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U.F.O.
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Anche la questione dei Dogon per me è fondamentale ed esemplare.



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U.F.O. e alieni nella storia dell’ Uomo

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Per chi confonde ancora la fantascienza con l’ufologia, ovvero la minaccia di un’impossibile invasione marziana con lo studio scientifico degli oggetti volanti non identificati, è lecito sostenere che la cosiddetta "era dei dischi volanti" sia nata con la fine del secondo conflitto mondiale e si sia sviluppata, a partire dagli anni cinquanta, riflettendo da un lato l’eterno anèlito dell’umanità ad una pace finalmente duratura e impersonificando, dall’altro, la voglia di cercare "fuori della Terra" qualcosa di nuovo e di positivo, che aiutasse a dimenticare in fretta gli orrori della guerra.

Se tutto questo rappresenta per i sociologi un’innegabile realtà, le cui implicazioni filosofiche vengono oggi riprese, alla fine dell’era tecnologica postmoderna, dalla corrente di pensiero chiamata "New Age", al contrario per la Paleoastronautica (branca dell’Ufologia, chiamata anche Archeologia Spaziale o Clipeologia, dal latino clypeus = scudo rotondo) le tracce inconfutabili della presenza di entità extraterrestri nel passato dell’Uomo si perdono nella notte dei tempi, dimostrando che l’evoluzione della specie umana, caratterizzata da quegli "improvvisi" ed "inattesi" balzi nel progresso della civiltà che ancor oggi stupiscono antropologi ed archeologi, è stata attentamente e costantemente seguita da non meglio definibili civilizzazioni aliene.

La loro superiore tecnologia consentì ad un essere bipede, che ancora non conosceva l’uso della ruota (la prima rappresentazione della ruota è nelle tavolette d’argilla di Ur, Mesopotamia, 3.500 a.C.), di erigere manufatti così perfetti da sfidare oltre 15.000 anni di insidie naturali, con una precisione tale da far allibire gli ingegneri ed i tecnici del nostro tempo.

E’ evidente, pertanto, come un impatto culturale di queste dimensioni dovesse inevitabilmente suscitare nell’intimo dei nostri antichissimi progenitori, agli albori di un percorso di civilizzazione che si presentava tutto in salita ed in cui la vita media dell’individuo si limitava a pochi decenni, una forma di considerazione del tutto speciale nei confronti di quegli "esseri misteriosi venuti dal cielo". Una venerazione, insomma, mista di gratitudine per le inimmaginabili conoscenze di cui li facevano partecipi, ma anche di forte timore reverenziale, derivato dall’intuizione dell’enorme superiorità tecnologica da essi mostrata. E’ logico quindi attendersi che i nostri antenati ritenessero gli extraterrestri delle divinità, come il tuono e la folgore, la luna ed il sole e tutti gli altri eventi naturali che ancora non erano riusciti a interpretare: un po’ come quello che accadde a Francisco Pizarro al suo arrivo tra gli indios peruviani; a parte le intenzioni, naturalmente...

Cominciarono allora a tramandarsi oralmente, di padre in figlio, che fungeva da "iniziato", quei misteri circa "gli dèi venuti dal cielo", finché non avvertirono l’esigenza di fissare nel tempo le immagini di quegli eventi e di quei personaggi che così profondamente avevano colpito la loro sensibilità. Così una selce, impiegata come punta di freccia o come coltello, tracciò sulle pareti di una grotta buia e densa di fumo alcuni eloquenti ideogrammi: un "disco" con tanto di supporti d’atterraggio, figure vagamente umane con il capo nascosto da una specie di casco munito di antenne, rappresentazioni di esseri contornati da aura luminosa, ecc.

Così, lasciando testimonianze tangibili dall’Irlanda al Sahara, dalla Spagna alla Mongolia, dalla Val Camonica all’Australia, dal Canada al Perù, l’Uomo lentamente imparò ad uscire dalle oscure caverne, che lo proteggevano ma ne limitavano nel contempo lo spaziare su più ampi orizzonti; ed esercitando la meravigliosa dote della curiosità, che l’avrebbe un giorno fatto ripartire verso le stelle, alla ricerca dei suoi "dèi", di quegli esseri superiori che tanto avevano inciso nel suo cammino, uscì spettatore dalla preistoria ed entrò protagonista nel proprio futuro.

Ed è ora questo cammino che ripercorreremo insieme.

Incisione rupestre scoperta in Perù da Christine Dequerlor.

Confronto proposto dal Prof. Kasanzev - e ripreso da Kolosimo - tra un graffito rinvenuto nell’Uzbekistan ed una misteriosa incisione della Val Camonica.

Incisione rupestre di Derrynablaha (Country Kerry, Irlanda).

In tutti e quattro i casi, sul capo di un misterioso personaggio appare la strana figura raggiata, che sembra
essere la riproduzione stilizzata di un’entità soprannaturale. Datazione presunta: 9.000 anni fa.

Disegno rupestre scoperto in una caverna australiana da Erich von Daniken.

Graffiti scoperti in varie grotte della Francia, della Spagna e delle Americhe, raffiguranti ideogrammi riferibili ad UFO e risalenti tra il 12.000 ed il 10.000 a.C., raccolti nel volume: <<La chronique des OVNI>> dal Direttore della Società Belga d’Ufologia, Michel Bougard.

Emblematica incisione a forma di "razzo" con alette direzionali scoperta su una lastra tombale preistorica a Matsubase (Kyushu, penisola di Udo - Giappone).

Dischi di pietra di Bayan-Kara-Ula. Furono scoperti nel 1938 da un gruppo di archeologi in una grotta al confine tra Cina e Tibet, insieme a numerose tombe contenenti scheletri di umanoidi stranamente conformati: corpo molto sottile, statura non superiore al metro e mezzo, braccia lunghe fino al ginocchio, cranio sovrasviluppato. Analizzati presso l’Università di Pechino, nei 715 dischi è stata riscontrata un’elevata percentuale di cobalto e la datazione col metodo al radiocarbonio li fa risalire a 12.000 anni fa. Larghi una quarantina di cm., sono dotati di un foro centrale e presentano su entrambe le facce un testo ideografico a caratteri minutissimi, inciso a forma di spirale continua: l’equivalente di un moderno "microsolco".

Una volta decifrati, gli ideogrammi raccontano una storia che ha lasciato sconcertati gli studiosi cinesi, tanto che le autorità accademiche di Pechino ne hanno vietato la divulgazione. Una navicella spaziale aliena si era schiantata a causa di un guasto tra quelle impervie montagne; gli occupanti, appartenenti al popolo dei Dropa, non riuscirono a riparare il guasto né a costruire un altro velivolo per ripartire. I superstiti furono quindi condannati a passare il resto della vita in quelle grotte, incrociandosi con le tribù primitive autòctone, che in un primo momento li decimarono, ritenendoli "creature mostruose e maligne, scese dalle nubi con un oggetto volante", ma che in seguito compresero le loro intenzioni pacifiche.

