doveva essere resa pubblica, e le spacconate erano attese con impazienza, ed anzi erano incoraggiate. Bastonava personalmente i fratelli che spesso si rotolavano a terra dal dolore. Quando uno dei monaci morì per le torture inflittegli, Scenute cercò di discolparsi in maniera sofisticata, anzi no, in maniera cristiana. Ma era ben consapevole della sua “posizione e del suo carattere” (così il benedettino Engberding), e il 7 abib (1 luglio) divenne Santo della Chiesa Copta. La rozzezza di Scenute si manifestò anche nei confronti di coloro che per “diventare puri”, si mozzavano i genitali. La rigidità della clausura deve aver tuttavia impedito rapporti sessuali o anche soltanto “atti impuri”. Ai monaci era vietato persino parlare insieme al buio, e le monache non potevano vedere il proprio fratello, neanche sul letto di morte! Un guaritore asceta non poteva curare né una donna né il membro di un uomo. La lussuria crebbe, almeno nella fantasia, in modo così smisurato da comparire nel libro dei peccati del monastero Bianco come ricorrente infrazione. Nonostante nella chiesa regnasse un delirio di castità, coloro che senza scrupoli si tagliavano il pene per “diventare puri” vennero banditi, e il Santo non ci mise molto a metterli alla porta. “Mettili su un letto e portali in strada così come sono, bagnati nel sangue delle loro ferite, [...] in modo da essere un [raccapricciante] esempio per tutti coloro che passano.” Ma del tutto impietoso non fu; infatti, per salvare l’anima di coloro che si erano mutilati, permise loro, senza per questo in alcun modo obbligarli, di non morire in prossimità del monastero Bianco: “Se lo desideri per volontà di Dio, consegnali ai loro parenti in modo che non muoiano vicino a noi...” L’abate si asteneva soltanto dal bastonare personalmente le monache, probabilmente perché non voleva essere indotto in tentazione. Una sorta di inviato permanente, un anziano, assolveva presso le monache questo suo compito. La “madre” del monastero, la badessa, doveva presentare al “padre” tutte le infrazioni passibili di pena, sulle quali lui decideva poi il numero delle frustate. Come in molti altri monasteri anche in questi due è attestata la presenza di bambini, su cui però sappiamo soltanto che anche per loro le pene corporali svolgevano “un ruolo di prim’ordine”; “nel monastero Bianco i bambini godevano del diritto di essere abbondantemente picchiati”. La loro condizione miserabile, nei monasteri cristiani, così come il Destino che ancora oggi li attende negli istituti cristiani, meriterebbe studi approfonditi! Una singolare epistola, tratta dal patrimonio letterario del monachesimo copto, ci riporta le modalità con cui Scenute faceva eseguire le punizioni corporali sulle monache: “Teonoe, la figlia di Apa Hermef, di cui ci avete informato nel primo periodo, ha commesso il gravissimo crimine di rubare: 30 bastonate. La sorella di Apa Psyros, di cui ci avete informato nel primo periodo, ha portato via nascosto alcune cose: 20 bastonate. Sofia, la sorella del piccolo vecchio, di cui ci avete informato, ha replicato immotivatamente e contraddetto coloro che la istruiscono e [molti] altri, e infine dato al vecchio uno schiaffo sul viso o sulla testa: 20 bastonate. Genbiktor, sorella del piccolo Giovanni, di cui ci avete informato, non ha completato i suoi esami: 15 bastonate. Taese, la sorella del piccolo Pschai, di cui ci avete informato si è recata da Sansn per amicizia e per voglie carnali: 15 bastonate. Takiis, che si chiama Rebecca, ha insegnato alla propria bocca a parlare con menzogna e ambizione: 25 frustate. Sofia, la sorella di Zaccaria: 10 bastonate. Lo so io il perché. Anche sua sorella Apolla avrebbe meritato le bastonate. Ma per volere di Dio e per la cura che le è dedicata, questa volta la perdoniamo, anche se per quell’atto illecito, ma anche per le vesti che indossa con ambizione.. Sono certo che non le potrebbe tollerare [le bastonate], perché è molto grassa... Sofia, la sorella di Giuseppe: 15 bastonate. Lo so io il perché. Sansno, la sorella di Apa Hello, dice: «Io insegno alle altre!»: 15 bastonate. A volte corre verso la sua compagna piena di amicizia; a volte ha mentito con vanità del