Cita:
mik.300 ha scritto: Cita:
Thethirdeye ha scritto: Cita:
mik.300 ha scritto:
ma in brasile
protestano per la fame
o per problemi ideologici ??
Ah non lo sai?
In Brasile c'è un "movimento" trasversale e antipolitico
che protesta per gli sperperi dello stato, per i prezzi dei
trasporti aumentati e per la corruzione.
Lo sto dicendo da mesi... ma non ci sentite da questo orecchio
E' in atto una rivolta globale..... e il M5S, nel suo piccolo, è solo
il movimento che rappresenta questa visione in Italia.....
Comtinuate pure a dividervi in squadre di calcio... che andate bene...
![Clown [:o)]](./images/smilies/UF/icon_smile_clown.gif)
quindi in libia, siria, tunisia, ecc.
tutto regolare?
soros,
non vi dice niente?
rivolte rancioni, verdi, gialle, delle rose,
ecc. ecc. ecc.
un'interessante analisi
http://www.ilfoglio.it/soloqui/18744 Cita:
Contro Dilma
[color=blue]Ma quale boom. Ecco perché la middle class brasiliana tira le molotov
Più di un milione di persone in piazza, due morti e Confederation Cup in forse. Dettagli precisi di una rivolta
Milioni di persone che comprano, per la prima volta in vita loro, lavatrici, automobili, telefoni cellulari. E’ questo il miracolo economico brasiliano. Ma quei prodotti sono fabbricati in Cina, non in Brasile. Il boom brasiliano non è altro che un esercito di ex poveri, meno poveri di prima, che da sei, sette anni ha accesso al benessere inteso come possibilità di consumo. E’ fatto da un’impennata della domanda quotidiana interna, non della produttività. In Brasile non c’è crescita industriale. Si compra tanto nel mercato nazionale e si vende tanto nel mercato estero, ma non si fabbrica molto. E cosa si vende? Quello che si vendeva durante l’impero portoghese: risorse naturali, minerali e agricole. A parte l’etanolo. Il pil della sesta economia mondiale, superiore da tre anni a quello della Gran Bretagna, è tale grazie all’export di materie prime, non di prodotti finiti. Zucchero, tabacco, soia, miglio, agrumi, caffè, cacao, fagioli, carne bovina. Un export da epoca coloniale. Da qui nascono le proteste di questi giorni, quasi un milione di persone in piazza, due morti, un vertice d’emergenza per la presidente Dilma Rousseff, la Confederation Cup, prova generale dei Mondiali di calcio del prossimo anno, a rischio sospensione, persino la visita del Papa a luglio in forse.
La cintura industriale di San Paolo, la gigantesca fabbrica di operai in cui è nato politicamente l’ex presidente Lula da Silva, è in fase di deindustrializzazione. Alla politica di redistribuzione dei governi del Pt, il Partito dei lavoratori che ha trasformato socialmente il paese portando fuori dalla miseria milioni di persone, non si è associata una fase di irrobustimento dell’industria nazionale. Le aziende manifatturiere perdono quota e quelle di alta tecnologia non decollano. Il miracolo economico brasiliano non è altro che la fame di consumi della famosa “fascia C” delle statistiche nazionali, la nuova classe media: decine di milioni di persone che fino a qualche anno fa avevano difficoltà a sopravvivere e che ora comprano tv a rate, frullatori, aria condizionata split. Non è poco: è uno straordinario fenomeno, prodotto di scelte politiche coraggiose. Ma è la middle class brasiliana a crescere a ritmi cinesi, non l’economia industriale. Tre milioni in più di ex poveri nel 2011, due milioni e mezzo nel 2012. In Brasile è ormai classe media quasi il 60 per cento della popolazione, circa 110 milioni di persone. Che consumano merce scadente d’importazione e che sono sempre più indebitate.