Epoca delle Piramidi e civiltà ad essa connesse, in particolare la correlazione tra l’allineamento delle tre Grandi Piramidi e la posizione delle stelle della cintura di Orione (Zeta Orionis, Epsilon Eridani e Delta Ursa minor). E' dimostrabile infatti come non sia sempre applicabile la datazione col metodo al radiocarbonio e come lo sviluppo recentissimo delle mappe stellari, grazie all’elaborazione computerizzata della volta celeste, porti inesorabilmente alla retrodatazione delle Piramidi della Piana di Giza (Cheope, Chefren e Micerino) fino al 10.500 a.C. : il che corrisponderebbe al dover "riscrivere" tutta la storia, con le implicazioni facilmente intuibili...

"Stonehenge", il mitico sito delle "pietre sospese", il più noto monumento megalitico del mondo: primitivo (ma perfetto) osservatorio astronomico, calendario cosmico perpetuo o luogo di sacrifici (anche umani) degli antichi Drùidi ? Va poi aggiunto anche che il fenomeno dei cerchi nel grano non è limitato all’ultimo quarto del nostro secolo, ma è un mistero che si tramanda perlomeno dal 1678, data che troviamo su una stampa inglese. Questa ipotizzava come causa dello strano evento l’attività di un dispettoso quanto nottambulo "diavolo mietitore" o l’effetto del potere psicocinetico dei sacerdoti druìdici. Curiosa è infine la decifrazione, da parte dell’archeologo Green, dell’enigmatico agriglìfo comparso nello Wiltshire nel 1991 e pubblicata nel libro dell’antropologo tedesco Michael Hesemann <<Gli Extraterrestri sono tornati>>.

Ricostruzione grafica, eseguita a Bangalore nel 1923 dal disegnatore Ellappa su istruzioni del Pandit Subbaraya Sastri, delle VIMANAS, leggendarie "macchine volanti" descritte con incredibile precisione e dovizia di particolari nell’antico documento sànscrito intitolato VYMAANIKA SHAASTRA, risalente a circa 4.000 anni fa. In esso, oltre a dettagli tecnici sul funzionamento di armi nucleari e di sofisticati sistemi di intercettazione di velivoli nemici (missili aria-aria), vengono descritti quattro tipi di aeromobili, che si muovevano a propulsione solare, a energia elettromagnetica e a mercurio. In particolare, il Tripura Vimana <<...è composto di tre piani: il primo lavora a terra; il secondo può lavorare sia sopra che sott’acqua; il terzo lavora in aria. Unendo le tre parti, il velivolo può lavorare tutto in aria...>>. Inoltre nel testo sono citati 532 tipi di propulsione, 16 qualità di metalli per costruire i velivoli, 27 qualità di lenti per spiare il nemico da lontano, 32 sistemi differenti per produrre energia elettrica (con motori a sfregamento, a caduta d’acqua, a combinazioni chimiche, a raggi solari, col calore, ecc.) e vengono descritte apparecchiature moderne, quali il radar e la dinamo.

I resti della fiorente città di Mohenjo-Daro che, insieme con la gemella Harappa, rappresentò l’insediamento più importante delle civiltà della Valle dell’Indo (attuale Pakistan), paragonabile a quelle mesopotamica ed egizia. Entrambe avevano un perimetro di oltre 5 km. e contavano circa 40.000 abitanti, tanto da essere considerate le città più grandi del mondo antico ed entrambe subirono la stessa, incredibile sorte: in un attimo furono letteralmente "incenerite", insieme con la loro fiorente civiltà, intorno al 2.000 a.C. L’archeologo David Davemport e il giornalista italiano Ettore Vincenti studiarono a fondo quella fine misteriosa e repentina e scoprirono tra le macerie delle due città alcuni oggetti (bracciali, anfore, pietre...) che apparivano come "fusi" o, per meglio dire, "vetrificati" per effetto di un intenso calore, cui seguì un subitaneo raffreddamento. I reperti furono sottoposti ad analisi da parte del CNR di Roma, il quale fornì un responso sorprendente. La fonte di calore che diede origine al processo di "vetrificazione" non poteva essere inferiore ai 1.500 gradi, temperatura di gran lunga superiore a quella che solitamente si raggiunge in occasione dell’incendio di una città. Inoltre la diversa altezza delle rovine, in rapporto ad un presunto epicentro, può essere spiegata ipotizzando una grande esplosione nucleare in quota (come nel caso di Tunguska, Hiroshima e Nagasaki), che avrebbe prodotto un’onda d’urto tale da abbattere le abitazioni in relazione alla distanza. Ma chi poteva disporre di ordigni termonucleari 4.000 anni fa ? Di certo non gli abitanti di Mohenjo-Daro; d’altronde non esistono in natura eventi catastrofici in grado di provocare un simile effetto. E allora ? Ancora una volta ci viene in aiuto la tradizione popolare: il Ramayana e il Mahabharata, due poemi epico-mitologici dell’antica India redatti in sànscrito, lingua di cui Davemport era esperto, forniscono preziosissime notizie circa i VIMANAS, elaborando le quali l’archeologo inglese, prematuramente scomparso, giunse a formulare l’ipotesi secondo cui, probabilmente, le due città furono distrutte in seguito alle dispute fra esseri extraterrestri per il predominio sullo sfruttamento dei giacimenti metalliferi (di cui parla anche Zecharia Sitchin nel "12° Pianeta") oppure per "dare una dimostrazione di potenza" agli abitanti del luogo, che si erano ribellati alle loro imposizioni. Teoria azzardata, ma anche molto affascinante.

Mitica Torre di Babele (Etemenanki = il luogo ove la terra si unisce al cielo), il più imponente ZIGGURAT di tutta l’antichità, citata nella Genesi biblica e dal grande storico greco Erodoto di Alicarnasso, che ne fu testimone oculare nel 460 a.C. Secondo un’antichissima leggenda, ripresa dall’archeologo Z.Sitchin, sulla piattaforma superiore di queste enormi piramidi a gradoni le "divinità" assumevano "natura corporea": è fin troppo facile ipotizzare, vista la singolare struttura del manufatto, che in realtà potesse trattarsi di "rampe d’attracco per veicoli spaziali", sulle quali si "manifestavano" cosmonauti alieni.

