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MessaggioInviato: 18/04/2011, 00:07 
TRADIZIONI DI ATLANTIDE

Troviamo allusioni agli Atlantidei nelle tradizioni più antiche di molte razze diverse. Il gran re di prima del diluvio, per i musulmani, si chiamava Shedd-Ad-Ben-Ad, ossia Shed'Ad, figlio di Ad, o di Atlantide. Tra gli Arabi, i primi abitanti del loro paese erano noti come Aditi, dal nome del progenitore Ad, nipote di Cam. Questi Aditi erano probabilmente gli abitanti di Atlantide o Ad'lantis. "Sono impersonati da un monarca a cui tutto viene attribuito, e che si dice sia vissuto per diversi secoli". (Lenormant e Chevallier, "Ancient History of the East", vol. II, p. 295).

Ad proveniva dal nord-est. "Sposò un migliaio di mogli, ebbe quattromila figli e visse milleduecento anni. I suoi discendenti si moltiplicarono notevolmente. Dopo la sua morte i suoi figli Shadid e Shedad regnarono in successione sugli Aditi. Al tempo di quest'ultimo, il popolo di Ad era composto da un migliaio di tribù, ognuna composta di diverse migliaia di uomini. Grandi conquiste sono attribuite a Shedad, e si dice che gli fossero sottomessi, tutta l'Arabia e l'Iraq. La migrazione dei Cananei, il loro insediamento in Siria, e l'invasione dei Pastori in Egitto sono attribuiti, secondo molti scrittori arabi, a una spedizione di Shedad". (Ibid., p. 296).

Shedad costruì un palazzo ornato di colonne superbe, e circondato da un magnifico giardino. Si chiamava Irem. "Era un paradiso che Shedad aveva costruito a imitazione del paradiso celeste, delle cui delizie che aveva sentito parlare". ("Ancient History of the East", p. 296).

In altre parole, un'antica, potente razza conquistatrice, che praticava il culto del sole, invase l'Arabia agli albori della storia, erano i figli di Adlantide: il loro re cercò di creare un palazzo e un giardino dell'Eden come quelli di Atlantide.

Gli Aditi sono ricordati dagli Arabi come una razza grande e civile. "Essi sono rappresentati come uomini di statura gigantesca, la loro forza era pari alle loro dimensioni, e spostavano facilmente enormi blocchi di pietra". (Ibid.) Erano architetti e costruttori. "Innalzarono molti monumenti al loro potere, e quindi, fra gli arabi, nacque l'usanza di chiamare le grandi rovine "costruzioni degli Aditi". Ancora oggi gli arabi dicono "vecchio come Ad". Nel Corano si fa allusione agli edifici costruiti su "alti luoghi per usi vani", espressioni che dimostrano che si ritiene che la loro "idolatria fosse stata contaminata con il Sabeismo o culto delle stelle". (Ibid.)

"In queste leggende, " dice Lenormant, "troviamo tracce di una nazione ricca, che erigeva grandi costruzioni, con una civiltà avanzata, analoga a quella della Caldea, che professava una religione simile a quella babilonese, una nazione, in breve, nella quale il progresso materiale si congiungeva ad una grande depravazione morale e a riti osceni. Questi fatti devono essere veri e strettamente storici, perché si ritrovano dappertutto tra gli Etiopi, come tra i Cananei, i loro fratelli per l'origine comune".

Non manca neppure in questa tradizione una grande catastrofe che distrugge l'intera nazione Adite, ad eccezione di pochissimi che scappano perché avevano rinunciato all'idolatria. Una nuvola nera invade il loro paese, da cui procede un uragano terribile (il getto d'acqua?), che spazza via tutto.

I primi Aditi furono seguiti da una seconda razza di Aditi, probabilmente i coloni scampati al Diluvio. Il centro del loro potere era nei dintorni del paese di Saba. Questo impero resse per mille anni. Gli Aditi sono rappresentati nei monumenti egiziani come molto simili agli stessi Egiziani, in altre parole erano una razza rossa o bruciata dal sole: i loro grandi templi erano piramidi, sormontate da edifici. ("Ancient History of the East", p. 321).

"I Sabei", dice Agatarchide ("De Mari Erythræo", p. 102), "hanno in casa un numero incredibile di vasi e utensili d'ogni genere, letti d'oro e d'argento, e tripodi d'argento, e tutti i mobili di straordinaria ricchezza. I loro edifici hanno portici con colonne rivestite d'oro, o sormontate da capitelli in argento. Sui fregi, gli ornamenti, e le cornici delle porte, mettono targhe d'oro incrostate di pietre preziose".

Tutto questo ricorda una delle descrizioni fornite dagli spagnoli dei templi del sole in Perù. Gli Aditi adoravano gli dèi dei Fenici, ma con nomi leggermente cambiati, "la loro religione era soprattutto solare ... In origine era una religione senza immagini, senza idolatria, e senza un sacerdozio". (Ibid., p. 325.) Essi "adoravano il sole dalle cime delle piramidi". (Ibid.) Essi credevano nell'immortalità dell'anima.

In tutte queste cose vediamo rassomiglianze con gli Atlantidei.

Il grande Impero Etiope o Cuscita, che nei primi secoli prevalse, come dice Rawlinson, "dal Caucaso all'Oceano Indiano, dalle sponde del Mediterraneo sino alla foce del Gange", era l'impero di Dioniso, l'impero di "Ad", l'impero di Atlantide. El Edrisi chiama la lingua parlata ancora oggi da parte degli arabi di Mahrah, in Arabia Orientale, "la lingua del popolo di Ad, " e il Dr. J.H. Carter, nel Bombay Journal di luglio 1847, dice: "E' il linguaggio più morbido e dolce che abbia mai sentito". Sarebbe interessante confrontare questa lingua primitiva con le lingue del Centro America.

Il dio Thoth degli Egiziani, che proveniva da un paese straniero e che inventò le lettere, era chiamato AtÂÂ#65533;hothes.

Ci rivolgiamo ora a un'altra razza antica, la famiglia indoÂÂ#65533;europea, la razza ariana.

In sanscrito Adim significa in primo luogo. Tra gli indù il primo uomo si chiamava AdÂÂ#65533;ima, la moglie era Heva. Essi si stabilirono su un'isola, che si dice essere Ceylon; lasciarono l'isola e raggiunsero la terra ferma, quando, a causa d'un sommovimento terrestre di grande importanza, la loro comunicazione con la terra madre fu tagliata per sempre. (Vedi "Bible in India").

Qui sembra di vedere un ricordo della distruzione di Atlantide.

Bryant dice: "Ad e Ada significano il primo. "I Persiani chiamavano il primo uomo "AdÂÂ#65533;amah". "Adone" era uno dei nomi del Dio Supremo dei Fenici, da esso è derivato il nome del dio greco "AdÂÂ#65533;one". L'ArvÂÂ#65533;ad della Genesi era l'ArÂÂ#65533;Ad dei Cusciti, ora conosciuto come RuÂÂ#65533;Ad. Si tratta di una serie di città collegate su dodici miglia di lunghezza, lungo la costa, piene di rovine massicce e gigantesche.

Sir William Jones fornisce la tradizione dei Persiani, sin dalle epoche più antiche. Egli dice: "Moshan ci assicura che, a giudizio dei persiani più informati, il primo monarca dell'Iran e di tutta la terra fu MashabÂÂ#65533;Ad, che ricevette dal Creatore, e promulgò tra gli uomini, un libro sacro, scritto in un linguaggio celeste, a cui l'autore musulmano dà il titolo arabo di ´Desatir, ' o ´Regolamenti'.

MashabÂÂ#65533;Ad era, a giudizio degli antichi persiani, la persona soprevvissuta alla fine dell'ultimo grande ciclo, e di conseguenza il padre del mondo attuale. Lui e sua moglie erano sopravvissuti al ciclo precedente, furono benedetti con una prole numerosa, piantarono giardini, inventarono ornamenti, forgiarono armi, insegnarono agli uomini a prendere il vello di pecora per farne capi d'abbigliamento; costruirono città, palazzi, borghi fortificati, e intrapresero le arti e il commercio". Abbiamo già visto che le divinità primordiali di questo popolo sono identiche ali dèi della mitologia greca, ed erano in origine i re di Atlantide. Ma sembra che queste antiche divinità raggruppate fossero note come "gli Aditya", e in questo nome "AdÂÂ#65533;itya" troviamo una forte somiglianza con il semitico "Aditi" e un altro ricordo di Atlantide, o Adlantis. A conferma di questo punto di vista troviamo che:

1. Gli dèi raggruppati sotto il termine Aditya sono i più antichi della mitologia indù.

2. Sono tutti dèi della luce, o dèi solari. (Whitney, "Oriental and Linguistic Studies", p. 39).

3. Sono dodici. (Ibid.)

4. Questi dodici dèi presiedevano i dodici mesi dell'anno.

5. Sono un debole ricordo di un passato molto remoto. Whitney dice: "Sembra qui che ci sia stato un tentativo da parte della religione indiana di assumere un nuovo sviluppo in una direzione morale, sforzo del quale un cambiamento del carattere e delle circostanze del popolo causò il fallimento, e la caduta di nuovo in oblio, mentre era ancora a metà e indistinto". (Ibid.)

6. Questi dèi erano chiamati "i figli di Aditi", proprio come nella Bibbia abbiamo allusioni ai "figli di Adab", che furono i primi metallurgisti e musicisti. "Aditi non è una dea. Lei è riconosciuta come figlia di una regina, ed ha dei figli".

7. Gli Aditya "sono elevati sopra ogni imperfezione, perché non dormono né chiudono occhio". I greci rappresentavano i loro dei come altrettanto vigili e onniscienti. "Il loro carattere è tutto per la verità, odiano e puniscono ogni colpa". Abbiamo visto gli stessi tratti attribuiti dai greci ai re di Atlantide.

8. Il sole è a volte definito come un Aditya.

9. Tra gli Aditya c'è Varuna, l'equivalente di Urano, la cui identificazione con Atlantide ho dimostrato. Nei Veda, Varuna è "il dio del mare".

10. Gli Aditya rappresentano una prima forma e più pura della religione: "Mentre negli inni alle altre divinità gli oggetti per cui comunemente si prega sono la lunga vita, la ricchezza, il potere, agli Aditya si implorano purezza, il perdono dei peccati, la libertà dalla colpa e il pentimento".

("Oriental and Linguistic Studies, p. 43).

11. Gli Aditya, come gli Adites, sono identificati con la dottrina dell'immortalità dell'anima. Yama è il dio della dimora oltre la tomba. Nel racconto persiano egli appare come Yima, e "è sovrano del periodo d'oro e fondatore del Paradiso". (Ibid., P. 45). (Vedi "Zamna", p. 167 ante).

In considerazione di tutti questi fatti, non si può dubitare che le leggende dei "figli di Ad", "gli Adites" e "gli Aditya, " facciano tutte riferimento ad Atlantide.

George Smith, nel racconto caldeo della creazione (p. 78), decifrato dalle tavolette babilonesi, mostra che vi era una razza originale di uomini, all'inizio della storia caldea, una razza oscura, chiamata ZalmatÂÂ#65533;qaqadi, o AdÂÂ#65533;mi, o Ad'ami, ed erano la razza "che era caduta", e si distinguevano dai "Sarku, o la razza della luce". La "caduta" si riferisce probabilmente alla loro distruzione da un diluvio, in conseguenza del degrado morale e dell'indignazione degli dèi. Il nome di Adamo appare chiaramente in queste leggende, ma come il nome di una razza, non di un uomo.

La Genesi (cap. V, 2) dice chiaramente che Dio ha creato l'uomo maschio e femmina, e "gli ha dato il nome di Adam. "Vale a dire, quella gente si chiamava AdÂÂ#65533;ami, la gente di "Ad", o Atlantide.

"L'autore del Libro della Genesi", dice SchÂÂ#65533;bel, "parlando di uomini che erano stati inghiottiti dal diluvio, li chiama sempre 'Haadam', 'umanità Adamita'". La razza di Caino visse e si moltiplicò lontano dalla terra di Seth, in altre parole, lontano dal paese distrutto dal diluvio. Giuseppe Flavio, che ci dà la primitiva tradizione degli ebrei, dice (cap. II, p. 42) che "Caino viaggiò per molti paesi", prima di arrivare nella terra di Nod. La Bibbia non dice che la razza di Caino perì nel diluvio. "Caino si allontanò dalla presenza del Signore", non chiamò il suo nome, le persone che furono distrutte erano i "figli di Geova". Tutto questo indica che colonie di grandi dimensioni erano state inviate dalla madrepatria, prima che affondasse nel mare.

Al di là dell'oceano si trova che il popolo del Guatemala rivendica la propria discendenza da una dea chiamata AtÂÂ#65533;tit, o nonna, che visse per quattrocento anni, e per prima insegnò il culto del vero Dio, che poi fu dimenticato. (Bancroft, "Native Races", vol. III, p. 75). Mentre la famosa pietra messicana del calendario mostra che il sole era comunemente chiamato Tonatiuh, ma quando ci si riferisce ad esso come il dio del Diluvio esso è chiamato Atl-tona-ti-uh, o At-onatiuh. (Valentini, "Mexican Calendar Stone", art. Maya Archaeology, p. 15).

Si trovano così i figli di Ad alla base di tutte le razze più antiche di uomini, cioè gli Ebrei, gli Arabi, i Caldei, gli Indù, i Persiani, gli Egizi, gli Etiopi, i Messicani e i Centroamericani; testimonianza che tutte queste razze facessero riferimento per le loro origini ad un vago ricordo di Ad-lantis.

http://www.antikitera.net/news.asp?id=5567&T=2




I POPOLI DI ATLANTIDE NEL MEDITERRANEO ANTICO

Non deve assolutamente trarci in inganno il fatto che oggi noi chiamiamo Oceano Atlantico l'ampia distesa d'acqua ad occidente delle coste europee. Tale corrispondenza di nomi è invece spesso addotta come indizio, o addirittura come prova, dai fautori di un'Atlantide posta nei Caraibi, o intorno alle Azzorre, e sprofondata nelle più oscure fosse oceaniche.

Erodoto, che scriveva un'ottantina d'anni prima di Platone, ignorava ogni cosa dell'Europa Occidentale: "Per quanto riguarda l'estremo occidente dell'Europa, nessun testimone oculare mi ha potuto confermare che al di là di esso esista un mare" (III, 115). "Nessuno può dire se essa (l'Europa) sia circondata dall'acqua" (IV, 45). Pytheas, trent'anni dopo la morte di Platone, fu il primo a indicare come Okeanos la vasta distesa del mare occidentale, che poi per tutto il medioevo fu chiamato "Mare delle Tempeste" o "dell'Oscurità". Tacito, nell'anno 50 d.C., scriveva che la Germania, la Danimarca e le isole britanniche si affacciavano sull'Oceano. Nel 150 d.C., la celebre Geografia di Tolomeo lo designavano come "oceano occidentale".

Il nome Oceano Atlantico fu adottato molto tardi, soltanto tra i sec. XVI e XVII, posteriormente alla "scoperta" dell'America, che in un primo momento si pensò proprio di battezzare "Atlantide". È quindi ingannevole e falsa la considerazione (da molti addotta a sostegno delle loro ipotesi) che il nome attribuito in epoche recenti all'oceano Atlantico debba indicare una sua relazione con la collocazione dell'antica Atlantide.

