11/05/2013, 18:14
zakmck ha scritto:
Spendete due ore del vostro tempo e non perdetevi questa intervista.
11/05/2013, 22:08
12/05/2013, 22:36
12/05/2013, 23:16
13/05/2013, 20:37
17/05/2013, 02:00
Banche conformi alla Sharia
Turchia, la finanza si fa islamica
Non conoscono la crisi e gestiscono sempre più danaro a livello internazionale. La Turchia si appresta a farne la punta di diamante del suo sistema, mentre la finanza occidentale segna il passo b
La Turchia si prepara a fare delle banche islamiche la punta di diamante del suo sistema finanziario, con l'obiettivo di triplicare la presenza di istituzioni conformi alla sharia entro il 2023. Questo intento e' emerso chiaramente in occasione del meeting annuale dell'Unione delle Participation Bank, come vengono definite tecnicamente le banche che non applicano interessi al denaro prestato, in conformita' a un principio della dottrina islamica.
Nel corso dell'incontro, il vice premier Ali Babacan, responsabile dell'Economia, ha spiegato che il governo si prepara a fornire nuove licenze bancarie, destinate in particolare alla participation bank. Due sono gli istituti di questo genere che si affacceranno a breve termine sul mercato turco e internazionale. Saranno lanciati da altrettante banche a partecipazione statale, vale a dire Ziraat Bank e Halkbank, e si aggiungeranno alle quattro banche islamiche che gia' operano sul mercato turco: Bank Asya, Turkiye Finans, Albaraka Turk e Kuveyt Turk. "Queste due nuove banche - ha spiegato Babacan - contribuiranno alla crescita del settore delle participation bank, che al momento ha pochi operatori in Turchia". Le quattro banche gia' attive in questo settore coprono il 5,3% del mercato, una percentuale che rispetto al 2011 ha conosciuto una crescita del 29%, per un patrimonio complessivo di 56,1 miliardi di lire turche, pari a quasi 24 miliardi di euro. Nello stesso anno, i capitali raccolti dai quattro istituti islamici e' salito del 18%, fino a 39,9 miliardi di lire (oltre 17 miliardi di euro).
L'obiettivo dichiarato del governo turco, da oltre un decennio in mano al filo-islamico Partito della Giustizia e dello Sviluppo, e' quello di creare un sistema bancario piu' inclusivo, che sfrutti i vantaggi della finanza islamica a vantaggio di un accesso al credito anche per chi gode di minori mezzi. Ma in molti vedono nella strategia un tentativo di applicare anche al mondo della finanza quel modello islamico che sempre piu' influenza la societa' turca. In un decennio, infatti, il governo di Recep Tayyip Erdogan ha adottato misure poco gradite ai sostenitori della laicita' dello stato, da quelle contro il consumo di alcool a quelle a favore del velo islamico per le donne. "Oltre 600 istituzioni finanziarie islamiche operano nel mondo - ha spiegato Babacan nel suo intervento - e controllano un mercato da mille miliardi. Una cifra che puo' sembrare enorme, ma che costituisce appena l'1% dell'intero settore finanziario. Le participation bank devono invece avere una presenza piu' forte, in modo da migliare l'accesso al settore da parte della gente e permettere al sistema di essere piu' inclusivo, come prevede anche l'agenda del G20". Nel 2011, secondo dati dell'Unione delle Participation Bank, mentre l'intero settore bancario turco conosceva un crollo dei guadagni del 10%, le banche islamiche sono state le uniche a registrare una crescita e sono arrivate a dare lavoro a 13.857 persone. Il Tesoro turco ha anche cominciato a emettere sukuk, vale a dire bond conformi alla sharia, con i quali si punta ad aggredire anche il mercato internazionale, sempre piu' interessato alla finanza turca. Cosi', se i sukuk destinati al mercato interno saranno emessi in lire, quelli destinati al mercato internazionale saranno in valuta estera.