Mitica "Arca dell’Alleanza", di cui ampiamente si parla nel Libro dell’Esodo. Da tutti ormai è abbandonata l’ipotesi che si trattasse esclusivamente di un oggetto cultuale e molti si sono sbizzarriti nell’azzardare la reale funzione di essa. Secondo alcuni si sarebbe trattato di un’apparecchiatura radioricevente (<<...Yahwé comunicherà a Mosè tutti gli ordini per i figli d’Israele...>>); per altri avrebbe contenuto materiale radioattivo, in uso forse agli alieni che guidavano il popolo ebraico (doveva sempre essere avvolta in tre pesanti drappi = schermata ?; i Filistei che se ne impadronirono furono colpiti da piaghe ed esantemi = dermatite da radiazioni ionizzanti ?; Aronne, per avvicinarsi, doveva indossare una veste ed una visiera speciali = tuta protettiva ?). Infine c’è chi sostiene trattarsi di un accumulatore elettrico, caricato con una tensione di circa 600-700 volt, che si comportava esattamente come una <<bottiglia di Leyda>> (il materiale di cui l’Arca era composta non era proprio legno, ma una sostanza fibrosa tratta da un tipo d’acacia, leguminosa mimosoidea tipica di quei luoghi, da cui si estraeva la gomma = isolante ?; andava sempre trasportata sospesa a due stanghe di legno = per interrompere il flusso della corrente ?; Oza, comandante della guardia di Re Davide, per impedire che l’Arca si rovesciasse, allungò istintivamente la mano per sorreggerla e morì all’istante = cadde fulminato ?).

La manna nel deserto: il 1° aprile 1976 l’autorevole periodico <<New Scientist>> pubblicò un interessante articolo, che non voleva essere il classico "pesce", dell’ingegner Sassoon e del biologo Dale, secondo i quali la manna, provvidenziale alimento per il popolo d’Israele nel deserto, sarebbe stata una sostanza ricca in carboidrati prodotta da una speciale macchina di indubbia provenienza "aliena", sempre che si voglia accettare l’ipotesi che gran parte delle vicissitudini del popolo ebraico, come del resto dell’umanità, fosse guidata dalla presenza "discreta" (e per questo ritenuta "divina") di entità extraterrestri. Stando agli studi dei due tecnici, la singolare macchina produttrice della manna, che viene descritta in un testo ebraico appartenente alla Kabbala (il libro esoterico-iniziatico dei sacerdoti giudei), era in sostanza un’incubatrice in cui era coltivata un’alga commestibile ricca di maltosio ed era in grado di fornire 1,5 m.3 di sostanza nutriente per giorno.

I carri di fuoco nell'antichità: ricordate la celebre "visione del carro di fuoco" del profeta Ezechiele, avvenuta nel 593 circa a.C., la cui descrizione nell’omonimo libro dell’Antico Testamento (1°, vers.1-28) inizia con le parole <<...E il cielo si aprì...>> ? Josef Blumrich, ingegnere aerospaziale e progettista per conto della NASA (si devono a lui la struttura del "booster" del Saturno V - che ha portato l’Uomo sulla Luna - e la navicella Skylab), ha ricostruito nei minimi dettagli tecnici il presunto veicolo spaziale che sarebbe atterrato nel deserto di fronte allo sbigottito profeta ed ha appurato che esso non contrasterebbe affatto con le leggi della "nostra" aerodinamica e, pertanto, sarebbe in grado di volare perfettamente. Questo, ovviamente, non per viaggi interstellari, bensì come "modulo" di trasferimento tra una nave-madre in orbita e la superficie del pianeta. L’ipotesi di lavoro di Blumrich è stata tradotta in oltre 15 paesi.

Babilonia: ma altre documentazioni scritte, o meglio incise nell’argilla, confermano la presenza in tempi remotissimi in Mesopotamia di strani personaggi "portatori di conoscenza e creatori di nuove forme di vita". E’ quanto si apprende dalla decifrazione delle iscrizioni a caratteri cuneiformi, impresse nelle tavolette d’argilla dalle popolazioni delle antiche civiltà accadiche, sumeriche e assiro-babilonesi, vissute intorno al 5.000 a.C. nella piana fra il Tigri e l’Eufrate.

Gli strani esseri di Lunigiana: nel Museo delle statue-stele nel Castello di Pontremoli (Lunigiana), ove sono raccolte le enigmatiche rappresentazioni neolitiche (1.500 a.C.) di misteriosi "esseri senza bocca" e "uomini invisibili" che, secondo l’interpretazione di Peter Kolosimo, altro non sarebbero che le "fotografie" in pietra di antichi astronauti, col volto occultato dal casco spaziale. Questo articolo di Giorgio Pattera è apparso nel giugno scorso sul n.° 12 di Notiziario UFO, organo ufficiale del Centro Ufologico Nazionale.

Gli Uomini Blu sardi: bronzetti ritrovati nel grande complesso nuragico di Barrùmini (Sardegna) e risalenti al 1.200 a.C. Da notare la presenza di grandi occhi rotondi, a volte in numero di quattro, e di elmi sormontati da bizzarre appendici, che in un primo momento fanno pensare a corna, ma che in realtà, secondo le remotissime tramandazioni orali delle popolazioni protosarde raccolte e studiate da Raimondo De Nuro, sarebbero << le antenne degli "uomini blu", in grado di captare le "voci" degli abitanti di mondi lontani >>. Extraterrestri ? Forse...

L’enigma del caducéo. Su una statuina in oro, raffigurante il Faraone Ramsete II, così come in alcune incisioni della cultura fenicia, cartaginese, greca e romana, si può osservare una strana sfera sormontata da due "antenne", che per l’archeologia tradizionale svolgerebbe una "funzione esclusivamente rituale". Va ricordato, tuttavia, che sia presso i Sumèri (epopea di Gilgamesh) che presso i Romani (il dio Mercurio) la "sfera con le antenne" veniva stilizzata nel caducéo, il magico bastone con due serpenti avvinghiati, che consentiva ai possessori di accedere ad altri "mondi" e ad altre "dimensioni". Per questi motivi, Mario Pincherle ha ipotizzato che il caducéo fosse in realtà una "bussola pelasgica" (cioè atlantidea), così come appare in alcune raffigurazioni provenienti dall’antico recinto cartaginese di Tanit e oggi ricostruita con materiali moderni, perfettamente funzionante. Persino la rivista scientifica <<TECNOS>>, legata a Piero Angela ed al CICAP, nel numero di dicembre ‘96 riprende ed autentica la tesi (esoterica) dell’archeologo bolognese. C’è da chiedersi, allora, CHI insegnò agli Atlantidei il principio della bussola e come realizzarla. Ma c’è qualcuno che si spinge oltre: lo svizzero Erich von Daniken si domanda se, per caso, quelle antenne non simboleggiassero una possibilità di contatto tra gli antichi sovrani e il cosmo (cfr. i bronzetti di Barrùmini). Infine va sottolineato il fatto che la "sfera pelasgica" rassomiglia stranamente alla sezione di uno dei motori antimateria studiati dal fisico Bob Lazar nella famigerata "Area 51". In questa base militare supersegreta nel deserto del Nevada, i servizi segreti statunitensi custodirebbero un motore alieno, ricavato da un disco volante precipitato e capace di alterare la materia, creando un varco fra due dimensioni, proprio come il mitico caducéo.

