Come ho indicato nel mio post precedente, mi risulta che il documentario di DC sia uno soltanto ed e' stato realizzato solo con il materiale della spedizione di Ivan Mackerle, anche perche' la precedente spedizione nel 1979 non era riuscita a localizzarli. Quindi le "pozze" esistono e la spedizione lo ha documentato. Quanto poi al resto della questione (=macchinario, cupole, etc) la spedizione non ha prodotto altro, da una parte per gli scarsi mezzi e dall'altra a causa della malattia che ha colpito lo stesso Mackerle.
Quindi, francamente non capisco la tua esternazione. Si tratta di una vicenda pressoche' sconosciuta e quindi non vedo come possa aver generato un tale loop.
Quindi, prima di sparare a zero sulla questione ci sarebbe da riflettere, anche se posso concordare sulla forte inattendibilita' della notizia relativa alla fantomatica nuova spedizione di un ipotetico Michale Visok.
In ogni caso, riporto qui uno stralcio di un'articolo pubblicato nel maggio 2010 su "Tracce d'eternita' n.8" e relativo alla cronaca della spedizione.
Credo si tratti di una lettura molto illuminante, che illustra come solitamente vengono condotte questo genere di indagini/spedizioni e che spiega abbondantemente perche' questi misteri sono destinati a rimanere tali a lungo, salvo colpi di fortuna inaspettati.
NELLA VALLE
Il mistero della Valle della Morte e dei suoi ‘calderoni’ in Yakuzia, poco conosciuto e ancora irrisolto, mi ha praticamente ipnotizzato.
Si tratta di formazioni naturali? Se artificiali, chi le ha costruite e perché?
Le strane malattie che avrebbero colpito chi è capitato nelle loro vicinanze suggerirebbero alti livelli di radioattività.
Non è da meravigliarsi se in pochi si sono avventurati alla loro ricerca, la mancanza di informazioni attendibili e la lontananza della regione ne aumentano la pericolosità. Ma, esplorare la temuta Valle e trovare i misteriosi emisferi di metallo, prima che scompaiano nelle profondità della terra, costituirebbe una scoperta d’interesse mondiale. Il mio team non credeva negli UFO, o negli esseri neri e monocoli: il nostro obiettivo principale era di scoprire la reale esistenza dei ‘calderoni’ e cosa fossero in
realtà.
Il nostro problema principale era localizzare i ‘calderoni’ nella taiga, così vasta e impenetrabile.
L’informazione più attendibile che avevamo riguardo al luogo esatto era una vaga nozione che si trovasse da qualche parte lungo il fiume Olguidakh, tributario del Viliuy, nelle profondità della taiga. Non era possibile trovare nessun testimone oculare che potesse guidarci direttamente.
Vagare alla cieca e a piedi ci avrebbe portato a un sicuro insuccesso.
L’unica soluzione possibile era un’esplorazione aerea in un momento dell’anno nel quale la neve fosse sciolta e gli alberi fossero privi di foglie, che avrebbero altrimenti ostacolano la visuale. Un pilota avrebbe potuto esplorare in un’ora quanto a noi, a piedi, avrebbe preso un mese. Avrebbe potuto volare sopra un’area selezionata e filmare il paesaggio sottostante alla ricerca di qualsiasi anomalia.
Ma non potevamo permetterci un elicottero; un’ora sola di noleggio ci sarebbe costata 1.500 dollari americani. Jirka Zitka, il nostro pilota, poteva utilizzare un deltaplano a motore, ma dopo diversi ragionamenti, avevamo rifiutato quest’opzione, poiché sarebbe stato difficoltoso decollare in una regione con una vegetazione così fitta, o far atterrare d’emergenza l’apparecchio.
Alla fine, optammo per un parapendio a motore – in pratica, un paracadute dotato di motore – che avrebbe potuto decollare e atterrare in una piccola area. Il nostro mezzo di trasporto ci abbandonò sotto a un ponte sul l’Olguidakh e si allontanò lungo le strade polverose nei pressi della città di Mirnyj.