passato, così da nuocere alla sua anima. Se l’intero mondo non ha valore, figuriamoci quanto possano valere un quadro, una scodella o un bicchierino per le quali ha mentito. L’anziano le darà con le sue mani [cioè personalmente] tutto questo [le bastonate] sui suoi piedi mentre la vecchia, Tabon ed altre donne più anziane la terranno ferma. E anche le vecchie... Come abbiamo fatto anche noi all’inizio, con un bastone le terranno fermi i piedi finché lui non avrà finito di punirla. Quando verrà da noi, ci dovrà nominare coloro che, per qualche motivo, gli dovessero opporre resistenza e noi vi insegneremo come bisognerà comportarsi. Se volesse dargli più bastonate, bene; ciò che farà, sarà giusto. Dovrà decidere lui se invece vorrà dargliene di meno. Se volesse espellerne qualcuna, bene. Se invece il suo cuore sarà soddisfatto di alcune di voi e le vorrà perdonare... bene.” Di sovente la pena dell’espulsione era preceduta da carcere e torture (flagellazioni). Il teologo Leipoldt giustifica queste ed altre mostruosità! In sintesi dice: “Il successo è evidente. Scenute ha salvato il suo monastero dai pericoli della crescita repentina e lo ha tutelato così come ha potuto. Successivamente ci si era ormai abituati alla durezza delle regole...” L’operato di Scenute non si limitò alle punizioni corporali, per quanto intenso e continuativo fosse. In Egitto, il suo terrore fu intimamente connesso alla sconfitta del paganesimo. E questo accadeva proprio dove già Clemente di Alessandria trovava le persone del loro culto “peggio delle scimmie”, un luogo in cui, a partire dalla fine del IV secolo, la violenza è più accentuata che altrove. Le campagne di sterminio furono quasi sempre condotte da abati o vescovi che vedevano i magnifici templi pagani soltanto come focolai di infezione e come roccaforti di Satana. I più ripugnanti distruttori furono proprio i “porci dalle gonne nere”, come dicevano gli Ellenisti, sembravano uomini ma vivevano come porci. Asceti, che reprimendo ogni tipo di pulsione erano particolarmente inclini all’aggressione e alla distruzione, non disdegnando neanche di mandare in rovina l’esistenza tragicomica di ogni sorta di eccentrici che affollavano le loro fila. Già soltanto l’origine dei più famosi Santi ha un valore esemplare: Scenute fu pastore, Macario contrabbandiere, Mosè borseggiatore, Antonio un pessimo scolaro. I loro seguaci e compagni di fede avevano scelto “l’anti-cultura” e guadagnarono la stima del mondo cristiano proprio perché affrontarono “il Diavolo come pugili professionisti” (Brown). Rivestiti di pelli, attraversavano il Paese, in orde esaltate, spesso saccheggiando templi, bruciando e distruggendo opere d’arte grandiose che per loro non erano che immagini pagane. Quando i funzionari statali cominciarono ad occuparsi meno della persecuzione dei Pagani, furono i monaci a prenderne la direzione. Non mancavano mai di attaccare un vecchio santuario, di ridurre in cenere sinagoghe e chiese eretiche, o di trovare il modo di impossessarsi di denaro. Frotte avide di bottino si appropriavano indebitamente di interi villaggi sospettati soltanto di miscredenza. L’imperatore Teodosio I osò lamentare al vescovo Ambrosio che “gli stessi monaci commettono molti crimini”, bandendoli il 2 settembre 390 dalle città; ma già il 17 aprile 392 il bando venne revocato. Forse si era rammentato di un passo sui monaci, scritto dal molto stimato Libanio, il pagano illuminato, che si stupiva del fatto che i Cristiani “possano mangiare come elefanti e svuotare un considerevole numero di bicchieri” e che possano condurre una vita che “abilmente celano sotto un finto pallore” (molti discorsi e più di 1500 lettere fanno di Libanio uno dei più documentati pensatori del passato). Nel 389 invia al suo sovrano una lettera A Favore dei Templi, in cui denuncia il fatto che un fiume in piena stava giungendo per distruggere i templi causando al Paese effetti disastrosi. “O imperatore, sebbene la tua legge sia ancora in vigore [...] assaltano i templi carichi di ceppi di legno o armati di pietre o spade, o alcuni soltanto con le unghie e coi denti. E poi, come se fossero beni abbandonati, demoliscono i tetti, abbattono i