Il Liber Prodigiorum. Giulio Ossequente, cronista latino vissuto nel IV sec. d.C., può essere definito un "fortiano ante-litteram" a tutti gli effetti, in quanto raccolse nel volume << Liber prodigiorum >> tutti i fatti incredibili e straordinari che, a memoria d’uomo, erano conosciuti fino a quel tempo. La preziosa quanto misconosciuta opera, aggiornata nel ‘500 da Corrado Licòstene, pseudonimo del ricercatore alsaziano Corrado Wolffhart, tratta ovviamente anche di quei misteriosi fenomeni celesti anomali, allora scambiati per "la collera degli dèi", che di tanto in tanto si ripetevano nei cieli di Roma, così come oggi succede nei nostri: clipei ardentes, trabes ignitiae, discoides, fax ardens, chasma, dolium, ecc. Ne avevano accennato in precedenza anche autori più illustri, quali gli storici Tito Livio negli "Annales" e Plinio il Vecchio nella "Naturalis Historia".

Gli antichi conoscevano l'elettricità. I Babilonesi conoscevano l’elettricità ed i rudimentali principi di elettro-galvanica almeno dal 630 d.C., ma probabilmente già dal 2.000 a.C. ! Fantasie ? Non si direbbe proprio, visto che le famose "pile di Baghdad", rinvenute accantonate in un angolo del museo della Capitale dall’ingegnere tedesco Wilhelm Koenig nel 1936 e classificate dagli archeologi come << oggetti di culto >> (definizione consueta della scienza ufficiale, equivalente a: "non sappiamo che pesci pigliare"), una volta ripristinate e riempite nuovamente di elettrolita acido, hanno sviluppato la tensione di 1,5 volt: quella di una comune batteria per torcia elettrica.

L'essere di Palenque. Riproduzione della celebre lastra tombale scoperta all’interno della Piramide delle Iscrizioni, nella mitica città maya di Palenque (Messico, territorio del Chiapas). Datata 27 gennaio 633 d.C., è meglio conosciuta come "L’Astronauta di Palenque". Secondo la tradizione di tutte le civiltà precolombiane, i resti contenuti nel sarcofago sottostante sarebbero quelli del dio Kukulcàn (o Quetzalcoatl), essere soprannaturale "sceso da un buco praticato nel cielo" per portare sapienza e conoscenza agli umani. L’archeologo russo Dzagarian ricostruì, partendo dalla maschera funebre, il volto del defunto e questi, in effetti, sembrerebbe appartenere ad una razza non-umana, presentando la radice del naso al di sopra delle sopracciglia. Se così fosse, sarebbe del tutto giustificabile l’incisione sulla lastra, che ritrae uno strano personaggio in atteggiamento molto simile a quello di un moderno pilota all’interno di una capsula spaziale.

Ali e alettoni. Monili in oro purissimo rinvenuti in Colombia e classificati, come al solito, "oggetti di culto". Quelli che vi presentiamo sono tre dei quattordici esemplari finora scoperti e sembrerebbero raffigurare insetti od uccelli. Tuttavia la disposizione delle ali e gli alettoni di coda, rettilinei e perpendicolari al piano, incuriosirono gli studiosi, che ne chiesero consulenza agli esperti dell’Aeronautical Institute di New York. Risultato: sperimentati nella galleria del vento, hanno mostrato una perfetta aerodinamicità, tanto da far presupporre che si tratti di modellini di aeromobili in scala.

Due navi spaziali in Serbia. Nel chiostro del convento di Desani, nel Kosovo (Serbia), furono scoperti affreschi risalenti agli inizi del XIV sec. in cui si evidenziano due navi spaziali fusiformi, simili a gocce, che sembrano inseguirsi. Ognuna reca a bordo un essere che manovra una sorta di timone e il primo si volge all’indietro, come per osservare l’altro; tra le due navicelle si interpongono figure angeliche, che si coprono occhi ed orecchie (per il rumore ?). Interpretazione esasperata in chiave ufologica oppure gli artisti medioevali intendevano rappresentare ciò che in realtà avevano visto ?

Ufo nella pittura. Anche gli oggetti volanti non identificati, o perlomeno presunti tali, sono ospiti delle Pinacoteche. Uno è un dipinto conservato nella chiesa di S.Pietro a Montalcino (SI): si noti la straordinaria rassomiglianza con il satellite Vanguard II, persino nel "coperchio" circolare posto nella parte superiore e nel "tappo" in basso a sx. Un altro è stato dipinto dalla scuola di Filippo Lippi ed è conservato in Palazzo Vecchio a Firenze: da notare nel riquadro lo strano oggetto volante munito di antenna ed illuminato dal sole, il pastore che porta la mano alla fronte per meglio vedere ed il cane che abbaia. C'è poi il dipinto di Paolo Uccello, denominato "La Tebaide", esposto nella Galleria dell’Accademia in Firenze. Quasi al centro della tela si osserva un oggetto discoidale, sospeso a mezz’aria, sormontato da una cupola centrale, di colore rosso. Il movimento dinamico di tale strano corpo volante è reso dall’artista mediante piccoli tratti, anch’essi di color rosso vivo, simili ad una "U" molto stretta, che rendono l’effetto di una virata repentina: evidente è la notevole somiglianza tra l’oggetto in questione, a forma di "cappello di prete", e il "disco volante" fotografato nel 1952 nel New Jersey, che vediamo a lato.

Apparizioni nell'aria del XVI sec. Simon Goulart nasce a Senlis il 20 ottobre 1543; frequenta la facoltà di giurisprudenza a Parigi ed in seguito viene ordinato sacerdote. La passione per l’insolito e l’indole di acuto osservatore, unite alla dote di meticoloso annotatore, lo spingono a ricalcare il lavoro iniziato da Giulio Ossequente 1.200 anni prima; redige così il catalogo delle << Storie ammirabili e memorabili del nostro tempo >>, di cui un intero e lunghissimo capitolo è dedicato alle "Apparizioni diverse nell’aria", ossia ai fenomeni celesti non identificati del XVI secolo.

Un missile ai tempi di Re Sole. Medaglione dipinto verso la seconda metà del ‘600 per Luigi XIV di Francia da Charles Le Brun, fondatore dell’Accademia francese di pittura e scultura. Quale manufatto umano, a forma di "missile", poteva <<splendere e salire>> ai tempi del Re Sole ?

I prodigi di Genova (1608). Ricostruzione grafica dei <<Maravigliosi et tremendi prodigi apparsi sul mare di Genova nel 1608>>. Questa straordinaria "cronaca dell’insolito" è custodita negli archivi municipali di Nizza, che a quei tempi faceva parte con Genova del Regno Piemontese. Il presente studio di paleoastronautica, da me redatto, è stato oggetto di discussione durante il 3° Congresso Internazionale sugli Oggetti Volanti non Identificati, svoltosi a S.Marino nel maggio ‘95.