Esiste una tradizione orale berbera che chiama "Bahr Atala", ossia "mare d'Atlantide" la regione dello Chott el Djerid, proprio quello che era il fondo dell'antico grande lago la cui tracimazione, secondo i miei studi e le mie ipotesi, fu causa della rovina di Atlantide. Sul fondo di quel grande lago riposa il probabile relitto d'una grande nave, recentemente identificato grazie alla fotografia satellitare. (Nota 1)

Sembra opportuna, a tale proposito, riportare integralmente la notizia dal sito http://www.liutprand.it.

"RITROVATA DAL SATELLITE UNA NAVE DI ATLANTIDE?

Uno strano oggetto appare nelle foto satellitari di Google Earth, in un punto del Grand Erg orientale, nel profondo sud dell'Algeria, verso est, in direzione della Tunisia e di Ghadamès, dove secondo le mie ricerche c'era il gran lago che 'affondò' Atlantide con la tracimazione delle proprie acque.

Le coordinate geografiche dell'oggetto semisepolto nelle sabbie sono: 31°01'25" N - 7°58'32" E. La località si trova in prossimità dei campi petroliferi denominati Rhourde el Khrouf, in corso di sfruttamento, a non grande distanza da Rhourde El Baguel (un centinaio di km verso Sud-est, in direzione del confine tunisino). Rhourde El Baguel è per importanza il secondo giacimento petrolifero dell'Algeria, ragion per cui la presenza umana nella zona non è così rarefatta come si potrebbe pensare, quando si parla di 'gran deserto di sabbia', ma è una zona con piste d'atterraggio e con un certo passaggio d'auto fuoristrada. Ecco perché nei dintorni si vedono piste, casupole e tracce d'autoveicoli.

La misteriosa forma affusolata, molto simile ad una chiglia di nave rovesciata, è inserita quasi in diagonale all'interno d'altre tracce (formate da due linee parallele) che formano un ampio rettangolo (dimensioni di circa 120 x 200 m) e s'interrompono verso Nord presso la cresta d'una duna. Dall'alto a destra di questa specie di 'recinto' provengono altre due tracce parallele che scavalcano la cresta della duna, e sono con evidenza le tracce delle ruote d'un veicolo fuoristrada. Anche quello che sembra un "recinto rettangolare" potrebbe essere prodotto dalle tracce di fuoristrada che vanno dritto, anziché zigzagare... il passo tra le ruote è esattamente identico, come si può notare dall'esame dell'altra traccia che scavalca la duna.

L'oggetto appare in rilievo, in una leggera depressione scavata dal vento lungo i lati della punta. Si direbbe trattarsi d'un lungo oggetto affusolato, affondato nella sabbia all'estremità in basso a sinistra e sollevato all'estremità verso l'alto a destra della foto (ossia N-E). Occorre infatti tener conto che l'illuminazione solare della foto proveniva da Sud-est, ossia da destra in basso. L'oggetto dev'essere costituito da materiali abbastanza robusti da averne impedito la deformazione, nonostante una prolungata esposizione agli agenti atmosferici ed alle azioni corrosive dei venti del deserto.

La foto satellitare risale al 20 gennaio 2005.

L'oggetto è segnalato sulla cartografia di Google Earth col seguente tag: "ancient alien spacecraft - I found this crazy thing in the desert of Algeria. I have no idea what this it but it looks great. found date: 19.07.2006 found by: minel72 forum-id: http://www.googleearthhacks.com/forums/ ... php?t=7604".

Secondo la persona che l'ha segnalata (che si qualifica con lo pseudonimo "minel72"), la 'matita', lunga circa un centinaio di metri, potrebbe essere un oggetto di provenienza aliena... non potrebbe invece essere un'antica nave?

Il manufatto appare chiaramente artificiale, ancorché l'ipotesi extraterrestre appaia azzardata. Il relitto non ha tuttavia per nulla l'aria di un manufatto moderno.

Se fosse una struttura militare, avrebbero provveduto ad oscurarla su Google Earth, come altre... Sul fondo di quello che fu, sino al 1200 a. C., uno dei più grandi laghi che circondavano l'area del bacino Mediterraneo, possiamo supporre che si tratti proprio del relitto della carena d'una nave, e d'una nave dell'antico popolo dei Tjehenu che popolava quest'area e che le mie ricerche fanno identificare come 'il popolo d'Atlantide'.

Il calcolo delle quote dà come risultato una lunghezza dell'oggetto misterioso, sepolto nelle sabbie, di 100 metri, da punta a punta.

Si tratterebbe quindi di una nave piuttosto lunga, ma ho altresì scoperto che delle navi 'minoiche' (le più vicine alla cultura della nostra Atlantide, per l'epoca e per lo stile) non si conoscono misure precise, dato che nessun relitto è stato trovato in condizioni adeguate per misurarle.

La presenza d'un relitto di tali dimensioni nel gran lago interno si giustificherebbe non tanto con esigenze legate alla navigazione, quanto piuttosto con ragioni cerimoniali. Si veda a tale proposito il celebre dipinto rupestre di Jabbaren, con le offerte cerimoniali e la veduta della barca nel lago".

Sulla tradizione berbera del nome "Bahr Atala" si basarono anche gli archeologi francesi e tedeschi che negli anni tra il 1920 ed il 1938 svolsero scavi nel sud tunisino, alla ricerca di qualche traccia dell'impero perduto d'Atlantide. (Nota 2)

Ebbene, tale tradizione trova un importante appoggio in un testo molto antico, il Libro dei Giubilei, che fa parte della Bibbia ebraica e di quella copta, mentre nella tradizione cattolica è considerato un testo apocrifo. Il Libro dei Giubilei elenca tutte le genealogie dei successori d'Adamo. Nei capitoli che trattano della divisione del mondo tra i figli di Noé, più volte è elencato "il grande lago" come limite di espansione verso ovest delle terre affidate a Cam ed ai suoi discendenti, e almeno in una circostanza il lago è chiamato espressamente "Bahr Atala" o "Bahr Atil" (la vocalizzazione dipende dal tipo di traduzione).

"[22] E a Cam uscì (in sorte) la seconda parte, verso la regione al di là del Ghihon, verso nord, a destra (= a nordest) del Giardino (terrestre = Eden) e andava verso nord per tutte le montagne di fuoco (= vulcani); e andava verso occidente, verso il lago di Atil e procedeva (a) occidente sino ad avvicinarsi al lago Mauk nel cui interno scendono tutti (i fiumi?) che si perdono. [23] E veniva a sud, ai bordi di Gadir e veniva ai bordi delle acque del lago, nella regione al di là del gran mare sino quando si avvicinava al fiume Ghihon e questo fiume procede sino ad avvicinarsi a destra del Giardino di Eden. [24] Questa é la terra che (uscì) in sorte a Cam, in porzione che egli prendeva in perpetuo, per sé e per i suoi figli". (Nota 3)

Uno dei problemi più importanti per un'esatta comprensione dell"Antichità è: chi deteneva la padronanza dei mari?

Certamente non l'Egitto, le cui eleganti barche affusolate navigavano sul Nilo. Solo in casi eccezionali esso organizzava spedizioni come quella alla Terra di Punt,, per andare alla ricerca d'incenso e d'altri prodotti preziosi sino all'estremità del Mar Rosso. Per tali occasioni, gli Egizi ricorrevano a navi d'alto mare fatte d'abete, costruite presso Gubla, la Keben degli Egizi, la città che poi divenne Byblos, in Siria. I siriani commerciavano sulle coste del Medio Oriente, ma non superavano l'isola di Cipro. Gli archivi d'Ugarit non menzionano nessun traffico con Creta o con la Grecia. Cipro doveva dunque fungere da punto di scambio con l'Occidente.

Le scoperte archeologiche testimoniano un traffico molto antico tra l'Egitto e l'Egeo, per esempio con Cythera, sin dalla V Dinastia, verso il 2400 a.C. Ne sono prova alcuni oggetti d'argento, ritrovati in tombe egiziane del 2150. L'analisi ha dimostrato che il metallo proveniva da miniere della zona d'Atene, sfruttate già da tempo.

Così pure, la ceramica micenea era diffusa nel Mediterraneo nei sec. XIV e XIII a.C., e sin dal 2500 esistevano stretti legami tra la civiltà cicladica e quella della regione d'Almeria, al sud della penisola iberica. Dovevano quindi esistere relazioni marittime a lunga distanza, che non erano gestite né dagli Egizi, né dei Siriani.

Normalmente si cerca di risolvere tale interrogativo con l'ipotesi d'una 'talassocrazia' (potere assoluto sui mari), dapprima esercitata dai minoici cretesi, poi ereditata dai greci micenei. I minoici però non avevano alcuna influenza all'esterno di Creta prima del 1900 a.C. ed i micenei non si azzardarono ad esplorare altri territori, al di fuori della Grecia, sino al 1450 a.C. Non si riesce così a spiegare traffici commerciali, risalenti almeno al 2400 a.C.

Da tempi immemorabili i marinai d'Occidente, obbligati a muoversi da e per le loro isole, avevano appreso a navigare in alto mare. Avevano esplorato il Mediterraneo orientale, si erano insediati nelle Cicladi e a Creta, prima di loro quasi disabitata, e da lì gestivano i loro fruttuosi commerci con l'Egitto.

Si potrebbe obiettare che un tal tipo di lupi di mare non sarebbe passato inosservato!

Ebbene, in Egitto si conoscevano molto bene quei marinai, che non erano né siriani, né cretesi, né micenei. Lungo tutta la sua storia, sin da Cheope, verso il 2600 a.C., i testi fanno allusione a dei misteriosi marinai. Commercianti, pirati, mercenari, di volta in volta, il 'vento del Nord' li spingava da mari lontani sino ai rami occidentali del Delta ed erano chiamati Haunebut.

I Testi delle Piramidi, datati 2500 a.C., chiamano il Mediterraneo 'il cerchio che circonda gli Haunebut' o anche 'il verdissimo degli Haunebut'. Uno dei 'nove archi', ossia le regioni dell'Universo dominate dal Faraone, era chiamato 'Arco degli Haunebut'. Di questi nove archi si parla sino dal Re Scorpione, prima del 3000 a.C. Perciò dovevano esistere gli Haunebut prima di Byblos, di Micene, prima dei greci e persino prima dell'Egitto!

Diversi autori vedono in questo termine un'espressione mitica e generica, attribuita di volta in volta ai popoli costieri del Nord del mondo. Gli Haunebut non erano però un'espressione mitica. Intorno al 1450 a.C., Tuthmosis III li definisce "abominazione di dio". Invece nel 1580 Ahmosis, vincitore degli Hyksos, impegnava i propri sudditi ad acclamare la sua sposa, 'la Signora degli Haunebut', che figura a fianco dei nobili egiziani nella Stele della Vittoria.

Appare con chiarezza il fatto che sin da tempi monto antichi una potenza marittima dominasse sul Mediterraneo e che gli Egizi ne ignorassero la provenienza. Tutto ciò che si sapeva era contenuto in una canzoncina infantile, della 'dei Quattro Venti':

"Ecco il Vento del Nord, che porta gli Haunebut.

Esso stende le sue braccia sino alle estremità della Terra".

In un'iscrizione del pilone del suo Tempio funerario di Medinet Habu, Ramses III è glorificato dalla divinità: "Metto la paura di te nel cuore della terra degli Haunebut. La Tua Maestà li ha schiacciati... gli scorridori delle sabbie s'inchinano davanti al tuo nome".

Nel sec. XII a.C., dopo le scorribande dei Popoli del Mare, i re libici salirono sul trono d'Egitto. Temehu e Tjehenu sono menzionati sin dai primi testi egizi conosciuti, verso il 3200 a.C. Essi appaiono dipinti nel tempio di Sahure, verso il 2500 a.C. I Tjehenu sono alti, di bel portamento, con molti capelli, il naso aquilino ed una barbetta a punta. La loro pelle è bianca. In questo dipinto sono vestiti solo con collane ed altri ornamenti ed un piccolo perizoma.

Nel 1307, ottant'anni prima dell'arrivo dei Popoli del Mare, Claire Lalouette segnala un attacco in Libia di nuovi venuti, biondi e con gli occhi blu, che gli Egizi chiamavano sempre Tjehenu.

I Libu (Libici), successori dei Temehu e dei Tjehenu, sono raffigurati nei dipinti egiziani con lunghi mantelli ricamati, dotati d'una sola manica (la destra), tatuati, con piume tra i capelli, parte del cranio rasato ed una lunga treccia che scende sopra l'orecchio destro. Nel 1300 a.C., nella tomba di Seti I, sono raffigurati i loro splendidi costumi. Una scultura del tempo di Ramses II (1290â€"1224) rappresenta la tipica testa d'un libico, con la treccia.

Dopo la metà del secondo millennio a.C., si registra un importante cambiamento nell'arte rupestre sahariana. Lo stile bovidiano è sostituito dal cosiddetto stile 'cavallino' e si moltiplicano le raffigurazioni di cavalli che trainano carri in corsa. I carri di questi dipinti non sono né di tipo egizio, né di tipo miceneo. Le corrispondenze tra gli affreschi di stile cavallino ed i Temehu della tomba di Seti I spingono Deruelle a identificare nei Libici i portatori della cultura del cavallo, che sarebbe stata introdotto nell'attuale Tunisia durante l'Età del Bronzo. (Nota 4)

Quanto ai Meshuesh, uno dei gruppi nominati tra i Popoli del Mare, il loro nome somiglia strettamente ai tesmini di Massyles e Masaesyles, popoli berberi che si opposero strenuamente a Cartagine e poi a Roma. I Romani li chiamarono Mazices, Erodoto li indicò come Maxyes. Ancor oggi, i Berberi chiamano se stessi col termine Amazigh. I Meshuesh erano probabilmente i più antichi abitanti del Maghreb.

Prima dell'arrivo e del passaggio di tanti popoli stranieri, l'Africa del Nord fu un'unica grande potenza, dalla Mauritania sino all'Egitto. Dopo tremila anni, si è perso il ricordo di tale grandezza.

Diodoro Siculo, nel sec. I a.C., citava il geografo Ecateo di Mileto, il primo geografo conosciuto, che era vissuto nel sec. VI a.C.:

"Ecateo ed altri riferiscono che, al di là della terra dei Celti, esiste nell'Oceano un'isola grande almeno quanto la Sicilia, che si estende verso il nord, abitata dagli Iperborei. Li chiamano così perché abitano al di là della terra da cui proviene la Bora, vento del nord… Si dice che Leto o Latona fosse nata su quest'isola. Perciò Apollo, suo figlio, è il dio più venerato in quel posto… Da quell'isola la luna appare a breve distanza alla terra e si mostra con montagne, chiaramente visibili, come quelle terrestri. Ogni 19 anni, il dio deve ritornare a visitare l'isola. In capo a tale periodo le stelle ritornano nella loro posizione primitiva. Per tale ragione anche presso gli Elleni il periodo di tempo di 19 anni è chiamato 'anno di Metone'". (Nota 5)

Diodoro (o forse lo stesso Ecateo) riferisce dalle proprie fonti:

"In tempi molto antichi, un iperboreo di nome Abaris sarebbe venuto in Grecia e vi avrebbe rinnovato l'amicizia e la parentela con gli abitanti di Delo (Apollo, figlio di Latona, nacque su quest'isola). Alcuni Elleni sarebbero parimenti andati in quella terra e vi avrebbero lasciato offerte, con iscrizioni in greco".