muri, distruggono le immagini sacre e fracassano gli altari. Ai sacerdoti non rimane che il silenzio o la morte. Distrutto il primo tempio si affrettano a raggiungere il secondo e poi il terzo; e a scherno della legge ammucchiano trofei su trofei.” La distruzione dei templi necessitava di un permesso statale. In Siria nel 399 lo sterminio viene legalmente autorizzato. Nello stesso anno in Occidente, dove l’aristocrazia romana ancora difendeva il vecchio culto, i templi erano ancora legalmente tutelati; nel 407 però la costituzione promulgata sotto Stilicone confiscò tutti i templi pagani nei pressi di Roma. In Oriente invece fu Teodosio II a decretare la definitiva chiusura dei templi, l’esorcismo e la distruzione del luogo. Tutto ciò doveva accadere senza alzare alcun polverone (sine turba ac tumultu), poiché le istituzioni, i funzionari, i soldati spesso tolleravano il paganesimo più delle leggi emanate sotto pressione ecclesiastica; il clero si unì al popolo e senza alcuna autorizzazione si divertì a distruggere i templi (antica “Notte dei Cristalli”). Come vuol far credere il gesuita Grisar, si diressero verso la “cristianizzazione” principalmente “grazie ai tumulti provocati dai Pagani”. Soprattutto nelle province orientali, dove predominava il cristianesimo e la resistenza pagana divenne soltanto, nel doppio senso del termine, “accademica” (Jones), già nella seconda metà del IV secolo venivano distrutti sempre più templi e frequentemente masse di fanatici si gettavano in modo sanguinario sui non cristiani. Si sa che sporadicamente ci furono tentativi di resistenza, ma non si sa nulla di preciso in proposito. Il terrore era, grazie a Scenute, già da tempo letterariamente annunciato. Seguendo un modello già sperimentato, nei suoi scritti ricoprì di infamia e di vergogna idoli e idolatri, gli adoratori di legno, pietre, “uccelli e coccodrilli, animali selvaggi e bestiame”. Mise in ridicolo l’accensione di luci e lo spargimento dell’incenso, rituali praticati tuttora dal cattolicesimo, ma con la differenza che i Cattolici accendono candele per un solo Dio (e per i Santi), e non per gli “Dèi”. Scenute si servì di una tattica ancora oggi praticata nei circoli cattolici: davanti alle masse si esprimeva in modo rude e grossolano per incitare all’odio e al fanatismo, mentre davanti a un pubblico più altolocato esponeva invece con toni più colti e tentava, per quanto difficile gli risultasse, di avvincere i suoi avversari con la fairness. “Così come Scenute non provava per i Pagani e i loro riti altro che scherno, esultava per la sanguinosa guerra di sterminio che proprio in quegli anni la plebaglia conduceva contro l’ultimo sacerdote ellenista. Elogiò “regnanti e condottieri giusti” che abbattevano i templi e distruggevano le immagini degli Dèi pagani. Lo rallegrava che le statue fossero portate via, e lo divertivano le canzoni burlesche dei Cristiani sui Pagani e sui loro templi.” (Leipoldt) Allora e in seguito Scenute, il “grande abate”, nemico della scienza e degli Ellenisti, uno zelota cattolico, che elogiava a squarciagola tutti i potenti che distruggevano i templi e le statue degli Dèi - che dall’assassinio di Giuliano l’Apostata in poi furono “all’ordine del giorno” (Funke) - devastò il Paese. Alla testa di un esercito di asceti, addestrati quasi militarmente, incitati e affamati quanto basta (carne, pesce, uova, formaggio erano vietati, ed era permesso un solo pasto al giorno a base di pane e acqua), Scenute si introduceva nei templi, li saccheggiava e li demoliva, gettando le immaginI degli Dèi nel Nilo. Tutto ciò che era pregiato o che prometteva guadagno, se lo portava nel monastero. Poco prima di morire, presumibilmente all’età di 118 anni, attaccò un tempio nella Tebaide. Anche il teologo Leipoldt non poté fare a meno di definire indiscutibilmente “profitto” di Scenute il fatto che “dopo il 450 nell’Egitto Settentrionale i vecchi Dèi non furono più venerati”. Il Santo, più di una volta, distrusse di propria mano templi della sua stessa patria. “L’esempio di Cirillo, suo arcivescovo, lo autorizzò a raggiungere facilmente e comodamente il successo”, scrive Leipoldt a proposito dell’incendio appiccato da Scenute