I misteri dell’Isola di Pasqua. Sono tanti e tutti irrisolti, almeno da parte della cosiddetta "scienza ufficiale". L’unica cosa finora certa è che questo minuscolo triangolo di terra vulcanica (60 km. di perimetro), sperduto in mezzo all’Oceano Pacifico, fu scoperto dall’esploratore olandese Roggeveen il giorno di Pasqua (da cui il nome) del 1722. Le coste più vicine sono quelle del Cile, cui appartiene, a 4.600 km.; da qui la denominazione di Rapa-Nui (azzeccatissima) conferitale dagli aborigeni, che significa <<ombelìco del mondo>>. Le coste dell’isola sono letteralmente disseminate (se ne contano oltre 300, del migliaio originale) di colossali statue, che gli indigeni chiamano <<Moai>>, ricavate dall’unico tipo di pietra esistente: il "fuoco vomitato" (la lava). Ma il bello è che queste non sono state scolpite in loco, bensì nelle viscere dei vulcani (oltre 200, incompiute, sono rimaste abbozzate nella pietra grezza delle cave), per poi essere portate alla luce e collocate in situ non si sa con quale tecnologia. Il territorio, infatti, è completamente brullo e pertanto non è possibile ipotizzare un sistema di scorrimento su rulli, ottenuti dai tronchi d’albero, o di trascinamento con cordami, anche se rudimentali. L’archeologia, quella "seria", si limita ostinatamente ad affermare che quei colossi di pietra (alti dai 7 ai 22 metri - quanto una casa di 7 piani ! - e pesanti fino a 100 tonnellate) furono trasportati nei luoghi ove furono eretti, fino a 10 km. di distanza, <<...facendoli scivolare su montagne di patate...>> o <<...trascinandoli, in piedi, con lunghe corde in un percorso a zig-zag...>>. Per contro, i più fantasiosi parlano di non meglio esplicate "facoltà levitatorie" dei sacerdoti locali, che avrebbero semplicemente "ordinato" alle statue di "camminare" da sole... Tralasciando ogni commento, va doverosamente ricordato che, in tempi recenti, fu tentato un esperimento esemplificativo da parte dell’equipaggio della nave da guerra Topaze: per sollevare, imbragare, trasportare e drizzare una statua di "soli" 2,5 m. di altezza, furono impiegati (oltre alle moderne tecnologie, come àrgani, carrucole e robuste gòmene) oltre 500 uomini (attualmente la popolazione conta 1.200 abitanti). Altro mistero, oltre a quello inerente CHI e PERCHÉ edificò tali statue, resta il motivo per cui tutte guardano il mare in ogni punto dell’isola, tranne che nel quadrante di nord-est, in direzione cioè del Triangolo delle Bermuda: pura casualità ? Può darsi; ma chi intendevano rappresentare quei colossi di pietra ? Secondo le antichissime leggende dell’isola, trascritte su tavolette incise a caratteri cuneiformi e paragonabili alla civiltà di Mohenjo-Daro (situata, tuttavia, agli antipodi geografici e distante qualcosa come 3.500 anni di storia...!), le statue raffigurano "una razza di giganti con toraci possenti, lunghissimi lobi auricolari e braccia altrettanto lunghe", che colonizzarono l’isola in tempi remotissimi. A questo punto, in attesa di nuove interpretazioni, mi sembra lecito avanzare anche quelle della astroarcheologia. I primitivi abitanti di Rapa-Nui adoravano Make-Make, creatore del mondo, rappresentato come un semidìo, un ibrido con le ali tra uomo e divinità, un uomo-uccello. Anche in questo caso si riscontra l’identificazione dell’entità portatrice della vita sulla Terra in un essere superiore venuto dal cielo e, quindi, in grado di volare come gli uccelli: è fin troppo facile scomodare gli extraterrestri, i quali sarebbero stati pure gli indiretti autori dei <<moai>>, conferendo agli autòctoni tecnologie superiori per intagliare le statue direttamente nel durissimo basalto (attrezzature al laser, simili a quelle degli Egiziani, dei Maya e degli Incas ?) e per trasportarle fino ai luoghi di destinazione (forze elettromagnetiche o di annullamento gravitazionale ?).

Le "piste" di Nazca. Sono distribuite su un’area di circa 500 km.2 , in una fascia di territorio stretto fra la catena delle Ande peruviane e l’Oceano Pacifico, ove sembra che non piova da quasi 10.000 anni. Furono scoperte, o meglio, riscoperte per caso negli anni Venti da due viaggiatori, che le scambiarono per "canali d’irrigazione". In seguito, nel 1939, una pattuglia aerea che stava sorvolando quella zona desertica riuscì a comprendere che non si trattava solo di linee geometriche, ma soprattutto di monumentali opere pittografiche. Diciamo "riscoperte", in quanto se ne fa menzione già nel ‘500, all’epoca dei conquistadores, nel rapporto di un magistrato spagnolo al seguito, certo Luìs de Monzòn.

Il fatto che solo dall’alto si riesca a comprendere, oggi come ieri, il significato di quei chilometri e chilometri di tracce, ottenute asportando lo strato superficiale del terreno e mettendo così in luce il sottostante terriccio giallastro, fa sorgere ulteriori interrogativi circa le misteriose piste: da chi dovevano essere visti quegli emblematici ideogrammi ? Le tribù che abitavano quei luoghi, tra il 500 a.C. ed il 500 d.C. (tale è la datazione degli archeologi), conoscevano già un sistema per sollevarsi dal suolo di almeno 300 metri, quota al di sotto della quale la visione d’insieme non è possibile ? Se così non fosse, sarebbe difficile spiegare quale tecnologia possedessero per tracciare linee rette, lunghe anche 60 km., con la deviazione di soli 2 m./km.: difficilmente oggi riusciremmo a fare di meglio ! In effetti, in alcune tombe della valle di Nazca, sono stati trovati frammenti d’un antichissimo tessuto, identico per struttura e proprietà a quello oggi impiegato negli Stati Uniti per la fabbricazione di palloni sonda e paracadute. Oltre alla disposizione rettilinea delle piste, geometricamente quasi perfette e interpretata dalla "Ancient Astronaut Society" come un vero e proprio "astroporto" (la panoramica di Nazca equivale a quella di Cap Kennedy), si notano numerosissimi disegni di animali (ragni, condor, colibrì, lucertole, scimmie, delfini), le cui dimensioni variano dai 100 ai 300 metri. Queste figure non sono tuttavia di fantasia, ma strettamente aderenti alla realtà locale: il ragno, ad es., è stato identificato in una rara specie di aracnide, del genere Ricinulei, che vive nella foresta amazzonica. L’incredibile sta nel fatto che l’organo riproduttore di questo particolare insetto, posto all’estremità di una zampa, è di norma visibile solo al microscopio !