Il testo parla di celebrazioni della ricorrenza ciclica di 19 anni in un'isola del Nord, ove la Luna appare a breve distanza (altezza) dalla Terra. Inoltre fa trapelare il fatto che il ciclo lunare di 19 anni sia giunto ai Greci da parte degli Iperborei, con i quali essi avrebbero avuto contatti "si da tempi molto remoti", mentre Metone proclamò la Legge dei 19 anni ai Giochi Olimpici del 433 a.C., molto tempo dopo Ecateo. Il ciclo di Metone, di 19 anni, è quello che riconduce la luna piena allo stesso giorno del calendario, ma occorrono 18, 6 anni perché la luna ritorni nella stessa posizione rispetto alle stelle (ossia le stelle riprendano la posizione primitiva) e le eclissi totali si ripetono con un ciclo di 18 anni e 11 giorni. Quest'ultimo cico era quello utilizzato dai sacerdoti scozzesi, per esempio nella costruzione del Cromlech di Crucuno v. pag. 127. Si direbbe quindi che gli Iperborei abbiano penetrato tali segreti prima dei Greci. Diciannove anni, più diciannove, più diciotto, dà un totale di 56, quanti sono i "fori d'Aubrey" del gran cerchio di Stonehenge.

È vero che i Caldei conoscevano ben prima dei Greci il ciclo regolare delle eclissi, che chiamavano ciclo di Saros. (Nota 6)

Qualche studioso suppone che i Caldei stesi avessero appreso la conoscenza dei fenomeni celesti da popolazioni provenienti dall'Europa del Nord, dalle terre delle alte latitudini e dei megaliti, che in epoca preâ€"Sumera le abbiano portate in Mesopotamia.

Nel decennio 330â€"320 a.C. la città di Massilia â€" Marsiglia, popolata da coloni di Focea, incaricò il suo miglior marinaio, Pytheas, d'esplorare i mari boreali. Egli partì e ritornò con una flottiglia di tre galere e raccontò il proprio viaggio nell'opera "Peri Okeanos", "Intorno all'Oceano", che sfortunatamente è andata perduta. Il viaggio fu un exploit singolare per i navigatori dell'Età Classica. Ancora quattrocento anni dopo, i Romani viaggiavano soltanto bordeggiando, sino all'Elba e sino alla Scozia, ma non si avventuravano in alto mare, il quel "mare tempestoso" che molti secoli più tardi sarebbe stato ribattezzato "Atlantico".

A Pytheas fu attribuita la scoperta della correlazione tra le maree ed i moti della Luna. (Nota 7)

La sua teoria ebbe ben poco tempo per essere elaborata durante il viaggio, che durò solo un anno e mezzo, da una primavera sino all'autunno dell'anno seguente. Occorre pensare che in tale breve tempo, oltre ad occuparsi delle incombenze logistiche del viaggio, non gli rimanesse l'opportunità di sviluppare le osservazioni necessarie per la verifica d'un meccanismo complesso come quello delle maree. Egli dovette essere edotto dai marinai del Nord, che si tramandavano le osservazioni delle maree e delle eclissi lunari, e riportò tali conoscenze in patria, formandosi una valida reputazione d'astronomo. Da ciò che rimane dei suoi racconti, egli stesso riferisce: "I Barbari ci mostrarono dove dorme il Sole" (Nota 8), ossia "il luogo ove sempre hanno origine le notti". (Nota 9)

"A Thule, il cerchio descritto dal Sole nel solstizio d'estate rimane al di sopra dell'orizzonte". (Nota 10) "Il giorno, a Thule, dura più di venti ore". (Nota 11)

L'origine delle notti, il luogo in cui il Sole si corica, è il punto in cui l'astro tocca l'orizzonte per risollevarsi subito. Più a Nord, il Sole non tramonta neppure, durante il periodo estivo. Ciò avviene al Circolo Polare, oggi alla latitudine di 66°30', allora di 66°10' circa (l'inclinazione dell'asse terrestre, complementare di quest'angolo, fu determinata correttamente da Pitheas in 23°51'). (Nota 12) L'unica terra a tali latitudini nell'Oceano, tra la Norvegia e la Groenlandia, è l'Islanda, che si estende tra 63°30' e 66°30'. Dalle sue coste settentrionali si vede dunque "l'origine delle notti", mentre a sud dell'isola, ove sbarca chi provenga dalle Isole Britanniche, la durata del giorno nel solstizio d'estate è di 20 ore e mezza. Ecco qual era la famosa Thule degli Iperborei (chiamata Ogygia da altri autori, come Plutarco). Plinio ricordava che "Pytheas andò all'isola di Thule, distante sei giorni di navigazione a nord della Bretagna". (Nota 13) Sei giorni di navigazione corrispondono ai circa 900 km che separano le due isole. Qui egli incontrò "gente che proveniva da Scandias, Dumnan, Bergos e Nerigen" (Nota 14), ossia: da Scania (Svezia meridionale), dalla Scozia (?), da Bergen e dalla Norvegia.

Pytheas non incontrò presso quei popoli nessuna manifestazione d'ostilità, anzi una disponibilità a rivelargli le loro conoscenze. "Gente semplice, ben lontana dal nostro spirito d'oggi, animoso e cattivo. Il loro modo di vivere è piuttosto primitivo". (Nota 15)

Negli anni tra il 2200 ed il 2050 a.C., popolazioni d'origini asiatiche, spinte nel Delta del Nilo dall'avanzata degli Amoriti, generarono uno stato d'anarchia, pudicament ribattezzato nella storia egizia come "primo Periodo intermedio". Il successivo periodo del Medio Regno fu una nuova epoca brillante, per le glorie d'Egitto, ma nel 1780 si ebbe un ritorno in forza di popolazioni asiatiche, che diede inizio al secondo Periodo intermedio. Questa volta gli asiatici furono raggiunti dai loro invasori, che organizzarono un regno nella regione orientale del Delta del Nilo, con la città di Avaris come capitale. Vi regnarono sei Faraoni, tra il 1645 ed il 1537. Gli egiziani chiamarono quesgli atranieri Hyksos, un termine che è stato a lungo tradotto come "re pastori", mentre oggi se ne ammette un significato "capi di paesi stranieri". La loro provenienza è comunque rimasta sconosciuta. (Nota 16)

Per la storia ufficiale rimane un mistero l'origine degli Hyksos, ma la loro partenza dll'Egitto è ben documentata dai testi. Il re tebano Seqemenre intraprese nel 1580 una spedizione verso i territori del Nord, contro l'Hyksos Apophis, proseguita dal figlio Kames (Kamose). Tra il 1557 ed il 1548 che il grande Ahmes (Ahmose), fratello di Kames, conquistò Avaris e liberò il Delta, fondando così il Nuovo Regno. Con quali forze riuscirono i Faraoni del Sud a sconfiggere gli stranieri? Un testo ricorda: "Kames lanciò il primo attacco con l'aiuto dei beduini nubiani". Quanto ad Ahmes, riuscì a conquistare il Delta grazie ad un'operazione navale, e sappiamo che due delle sue navi si chiamavano "Toro furioso" e "Il Nordico". (Nota 17) È forte la suggestione di pensare che gli esperti marinai Haunebut, ancora insediati nella parte occidentale del Delta, abbiano dato man forte al Faraone tebano, ed essi erano ben noti presso gli Egizi tanto per la loro venerazione del toro, quanto per le loro origini 'nordiche'.

Un altro testo riferisce che il liberatore Ahmes fece acclamare dai sudditi la sua sposa, la 'Dama degli Haunebut', e la stele trionfale dichiara l'equiparazione tra gli Haunebut e la nobiltà egiziana. Pierre Montet ne conclude che gli Haunebut fossero alleati del Faraone, nella battaglia per la riconquista del Delta. (Nota 18)

Nella tomba della regina Ahhotep, moglie o forse madre d'Ahmes, chiamata 'Sovrana delle rive degli Haunebut', (Nota 19) sono stati ritrovati tre pugnali ageminati, insieme all'ascia di rappresentanza del faraone. Il tipo di decorazione dei pugnali è decisamente 'miceneo' ed i geroglifici impressi sulle lame sono piuttosto imprecisi. Si deve trattare quindi d'un regalo, offerto al Faraone da stranieri, e si sa che anche il suo rivale Apophis donava ai propri ufficiali pugnali 'egei'. La civiltà micenea che noi conosciamo non esisteva, però, prima del 1550 a.C., ed i tesori ritrovati nelle sue rocche sono attribuiti alle conquiste compiute dal leggendario Danaos ai danni dei popoli circostanti. Tutto ciò rafforza l'ipotesi che si tratti d'arte degli Haunebut, allora padroni delle rotte mediterranee, alleati al Faraone Ahmes, popolo cui apparteneva la stessa regina.

Deruelle osserva la corrispondenza d'una tale ipotesi con il mito di Io. Zeus che seduce Io, figlia d'Argolide, rappresenta il controllo degli Elleni su quel territorio, dove nel 1650 lasciarono spade, ambra e cristalli di rocca nelle tombe micenee. Il paese però era povero e gli allevatori di bovini si spostavano dappertutto (nel mito, Io fuggiva incessantemente), sino a che, nel Caucaso, Prometeo non suggerì a Io d'andare in Egitto. Qui la mitica Giovenca diventa la madre del re d'Egitto Epaphos, che corrisponderebbe all'Hyksos Apophis. (Nota 20)

Ci fermiamo qui, per il momento, in quest'ulteriore capitolo che ci conduce a riscoprire le tracce d'Atlantide nel Mediterraneo del secondo millennio a.C. e ad identificare il mitico regno perduto come la culla della cultura del bronzo, l'artefice della costruzione dei megaliti e la depositaria del culto della Grande Dea madre.

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BERBERI E MAORI DISCENDONO DALLA VERA ATLANTIDE?

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Secondo alcuni studiosi, una flotta egiziana, con la ciurma composta di marinai cirenei (benghasini, diremmo noi oggi), sotto il comando del capitano Rata e di un navigatore di nome Maui, verso il 232 a.C., all'epoca del faraone alessandrino Tolomeo III, e dietro stimolo del grande scienziato Eratostene, sarebbe partita verso oriente per compiere la circumnavigazione del globo terrestre.

Nel 232 a.C., il capitano Rata ed il navigatore Maui sarebbero partiti dall'Egitto con una flotta, su istruzioni di Eratostene â€" e Maui avrebbe lasciato la testimonianza di ciò, incisa sulle lontane rocce del Pacifico. Si trattava di grandi navi, una vera e propria "missione di colonizzazione", destinata a viaggiare a lungo. Come si usava all'epoca, quando raggiungevano una terra nella stagione della semina, i naviganti si stabilivano in quel luogo sino al raccolto successivo, in modo da vivere dei prodotti del suolo. Inoltre, essi lasciavano qua e là non soltanto tracce della propria cultura (linguistica e materiale), ma anche una traccia genetica, grazie a piccoli gruppi di navigatori che si fermavano in diversi luoghi.

La spedizione viaggiò verso Est, in una lunga serie di tappe, attraverso l'Oceano Indiano e l'Oceano Pacifico, sino a raggiungere la costa americana, che non si riusciva a doppiare. Quindi percorse le coste americane da nord a sud, per 4000 miglia (circa 7000 km), probabilmente dalla Baja California (a Nord, alla latitudine del Tropico del Cancro), sino all'attuale Cile (33°S), alla ricerca d'un passaggio verso est che permettesse di proseguire il viaggio. Vi è anche chi ha ipotizzato l'esistenza di un'antica carta, in cui appariva un passaggio navigabile nel Centro America, in corrispondenza dell'istmo del Darien, all'altezza del Lago di Managua.

Memorie della spedizione sarebbero: i dipinti delle Grotte dei Navigatori, nella baia di McCluer, presso Sosorra, in Irian Jaya (Nuova Guinea occidentale) ed i graffiti ritrovati nell'isola di Wamera (Wamerei), sempre in prossimità della costa sud-occidentale della Nuova Guinea, che raffigurerebbero mappe celesti, con l'indicazione di uno strumento (tanawa) usato per la misurazione della longitudine.

Un altro graffito in memoria della spedizione di Rata e Maui sarebbe stato ritrovato sulle montagne del Cile. Su quelle montagne, verso il 231 o 230 a.C., Maui avrebbe inciso in una grotta la memoria del proprio passaggio, per rivendicare all'Egitto il possesso delle coste dell'America che la sua spedizione aveva toccato.

Sembra quindi che la spedizione, non trovando un passaggio verso oriente, decidesse di ritornare ad ovest, verso l'isola di Pasqua. Qui un gruppo si sarebbe fermato, ed avrebbe costruito i Moai, mentre gli altri si diressero verso la Nuova Zelanda, dove ci sono i Maori (nome che può essere derivato da "Mauri, Mori", così come talune delle loro usanze, in particolare i tatuaggi sul volto e sul corpo).

Gli abitanti della Cirenaica erano rinomati come navigatori, ma la spedizione non ritornò mai in Egitto, a causa di diversi naufragi, uno dei quali occorse sull'isola di Pitcairn (resa celebre, molti secoli dopo, dall'ammutinamento del Bounty). Qui si trova un'altra delle iscrizioni che conservano le tracce della "spedizione di Rata e Maui", secondo gli studiosi moderni che hanno lavorato su tale impresa.

La spedizione capeggiata da Rata e da Maui, con lo scopo di circumnavigare il globo, naufragò infine sulle coste dell'Australia, dove gli ultimi superstiti si stabilirono; non avendo più ricevuto notizie, in Egitto tutti pensarono che ciò fosse imputabile al fatto che la Terra fosse piatta. Ciò provocò la caduta in disgrazia di Eratostene, che doveva aver promosso la spedizione, ed un radicale cambiamento nella visione cosmologica: da allora, per secoli, la teoria ufficiale sostenne che la Terra dovesse essere piatta.

Prove del tentativo di circumnavigazione sarebbero il ritrovamento in Australia ed in Cile di antiche iscrizioni con caratteri e lingua di chiara derivazione egiziana o â€" per meglio dire â€" libico-berbera, poiché tale era il gruppo etnico dei marinai, originari della Cirenaica. In Polinesia la divinità del sole si chiama Ra, come in Egitto. Rata e Maui sono gli eroi primigeni nelle leggende di gran parte delle popolazioni della Polinesia.

All'udire tutto ciò, il primo impulso è stato quello di muovermi alla ricerca delle fonti, sulla base degli indizi riferiti, per identificare i tempi, le persone, i metodi, i modi della ricerca che avesse condotto a tali risultati storici.

Si tratta di un'ipotesi risalente ai primi anni '70, dovuta al professore anglo-americano (naturalizzato neozelandese) Barry Fell, che insegnava biologia marina all'Università di Harvard. Il viaggio di Maui e Rata è stato richiamato all'interesse più ampio dei "cercatori di misteri" nell'ottobre 1998 da John Chappell, direttore della Natural Philosophy Alliance, che aveva ascoltato alcune conferenze di Fell a Harvard nel 1975. Nato in Inghilterra e cresciuto in Nuova Zelanda, Howard Barraclough Fell (1917-1994), meglio conosciuto come Barry, ha avuto un'enorme influenza sui "cercatori di misteri" degli Stati Uniti.