Rimasi seduto sul mio zaino strapieno, domandandomi come saremmo riusciti a penetrare nella taiga ed esplorare entrambe le rive del fiume.
Non potevamo portarci dietro sulle spalle tutta l’imponente attrezzatura e le provviste, pensate per durare quattordici giorni. Anche l’‘off-road’ meglio equipaggiato non avrebbe potuto attraversare la giungla, priva di ogni strada percorribile.
Scegliemmo quindi una via ben testata per il trasporto forestale – il fiume.
Gonfiammo un gommone, che divenne ben presto nostro compagno inseparabile, e mettemmo tutte le apparecchiature e le provviste in un’altra barchetta gonfiabile. La nostra guida era Sláva Pastuchov, un materialista che non credeva nella legenda e ci aveva accompagnato per pescare, cacciare, e soprattutto per aiutarci a sopravvivere. Un cacciatore esperto, che a seguito di un malanno durante la navigazione attraverso un’inquietante area disseminata da alberi spogli e a pezzi, ci lasciò presto, e in fretta.
La Valle della Morte è nota per essere realmente una catena completa di vallate che si allargano lungo le rive del fiume.
Per esplorare l’intero percorso di 200 chilometri lungo il fiume, lo avevamo diviso in sezioni, nelle quali sostavamo per qualche giorno e, per quanto ce lo potes-
sero permettere le rive paludose e piene di vegetazione, ci accampavamo per partire poi per le nostre spedizioni.
Lanciare un paracadute nella taiga non era un’impresa facile. Darsi lo slancio cercando di non scivolare su acquitrini dissestati pieni di radici giganti e buche nascoste, con trenta chili di peso sulle spalle, richiedeva forti gambe.
Non avevamo alle spalle un’esperienza di volo su parapendio, e per Pavel Stepán, il nostro pilota, il successo era una mera impresa atletica. “Ho trovato qualcosa!” urlò Pavel dopo essere atterrato da poco con il suo paracadute. “Ho visto uno strano cerchio”, disse, puntando a est del fiume.
Ci radunammo intorno alla videocamera e ripetemmo la registrazione. Aveva ragione!
Nel bel mezzo di un paesaggio monotono si vedeva uno strano anello. Con l’aiuto del computer, le foto della taiga e le immagini via satellite di Google Earth, determinammo le esatte coordinate dello strano cerchio e, al colmo della gioia per aver trovato il nostro primo ‘calderone’, aprimmo una bottiglia di vodka.
CALDERONI INABISSATI
Nonostante fossimo in giugno, fummo sorpresi da una nevicata notturna Dopo il secondo giorno di neve, perdemmo la pazienza e uscimmo alla ricerca del cerchio misterioso. Ci arrampicammo su una collinetta, GPS in mano, attraverso la folta vegetazione, verso una radura sulla cima e ci fermammo stupiti.
Non avevamo mai visto niente del genere.
Non si trattava della superficie liscia e sporgente del tanto ambito emisfero, ma di una pozza circolare dal diametro di circa 50 metri. Al suo centro si trovava un pezzo di terreno circolare di circa 30 metri di diametro. Non sembrava una formazione naturale, ma di un anello con un’apertura al centro, anche questa sommersa dall’acqua. Utilizzando due lunghi rami per testare il terreno sottostante, per assicurarsi che non si trattasse di un pericoloso pantano, Pavel affrontò l’acqua quasi gelata con i suoi stivali alti da pescatore, verso l’anello innevato.
Sotto la neve e un sottile strato di fango, urtò contro qualcosa di solito con un palo. Si trattava solo di ghiaccio? Con attenzione, continuò verso il centro del cerchio, fermandosi di fronte all’apertura. Il bastone lungo circa tre metri sparì sotto la superficie.
Di cosa si poteva trattare? Se l’emisfero fosse stato di ghiaccio, la corrente lo avrebbe sciolto.
Poteva trattarsi di un ‘calderone’ gigante, in quel momento quasi completamente sommerso nella terra gelata?
La neve si sciolse e fummo di nuovo colpiti dalla fortuna. Pochi chilometri più giù lungo il fiume, trovammo un luogo simile.