Ed ora ognuno di noi è libero, come sempre, di farsi l’opinione che meglio crede...

di Giorgio Pattera


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Schwarz / Winklhofer / Biedermann - IL LIBRO DEI SEGNI E DEI SIMBOLI - Brancato ‘94
Herder V. - DIZIONARIO DEI SIMBOLI - Piemme ‘93
Dopatka U. - GLOSSARIO DI PREASTRONAUTICA - Sperling & Kupfer ‘80
Compassi V. - DIZIONARIO DELL’UNIVERSO SCONOSCIUTO - SugarCo ‘83
Cordier U. - DIZIONARIO DELL’ITALIA MISTERIOSA - SugarCo ‘91
GRANDE DIZIONARIO ENCICLOPEDICO - UTET ‘79
LA SACRA BIBBIA / ANTICO TESTAMENTO - voll. I e II - UTET ‘63
ATLANTE STORICO UNIVERSALE - Vallardi ‘93
Messadié G. - LE GRANDI INVENZIONI - Vallardi ‘90
Pianigiani O. - DIZIONARIO ETIMOLOGICO - Diòscuri ‘90
Sitchin Z. - IL 12° PIANETA - Mediterranee ‘83
Sitchin Z. - LA GENESI - Jackson Futura ‘95
Sitchin Z. - DIO, ANGELI, EXTRATERRESTRI - Jackson Futura ‘97
Thompson R.L. - LE CIVILTA’ DEGLI ALIENI - Jackson Futura ‘95
Thompson / Cremo - ARCHEOLOGIA PROIBITA - Jackson Futura ‘97
Blumrich J.F. - ...E IL CIELO SI APRI’ - M.E.B. ‘76
Ossequente G. - IL LIBRO DEI PRODIGI - Mediterranee ‘92
Olivyer / Boedec - LES SOLEILS de SIMON GOULART - Les Runes d’Or ‘81
Bougard M. - LA CHRONIQUE DES O.V.N.I. - Delarge ‘77
Hesemann M. - IL MISTERO DEI CERCHI NEL GRANO - Mediterranee ‘94
North J. - IL MISTERO DI STONEHENGE - Piemme ‘97
Zecca A.&D. - REGNI DI PIETRA - SugarCo ‘73
Waisbard S. - LE PISTE DI NAZCA - SugarCo ‘79
Bauval / Gilbert - IL MISTERO DI ORIONE - Corbaccio ’97
Bauval / Hancock - CUSTODE DELLA GENESI - Corbaccio ’97
Hancock G. - IMPRONTE DEGLI DEI - Corbaccio ‘96
Hope M. - IL SEGRETO DI SIRIO - Corbaccio ‘97
Gilbert / Cotterell - LE PROFEZIE DEI MAYA - Corbaccio ’96
Wilson C. - DA ATLANTIDE ALLA SFINGE - Piemme ‘97
Naydler J. - IL TEMPIO DEL COSMO - Neri & Pozza ‘97
Collins A. - GLI ULTIMI DEI - Sperling & Kupfer ‘97

RIVISTE & PERIODICI

NOTIZIARIO U.F.O. n.° 109 / 1988; annate 1995, ‘96 e ‘97
ALIENI annate 1996 e ‘97
OLTRE LA CONOSCENZA annate 1996 ‘97
I MISTERI annate 1995, ‘96 e ‘97
U.F.O. Magazine annate 1996 e ‘97

http://www.silverland.info/archeologia- ... dell-uomo/



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MessaggioInviato: 29/11/2013, 10:06 
Parlando di grigi in un altro thread è stato citato dall'utente Angel il seguente articolo che desidero riproporre qui per rilanciare il thread in questione approfondendo la figura dei cosiddetti "Alieni Grigi".

Quali sono le loro origini? Quale la loro natura?

L'UFO E LE EBE

Il Col. Corso riteneva che vi fosse una interazione fra le EBE pilotanti l'UFO ed il mezzo spaziale tanto incredibile quanto fantastica, e cioè una interfaccia simbiotica di tipo bio-meccanico ed elettronico fra chi pilota ed il velivolo da lui controllato. Egli vide ciò come una forma di ergonomia digitale comprendente un flusso di elettromagnetismo che legava dal punto di vista neurologico l'EBE alla propria navicella. Era come se il pilota e il mezzo diventassero una sola entità, in cui il cervello della EBE si integrava con l'onda elettromagnetica propagantesi attorno all'UFO. Utilizzando una banda frontale atta a trasmettere i propri impulsi psichici, l'EBE appariva in grado di manipolare diversi campi elettromagnetici mediante le proprie onde telepatiche come pure mediante le punte delle dita attraverso dei cambiamenti sequenziali (come se suonasse un pianoforte) atti ad aumentare o diminuire la velocità della navetta, nonché di controllarne le varie manovre nell'atmosfera.

Le onde elettromagnetiche si manifesterebbero talvolta come collettori distribuiti tutt'intorno al veicolo, e ciò spiegherebbe i numerosi avvistamenti di UFO accompagnati da luci colorate mentre procedono nell'atmosfera. Il Col. Corso riteneva che le EBE fossero il prodotto di una ingegneria genetica aliena specificamente rivolta alla creazione di piloti atti ad affrontare il volo spaziale. Gli esseri umani, come i programmi USA e dell'URSS prima e russo poi hanno provato, non possono viaggiare su lunghe distanze senza registrare una serie di controindicazioni avverse. Anche in missioni spaziali di corta durata astronauti e cosmonauti hanno sperimentato perdita di massa corporea e di stabilità, danni al sistema immunitario, criticità digestive e spossatezza generale I nostri stessi esperimenti di clonazione hanno dimostrato che sarebbe teoricamente possibile costruire geneticamente un "perfetto" viaggiatore spaziale. È forse questo ciò che hanno davvero fatto gli Extraterrestri centinaia di migliaia se non milioni di anni fa? Di che genere di tecnologia disponevano per creare entità (le EBE) geneticamente progettate e computerizzate in grado di esplorare la galassia?

Le creature che viaggiano da un mondo all'altro su mandato dei loro creatori alieni sono allora state progettate a livello genetico specificamente per affrontare i viaggi spaziali? Cosa accadrebbe allora, si chiede Corso, se potessimo raggiungere il pianeta delle EBE di Roswell? Vi troveremmo forse una razza ben diversa dalle creature schiantatesi nel New Mexico nel 1947? Si trattava di entità bio-geneticamente prodotte in serie (clonate) per affrontare i rischi dei viaggi spaziali e non per operare nel mondo dei lori creatori?

Non certo a torto, Corso conclude che per viaggiare nello spazio su lunghe distanze dovremmo essere "più" che umani. Seguendo i criteri della presunta progettazione genetica delle EBE, i viaggi spaziali sarebbero grandemente agevolati da un corpo atto a proteggere l'organismo dalle radiazioni: Dovremmo dipendere da un elettromagnetismo autoprodotto piuttosto che da ossigeno e cibo.

E un incredibile accorciamento nei tempi di viaggio sarebbe prodotto dall'uso di una propulsione elettromagnetica, una energia attivata in funzione delle nostre necessità, come l'elettricità. Sulla base delle relazione autoptiche del Walter Reed Hospital dell'Esercito, il Col. Corso riteneva che le EBE fossero esseri o clonati o comunque realizzati specificamente per il volo spaziale, dal momento che i loro sistemi bio-organici sembravano non solo adattarsi perfettamente ai rigori della esposizione per lunghi periodi alla gravità zero e alle radiazioni cosmiche, ma anche interfacciarsi perfettamente con il mezzo pilotato. Secondo Corso, il cervello delle EBE aveva quattro parti, due per così dire "computerizzate" e due normali. Era quest'organo che presiedeva alla loro "missione"?