Al principio degli anni Settanta, Barry Fell pubblicò la propria decifrazione di alcune iscrizioni trovate nelle isole del Pacifico e nell'Irian Jaya, la metà occidentale della Nuova Guinea, appartenente all'Indonesia. Fell stabilì che le iscrizioni fossero scritte in un dialetto libico, usato nelle zone occidentale dei domini dell'antico Egitto, e che da tale dialetto fosse derivata la lingua maori, parlata dagli isolani della Polinesia. La più antica delle iscrizioni, ritrovata nelle "Grotte dei Navigatori" in Irian Jaya, fu da lui datata al 232 a.C.

I vasti interessi di Fell, ed il completo rigetto delle sue scoperte da parte dell'apparato conservatore, lo spinsero a fondare nel 1974 la Epigraphic Society, di cui fu il primo Presidente, per garantire una possibilità di edizione ai suoi scritti. Gli giunsero richieste d'iscrizioni e d'informazioni da tutto il mondo. L'Associazione esiste tuttora e pubblica studi di epigrafisti, geografi, archeologi e dilettanti interessati a tali argomenti.

Barry Fell pubblicava i propri lavori soprattutto sulla rivista della sua associazione, "The Polynesian Epigraphic Society Occasional Publications", con i numeri monografici "The Epigraphic Society Occasional Papers" (ESOP). Le Occasional Publications della Società Epigrafica sono la fonte della stupefacente storia di cui stiamo parlando. In Nuova Zelanda, le opere di Fell sui Maori, e la sua spettacolare traduzione dei graffiti delle Grotte dei Navigatori, non suscitarono più l'attenzione ed il clamore che avevano provocato in America.

Negli anni Settanta alcuni gruppi di ricerca etnografica, basati presso l'Università di Harvard e gravitanti intorno a Barry Fell, sostennero che la lingua delle antiche iscrizioni, trovate nelle isole del Pacifico, fosse un misto di termini originari della Cirenaica e di termini delle lingue polinesiane (come la lingua malay). Si trovavano anche tracce dravidiche e di altre lingue della regione. Fell intendeva dimostrare l'esistenza d'un antico contatto tra i popoli nordafricani (Fenici o Cartaginesi), le loro rotte di traffico e la loro influenza culturale e le culture polinesiane, e in particolare credette d'identificare una similitudine tra la lingua dei Maori (parlata nella Nuova Zelanda) e quella berbera della Cirenaica.

A questo periodo risale la "decifrazione" delle iscrizioni della "Grotta dei Navigatori", situata nella Nuova Guinea Occidentale. Dal collegamento tra diverse iscrizioni rupestri trovate nelle isole del Pacifico, nella Nuova Guinea occidentale e a Santiago del Cile, e decifrate da Fell, alcuni ricercatori americani hanno tratto la storia di una flotta egiziana che verso il 232 a.C., sotto il regno di Tolomeo III, avrebbe affrontato una missione di circumnavigazione del globo.

La ricostruzione narra che le sei navi salparono da un porto della Cirenaica sotto il comando del capitano Rata e del navigatore Maui, amico dell'astronomo Eratostene (ca. 275-194 a.C.), direttore della celebre biblioteca d'Alessandria, risalirono un tratto di Nilo, poi si portarono nel Mar Rosso tramite il canale navigabile dei Faraoni e si avviarono verso oriente, lungo il Mar Rosso, l'Oceano Indiano, l'Indonesia e l'Oceano Pacifico. Le iscrizioni di Maui, secondo le decifrazioni compiute negli anni '70 da Barry Fell, indicherebbero che la spedizione intendeva dimostrare il teorema di Eratostene (ossia che la Terra fosse rotonda, con la circonferenza di circa 24.500 miglia).

Fell impiegò otto anni per dimostrare che le iscrizioni polinesiane non erano dei rompicapo senza senso, come sostenevano gli altri esperti, ma "una forma scritta della lingua polinesiana, i cui testi potrebbero forse risolvere lo sconcertante quesito di come le piante e gli animali domestici possano avere raggiunto la Polinesia dall'America e dall'Asia".

Fell aveva riflettuto a lungo sul fatto che le centinaia d' iscrizioni sparse sulle rocce e nelle grotte nelle Isole del Pacifico avessero caratteri simili, benché si trovassero su isole distanti tra loro migliaia di chilometri, ed era rimasto impressionato da un'affermazione del professore di zoologia che aveva avuto in Nuova Zelanda, il quale gli aveva fatto osservare le similitudini tra la moderna lingua dei Maori e le lingue classiche dell'area mediterranea.

Fell scrisse: "Cominciano ad apparirmi lettere con forme riconoscibili e parole". Egli poté approfittare dell'ambiente accademico di Harvard, noto per la sua "libertà intellettuale", e coinvolse nella ricerca i propri compatrioti, inclusi gli studenti. Scrisse: "Credo che in nessun luogo si possa trovare un ambiente più favorevole per risolvere questo problema".

Tra le iscrizioni in lingua maori, Fell affermò che: "più antica è un'iscrizione, più il suo linguaggio corrisponde a quel misto di greco e di egiziano che un tempo si doveva parlare nel Nord Africa, dopo che Alessandro Magno conquistò l'Egitto". Si dichiarò convinto che la più antica di quelle iscrizioni fosse scritta in antico libico, "un dialetto dell'egiziano parlato da quei pescatori di pelle scura, che i Greci chiamavano Mauri".

Quando si diffuse la voce degli studi di Fell sul viaggio degli Egizi sino alla terra dei Maori, epigrafisti ed altri studiosi gli inviarono copie delle iscrizioni che si trovavano nelle Grotte dei Navigatori a Sosorra, presso il villaggio costiero di Furur, nella Baia McCluer, Irian Jaya. Uno di coloro che le segnalarono a Fell fu Ruth K. Hanner delle Hawaii, che ne aveva osservato la similitudine con scritture egizie. Le iscrizioni rupestri erano state scoperte negli anni 1937 1938 dalla spedizione di Josef Röder, dell'Istituto Frobenius dell'Università tedesca di Francoforte. Il gruppo di Röder compiva ricerche sulle pratiche religiose degli abitanti del luogo, e fotografò le iscrizioni e i disegni, ma non seppe decifrarli.

Le grotte di Sosorra sono raggiungibili soltanto dal mare e costituiscono un richiamo turistico, con la loro atmosfera quasi magica, in una regione ricca di tali attrattive. Vi si trovano disegni raffiguranti navi e attrezzature da pesca, soggetti astronomici (lune e soli nascenti e stelle), dipinti, grafici di navigazione, calcoli, tracciati con carbone ed ocre colorate e conservati sotto un fine strato di stalattite. Fell descrive "l'illustrazione di fenomeni celesti e di strumenti astronomici, come un sostegno a croce, un orologio solare ad angolo variabile per poterlo utilizzare in diverse latitudini, uno strumento di calcolo che corregge gli angoli zenitali a seconda della latitudine, divisori e squadre, carte celesti che mostrano specifiche costellazioni" e numerosi disegni e dipinti religiosi, raffiguranti divinità greco-egiziane. Si trova anche qualche indicazione relativa a miniere d'oro e d'argento.

Fell si accorse che l'iscrizione più importante poteva essere interpretata come una concisa prova, in parole e disegni, dell'esperimento attuato da Eratostene a Syene e ad Alessandria per dimostrare che il mondo è rotondo! L'autore del disegno s'identificava come Maui e si definiva astronomo e navigatore d'una flotta di sei navi, comandata da Rata, salpata dall'Egitto verso il 232 a.C., sotto il regno di Tolomeo III, con la missione di circumnavigare il globo.

Fell datò le raffigurazioni delle Grotte dei Navigatori agli anni 235 225 a.C., sulla base del fatto che Maui registrò un'eclissi solare ed una cometa, eventi occorsi nel quindicesimo anno di regno del Faraone, che coinciderebbero con l'eclissi anulare del 19 novembre del 232 a.C. L'elegante prova del teorema di Eratostene è introdotta da Maui come segue: "Questo particolare teorema fu spiegato a Maui da Eratostene, astronomo della terra del delta nel Basso Egitto".

Fell suppose che la spedizione fosse stata inviata da Tolomeo III sia per trovare nuove miniere d'oro per le proprie monete, sia per dimostrare la "nuova dottrina" proposta da Eratostene. Sulla base delle traduzioni preliminari sviluppate nel1974, Fell concluse, col suo gruppo, che il viaggio della flotta al comando di Rata e Maui fosse stato pianificato da Eratostene, nell'intento di circumnavigare il globo. Fell ed i suoi collaboratori pensarono che le correnti del Pacifico avrebbero potuto portare la flotta dalla Nuova Guinea sino alla regione compresa tra la Baja California e Panama, da dove le navi potevano essersi dirette a nord o a sud per trovare un passaggio marittimo tra le masse continentali. Il gruppo si mise a cercare sulla costa occidentale delle Americhe iscrizioni, che fossero databili ad anni prossimi al 231 o 230 a.C.

Il 13 novembre 1974 il geografo George F. Carter Sr., professore alla Texas A&M University, che aveva letto con interesse degli studi di Fell, gli segnalò alcune antiche iscrizioni che aveva avuto occasione di studiare, in insediamenti paleolitici in America. In particolare, un'iscrizione rupestre che aveva trascritto da una rivista scientifica in tedesco, pubblicata in Cile, da lui trovata nella sezione "Special Collections" della Biblioteca Milton S. Eisenhower, presso la Johns Hopkins University di Baltimora, negli anni 1950, quando egli insegnava in quella sede. L'iscrizione era stata trascritta nel 1885 da Karl Stolp, il quale durante una tempesta si era rifugiato in una grotta presso Santiago.

Carter pensava che l'iscrizione fosse simile a quelle polinesiane. Aveva ragione: quando Fell riuscì a tradurla, nell'iscrizione di Santiago si lessero una data: "anno 16 del regno", corrispondente al 231 a.C., e il nome di Maui.

Iscrizioni indie nella Cordillera, in Cile, scoperte da Karl Stolp

Ecco il resoconto steso nel 1885 dall'ingegnere tedesco-cileno Karl Stolp, che scoprì in Cile una strana iscrizione rupestre, decifrata da Barry Fell, quasi un secolo dopo.

"Attraversavo la catena dei monti Cajon nel1885, quando un'improvvisa tempesta di neve mi costrinse a cercare rifugio tra le rocce di un canalone. Io e la mia gente lasciammo i cavalli e cercammo un riparo in una caverna sul lato sud del canalone. Posta 2000 piedi (oltre 650 m) al di sopra della valle, quella caverna è molto difficile da raggiungere ed è raramente visitata dai nativi, che se ne tengono lontani specialmente a causa dei segni segreti e degli spiriti che essi dicono siano là presenti. Questo ci è stato detto da alcuni pastori che vivono nelle vicinanze.

Il tempo avverso, tuttavia, mi costrinse a cercarla, nonostante la posizione infelice, i segni e gli spiriti. Come ho detto, era quasi inaccessibile, tra rocce dirupate e pareti a picco. La caverna rimaneva completamente asciutta con qualunque tempo, come si vedeva dalla profondità della polvere. Su alcune pareti lisce, strani segni attiravano immediatamente la curiosità del visitatore. Non soltanto sulle pareti laterali, ma anche sul soffitto apparivano molti segni.

Non si capisce come possano essere stati dipinti i segni all'esterno della caverna, poiché si trovavano in un posto irraggiungibile anche con una scala a pioli, sopra uno strapiombo, inaccessibile anche dall'alto. L'unica possibilità era che un tempo esistessero altre rocce, di fronte a quelle dipinte, dalle quali i dipinti poterono essere stati realizzati, e che poi si ruppero e caddero nell'abisso.

Come si è detto, la caverna era piena di un alto strato di polvere, sul quale si camminava. Decisi di esaminarla con maggiore attenzione e scavai nella polvere, sino a trovare sotto di essa sette scheletri umani, cinque maschili e due femminili. Ho dato il campione meglio conservato al Dr. Phillips per il locale museo nazionale. Alcuni degli scheletri erano così fragili che caddero in pezzi nelle mie mani.

L'angolo facciale dei crani era mediamente del 75% e lo spessore della scatola cranica, della fronte e delle pareti era di un centimetro. Presso gli scheletri si trovavano strumenti rozzamente lavorati di rafia (non di lana) ed alcuni gioielli di conchiglie.

Gli strani segni che coprivano pietre e pareti della caverna erano eseguiti nei colori rosso, nero e bianco. L'analisi chimica ha rivelato che il rosso ed il nero erano ottenuti da argille ricche di ferro ed il bianco era fatto di caolino o cenere.

Si è posta la domanda: "Quei segni sono di origine india, o no?" A un primo sguardo si direbbe che essi provengano dalla terra delle Piramidi, e che qualcuno si sia divertito a decorare con essi le pareti della caverna. Ma perché? E, soprattutto, perché in un luogo così inaccessibile? Perché l'artista sarebbe andato a dipingere quei segni in posti così rompicollo, che oggi si possono raggiungere soltanto con impalcature speciali? Il posto è talmente inaccessibile che non sono riuscito a trovare un posto per riprenderli in modo adeguato con la mia macchina fotografica. I segni potevano essere stati dipinti soltanto con i piedi ben saldi al suolo. Di fronte alle rocce doveva esserci un solido appoggio per gli artisti, che poi è caduto nell'abisso da secoli, visto che nel burrono crescono molti massicci cipressi ed alberi del sapone (Quillaja saponaria) di veneranda età, che sono stati con evidenza danneggiati o distrutti da frane del terreno.

Gli scheletri con i gioielli di conchiglie e gli oggetti intrecciati lasciavano pensare ad una grande antichità, almeno di secoli. La forma dei crani poteva essere propria solo di una razza di uomini molto intelligenti, probabilmente gli antenati degli Araucani (abitanti del Cile e dell'Argentina occidentale). I crani e molte altre ossa mostravano segni di ferite guarite. I segni sembravano essere stati fatti con le dita, usando colori minerali provenienti da un altro luogo, e trasportati qui per l'uso.

La mia opinione, dati il luogo e le condizioni in cui scoprii quei segni è che essi siano di origine india, benché la loro forma inconsueta richiami gli antichi Egizi piuttosto che gli Araucani.

La caverna è detta "la casa pintada", ossia la casa dipinta.

Altri segni, che non somigliano a quelle descritti, si trovano su una pietra presso Antofagasta. Sono disegni che a prima vista appaiono di origine india, come si vede dalle riuscite fotografie di F. San Roman, direttore della locale sezione geografica e geologica. Dal confronto con i disegni Huanaco si può determinare che in tempi antichi, quando furono realizzati i primi disegni, la roccia fosse in piedi e che in seguito, per l'erosione del terreno sottostante, essa sia caduta, e che altri disegnatori più tardi abbiano continuato a decorarla".