La politica economica del Pt di Lula da Silva (2002-2010) e ora di Dilma Rousseff ha seguito i metodi già indicati durante il governo Cardoso, grande avversario di Lula negli anni Novanta, e ha portato risultati storici come l’azzeramento del debito estero. Oggi il Brasile è creditore del Fondo monetario internazionale. Molto hanno aiutato l’impennata negli anni scorsi dei prezzi internazionali dei prodotti agricoli e l’export di nuovi combustibili, oltre all’espansione della domanda cinese, che compra dal Brasile più degli Stati Uniti. Il settore agroindustriale garantisce quasi la metà del prodotto interno lordo, il 40 per cento delle esportazioni e il 20 per cento degli impieghi. La sesta economia del mondo dipende dalla volubilità dei prezzi dell’agrobusiness. In quel settore la produttività è altissima: +9,7 per cento nei primi tre mesi del 2013, +17 per cento nell’ultimo anno. Ma nello stesso trimestre la contrazione dell’industria manifatturiera è stata dell’1,5 per cento, nel 2012 dell’1,3.
La bassa produttività è legata soprattutto al basso tasso di investimenti industriali nazionali e questa carenza strutturale colpisce l’industria manifatturiera che ha bisogno di alte iniezioni di denaro per poter incorporare sistematicamente tecnologie avanzate e così evitare di retrocedere rispetto ai competitori esteri. I costi di produzione della manifattura brasiliana sono aumentati del 65 per cento negli ultimi cinque anni. Quelli cinesi del 20.
Gli stessi funzionari governativi che l’anno scorso celebravano i miracoli del lulismo in economia ora nelle cene private ammettono di non aspettarsi niente di buono dai dati sulla produzione nazionale nel primo semestre 2013. “I miracoli non li fa più nessuno da queste parti”, dice sconsolato uno degli uomini più fedeli di Dilma nell’area economica. “Il 2013 sarà un anno molto complicato”. “Con l’inflazione pazzesca che abbiamo – riconosce José Souza, economista dell’Università di San Paolo – un incentivo fiscale o qualsiasi altra misura di stimolo per l’industria perde subito di efficacia”.
Gli esperti lo chiamano “costo Brazil”. E cosa significhi lo capisce qualsiasi turista appena sbarca all’aeroporto di Rio de Janeiro.
All’aeroporto si pagano 40 dollari per una pizza e Coca-Cola, o 30 dollari per un pollo fritto rancido. E’ il paradossale effetto boomerang del boom, il costo insostenibile della vita in un paese che si ritrova strozzato dalla sua crescita economica, fatta anche di un micidiale cocktail di tasse alte, servizi scadenti e infrastrutture da XVII secolo. In Brasile si registra una caduta degli indici di disoccupazione e che chiunque, in teoria, riesce a lavorare se vuole. Ma è anche vero che molti, nell’esercito dei nuovi lavoratori, vedono il costo della vita crescere più del loro salario nonostante l’aumento del costo del lavoro.
C’è anche questa rabbia nelle grandi manifestazioni di piazza che stupiscono il mondo per l’inedita rivoltosità di un popolo tradizionalmente estraneo alle proteste di massa e per l’inaspettata contestazione di uno dei governi con più alto indice di gradimento popolare del pianeta. A ribellarsi è, in gran parte, la nuova classe sociale che il Partito dei lavoratori ha creato negli ultimi dieci anni del suo governo. E’ la base sociale del Pt a tirare molotov nel centro di San Paolo. Un guaio per Dilma, anche perché il governo federale non ha gli strumenti diretti per intervenire rapidamente per far rientrare la protesta. A San Paolo, dove c’è stata la prima violenta reazione degli agenti alle contestazioni, l’ordine pubblico è in mano alla polizia, che dipende dal governatore Alckmin (del Psdb, l’opposizione) e che è in guerra con il nuovo sindaco, Fernando Haddad, del Pt.
di Angela Nocioni
© - FOGLIO QUOTIDIANO[/color]