a un santuario nei pressi di Atripe, o del tempio nel villaggio di Pneuit (Pleuit). “I Pagani testimoni dei suoi atti non osarono opporre resistenza. Gli uni fuggirono come “volpi inseguite dai leoni”. Gli altri si limitarono a implorarlo di “avere rispetto per le nostre città”, il che significa per i nostri templi! Soltanto in pochi trovarono il coraggio di minacciare Scenute: egli avrebbe potuto procedere legalmente solo se la ragione fosse stata dalla sua parte. Di fatto, all’ultimo momento, anche le voci che si erano alzate tra i perseguitati, per paura delle conseguenze, consigliarono la pace. Ma Scenute credette di doverle ignorare. Egli si era prefisso il compito di completare l’opera per il bene del suo arcivescovo [San Cirillo] e dell’autorità cristiana. Dai templi portò via ogni oggetto trasportabile, lampade sacre, libri di magia, offerte, recipienti per il pane, oggetti di culto, i doni per l’ordinazione, persino le immagini sacre, tornando così al monastero con un ricco bottino: forse non senza motivo, più tardi, si rinfacciò a Scenute di essersi appropriato di inestimabili tesori con la scusa di dover far fronte ai tempi di magra dei monaci. Questi atti provocarono inevitabili e sgradevoli conseguenze. Quando un hegemon pagano si recò ad Antinou, Scenute fu accusato dai sacerdoti del tempio saccheggiato. Ma essi si sbagliarono credendo che i funzionari pagani sarebbero stati dalla loro parte: infatti non consideravano che il popolo li esecrava, e inoltre venerava Scenute. Ma il giorno dell’udienza Scenute non si presentò da solo ad Antinou: nella città affluì una tal massa di cristiani, uomini e donne provenienti da ogni luogo del Paese, da impedire quasi l’accesso ai sacerdoti pagani. Di ora in ora il loro numero crebbe e, poco prima che iniziasse il dibattimento, la massa dei Cristiani cominciò a gridare in coro: «Gesù! Gesù!» La furia del popolo sovrastò la voce del giudice, vanificando così il processo. Scenute fu portato in trionfo nella cosiddetta “Chiesa d’Acqua”, dove tenne una violenta predica contro i Pagani.” (Leipoldt) Rapine, rovina, esaltazione popolare e salassi colpirono a morte soprattutto i ricchi proprietari terrieri ellenisti, la classe signorile che deteneva l’economia. L’incendio del grande tempio di Panopoli liquidò così anche la ricca elité pagana. L’abate, per “ripulire” la zona e distruggere ogni oggetto diabolico legato al culto degli Dèi, s’introdusse anche nelle case degli altri notabili che non risparmiò di massacrare. Una notte, ad Akhmin, Scenute si introdusse di nascosto nella casa di Gesio, che si trovava fuori città, e distrusse, gettandoli nel fiume, i suoi “idoli”. Gesio espose le sue lamentele al governatore ma, come riporta la Vita di Scenute, “da quando Cristo gli tolse i suoi beni, nessuno sentì più parlare di lui”, una formula che evidentemente sta ad indicare le azioni omicide del Santo. Anche quando, insieme ai suoi monaci, come Scenute stesso ammise, fracassò a Panopoli una statua pagana molto venerata, depredò e incendiò la città, agli abitanti riservò lo stesso Destino di Gesio, dicendo che “dopo il massacro le loro spoglie vennero gettate al vento e nessuno sentì più parlare di loro...” “Un carattere [...] duro, rude e irascibile, ma anche irresistibile e avvincente”, per il quale aveva valore “soltanto la pratica”: “Ubbidire a Dio ed eseguire il suo lavoro.” (Lessico di Teologia e Storia della Chiesa) Anche nella Patrologia di Altaner, un’opera altrettanto fondamentale per la teologia cattolica, Scenute figura (con imprimatur ecclesiastico del 1978) come “il più energico organizzatore del movimento monastico egiziano”, “il più importante scrittore del cristianesimo nazionale copto”. Anche Ernest Stein acclama l’abate come il più straordinario intellettuale del suo popolo, “l’eroe della letteratura copta”, ma aggiunge anche che “la sua attitudine rude che non lo fece indietreggiare innanzi a nulla, gli assassinii e gli atti di violenza commessi di propria mano, il suo infimo livello intellettuale” ci forniscono “il parametro per poter misurare il grado di miseria della sua nazione”.
Buona lettura Cecco
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