Secondo l'interpretazione di Barry Fell, i caratteri dell'iscrizione trovata da Karl Stolp sarebbero quelli dell'antica lingua libica, da leggersi alternativamente, una riga da sinistra e l'altra da destra. La lingua sarebbe antico Maori, corrispondente secondo Fell alla lingua parlata in epoca alessandrina sulla costa della Cirenaica, un dialetto dell'antico egiziano. Secondo Fell, i moderni dialetti Maori differiscono dalla lingua parlata da Maui soltanto in alcuni aspetti minori. Diciamo la verità: sarebbe molto attraente la tentazione di organizzare una "crociera" di giovani libici benghasini in Nuova Zelanda, per constatare de visu se essi riescano a farsi comprendere, almeno un po', con le parole della loro lingua madre.

Ecco la traduzione proposta da Fell:

"Limite meridionale della costa raggiunto da Maui. Questa regione è il limite meridionale della terra montuosa che il comandante rivendica, per iscritto, in questo territorio. Egli ha condotto la flotta verso sud sino a questo limite. Queste terre il navigatore rivendica al Re d'Egitto ed alla sua Regina e al loro nobile figlio, per un'estensione di 4.000 miglia, ripida e ricca di montagne, che si levano alte. 5 agosto dell'anno di regno 16".

Come si sarebbe concluso il viaggio?

La flotta di Rata e di Maui non ritornò mai in Egitto. Si ritiene che i marinai inviati dal Faraone, quando non trovarono un passaggio navigabile attraverso l'America, ritornassero indietro e riattraversassero il Pacifico. Secondo l'iscrizione, una nave fece naufragio sull'Isola di Pitcairn.

Fell arrivò a ritenere che Rata, Maui, e gli altri membri della spedizione (circa 300) fossero diventati i padri fondatori della Polinesia. Infatti è vero che i nomi di Rata e Maui compaiono nelle leggende della Polinesia. Inoltre, l'antica lingua maori libica, con la relativa scrittura, e tutte le loro conoscenze, divennero il "patrimonio di partenza della Polinesia". Secondo Fell, in Nuova Zelanda si potevano trovare iscrizioni libiche "sino al 1450 d.C."

Eratostene e il viaggio di esplorazione di Rata e Maui

La capacità di navigare degli Egiziani e la loro abilità a compiere viaggi su lunghe distanze sono state datate al 2890 a.C., con l'esplorazione della costa africana, lungo il Mar Rosso e l'Oceano Indiano e addirittura sino al circolo polare. Viaggi alla ricerca di miniere d'oro, ed anche per colonizzare, interessarono migliaia di Egiziani, e navi di dimensioni molto grandi (della lunghezza di 67 metri, secondo una replica trovata in una tomba egiziana). Perciò, verso il 232 a.C., Rata e Maui potevano avere le conoscenze per affrontare un viaggio su una lunga distanza.

Essi sapevano da Eratostene che la circonferenza terrestre doveva misurare 250.000 stadi (circa 40.000 km), e possedevano conoscenze astronomiche e strumenti per la navigazione. Le loro navi erano molto grandi. Un viaggio attraverso il Pacifico nel sec. III a.C. appare quindi possibile.

Per iniziativa egiziana, nell'anno 232 a.C., un gruppo di marinai sarebbe dunque salpato con una flotta da un porto della Cirenaica e â€" dopo avere risalito un tratto del Nilo â€" avrebbe imboccato il Mar Rosso attraverso il famoso canale scavato dai Faraoni.

Secondo l'ipotesi di Fell, essi avrebbero toccato una località dell'attuale Indonesia, ove il navigatore della spedizione, di nome Maui, incise una memoria graffita e registrò un'eclissi, sulle pareti della Grotta dei Navigatori. Poi attraversarono l'Oceano Pacifico e raggiunsero probabilmente l'America Centrale.

I Maori

Il popolo dei Maori, tradizionali abitatori della Nuova Zelanda, si compone di diverse tribù, chiamate Iwi, suddivise in sottotribù (Hapu) ed in gruppi di dimensioni minori (Whanau). Letteralmente, il nome Maori (Ma-Uri) significa "Figli del Cielo". Il popolo Maori conta oggi circa 500.000 individui, molti dei quali vivono nelle città, ma mantengono stretti contatti con le loro tribù di provenienza.

Si ritiene che il primo navigante polinesiano a raggiungere la Nuova Zelanda fosse Kupe, proveniente dall'isola di Hawaiki, verso il 950 d.C. Una seconda grande ondata di migrazione, dalla stessa isola, ebbe luogo verso il 1350. Egli chiamò la nuova terra Aotearoa ("la terra della lunga nuvola bianca"). Popolo guerriero, i Maori usavano conservare la testa dei loro nemici, per impadronirsi del loro mana (spirito vitale). Solo una tribù, che viveva nell'isola del sud, era dedita al cannibalismo rituale per assicurarsi il mana del nemico vinto.

Nel 1642 il navigatore olandese Abel Tasman sbarcò per breve tempo sulla costa occidentale della Nuova Zelanda. Egli ed i suoi marinai furono oggetto di ripetuti attacchi da parte di cannibali. La "scoperta" della Nuova Zelanda è generalmente attribuita al capitano inglese James Cook, il quale nel 1769 circumnavigò le due isole a bordo della nave Endeavour.

Le tesi diffusioniste

Barry Fell è considerato uno dei più importanti sostenitori delle tesi "diffusioniste", insieme a Jon Polansky e Vine Delona Jr.

Jon Polansky è un editore della rivista Epigraphic Society Occasional Papers, fondata da Barry Fell e consacrata agli studi sui contatti transoceanici. Vine Deloria Jr. è un membro della tribù Sioux della Stabile Roccia, attivista dei movimenti dei Nativi Americani, ex direttore esecutivo del Congresso Nazionale degli Indiani Americani.

Il Diffusionismo sostiene che l'uomo s'installò sin da tempi antichi su tutti i continenti e che molteplici furono, sin dall'Antichità, i rapporti mutui tra le culture delle diverse parti del Globo.

Diversi tra questi autori credono che gli antichi Egizi fossero arrivati a raggiungere le coste americane e che mantenessero con quel continente regolari rapporti commerciali, documentati da influssi culturali e stilistici, ma anche da ritrovamenti di statuette ed iscrizioni, qua e là nel continente americano.

Gli sviluppi dell'indagine

Sono rimasto particolarmente impressionato dal fatto che in nessuna delle presunte iscrizioni egizie identificate in America si presenti scrittura geroglifica, e che nessuna sia scritta nella lingua dell'antico Egitto. Sembra che â€" per questi prodotti di "esportazione â€" gli Egizi preferissero usare la lingua e la scrittura dei vicini popoli libico-berberi. La medesima osservazione vale per le iscrizioni rupestri attribuite al tempo della spedizione di Rata e Maui.

Un'osservazione s'impone: se anche gli Egizi avessero sempre â€" o molto spesso â€" fatto ricorso a flotte composte di marinai libici, occorre pensare che la lingua ufficiale delle loro flotte (se non l'unica lingua "colta" e scritta, da parte del personale di comando) dovesse essere quella egiziana, non un "dialetto" nativo, poiché tale la lingua libica doveva essere ritenuta presso il regno dei Faraoni.

Ebbene, innanzitutto occorre osservare che, se i diffusionisti avessero voluto creare un falso "ad hoc", avrebbero potuto usare più facilmente una scrittura geroglifica (o meglio greco-alessandrina, per quanto riguarda il periodo di Eratostene), senza doversi arrampicare sugli specchi due volte, prima per decifrare un linguaggio come quello libico-berbero (tutto sommato ben poco conosciuto, anche agli studiosi di lingue antiche), e poi per giustificarne l'uso in documenti ufficiali della spedizione. Le medesime considerazioni possono valere per tutte le altre iscrizioni dello stesso tipo che il gruppo dei diffusionisti ritiene di aver ritrovato e tradotto, sia nell'area del Pacifico, sia sul continente americano. Anche in altri casi, ad esempio in graffiti rupestri lungo l'arco alpino, è capitato che i ricercatori abbiano fatto ricorso a letture ed interpretazioni che si rifanno all'uso di un alfabeto e di una lingua di matrice libico-berbera.

Appare rilevante la supposizione che i ricercatori diffusionisti si siano veramente trovati di fronte a documenti per loro inspiegabili, poiché â€" se si trattasse di falsi o di adattamenti interpretativi â€" sarebbe stato più logico "crearli" sulla base della lingua e della scrittura degli Egizi, e non di un'altra scrittura e di un'altra lingua, che presentano altrettante â€" se non maggiori â€" difficoltà interpretative. Essi sono spinti ad ipotizzare il sistematico ricorso, da parte dei Faraoni, a flotte composte di marinai d'una nazione vicina, che non fu mai, nei secoli d'oro della civiltà egizia, in rapporti pacifici con il popolo delle Piramidi. Marinai talmente acculturati da usare la propria lingua, ben diversa dall'egiziano, in tutti i loro appunti, e addirittura in documenti ufficiali, qual è "l'atto di possesso" inciso sulle montagne presso Santiago del Cile.

Vale certamente la pena di ricollegarsi alle ipotesi di "riscoperta" dell'antica Atlantide formulate nel 2001 dal sottoscritto, che doveva essere proprio un antico regno libico-berbero. La scrittura e la lingua usate in tutte quelle iscrizioni corrisponderebbero quindi a quelle dell'antica Atlantide, senza possibilità di dolo da parte di chi le ha interpretate, poiché i ricercatori che lo fecero non erano minimamente al corrente di tale ipotesi e non lavorarono in vista di essa, né per dimostrarla. Eppure, le uniche circostanze che permettessero la diffusione "planetaria" di una lingua libico-berbera e del suo sistema di scrittura, attraverso rotte marittime transoceaniche, appaiono legate all'esistenza d'un grande impero marinaro, nel periodo in cui Atlantide era signora dei mari (quindi in anni certamente anteriori al 1200 a.C.). Non è invece credibile che marinai libici, arruolati nella marineria egizia, andassero a scrivere "atti di possesso", sulle rocce dell'attuale Cile, nella propria lingua e a nome del Faraone d'Egitto.

Un tale sviluppo delle ipotesi interpretative condurrebbe ovviamente a riconsiderare globalmente anche la ricostruzione del viaggio di Rata e di Maui, che dovrebbe essersi svolto non nel sec. III a.C., ma almeno un migliaio d'anni prima, quando Atlantide esisteva ancora e deteneva la supremazia delle rotte oceaniche. Ricordiamo infatti che il citato studio, da me sviluppato su Atlantide, del 2001, ipotizza la collocazione storica della tragica fine d'Atlantide verso il 1200 a.C. Gli elementi utilizzati da Fell per datare l'iscrizione di Sosorra e l'altra del Cile sono l'osservazione di un'eclissi e la numerazione degli anni di regno (presunti come quelli di Tolomeo III, ma non identificati esplicitamente come suoi). Occorrerebbe potersi riferire ad un'altra eclissi (e non ne mancano, nella storia della Terra) e agli anni di regno d'un altro re (ma non sappiamo quale). Inoltre, dato che non siamo in possesso di elementi concreti che colleghino strettamente l'una all'altra iscrizione (se non l'uso dei medesimi caratteri e â€" probabilmente â€" d'una lingua medesima o similare), nulla impedisce che le due iscrizioni, e le altre ritrovate, possano essere memorie di viaggi diversi, con datazioni riferite al regno non d'uno, ma di diversi re. Oppure può forse bastare il nome Maui, ripetuto a migliaia di chilometri di distanza, a "firmare" i due documenti? Potremmo forse supporre di sì… ma i nomi Rata e Maui â€" o Mawi â€" a quale cultura possono appartenere?

http://www.antikitera.net/news.asp?id=10364&T=4


Ultima modifica di vimana131 il 24/04/2011, 18:59, modificato 1 volta in totale.

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Una grande civiltà neolitica non fluviale

Le prime grandi civiltà neolitiche prendono forma con l'invenzione da parte dell'uomo di un nuovo e rivoluzionario sistema "economico", la produzione e non più solo la predazione e la raccolta, che sarà la causa prima del nuovo sistema di organizzazione del lavoro e della società autoritario, piramidale e burocratico che darà il via al nascere delle prime strutture statali della storia, o delle città-stato, o dei grandi stati territoriali. Fondate sulla pratica dell'agricoltura e dell'allevamento, le civiltà neolitiche sono sorte tutte, per ovvie necessità economiche ed ecologiche, lungo grandi fiumi: quella mesopotamica tra il Tigri e l'Eufrate, quella nubiano-egiziana lungo il Nilo, quella indiana lungo l'Indo, quella cinese lungo il fiume Giallo. Tutte tranne una: Ebla.

Ebla costituisce infatti il fulcro di una civiltà neolitica medio-orientale nata al di fuori della mezzaluna fertile e non in connessione con alcun grande fiume. Fino alla sua scoperta, avvenuta nel 1964 ad opera del giovane archeologo romano Paolo Matthiae, questo fatto era ritenuto impossibile, anche in mancanza di tracce che ne documentassero l'esistenza.

Matthiae iniziò lo scavo di un tell (in arabo montagnola di detriti) nel nord del deserto siriano, a 60 km a sud di Aleppo, chiamato Tell Mardikh che da subito si palesò come qualcosa di molto importante. Ben presto infatti fu possibile identificare il sito nella leggendaria Ebla, centro siriano dell'età del Bronzo antico e medio (3500-1600 a.C.) che da semplice città-stato si trasformò in un regno, ovvero in uno stato territoriale esteso in tutta la Siria interna settentrionale, con ambizioni imperialiste che soccombette prima sotto i colpi del popolo accadico intorno al 2300 a.C. poi tornò indipendente per un breve periodo, fino al tramonto definitivo, collocabile intorno al 1600 a.C. ad opera di azioni congiunte di Hittiti ed Hurriti, di cui sembra conservarsi memoria in un poema epico intitolato "Poema della liberazione" trovato di recente nella capitale hittita di Khattusa, in Turchia, simile per molti versi all'Iliade omerica.

Gli scavi hanno riportato alla luce una vera e propria città, con un'acropoli fortificata punteggiata di grandi edifici regali ed il grande tempio dinastico; la città bassa disposta ad anello intorno alla collina sovrastante con i quartieri abitativi e numerosi edifici pubblici secolari e religiosi; un'imponente cinta fortificata costruita su un terrapieno artificiale che divideva nettamente il centro urbano (con un'area di circa 50 ettari) dalla campagna circostante. La mole ed il livello di finezza delle numerose opere d'arte che decoravano templi e palazzi fa intuire anche la qualità culturale del centro.

La scoperta sensazionale che però cambiò davvero la concezione dello sviluppo storico, fino ad allora codificato, delle civiltà mediorientali fu il rinvenimento dell'archivio reale di Ebla, contenente almeno 17.000 tavolette iscritte in caratteri cuneiformi esprimenti la lingua eblaita, di ceppo semitico.

Trattati, vocabolari bilingui eblaita-sumero, documenti contabili, amministrativi, giuridici, persino opere letterarie, inni ed incantesimi risalenti al 2300 a.C. Tale patrimonio attestava in primis l'esistenza di una scrittura antica quanto quella sumera ed egiziana, inoltre servì a ricostruire un quadro dettagliato ed approfondito della civiltà di Ebla, originale in quanto a tipo di economia, a sistema sociale, a carattere culturale.

