Rocknrolla ha scritto:
...o non sarà forse che più semplicemente sono TUTTE scie di condensazione? (domanda retorica)
Come afferma giustamente TTE, le scie di condensazione si formano generalmente al di sopra degli 8 mila metri, mentre le famigerate scie chimiche , se e quando vengono irrorate (dove?) avvengono la di sotto di simile quota; e se non ti trovi presente in quel momento, visto che sono nebulizzate, non le vedi nemmeno. Le uniche che conosco professionalmente sono quelle per far piovere o per "suqgliare" la grandine o non permetterle di formarsi, ma allora sono piccoli aerei, per lo più privati! Oppure vengono lanciati appositi razzi da terra (o gli stessi, appesi sottole ali, quindi, di irrorazione ... per quello che ne so, nemmeno l'ombra, qui, in Italia); tutte le scie che vediamo sono solo innocue e anche belle, se vogliamo, a vedersi, oltre a segnalare il tipo di clima che ci attende nelle prossime ore (come ho sempre affermato), questo dandovi la parola d'onore per quel che mi riguarda, da ex militare.
Ecco cosa fanno:
Articolo di climatologia
3/10/08 - Panoramica sui metodi di difesa dalla grandine
Panoramica sui metodi di difesa dalla grandine

Durante i mesi estivi capita spesso di imbattersi in notizie riguardanti pesanti grandinate, capaci di distruggere buona parte dei prodotti agricoli all'interno della zona che colpiscono. È quindi naturale un forte interessamento da parte degli agricoltori verso tutti i metodi "antigrandine" proposti sino ad oggi, anche su quelli che presentano evidenti limiti dal punto di vista scientifico. Possiamo dividere tali metodi in due grosse categorie: i metodi attivi (o "di attacco") che tentano di prevenire, almeno in parte, le grandinate e i metodi passivi (o "di difesa") che, molto semplicemente, proteggono le colture.
Le tecniche di attacco adottate negli ultimi decenni sono principalmente tre: cannoni ad onda d'urto, razzi esplodenti e (in modo molto meno diffuso) razzi irroranti. Dei primi abbiamo già abbondantemente parlato nell'articolo di Settembre, arrivando a capire che la loro efficacia, almeno per ora, risulta scarsa o nulla.
I razzi esplodenti sono stati pressoché abbandonati, in quanto si basano sullo stesso principio dei cannoni ad onda d'urto (la cavitazione, come spiegato nell'articolo del 1 Settembre), ma sono estremamente più scomodi da gestire poiché necessitano di vere e proprie, piccole rampe di lancio da ricaricare ogni volta con nuovi razzi. Inoltre, come per i cannoni del resto, il volume d'aria interessato dalle esplosioni all'interno di una nube temporalesca di medie dimensioni risulta molto limitato rispetto all'estensione della nube stessa.
Panoramica sui metodi di difesa dalla grandine
Le tecniche di attacco che prevedono l'irrorazione delle nubi temporalesche con composti chimici (come lo ioduro d'argento) o con sali igroscopici si basano sulla giusta considerazione che l'immissione di tali particelle favorisca la crescita di più goccioline (o chicchi) di dimensioni più piccole, rispetto a poche gocce (o chicchi) di grandi dimensioni.
Se usate preventivamente, queste tecniche sono anche in grado di far piovere in anticipo, "rubando" così un po' dell'acqua che, con il successivo sviluppo del temporale, sarebbe servita per l'accrescimento di chicchi di grandine. Comunque, al tema dell'inseminazione artificiale delle nubi dedicheremo un articolo in seguito.
L'irrorazione può essere effettuata in tre modi più o meno funzionali: produzione da terra (poco efficace, in quanto la sorgente delle particelle è lontanissima dalla zona di crescita della grandine), tramite razzi irroranti da lanciare all'interno del temporale, oppure tramite l'utilizzo di aerei in volo direttamente dentro la nube. Ovviamente l'ultimo metodo è quello più efficace, ma risulta però poco praticabile, visti i costi da sostenere per i voli. Tale tecnica è quindi scarsamente utilizzata, se non in via sperimentale o per scopi di ulteriore ricerca.
Panoramica sui metodi di difesa dalla grandine
Passando alle tecniche di difesa, quelle in uso sono essenzialmente rappresentate dalle reti antigrandine, che svolgono il loro esercizio semplicemente coprendo le coltivazioni e raccogliendo la grandine. Grazie ai materiali e alle tecnologie odierne, la protezione fornita da tali strumenti è oramai a prova di grandinate anche molto importanti. Le reti sono infatti spesso costituite dall'intreccio di fili in polietilene, il polimero sintetico (materiale plastico) più diffuso ed economico che, come la maggioranza dei polimeri sintetici, offre un alto grado di resistenza alle sollecitazioni meccaniche (come il peso di grossi chicchi di grandine).
Le maglie delle reti (ovvero gli spazi tra un filo e l'altro) possono essere rettangolari o quadrate e variano molto in dimensione, andando da 2-3mm fino a 7-8mm di larghezza. Per cui esistono reti in grado di fermare la quasi totalità dei chicchi e reti che invece bloccano solo i chicchi medio-grandi (quelli più piccoli non arrecano comunque particolare danno alle coltivazioni). Ad ogni modo, poiché la dimensione media del chicco di grandine in Italia è di circa 10mm di diametro, le reti sono in grado di far fronte alla gran parte dei fenomeni grandinigeni più intensi a cui sono esposte.
Nonostante le considerazioni sin qui fatte e per una ragione ancora non ben conosciuta (forse l'animo umano è naturalmente portato ad attaccare, piuttosto che restare in attesa di difendersi), molti agricoltori, consorzi e comuni italiani preferiscono tutt'ora provare a combattere i temporali grandinigeni attraverso l'utilizzo di cannoni a onda d'urto, limitando l'utilizzo intensivo delle reti antigrandine a poche aree del paese (Trentino-Alto Adige in primis).
A cura di Michele Salmi
http://www.meteowebcam.it/articoli-clim ... ndine.html
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Ufologo 555 il 14/06/2011, 11:18, modificato 1 volta in totale.