Per esempio, il cervello era elettromagneticamente interconnesso con il sistema della navicella mediante impianti in silicio nei lobi cerebrali. Questi ultimi erano caratterizzati da quello che gli analisti medici dell'Esercito descrivevano come un insieme di "avvolgimenti esterni", sul tipo di quelli posti interfacciati ad una massa magnetica utilizzata per aumentare le emissioni elettromagnetiche. I patologi dell'Esercito non furono mai in grado di misurare alcuna di tali emissioni, in quanto le EBE erano morte e la loro attività cerebrale era cessata. Ma, ritenendo che ciò che i patologi avevano riscontrato indicasse quanto il cervello si supponeva fosse effettivamente in grado di fare, nulla esclude che tali "avvolgimenti esterni" attorno alle teste delle EBE fossero deputati a quanto sopra detto.

Il cervello delle EBE aveva quattro lobi dei quali il Lobo 1 era il più grande. Corso riteneva dalle sue dimensioni che esso non solo funzionasse quale "cervello principale", ma fosse altresì quello dello stesso velivolo, quale parte integrante dello stesso schema progettuale dell'UFO.

Il Lobo 2 sembrava agire come in funzione ausiliaria rispetto al Lobo 1, forse in quanto contenente varie istruzioni di programmazione, dati di navigazione, nonché istruzioni in caso di guasti o danni al mezzo o di decisioni critiche. Era come se tale lobo fosse simile ad un cervello umano primitivo caratterizzato da "reazioni di fuga", e cioè dalla capacità di reagire propriamente per salvare il mezzo e i suoi occupanti.

Il Lobo 3 era simile al cervello umano, controllante funzioni di supporto vitale come il cuore, il polmone e i muscoli. Esso era altresì in grado di ridurre i requisiti energetici di tali funzioni vitali nel caso di lunghi viaggi nello spazio.

Il Lobo 4 controllava la maggior parte del sistema dei muscoli volontari e consentiva alle EBE azioni indipendenti, forse nel caso di missioni ricognitive su pianeti lontani, in modo abbastanza simile alla programmazione che verrà usata dalle nostre sonde robotizzate lunari o marziane per consentire di condurre una esplorazione sulla base della situazione locale del momento.

Le EBE indossavano delle fasce frontali che intensificavano le onde celebrali per la comunicazione telepatica, di grande aiuto nel funzionamento "biologico" dell'UFO. Questa fascia frontale fu uno degli oggetti che Corso rinvenne fra i reperti allegati agli Archivi del Pentagono su Roswell, e che consegnò per le possibili applicazioni tecnologiche conseguenti alle industrie aerospaziali legate da contratto al Ministero della Difesa USA. Oggi, tale fascia frontale è utilizzata per aiutare individui fisicamente disabili a muovere un cursore sullo schermo di un computer e piloti collaudatori a tenere sotto controllo certune funzioni di volo del velivolo in volo.

Le EBE potevano altresì controllare l'UFO attraverso relays amplificatori di corrente a forma di coppa collegati alle estremità delle dita delle mani? Il Col. Corso notò che in tutte le punte delle dita delle EBE si riscontravano circa 80.000 punti di emissione. È dunque estremamente probabile che attraverso questi relays le EBE trasmettessero istruzioni di guida al sistema di navigazione del velivolo direttamente dalle loro menti mediante le dita delle mani.

CUORE E POLMONE

L'unico polmone e il cuore surdimensionato (rispetto al nostro) delle EBE funzionavano quasi come un unico organo. Gli scienziati credevano che il polmone immagazzinasse altresì grandi quantità dell'energia elettromagnetica (EM) dell'UFO per lunghi viaggi, che veniva periodicamente rinnovata dalla genesi e dalla trasmissione di energia EM. Il cuore, che non si dilatava nello spazio come un cuore umano, potrebbe non solo avere pompato energia EM alle strutture cellulari del corpo delle EBE, ma essere anche servito come un mezzo teso ad immagazzinare energia per lunghi viaggi, un po' come una batteria.

ORECCHIE

Le EBE avevano delle orecchie piccole, quasi indistinguibili. Probabilmente non avevano bisogno di percepire onde sonore in quanto non parlavano e comunicavano telepaticamente.

NASO

Analogamente, il naso era estremamente piccolo in quanto evidentemente l'atmosfera all'interno dell'UFO doveva essere molto concentrata. Inoltre, gli analisti medici del Walter Reed Hospital non riuscirono a determinare come funzionava il sistema olfattivo delle EBE. Pare che l'olfatto non fosse però un senso importante e fosse utilizzato solo per estreme necessità di allarme. Le atmosfere planetarie contenenti i necessari elementi non richiedevano alcuna protuberanza nasale alle EBE, per cui le narici erano alquanto piatte e molto piccole.

BOCCA

Le EBE presentavano un orefizio boccale appena pronunciato, privo di condotti per ingurgitare acqua o cibo.

Le EBE non avevano sistema digerente, e ciò spiega l'assenza di denti e di ogni apparato di elaborazione di nutrimenti solidi o liquidi. Così pure va rilevata l'assenza di lingua e corde vocali in quanto le EBE non parlavano ma comunicavano telepaticamente, forse mediante trasmissioni da cervello a cervello e senza bisogno di mezzi ausiliari.

OCCHI

Gli occhi delle EBE sembravano di tipo telescopico e avevano un cristallino mediano, che fungeva da collettore luminoso. Tale cristallino, o "terza palpebra", costituiva la base per quello che fu denominata "visione notturna". Ecco perché le grandi cornee esterne delle EBE apparivano nere. Secondo Corso, il Gen. Trudeau gli dette istruzioni di incoraggiare gli scienziati del Laboratorio per la Visione Notturna di Fort Belvoir perché utilizzassero la bio-tecnologia della "terza palpebra" come modello per gli occhiali da visione notturna. Nel relativo capitolo (intitolato "La Conquista della Notte") relativo alla storia pubblicata delle ricerche condotte a Fort Belvoir, i ricercatori citano il sostegno ricevuto dal Gen. Trudeau nei primi anni Sessanta per lo sviluppo di un sistema di "visione notturna" atto ad essere utilizzato dai soldati USA in Vietnam.

PELLE

Come descritto in "Il giorno dopo Roswell", il Col. Corso sosteneva che la pelle delle EBE, al pari della struttura esterna dell'UFO, sembrava come "costruita" attorno alle entità e al mezzo quasi come una ragnatela stratificata. E come una ragnatela, la struttura molecolare era atomicamente allineata in senso longitudinale ed estremamente denso in modo da essere caratterizzata da una estrema resistenza alla tensione per quando fosse leggera come una rete di filamenti. Tale resistenza strutturale proteggeva le EBE dalle radiazioni cosmiche, elettromagnetiche e dalle escursioni termiche proprie dello spazio.