Ebla dominava il sistema delle rotte commerciali internazionali tra Mesopotamia e Mediterraneo, mettendo in comunicazione l'Egitto e la Nubia, Creta, l'area costiera fenicia con la Siria interna e la vasta area continentale fino al Mar Caspio. Argento, legname, lapislazzuli, oro, avorio, faïance erano i materiali più pregiati di cui Ebla controllava i traffici, arricchendosi tanto da assommare grandi ricchezze. Nel "Palazzo Reale G" sono stati trovati preziosi doni provenienti dall'Egitto: coppe e calici in diorite ed alabastro tra i quali alcuni vasi iscritti con i nomi del faraone Chefren, oltre a pannelli parietali realizzati in lamine d'oro sbalzate, statue regali a grandezza quasi naturali.

L'importanza storica di Ebla consiste nell'aver rappresentato un'eccezione: la sperimentazione, per un periodo vincente, di un sistema statale diverso dal modello ecologico fluviale poi vincente rappresentato dalle civiltà mesopotamiche e da quella egizia. Inoltre è il caso, archeologicamente più significativo e meglio conosciuto, di urbanizzazione riuscita in condizioni ambientali che non permettessero un sistema economico basato solo sull'agricoltura intensiva, ma imperniato soprattutto sui commerci, resi possibili dalla presenza di materie prime esportabili, come i legnami e i metalli.

La MAIS - Missione archeologia italiana in Siria opera sulla base di una concessione ufficiale, rilasciata dalla Direzione Generale delle Antichità e dei Musei di Damasco ed è finanziata dall'Università "Sapienza" di Roma, dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e dal Ministero degli Affari Esteri. È diretta da Paolo Matthiae e composta da una folta equipe di archeologi e tecnici specializzati in tutte le discipline di ricerca: epigrafisti, topografi, paleobotanici, zooarcheologi, paleoantropologi, catalogatori, reaturatori...

Per informazioni aggiornate e documentate si può visitare il sito ufficiale della MAIS, http://www.ebla.it in cui sono disponibili anche interessanti indicazioni bibliografiche.

http://www.antikitera.net/news.asp?id=10438&T=2




ANTICA CIVILTA' SCOMPARSA A CUBA


Intorno al 1600 A.C., si sono verificati molti cambiamenti inspiegabili nel bacino del Golfo del Messico.

Oggi, prospettiva del pubblico di storia nativa americana è spesso basata sull'aspetto del nuovo mondo quando i coloni europei prima occuparono le terre dei popoli indigeni. Messico, America centrale e in Perù sono visti come le posizioni delle civiltà più avanzate nativo. Negli Stati Uniti, la posizione dei gruppi etnici indigeni nel 1776 in passato suppone fosse la loro posizione per 1000 anni precedenti. Tuttavia, i fatti scoperti dagli archeologi nel tardo XX secolo hanno cambiato radicalmente la nostra comprensione della storia antica dell'emisfero occidentale.

Prima di intorno al 1600 A.C., la società più avanzate nella metà settentrionale dell'emisfero occidentale sono ora conosciute sono stato situato negli Stati Uniti del sud-est, forse anche a Cuba, Puerto Rico e Hispaniola. Il primo pubblico "architettura" nell'emisfero occidentale era in Louisiana settentrionale. Un cluster circolare dei tumuli furono costruiti attorno al 3500 A.C. al freno di Watson. La coltivazione di piante indigene iniziò nel sud-est ha cominciato almeno dal 3500 A.C.. La più antica ceramica nota nell'emisfero occidentale è stata trovata nei pressi di Augusta, GA lungo il fiume Savannah e al 2500 a.c..

All'inizio intorno al 2200 A.C., popoli indigeni lungo la costa atlantica sud e soprattutto intorno Sapelo Island, GA iniziò a creare anelli shell massiccia, che funzionavano da villaggi. Gli anelli furono abbandonati intorno al 1600 A.C.. In questo momento, non non c'era nessun ceramica o architettura pubblica su larga scala in Messico. Vedere http://www.examiner.com/architecture-de ... nd-georgia.

Villaggi di piattaforma Louisiana

Intorno al 1600 A.C. un gruppo etnico iniziò la costruzione di grandi villaggi su piattaforme rialzate di forma semicircolare, earthen lungo gli affluenti del fiume Mississippi inferiore. All'interno di questi villaggi di piattaforma, costruirono anche tumuli cerimoniale. Un tumulo costruito presso il sito del villaggio di povertà Point, LA è uno dei più grandi mai costruito negli Stati Uniti. I villaggi di piattaforma furono abbandonati lungo quando i francesi arrivarono nella regione alla fine del XVII secolo d.c., così l'identità dei gruppi etnici nativi, che ha occupato di loro, non è nota. Vedere http://www.examiner.com/architecture-de ... -louisiana.

L'ascesa della Civlization Zoque (olmeca)

Intorno al 1600 A.C. una nuova cultura apparso sulla costa del Golfo dello stato messicano di Vera Cruz. Essa ha introdotto la costruzione piramidale tumuli e la tecnologia per la fabbricazione di ceramica in Messico. Dal 1500 A.C. il Zoque erano costruendo grandi villaggi e coltivare piante indigene in Messico, oltre alle piante coltivate che sono tipiche del bacino dei Caraibi. Da 1200 A.C. la Zoque stavano costruendo città con grandi piramidi e numerose strutture pubbliche. Zoque città e dei centri cerimoniali furono abbandonate intorno al 600 A.C.. Questo è anche il periodo di tempo stesso che è stato abbandonato il villaggio al punto di povertà, LA piattaforma. http://www.examiner.com/architecture-de ... -mountains.

Sopravvivere la storia di Zoque conservato in pietra, indica che il Zoque ha sostenuto di essere arrivato sulla costa del Messico da una patria attraverso il Golfo del Messico in tre gigante flottiglie di marittimi canoe. Questa non è un'attestazione impossibile perché gli antenati dei polinesiani erano esplorando il bacino del Pacifico 50000 a.c.! In realtà, le statue di pietra e figurine che scolpito il Zoque descrivono se stessi come alla ricerca come polinesiani Maori della Nuova Zelanda. Gli indiani Yuchi degli Stati Uniti del sud-est hanno anche una tradizione che hanno remato Nord America dalla "casa del sole" in Oriente. Vedere http://www.examiner.com/architecture-de ... -the-yuchi.

Gli archeologi cercare un "anello mancante"

Il Zoque arriva in Messico portando molti tratti di "civiltà". Essi non ha fatto apparire come i popoli indigeni del Messico centrale, ma sicuramente viaggiò da altrove nell'emisfero occidentale. Gli archeologi hanno non determinato conclusivamente loro luogo di origine. Pseudo-archaeologists nel corso degli anni hanno pubblicato libri sostenendo che la Zoque provenivano dall'Africa centrale, Egitto, Phoenicia o addirittura Scandinavia. Tuttavia, assolutamente nessuna prova archeologica o genetica spalle queste teorie.

È noto che polinesiani insediarsi in Nord America in una data molto precoce. Antichi polinesiani scheletri sono stati confermati in Messico; forse vecchio come 40000 BC. Anche Nord tribù indiane, come ad esempio le insenature, trasportare le tracce di DNA polinesiano. C'era probabilmente una cultura polinesiana fiorente in Baja California quando gli spagnoli arrivarono per la prima volta nel 1500. Così, per un gruppo etnico indigeno in Messico, come il Zoque, avendo caratteristiche polinesiani è abbastanza plausibile.

http://www.antikitera.net/news.asp?id=10452&T=2


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UNA ATLANTIDE CINESE
Trovate antiche piramidi inesplorate in Cina, nel lago Fuxian, provincia dello Yunnan


Mercoledì 19 maggio 2010

Circa sei mesi fa, il Centro di ricerche sottomarine "Prodiving.CN" e l'ONG "Laboratorio K" rivolsero una richiesta agli esperti cinesi nel campo dell'archeologia subacquea. Secondo i loro strumenti di misura, eholokatorov, sonar e risultati topometrici, sul fondo del lago Fuxian (24°34'N,102°54'E) potrebbe presumibilmente trovarsi un’antica città sommersa.


Tuttavia, date l'elevata altitudine (1700 m s.m.) e la bassa temperatura delle acque del lago, immergersi a gran profondità era piuttosto difficile. Pertanto, la missione è stata organizzata solo dopo aver reperito le necessarie attrezzature, e si è conclusa a metà dello scorso maggio.


Il lago Fuxian si estende attraverso le contee di Chengjiang, Jiangchuan e Huaning nella provincia dello Yunnan, circa 65 chilometri a sud della città di Kunming, ed è classificato per la sua estensione al terzo posto nello Yunnan, subito dopo il Lago Dianchi e il lago Erhai. E' anche il lago più profondo in Yunnan, con 157 metri di profondità massima.
Una leggenda sul lago Fuxian dice che due fate, che scendevano verso il mondo, fossero passate di qui. Erano così riluttanti a lasciare il bellissimo paesaggio che si trasformarono in statue in pietra. Perciò il lago è stato chiamato Fuxian (letteralmente significa: Lago dal profilo di fata).
Il 24 ottobre 1991, un uomo di nome Zhang Yuxiang stava pescando sul lago tranquillo. Improvvisamente, lui ed altri sostennero che un disco luminoso saltò fuori del lago, come una nebbia. Il disco svanì nell'aria e la barca fu sballottata da onde improvvise. Questo strano fenomeno scioccò Zhang e le altre persone che erano con lui.
Altre leggende come questa si sono diffuse da tempo.
Secondo "Cheng Fu Jang Zhi", un libro sulla regione dell'Imperatore Daoguang, un animale simile a un cavallo viveva nel lago. Il suo corpo era bianco puro con macchie rosse sulla schiena. A volte volava rapidamente fuori dall'acqua. Le persone che l'hanno visto sono state fortunate. Pensate che il Pegaso esista realmente nel lago Fuxian?
Un giorno, Geng Wei, un subacqueo specializzato, scoprì uno strano fenomeno sotto il lago. Vide materiali lapidei, tra cui lastre di pietra coperte da uno strato di muschio.
Geng Wei credeva che le pietre potessero essere di un tempo remoto. Tuttavia, perché erano sott'acqua? Da dove provenivano? Con queste domande, Geng si ricordò di una leggenda mistica del lago. La gente del posto dice che spesso si può vedere la sagoma della città, sotto il lago, dalle montagne vicine, in una giornata tranquilla.
Era l'antica città di cui parlava la leggenda? Per esplorare questo enigma, Geng s'immerse nelle acque circa 38 volte per portare avanti le indagini. Alla fine scrisse una relazione di notifica ufficiale ai servizi e agli esperti della provincia dello Yunnan, raccontando delle sue scoperte.
Per svelare il mistero, fu coinvolto un team cinese di archeologi subacquei, di stanza al lago Fuxian. Essi scoprirono molti blocchi sparsi sul fondo del lago. Con l'uso di rivelatori avanzati, videro che le pietre formavano un muro, visibile su uno schermo sonar. Lastre di pietra ricoperte di muschio sembravano rivelare una antica città sommersa.
Il lago Fuxian è molto grande, e le tracce di costruzione erano dappertutto. Dopo diversi giorni di osservazione e di analisi, gli esperti hanno stimato che il campo di applicazione della zona fosse tra 2,4 chilometri quadrati a 2,7 chilometri quadrati.
Alcuni studiosi pensano che il sito possa essere l'antica città di Yuyuan, che scomparve misteriosamente molte centinaia di anni fa.
I risultati cui è pervenuta la spedizione degli archeologi cino–russi nella ricerca sul lago Fuxian sono così riferiti da Leonid Gav e Yevgeny Spiridonov, gli organizzatori del progetto:


"Abbiamo trovato in laghi d'acqua dolce una piramide alta oltre 40 metri – ed è veramente sorprendente. Questa nuova meraviglia del mondo è stata preservata e nascosta dall'acqua.


Il lago Fuxian, nella provincia dello Yunnan, contiene le più antiche piramidi inesplorate. L'area di studio relativa a questi antichi manufatti supera le dimensioni della capitale d’epoca Han. La città non è menzionata in nessuno dei manoscritti famosi degli storici cinesi, né negli antichi archivi. La città cinese di Yalunvan, citata in quei documenti e andata perduta, poteva essere fatta di legno e argilla, secondo le stesse modalità classico delle altre strutture megalitiche locali, ben diverse dalla complessità dei megaliti e dei templi egizi.


Queste piramidi sono sopravvissute quasi intatte, fuori del tempo e lontane dall'attività dell'uomo. La parte superiore di una delle tre piramidi esaminate si trova ad una profondità di circa 54 metri, e la più bassa a 97 m. Le immagini mostrano blocchi di pietra con figure visibili, simili ad orecchie umane. Secondo il sonar, sono stati ripetutamente riconosciuti in scansione tridimensionale gli ecogrammi di blocchi variabili nel formato da 3 a 5 metri.
Come ci aspettavamo, l'origine del lago di Fuxian è tettonica. L'età molto approssimativa delle costruzioni può essere al periodo 5000–12000 a.C. E' stato studiato solo l'uno per cento della superficie del lago, che è largo sino a 7 chilometri e lungo oltre 50 km.
Sulla base della nostra ricerca sottomarina, dei materiali di studio, abbiamo effettuato un confronto etnografico e videoissledovaniya con i dati eholokatorov, side–scan sonar, per gentile concessione degli esperti cinesi, e si possono trarre le seguenti conclusioni:


* Le piramidi presentano caratteri architettonici simili a quelle della cultura Maya, i blocchi sono delle stesse dimensioni di quelli delle piramidi egizie della piana di Giza – questi dati sono confermati dai nostri colleghi cinesi.
* Si tratta di edifici situati a notevoli altitudini. Intorno a questo antico complesso c'era un lago, la cui profondità non superava i 30 metri. Eventi come terremoti, o altro, hanno provocato che il livello enorme raggiunto dalla pioggia causasse cambiamenti irreversibili e movimenti della crosta terrestre. La città, costruita in una situazione naturale geologica instabile, presso il lago d’origine tettonica, fu condannata.
* Il terremoto non ha distrutto l'antica città. Il primo terremoto danneggiò tutte le strutture deboli, e altri processi (piogge anomale, tremori e il cambiamento di temperatura) molto probabilmente spinsero le persone a lasciare questo posto. Eventi successivi, come alluvioni e il movimento delle placche tettoniche, completarono il miracoloso processo di conservazione, con un inabissamento di cinque centimetri all'anno, secondo le dinamiche di sprofondamento del lago al momento valutate dai geologi cinesi. La profondità massima del lago, a questo punto, è di 180 metri. Il fondo del lago è costituito da pietra, per lo più calcare, e la trasparenza delle acque in buone condizioni raggiunge i 15 metri.
* I risultati preliminari degli studi etnografici supplementari suggeriscono l'ipotesi della presenza del cuore di una cultura unica, intorno al lago Fuxian.
* Ulteriori indagini del lago sono possibili soltanto in un approccio integrato. A nostro parere, il lago è molto sicuro da esplorare con i mezzi di tecnica subacquea. Le condizioni di immersioni in altitudine, la temperatura e la visibilità rendono piuttosto arduo il lavoro, e agire in sicurezza è difficile, ma possibile.
L'immersione in altitudine è stata più ardua del previsto – tutti i membri della spedizione, anche la squadra locale di subacquei, hanno patito vertigini, nausea e formicolio alle dita. Un medico della spedizione era deciso a spostare il campo base a quote più basse, nella città di Kunming.
Tuttavia, né la vita né la salute dei membri della spedizione sono stati in alcun pericolo. Il 12 aprile, dopo 10 giorni, la spedizione di ricerca subacquea è stata completata con successo.
* I colleghi cinesi per ulteriori ricerche farebbero bene a passare attraverso un laboratorio subacqueo sull'esempio del Blue Lake russo, o un centro di ricerca come ad esempio un sottomarino midi–Class "Sadko" SPC "Ruby".
* I luoghi del lago di Fuxian appaiono unici. Gli archeologi cinesi hanno assolutamente ragione non correlare queste strutture con le necropoli cinesi e l’altra architettura storica della Cina. Questo è un approccio assolutamente onesto. La maggior parte degli archeologi cinesi data l'impianto a 5000–13000 anni prima di Cristo. Alcuni si riferiscono al periodo degli Han – ma questo non è chiaramente un approccio oggettivo. La risposta esatta e il verdetto finale dipendono dallo studio dei geologi russi sulla base dei campioni.