Banche fedeli al Corano
La principale differenza tra queste banche e quelle occidentali, consiste nel fatto che non possono guadagnare sugli interessi (riba) e sulla speculazione (gharar). Infatti il Sacro Corano considera gli interessi una forma di usura e non consente che il denaro, restando fermo, possa generare altro denaro. Così ad esempio, anziché concedere un mutuo ad una persona che voglia comprare un immobile, riscuotendo in cambio un interesse sulla somma prestata, la banca islamica acquista direttamente la casa, per poi cederla in affitto al cliente, il quale si impegna a versare la somma corrispondente in più rate. Una volta terminato di pagare le rate, questi diventerà il proprietario dell'immobile. Inoltre la finanza islamica si differenzia da quella tradizionale occidentale per l'importanza attribuita al carattere sociale dell'investimento. Così ad esempio sono proibiti gli investimenti, oltre che nei settori delle armi o della droga, anche nei settori delle bevande alcoliche, della carne di maiale, delle riviste scandalistiche e in tutti gli altri settori in cui vigono i divieti dettati dalla legge coranica.
17/05/2013, 12:53
17/05/2013, 21:40
17/05/2013, 22:59
20/05/2013, 14:01
20/05/2013, 14:11
Atlanticus81 ha scritto:
Questo spiega molte cose...
Libero mercato transatlantico o Stato sovranazionale?
Negli Stati Uniti il presidente Obama, durante il suo discorso sullo stato dell’Unione pronunciato l’11 marzo scorso, ha annunciato ufficialmente l’inizio delle trattative per la formazione di un grande mercato transatlantico. Il commissario europeo per il commercio, Karel De Gucht, ha dichiarato che il beneficio previsto per l’Unione Europea è valutato in 100 miliardi di euro ogni anno.
L’accordo prevede l’eliminazione delle barriere al commercio: le barriere doganali, le cosiddette “barriere tecniche” e le barriere non tariffarie che riguardano beni, servizi, guadagni e investimenti, oltre che la liberalizzazione dei mercati pubblici e della materia dei diritti di proprietà intellettuale.
Presentato come piano di rilancio dell’economia che permetterebbe di uscire dalla crisi attuale, il progetto, in fase di preparazione da 15 anni è piuttosto il risultato di una scelta strategica degli Stati Uniti: il passaggio da un mercato mondiale non più vantaggioso – basato su un sistema di scambi multilaterali – ad un’organizzazione bilaterale USA-UE.
A testimonianza di ciò basti pensare al blocco dei negoziati dell’OMC nel round di Doha da parte dei rappresentanti americani, e alla scelta degli USA a favore di negoziazioni bilaterali; l’accelerazione data dagli Stati Uniti alla chiusura delle negoziazioni ha permesso di concludere accordi regionali al di fuori dell’osservatorio dell’OMC.
Nel mercato unico al quale l’UE vuole dare il via, il 60% degli scambi commerciali potrà avvenire sulla base di negoziazioni bilaterali, al posto degli attuali accordi multilaterali. In questa zona “franca” lasciata libera dall’UE, i prodotti statunitensi avrebbero, di fatto, un vantaggio competitivo sul mercato mondiale,
La liberalizzazione totale degli scambi avrà effetti diversi sui due mercati: se negli stati Uniti si registrano i segni di una, se pur debole, ripresa della crescita industriale, l’Europa è appena agli inizi di una fase di calo della produzione che ci si ostina a chiamare “crisi della moneta unica”
L’apertura del mercato statunitense potrà giovare solo alla Germania, e da qui il ruolo centrale di Berlino per il raggiungimento dell’accordo.
La contrazione della domanda dei paesi dell’UE verrebbe controbilanciata dai nuovi sbocchi che si aprirebbero nel mercato USA: lo spazio europeo, costruito dagli Usa attorno alla Germania, viene consegnato da Berlino nelle mani degli USA, e si può ben comprendere il ruolo di perno della Germania nella trasformazione della zona Euro da Unione Monetaria a libero mercato degli Stati Uniti.
Il rifiuto di ristrutturare il debito della Grecia e le posizioni di punta contro la “frode fiscale” hanno favorito lo spostamento di grandi capitali nella zona del dollaro americano e rafforzato la posizione centrale del biglietto verde.
Il processo che conduce all’apertura del grande mercato transatlantico va oltre la liberalizzazione degli scambi: il perno di questa costruzione politica è il nuovo ruolo di egemonia degli Stati Uniti nei confronti dei paesi della zona dell’euro: le parti si sono, infatti, impegnate a creare, entro il 2014, una “zona di cooperazione” in materia di libertà, sicurezza e giustizia”. La zona di libero scambio è in realtà una zona di libero controllo degli U.S.A. sul continente Europeo, già dall’inizio delle negoziazioni.