In una pozza perfettamente circolare, questa volta con diametro di 10 metri, trovammo una cupola gigante, solida e liscia, leggermente ricurva, coperta da
uno strato di fango. Con l’aiuto di un bastone, testammo la sua superficie, ma sfortunatamente non avevamo appresso l’attrezzatura fotografica.
Avremmo dovuto drenare l’acqua e rimuovere il fango – e a tal fine avremmo dovuto avere apparecchiature più sofisticate e fondi per sostenere la spedizione.
Infine, senza preavviso, fui colpito da strani problemi di salute che si manifestarono dopo aver passato una notte vicino a uno dei ‘calderoni’ sommersi.
Il giorno successivo, fui colpito da capogiri che mi provocavano un senso di svenimento, di perdita completa dell’equilibrio, tosse e brividi... come narrava la
vecchia leggenda degli Yakuzi.
La crisi durò tutto il giorno quando le nostre tende furono sommerse da un’altra tempesta di neve. Dopo altro ghiaccio e un vento gelido del nord, eravamo tutti zuppi. Era come se i demoni crudeli della taiga stessero cospirando contro di noi che la attraversavamo. Ma, in quanto unico ammalato della compagnia, non incolpammo antichi residui di radiazioni.
Quando le mie condizioni non migliorarono il giorno seguente, ci imbarcammo sul gommone e passammo tutta la notte e il giorno dopo discendendo il fiume, allontanandoci dalla Valle della Morte più in fretta possibile.
UN’ISOLA DEL TESORO GEOLOGICA
Anche se non abbiamo trovato nessuna prova dei leggendari calderoni’ metallici, non siamo fuggiti a mani vuote.
Abbiamo scoperto qualcos’altro, qualcosa di altrettanto espressivo – un sacchetto di minerale di titanio.
Durante la nostra perlustrazione aerea alla ricerca dei ‘calderoni’, abbiamo trovato un altro sito particolare – un campo perfettamente circolare di pietre color
ruggine presso il quale l’ago della bussola era impazzito.
Una montagna magnetica? Probabilmente.
Dal punto di vista geologico, l’intera regione risulta essere singolare. Avevamo calpestato vette siberiane dure, ignee, che si erano originate nell’Archeozoico.
In alcuni punti, sono trapassate da spaccature ricolme di depositi di minerali contenenti diamanti. La miniera di diamanti più gran de si trova nella città di Mirnyj, al centro della regione dalla quale ci eravamo imbarcati per la nostra missione nella taiga.
Tornando a Praga, abbiamo mostrato un campione di roccia a un geologo, il quale ha confermato che si trattava di magnetite e ilmenite, una lega di titanio e
ferro.
Mi suggerirono di vendere le coordinate di quella zona magneticamente anomala ai russi, per un buon prezzo. Il racconto della nostra missione causò un po’ di trambusto tra i media russi. È stato anche raccontato che siamo scappati terrorizzati dalla Valle della Morte, ma in realtà il vero ostacolo al nostro ritorno alla ricerca dei ‘calderoni’ è la mancanza di soldi.
Abbiamo già comunicato informazioni a due differenti gruppi di esploratori con base a Mirnyj. Uno di questi, guidato da Andrey Yevteyev, porterà in dotazione una pompa idraulica per drenare la pozza centrale e quindi dissotterrare il resto. L’altro gruppo, guidato da Yury Krivoruczko, partirà probabilmente la prossima primavera.
Siamo a conoscenza di formazioni geologiche insolite come calotte o cappelli di ferro, palle di lava, concrezioni sferiche giganti, e geodi.
I ‘calderoni’ oggetto di leggenda potrebbero essere formazioni geologiche sconosciute.
Mentre le descrizioni delle scalette interne, delle gallerie e delle stanze potrebbero essere state immaginate da cacciatori superstiziosi e abbellite da fantasisti e
da ufologi.
È un dato di fatto che la taiga siberiana nasconda comunque grandi ricchezze e grandi segreti, inclusa la natura dei ‘calderoni’ - un mistero inquietante che rimane tuttora irrisolto.
Fonte