Insistiamo sull’attenzione eccezionale dell’UNESCO e di altre organizzazioni per questo sito archeologico. Questa è una parte dell’eredità della nostra storia comune della Terra. E’ sopravvissuta grazie all’acqua, alla profondità e al tempo. La nostra responsabilità è di preservarla e studiarla il più obiettivamente possibile. Dobbiamo conoscere la nostra storia comune terrena, per comprendere la complessità e l'unicità della nostra vita moderna – ancora fortemente dipendente dalle condizioni atmosferiche dello spazio.
Tali eventi catastrofici, che sostengono la vita di un'intera civiltà planetaria, dovrebbero farci pensare che l'unico modo possibile per la vita e l'immortalità dell'uomo, come specie, sia quello di accelerare i progetti in comune di colonizzazione dello spazio vicino”.

http://www.antikitera.net/news.asp?id=10478&T=5


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ALCUNE TEORIE SUL MISTERO DI ATLANTIDE


In questo articolo prenderemo in considerazione alcune teorie riguardanti il mistero di Atlantide che secondo alcuni sarebbe un continente inabissatosi migliaia di anni fa nell’Oceano Atlantico in seguito ad un cataclisma di proporzioni apocalittiche oppure secondo altri in seguito ad una serie di cataclismi che avrebbero provocato il graduale inabissarsi del continente perduto.

Per essere più precisi in tale articolo ci occuperemo di alcune teorie che riguardano due aspetti del mistero di Atlantide ovvero la collocazione geografica di Atlantide e delle sue colonie, fondate prima o dopo la distruzione e l’inabissamento del perduto continente e il possibile rapporto esistente tra il mistero di Atlantide ed il mistero del Triangolo delle Bermude. Prima di affrontare tali problematiche vogliamo mettere in evidenza che come abbiamo sostenuto in due nostri libri intitolati “Una lettura sociologica della realtà contemporanea” ed “I miti della società contemporanea” nella società del nostro tempo è riscontrabile un sempre crescente interesse per tutto ciò che fa parte della dimensione del mistero. Alcuni sociologi hanno definito tale fenomeno riguardante la dimensione del mistero con la suggestiva espressione “reincanto del mondo”. Nell’ambito di tale crescente interesse per l’universo del mistero occupa un posto di rilievo il mistero di Atlantide che sin dai tempi antichi ha fatto sempre molto discutere ma che a partire dalla seconda metà del XX secolo ha attirato sempre più l’interesse sia degli studiosi sia dell’opinione pubblica (secondo gli storici delle religioni tale forte e perdurante interesse per il mistero di Atlantide sarebbe in gran parte dovuto a quella che nel linguaggio della storia delle religioni prende il nome di “nostalgia delle origini”).

Dopo tale breve digressione torneremo ad occuparci dell’argomento del nostro articolo ovvero le teorie riguardanti la collocazione geografica di Atlantide ed il rapporto che potrebbe esistere tra il mistero di Atlantide ed il mistero del triangolo delle Bermude.

Per quanto riguarda le principali teorie riguardanti la collocazione geografica di Atlantide e delle sue colonie riteniamo opportuno citare innanzitutto le teorie elaborate da Ignatius Donnelly, uno studioso che ha senza dubbio giocato un ruolo molto importante nel tentativo senz’altro molto difficile di dare una risposta al problema di stabilire la collocazione geografica del sommerso continente di Atlantide ammesso che tale continente sia realmente esistito e non sia frutto solamente di una leggenda. Donnelly scrisse nel 1882 un libro sul mistero di Atlantide che ebbe un così grande successo che ancora negli ultimi anni del XX secolo è stato più volte ripubblicato.

Tale libro ha avuto un’influenza molto determinante sugli studi riguardanti Atlantide anche se dobbiamo dire che se da un lato sono innegabili i pregi di alcune teorie di Donnelly dall’altro lato bisogna ammettere per onestà intellettuale che in tale libro sono anche presenti alcune entusiastiche esagerazioni che ne limitano l’attendibilità sebbene i sostenitori di Donnelly ancora oggi moltissimi tendano a dare poca importanza a tali esagerazioni.



Secondo la teoria di Donnelly Atlantide fu la prima civiltà mondiale nonché la potenza colonizzatrice e civilizzatrice dell’intero litorale atlantico, del bacino del Mediterraneo, dell’America del sud e centrale, del Baltico e anche dell’India e di alcune regioni dell’Asia centrale. Inoltre secondo Donnelly Atlantide fu altresì la patria dell’alfabeto. Donnelly sostiene anche che i miti e le leggende dell’antichità non sono altro che versioni confuse ed annebbiate di fatti storicamente avvenuti nel perduto continente di Atlantide.

Scritto nel 1882 e inedito sino ad oggi in Italia, questo è il libro-chiave di tutta la ricerca sui continenti perduti
Nel tentativo di dare un peso scientifico alle sue teorie su Atlantide Donnelly studiò con grande attenzione il racconto di Platone riguardante Atlantide e cominciò poi a compiere ricerche su tutti i terremoti e tutti gli inabissamenti di proporzioni catastrofiche ed apocalittiche avvenuti in tutti i tempi storici. In particolare per provare che un cataclisma come quello che avrebbe provocato la sommersione del continente di Atlantide era scientificamente possibile Donnelly studiò tutti i terremoti ed i conseguenti maremoti che avevano causato la scomparsa di isole o di fasce costiere a Giava, a Sumatra, in Sicilia e anche al largo dell’Oceano Indiano dove si era inabissata una terra molto estesa.

A dire di Donnelly tuttavia l’Oceano Atlantico era la zona più instabile e mutevole tra tutte le aree del globo terrestre. Nel XVIII secolo vi furono in Islanda vari terremoti che fecero emergere un’isola la quale poi se ne tornò immediatamente in fondo al mare. Tale isola venne subito rivendicata dal re di Danimarca il quale tuttavia non ebbe il tempo di tentare di impadronirsi di tale isola in quanto essa si inabissò subito nelle acque dell’Oceano Atlantico. Inoltre Donnelly nel descrivere il disastroso terremoto che distrusse nel XVIII secolo Lisbona, causando la morte di sessantamila persone mise in evidenza che l’epicentro di tale terremoto si trovava con tutta probabilità nei fondali dell’Oceano Atlantico. Donnelly arrivò addirittura a sostenere che tale terremoto che distrusse Lisbona era il successore di quell’apocalittico terremoto che migliaia di anni prima aveva causato la distruzione e l’inabissamento del continente di Atlantide.

Donnelly mise anche in evidenza che durante tale terremoto moltissime persone si rifugiarono su un molo costruito da poco tempo, fatto interamente di marmo, che improvvisamente sprofondò nel mare con tutta la folla che vi stava sopra. Inoltre un gran numero di barche e di navi ancorate nel porto di Lisbona cariche di persone vennero inghiottite dal mare come in un gorgo e non ricomparvero mai più in superficie cadaveri, relitti o elementi di quel molo di marmo che attualmente è ricoperto da seicento piedi di acqua. L’area in cui avvenne questo terremoto di apocalittiche dimensioni era molto estesa. Il famoso geografo Von Humboldt sostenne che tale terremoto interessò una porzione della superficie terrestre estesa quattro volte l’Europa.

Donnelly sostenne anche che nel periodo storico in cui esisteva Atlantide esistevano delle isole che formavano una specie di ponte di terraferma che collegava Atlantide con l’Europa da un lato e con l’America del centro dall’altro. Un’altra teoria molto suggestiva formulata da Donnelly è quella che sostiene la diffusione della cultura del perduto continente di Atlantide sui due versanti dell’Oceano Atlantico ovvero sul versante europeo e su quello americano.

Un’altra teoria di Donnelly che ha avuto molta fortuna ed è stata accolta con molto entusiasmo è quella che sostiene che tutti i miti della religione greca sono versioni sbiadite e confuse di fatti storici avvenuti nel continente di Atlantide. Secondo Donnelly i fatti storici avvenuti ad Atlantide sono alla base della mitologia greca cosicché tutti i racconti mitologici che hanno come protagonisti gli dei e le dee della religione olimpica greca sono ricordi molto confusi delle imprese e degli avvenimenti storici che avvennero nel continente di Atlantide. Per dirla in altro modo utilizzando il linguaggio della storia delle religioni il carattere fortemente antropomorfico delle divinità olimpiche (tali divinità nascono, mangiano, bevono, hanno rapporti sessuali sia tra di loro sia con gli esseri umani, generano figli, si fanno coinvolgere nelle guerre che avvengono tra gli esseri umani, hanno i peggiori difetti ed i migliori pregi degli esseri umani) è dovuto solamente al fatto che tali divinità non erano altro che i re, le regine, i principi, i condottieri del perduto continente di Atlantide.

In definitiva quindi Donnelly sostiene che molte figure storiche del continente di Atlantide si siano trasformate negli dei e nelle dee della religione greca dando origine a tutta una serie di miti che costituiscono una parte di grande importanza della religione olimpica greca.

Prenderemo ora in considerazione alcune teorie che riguardano la collocazione geografica delle colonie atlantidee oppure di quelle città dove si sarebbero rifugiati gli abitanti di Atlantide dopo la distruzione del loro continente.

La prima di tali presunte colonie costruite dagli abitanti di Atlantide prima o dopo la distruzione e l’inabissamento del loro continente è considerata da alcuni autori Tartesso. Tali studiosi credono che questa città oggi sommersa fosse collocata sulle coste Atlantiche della Spagna nei pressi della foce del Guadalquivir. Essi sostengono altresì che tale città era un centro culturale fortemente progredito particolarmente ricco di minerali.

Alcuni archeologi tedeschi quali Herman e Henning nel 1905 iniziarono la ricerca di Tartesso da loro considerata la “Venezia dell’ovest”. Nonostante tali ricerche degli archeologi tedeschi Tartesso non è mai stata ritrovata sebbene si siano trovate tracce di grandi edifici negli scavi effettuati dagli archeologi tedeschi. Attualmente esistono due ipotesi formulate per spiegare la sparizione di Tartesso: la più accreditata sostiene che le rovine di Tartesso si troverebbero sott’acqua mentre la seconda ipotesi sostiene che le rovine di tale città si trovano sulla terraferma coperte dal fango.

Altri autori tra cui l’archeologo francese Godron sostengono che alcune colonie di Atlantide si troverebbero nel Sahara coperte dalla sabbia. Godron sostiene altresì che i berberi dei monti dell’Atlante i quali hanno spesso la pelle bianca, gli occhi azzurri e i capelli biondi sarebbero i discendenti degli abitanti di Atlantide sfuggiti alla distruzione del loro continente.

Uno studioso tedesco Borchard formulò un’interessante teoria nel 1926: tale teoria sosteneva che i berberi erano i discendenti dei superstiti di Atlantide. Borchard cercò di dare un supporto scientifico alla sua teoria cercando di collegare i nomi delle tribù berbere moderne con quelli dei dieci figli di Poseidone, cioè dei clan atlantidei. Egli trovò delle coincidenze abbastanza notevoli: innanzitutto una tribù berbera si chiamava Uneur, il che si adattava perfettamente al nome Evenore che era secondo Platone il primo abitante di Atlantide; inoltre le tribù berbere dello Sciott el ameinha in Tunisia venivano chiamate “Attala” nome che presenta la stessa radice del nome Atlantide.

Altri autori sostengono che alcune colonie di Atlantide fondate prima o dopo l’inabissamento del perduto continente si trovavano nell’isola di Thera che esplose e si inabissò nel Mediterraneo circa nel 1500 A. C.. Diversi autori considerano l’isola di Thera ed anche altre isole sprofondate nel mare Egeo insieme a Thera una colonia del perduto continente di Atlantide. Particolarmente interessanti sono le teorie su Thera formulate dall’archeologo e oceanografo americano James Mayor. Secondo tale autore il misterioso crollo dell’impero minoico di Creta e la distruzione della sua splendida capitale Cnosso furono dovuti ad una apocalittica eruzione vulcanica che fece sprofondare nel mare Egeo l’isola di Thera nel 1500 A. C., lasciando un profondo abisso marino nel luogo dove prima si trovava l’isola. Le conseguenti ondate di maremoto causate da questa eruzione e dall’inabissarsi dell’isola di Thera nel mare Egeo causarono la sommersione di molte città situate sulle coste e causarono tra l’altro anche la fine dell’impero minoico di Creta e la distruzione della sua capitale Cnosso, nonché la probabile sommersione di isolette situate vicino a Thera. Scavi effettuati nel XX secolo sembrano confermare tale teoria. Probabilmente futuri scavi in terra e in mare che saranno effettuati sia a Thera sia a Creta procureranno altri dati ed informazioni su questa terribile catastrofe naturale (una parte dell’isola di Thera è stata ritrovata in quanto è situata poco al di sotto del livello del mare).

Infine James Mayor sostiene che poiché il traffico mercantile egiziano si interruppe al momento del misterioso declino di Cnosso e dell’impero minoico cretese, è molto probabile che siano stati gli egiziani a dare origine ai racconti che riguardavano la scomparsa e l’affondamento dell’isola di Thera nonché di qualche altra isola situata nelle vicinanze di Thera. Mayor ritiene anche che i racconti di un’invasione dell’Egitto proveniente dal mare ad opera di popolazioni provenienti da nord siano stati originati da effettivi attacchi subiti dall’Egitto da popoli che a causa dell’eruzione e del conseguente terremoto e maremoto che avevano distrutto Thera ed altre isole dell’Egeo e che avevano anche messo fine all’impero cretese minoico cercavano di conquistare altre terre dal momento che i luoghi da loro abitati o erano stati sommersi dal mare o erano stati a tal punto devastati da terremoti e maremoti da non essere più abitabili per moltissimo tempo.

Prenderemo ora in considerazione alcune delle teorie che riguardano il secondo elemento del mistero di Atlantide che abbiamo intenzione di affrontare in tale articolo ovvero la possibile esistenza di un legame tra il mistero del triangolo delle Bermude e il mistero di Atlantide. A tale riguardo esporremo le tre principali teorie che sono state formulate nel tentativo di stabilire una connessione, uno stretto legame tra le numerose sparizioni di aerei e di navi che si sono verificate nel Triangolo delle Bermude e il sommerso continente di Atlantide.