Il processo che conduce all’instaurazione di questo grande mercato unificato è l’opposto del metodo comunitario. Se il mercato comune europeo è nato, come struttura economica basata sulla liberalizzazione degli scambi, il grande mercato transatlantico realizza un’unione politica; una risoluzione del Parlamento europeo del 25 aprile 2007 anticipa già la creazione di un’assemblea transatlantica.
Nelle profonde divergenze tra Europa e gli Usa, in materia di protezione dei dati personali sarà, di fatto, il diritto americano ad imporsi e le procedure europee dovranno adeguarsi. L’affare Swift è emblematico: nonostante la flagrante violazione del diritto comunitario sulla tutela dei dati finanziari, la condivisione di questi non è mai stata messa in discussione. Al contrario, l’UE e gli USA hanno firmato accordi per legittimarla.
Il Parlamento europeo ha infine approvato, nel luglio del 2010, un sistema permanente che permette alle autorità americane di accedere ai dati finanziari dei cittadini dell’Unione. Tuttavia, l’accordo non prevede l’accesso delle autorità europee alle transazioni bancarie e traduce in questo modo l’asimmetria esistente tra i due “partner”. (1)
Nodo centrale del grande mercato transatlantico è il trasferimento del trattamento dei dati personali al settore privato. Si tratta di eliminare ogni ostacolo legale alla diffusione delle informazioni per garantire costi più bassi possibili: soprattutto è necessario garantire la redditività in un mercato dominato dagli Stati Uniti: basti pensare a Google, Facebook, Apple ed Amazon.
La ridefinizione della normativa europea sulla tutela della privacy è un passo verso la trasformazione della disciplina del trattamento dei dati personali in un’ottica puramente aziendale.
Allo stesso modo, la sovranità esercitata dalle autorità statunitensi sugli stati membri dell’UE gettale basi di nuovi rapporti di proprietà e di scambio e sancisce la fine del diritto sulla propria persona. La materia viene smembrata : l’usufrutto appartiene all’individuo, gli attributi della personalità, i dati personali, appartengono al potere pubblico, e alle aziende multinazionali.
http://www.imolaoggi.it/?p=49999
21/05/2013, 09:33
21/05/2013, 22:54
zakmck ha scritto:
Su "RAI Storia" stanno trasmettendo "Argentina 2001 Atene 2011 - Storie dalle crisi"".
C'e' molto da imparare. La storia si ripete.
Le similitudini sono veramente impressionanti.
21/05/2013, 22:58
24/05/2013, 01:37
Cina, settore manifatturiero in calo. Continua l'ondata di dati negativa
Continua senza sosta l'ondata negativa di dati per la CIna. Il dragone, proprio negli ultimi mesi, sembra soffrire una crisi interna che potrebbe portare ad un hard landing veramente preoccupante. Stavolta, il dato negativo riguarda uno dei settori più importanti dell'industria cinese, il settore manifatturiero. Il purchasing managers index, dato rilevato misurando le attività del settore manifatturiero, registra dopo sette mesi un dato al di sotto della soglia 50. Il dato a 49,6 era previsto invece a 50,5, in rialzo rispetto al precedente 50,4.
Una vera e propria contrazione che molti operatori avevano previsto e che si pensa debba continuare in quanto la situazione interna della Cina non è proprio delle più rosee. Prima la distribuzione di ricchezza, poi la domanda interna e ora il settore manifatturiero, un fattore economico di seconda importanza solamente alle esportazioni (core business del paese).
Molti economisti prevedono uno stop consistente per la Cina e questi dati lo stanno dimostrando sempre più. Secondo alcuni esperti, questo dato avrebbe scaturito le forti vendite sui mercati giapponesi con il conseguente crollo dell'indice Nikkei di circa il 7%, dopo aver letteralmente bruciato i massimi storici. In realtà, il dato cinese è stato solamente un pretesto per vendere un mercato in forte ipercomprato e un crollo del 7% è più che giustificato da forti prese di profitto su livelli assolutamente alti per l'indice nipponico.
Lo stop cinese non è un evento inaspettato, anzi, molti economisti, alcuni di note banche d'affari, hanno proprio messo in dubbio la veridicità dei dati in uscita dal paese proprio per via di uno stop evidente in completa discordanza con lo status economico reale in cui grava ora il paese. Se il dato sul Pmi ha provocato (secondo alcuni) il crollo del Nikkei, allora nei prossimi mesi dobbiamo essere pronti a vedere le montagne russe sugli indici asiatici (e non solo).