La prima di tali teorie è stata formulata da David Zink e parte dal presupposto che le numerose sparizioni di aerei e di navi avvenute nel Triangolo delle Bermude siano state causate da un’arma ancora attiva situata nelle rovine sommerse di Atlantide. David Zink chiama quest’arma costruita dagli abitanti di Atlantide “fuoco di cristallo”: tale studioso sostiene che quest’arma ancora funzionante dopo molti millenni si attiverebbe in determinate condizioni che non è facile allo stato attuale determinare e causerebbe la sparizione di navi e aerei nel Triangolo delle Bermude.

Come abbiamo sostenuto nel nostro articolo intitolato “Il mistero del Triangolo delle Bermude” tale teoria di Zink presenta un evidentissimo punto debole in quanto non riesce a spiegare come mai in alcuni casi sono spariti solamente gli equipaggi di determinate navi e non le imbarcazioni in questione. Infatti se come sostiene Zink le navi e gli aerei spariti sono stati distrutti o addirittura disintegrati dai micidiali raggi generati da questa arma micidiale situata tra le rovine sommerse di Atlantide non si sarebbe mai dovuto verificare nessun caso di quelli che abbiamo citato caratterizzati dalla scomparsa degli equipaggi di alcune navi senza che queste siano state minimamente danneggiate dagli ipotetici micidiali raggi che secondo Zink partirebbero da quest’arma degli antichi atlantidei da lui denominata “fuoco di cristallo”. Quindi se proprio si vuole sostenere che esiste un legame tra le sparizioni di navi ed aerei che si verificano da moltissimo tempo nel Triangolo delle Bermude ed il continente sommerso di Atlantide non ci sembra che la teoria elaborata da David Zink sia particolarmente convincente.

Prenderemo ora in considerazione la seconda teoria elaborata da alcuni studiosi allo scopo di stabilire un legame tra il mistero di Atlantide e quello del Triangolo delle Bermude. Secondo tali studiosi la causa delle numerose sparizioni di aerei e di navi che si sono verificate nel triangolo delle Bermude sono state causate dalle perturbazioni elettromagnetiche e dalle anomalie gravitazionali che sono presenti in tale zona geografica. A detta di tali studiosi le suddette perturbazioni ed anomalie sarebbero state causate proprio dall’apocalittico cataclisma che determinò migliaia di anni fa la distruzione e l’inabissarsi del continente di Atlantide. A dire il vero le perturbazioni elettromagnetiche e le anomalie gravitazionali che sono state riscontrate nel Triangolo delle Bermude non sono state individuate in nessun altro punto geografico del globo terrestre fatta eccezione per un braccio di mare piuttosto esteso situato nell’Oceano Pacifico in vicinanza del continente asiatico.

Se teniamo presente che si parla in alcune fonti dell’esistenza di un altro continente sommerso sprofondato negli abissi dell’Oceano Pacifico in seguito ad un altro apocalittico cataclisma (ci riferiamo all’ipotetico continente perduto di Mu conosciuto anche col nome di Lemuria) appare senza dubbio strano che le uniche due zone del globo nel quale sono state rilevate tali alterazioni elettromagnetiche e tali anomalie gravitazionali siano situate una nell’Oceano Atlantico e l’altra nell’Oceano Pacifico ovvero nelle due aree geografiche dove si sarebbero inabissati i due ipotetici continenti perduti di Atlantide e di Mu. Naturalmente si potrebbe trattare semplicemente di una coincidenza che non ha nessun legame con i due presunti continenti sommersi ma in ogni caso gli scienziati non sono ancora riusciti a spiegare perché tali anomalie gravitazionali e perturbazioni elettromagnetiche esistono solamente in questi due punti del globo terrestre.

Prenderemo ora in considerazione la terza ipotesi formulata per sostenere l’esistenza di un legame tra il mistero del Triangolo delle Bermude ed il mistero di Atlantide. Secondo tale ipotesi il continente di Atlantide non si sarebbe inabissato in un intervallo ristretto di tempo in seguito ad un unico ed apocalittico cataclisma ma al contrario si sarebbe inabissato in un lungo intervallo di tempo ed in maniera graduale in seguito ad una serie di eventi catastrofici. Secondo una parte dei sostenitori di tale ipotesi tali eventi catastrofici sarebbero stati dovuti solamente a cause naturali mentre secondo altri la causa scatenante di tali eventi catastrofici che avrebbero portato alla graduale sommersione del continente di Atlantide sarebbe stata una guerra scoppiata tra gli atlantidei che, avendo a disposizione armi addirittura superiori dal punto di vista tecnologico a quelle esistenti nel mondo contemporaneo avrebbero causato essi stessi la distruzione e la sommersione del loro continente.

Secondo i sostenitori di tale ipotesi gli atlantidei proprio perché in possesso di sofisticatissime conoscenze scientifiche si sarebbero resi conto che il loro continente era destinato ad essere completamente sommerso dalle acque dell’Oceano Atlantico cosicché nel tentativo di salvare almeno una piccola parte degli abitanti di Atlantide avrebbero costruito una città sottomarina nella quale si sarebbero trasferiti un certo numero di atlantidei prima della sommersione totale del continente sia che essa sia stata dovuta a cause esclusivamente naturali sia che al contrario sia stata dovuta ad una guerra scoppiata nel continente perduto. Secondo tale ipotesi tale città sommersa abitata dai discendenti degli atlantidei esisterebbe ancora e si troverebbe proprio nei fondali del Triangolo delle Bermude. Di conseguenza le sparizioni numerosissime di aerei e navi ed anche le sparizioni dei soli equipaggi sarebbero stati causati dai discendenti degli abitanti di Atlantide che avrebbero rapito tali esseri umani per motivi non ancora chiariti.

Come abbiamo sostenuto nel nostro libro intitolato “I credenti degli UFO” questa ipotesi, anche se ha il pregio di spiegare anche le sparizioni dei soli equipaggi di alcune navi ritrovate perfettamente integre nelle acque del Triangolo delle Bermude, ci sembra un’ipotesi molto fantascientifica e molto improbabile anche perché presenta almeno due grandi punti deboli che ora prenderemo in considerazione. In primo luogo non spiega il motivo che spingerebbe i discendenti degli abitanti del sommerso continente di Atlantide residenti nella città sommersa a rapire periodicamente un numero considerevole di esseri umani. In secondo luogo se esistesse negli abissi del Triangolo delle Bermude una città sommersa di notevoli dimensioni (appare evidente infatti che una città di tal tipo dovrebbe essere molto estesa sia perché gli abitanti del perduto ipotetico continente avrebbero avuto molto tempo per costruirla sia perché doveva servire a salvare il maggior numero di Atlantidei possibile e le principali conquiste della scienza e tecnologia atlantidee). Appare molto improbabile per non dire quasi impossibile che una città sommersa di tali dimensioni non sia stata mai rilevata da nessuno.

In conclusione a nostro avviso solamente la seconda delle tre ipotesi formulate per sostenere l’esistenza di un legame tra il mistero di Atlantide e il mistero del Triangolo delle Bermude può essere considerata degna di esser presa in considerazione o quanto meno può essere considerata un’ipotesi che almeno non va contro il buon senso e non cade nell’assurdo. A nostro avviso invece le altre due ipotesi sono del tutto insostenibili in quanto cadono proprio nell’assurdo.

Giovanni Pellegrino

http://www.altrogiornale.org/news.php?extend.6955


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MessaggioInviato: 25/05/2011, 18:21 
Voyager - Atlantide siamo noi? 23/05/2011

[BBvideo]http://www.youtube.com/watch?v=eHvyslH0P8s[/BBvideo]
[BBvideo]http://www.youtube.com/watch?v=OVq2oIruoBE[/BBvideo]


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UN'ALTRA CULTURA ANTICA COME QUELLA DELL'INDO?

MUMBAI - Il litorale di Konkan, da Shrivardhan in Raigad a Vengurla in Sindhudurg, fu sede di abitazione umana circa 8000 anni fa? E quella popolazione possedeva competenze ben sviluppate di ingegneria? C'era una cultura unica Konkan verso il 6000 a.C.? La più recente scoperta nel campo dell'archeologia, sotto le acque del mare della costa di Konkan, potrebbe rispondere a queste domande con un grande e sonoro "SI".

In quella che potrebbe rivelarsi come un'importante scoperta, i ricercatori hanno trovato una struttura simile a un muro, lunga 24 km, di 2, 70 metri di altezza e circa 2, 50 m di larghezza. La struttura mostra uniformità nella costruzione. "La struttura non è continua da Shrivardhan a Raigad, ma è uniforme. È stata trovata 3 metri sotto il livello del mare. Considerando l'uniformità della struttura, è ovvio che la struttura sia dall'uomo, " ha detto il Dr Ashok Marathe, dipartimento di archeologia, Deccan College post-laurea e Research Institute, Pune.

Questa spedizione congiunta effettuata da Deccan College, Pune e dipartimento di scienze e tecnologia, il governo centrale, è stato in corso dal 2005. "Stavamo effettivamente studiando gli impatti del tsunami e terremoto nella costa occidentale quando in primo luogo abbiamo trovato questa struttura in Valneshwar, " ha detto Marathe.

Tuttavia, l'età della struttura è stata stabilita in base alla mappatura del livello del mare. "Ci sono stati studi esaurienti sull'acqua di mare e il bordo della terra. In base a calcoli, esperti dall'Istituto nazionale di oceanografia (NIO) agganciano l'epoca del muro al intorno al 6000 a.C., " Marathe ha informato.

La scoperta ha sollevato una serie di domande, come come queste enormi pietre sono state portate a riva? Qual'era lo scopo dietro la costruzione di questo muro? Se la data del muro è accurata, poi è la stessa età della civiltà dell'Indo? Perché non hanno nessuno dei ricercatori fino a data, trovato o fatto alcuna menzione di questa civiltà? Marathe, che si andrà in pensione nel luglio 2011, ha chiesto a più persone per cercare di trovare le risposte a queste domande.

Sulla scia dei progetti di potenza fino a venire sulla costa di Konkan e il crescente malcontento, questa scoperta potrebbe rivelarsi fondamentale. Marathe, però, mostra poca fiducia nel governo.

http://www.antikitera.net/news.asp?id=10565&T=2


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MessaggioInviato: 08/06/2011, 10:36 
ma secondo voi è possibile che civiltà evolute non abbiano lasciato alcuna traccia significativa? secondo voi se noi ci estinguiamo fra 100 anni, poi fra 8-10mila anni non rimarrà traccia di quello che abbiamo fatto??


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Dipende tutto da cosa intendi tu per traccia significativa.


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A me sembra che ormai per "Atlantide" si intenda qualsiasi mistero archeologico e qualsiasi collegamento fra antiche civiltà molto distanti fra loro. Penso che il campo dovrebbe essere un poco più ristretto, se si vuole parlare veramente di Atlantide e non di qualsiasi altra civiltà antica, sui cui legami con Atlantide prima bisognerebbe fare un discorso un poco attendibile, altrimenti si finisce con il fare il solito minestrone, o meglio il solito mine-misterione.....


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Concordo.


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MessaggioInviato: 10/06/2011, 17:48 
Cita:
Sheenky ha scritto:

Dipende tutto da cosa intendi tu per traccia significativa.


che ne so, città, libri, scritture...le abbiamo trovate degli uomini preistorici, come è possibile non trovarle di civiltà avanzate?


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Be, oltre al tempo passato, devi considerare la teoria della ciclicità degli eventi. Oltretutto se atlantide è esistita, va sicuramente collegata prima del 10.000 a.C, e sappiamo tutti che in quel periodo ci fu l'ultima glaciazione. Bene, ora metti che qualcuno sia riuscito a salvarsi, di sicuro sarebbe fuggito in luoghi più sicuri. E da li avrebbe iniziato a ricomparire la civiltà, con delle tracce sparse qual e la nel mondo che si rifacevano a quelle antiche catastrofi e al loro popolo iniziale. Una prova a mio parere sono i miti antichi, primo fra tutti quello del diluvio e di pochi uomini che riescono a salvarsi, che se ne trova traccia in praticamente tutte le culture del pianeta. Scritture dubito che si troveranno mai...insomma...sono passati minimo 10.000 anni...aggiungici delle catastrofi naturali...voglio proprio vedere come si potrebbe sperare di trovare fonti scritte. Gli indizi sono disseminati ovunque. A partire dai miti antichi ai ritrovamenti archeologici più antichi di quello che si dice. Dovrebbe far riflettere non poco solo il fatto che ci siano piramidi in tutto il mondo. E quale teoria migliore per spiegare questa cosa, se non il fatto che siano delle costruzioni ricordanti un passato comune dimenticato?
Solo per iniziare ovviamente....


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MessaggioInviato: 10/06/2011, 20:24 
oltre alle supposizioni classiche sulla posizione di atlantide,esistono altre teorie che cmq sono in contrasto con gli eventi,goegrafici et politici del tempo,posto x curiosita':

"
Esistono altre strane collocazioni di Atlantide,Il geologo inglese Jim Allen sostiene che Atlantide si trovasse in Bolivia, nell'area dell'Altiplano, basandosi sulla presenza di una piana rettangolare corrispondente alle dimensioni specificate da Platone e di depressioni concentriche ad arco di cerchio subito a est della città di Pampa Aullagas, da lui identificate con i canali della capitale.

Recentemente sebra che i ricercatori abbiano svelato la vera locazione geografica di questo mitica civiltà,verrebbe collcata in Spagna precisamente in Andalusia, vicino Cadice.È l'opinione dello studioso tedesco Rainer Kuehne che si avvale di rilevazioni satellitari ;qualcosa combacia, come la forma delle strutture rilevate e l'ambientazione vicino a montagne (in questo caso la Sierra Morena e la Sierra Nevada), come le descrizioni di Platone, in cui sono anche presenti ricche miniere di rame.


Tuttavia, se avesse ragione Kuehne, non si tratterebbe di un'isola, come vuole la tradizione, e le dimensioni rilevate dal satellite non combaciano con quelle di Platone.




Comunque sia, ovunque la si voglia collocare, Atlantide affascina soprattutto per i miti che avvolgono il suo popolo e la sua fine.chissa se in un futuro prossimo riusciremo a scoprire la verità

notizie dal invasione aliena [:(!]


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MessaggioInviato: 10/06/2011, 23:56 
Ormai è chiaro che la nostra precedente civiltà è stata quella Megalitica,le tracce le abbiamo,sono sparse in tutto il mondo e sono enormi ma....,guarda caso non sappiamo neanche con tutta la nostra tecnologia come le abbiano realizzate,questo vuol dire che la loro tecnologia costruttiva era molto più avanti rispetto alla nostra.
Questa uniformità di modelli costruttivi tra continenti diversi ci indica che la loro era una civiltà globalizzata,questo è stato possibile se tra loro vi era comunicazione.
Che tipo di comunicazione?.[:D]
Come l'abbiamo noi attualmente!.[;)]


Ultima modifica di bleffort il 10/06/2011, 23:57, modificato 1 volta in totale.

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