Prima di morire, Corso disse in varie interviste che uno dei suoi maggiori crucci consisteva nel fatto che nessun laboratorio era stato in grado di duplicare la super-resistenza della struttura molecolare di fabbricazione aliena. Oggi, comunque, sono in attuazione esperimenti genetici facenti uso dei geni di ragni per duplicare la resistenza alla tensione delle tele di ragno.

Con la eccezione della colonna vertebrale, che appariva particolarmente atta a resistere alle sollecitazioni dovute ai rigori di un viaggio spaziale, e di uno scheletro che era più tensile che rigido, le altre funzioni biologiche delle EBE sembravano del tutto secondarie, come se dovessero essere utilizzate solo per missioni di ricognizione della superficie terrestre. Le EBE erano creature principalmente legate al loro mezzo e quasi tutt'uno con la sua programmazione di pilotaggio.

Corso credeva che gli aspetti più complessi e sofisticati delle creature fossero da ricercare nella loro interfaccia con l'UFO e con la capacità di comunicare telepaticamente. Al di là di ciò, esse mal si adattavano ad altri ambienti e contesti. Il che convinse Corso che ci si trovava davanti a degli esseri clonati per il fine di pilotare, navigare ed effettuare esperimenti nel corso di missioni specifiche. Le EBE, quindi altro non sarebbero state che versioni biologiche dei nostre sonde spaziali robotizzate, programmate per eseguire esperimenti sulla superficie dei pianeti visitati.

La vera potenza della tecnologia aliena, credeva il colonnello, consisteva nella capacità degli extraterrestri di manipolare telepaticamente lo spazio e il tempo. Tale forma di "proiezione astrale" ET affascinava ed atterriva ad un tempo l'Esercito USA, e così pure quanti ne vennero a conoscenza in altre branche del Governo, e fu una delle principali ragioni che innescarono il "cover up" conseguente all'UFO-crash di Roswell.

La comunicazione telepatica, la psicocinesi, l'ingegneria biologica, la capacità per un organismo di interfacciarsi con un computer: queste sono solo alcune delle esplorazioni di frontiera condotte oggi dalla specie umana. Che tutte queste discipline possano un giorno fondersi in una sola, come gli alieni di Roswell dimostrerebbero, è certo un concetto difficile da immaginare. La speranza sarebbe che lo studio delle implicazioni relative al loro uso e abuso non vada seriamente al di là degli sviluppi scientifici più prossimi a realizzarsi. Questo punto, in particolare, interessava Philip Corso e questo avrebbe voluto che si continuasse a seguire per il bene dell'umanità.

Fonte: "UFO Notiziario" Nuova Serie - N. 38 del Novembre 2002

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Dalle note di Philip Corso: schizzo del sistema propulsivo elettromagnetico degli UFO.

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Dalle note di Philip Corso: lo schema del funzionamento energetico del "disco" di Roswell.

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Dalle note di Philip Corso: schizzo dell'aspetto esterno dell'UFO di Roswell.

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Dalle note di Philip Corso: lo schema del funzionamento dell'occhio delle EBE.

Articolo di: Massimo Staccioli


Ultima modifica di Atlanticus81 il 29/11/2013, 10:09, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 02/12/2013, 23:01 
Quando parliamo di Anunnaki e di Elohim spesso facciamo riferimento a Nibiru, quell'ipotetico pianeta descritto nella mitologia sumera e riportata in auge dalle traduzioni di Sitchin.

Io personalmente, pur non escludendo la possibile esistenza di un pianeta come Nibiru (vedasi i dati astronomici su pianeti come Sedna) ho una ipotesi diversa sull'origine degli "Antichi Dei" Anunnaki.

Ora, nuove scoperte degli astronomi e degli astrofisici avvallano questa mia in accordo con la cronologia dei miti sumeri come Enuma Elish che vede l'arrivo degli Anunnaki intorno a 450.000 anni fa e a un Diluvio all'incirca 12.000 anni fa.

Che cosa è successo su Marte? Un inquietante mistero planetario. Una nuova catastrofe nell’ottobre 2014?
Miliardi di anni fa, quando i pianeti del nostro sistema solare era ancora giovani, Marte era un mondo molto diverso. L'acqua liquida scorreva in lunghi fiumi che terminavano il loro percorso riversandosi in laghi e mari poco profondi. Una densa atmosfera ricopriva il pianeta tenendolo caldo. In questo ambiente accogliente, colonie di microbi avrebbero potuto trovare le condizioni ideali per rendere Marte il secondo pianeta pieno di vita oltre al nostro. Ma le cose non sono andate così? Perchè?


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Oggi Marte è un mondo freddo e secco. La sua esile e sottile atmosfera fornisce una copertura scarsa ad una superficie segnata da letti di fiumi asciutti e laghi vuoti. Se esistono ancora i microbi marziani, probabilmente stanno trascorrendo un’esistenza misera da qualche parte del polveroso sottosuolo marziano.

Cosa è successo al nostro vicino? Questa domanda inquietante ha lasciato a lungo perplessi gli scienziati planetari. Per cercare la risposta, la NASA ha appena lanciato un nuovo orbiter per Marte chiamato MAVEN (Mars Atmosphere and Volatile Evolution).

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“L’obiettivo di MAVEN è quello di capire quali processi sono stati responsabili di questi cambiamenti radicali nell’ecosistema marziano”, dice Bruce Jakosky dell’Università del Colorado nell’articolo pubblicato dalla NASA.

L’inserimento orbitale è previsto per la metà di settembre del 2014. La sonda orbiterà intorno a Marte per almeno un anno terrestre (circa la metà di un anno marziano). MAVEN è equipaggiata con una grande quantità di strumenti finalizzati allo studio dell’alta atmosfera del pianeta, lì dove molti ricercatori ritengono sia contenuta la risposta all’enigma di Marte. L’unico modo per capire se Marte abbia mai avuto condizioni climatiche di umidità e calore è capire se la sua atmosfera è stata abbastanza spessa.

Una spessa coltre di anidride carbonica nell’atmosfera marziana avrebbe potuto favorire temperature più elevate e la maggiore pressione atmosferica necessaria a mantenere l’acqua allo stato liquido.

Eppure, qualcosa ha causato la perdita dell’atmosfera di Marte. Una delle ipotesi è quella del vento solare. A differenza della Terra, Marte non è protetto da un campo magnetico globale, ma da ‘ombrelli magnetici’ sparsi per il pianeta e che riparano solo una parte dell’atmosfera.

L’erosione delle aree esposte al vento solare avrebbe potuto lentamente spogliato l’atmosfera nel corso dei miliardi di anni. Recenti misurazioni degli isotopi presenti nell’atmosfera marziana eseguite dal rover Curiosity sembrano supportare questa idea: la quantità di isotopi leggeri di idrogeno e argon è praticamente esaurita rispetto alle loro controparti più pesanti, facendo pensare che siano state andate disperse nello spazio.

Gli scienziati hanno anche ipotizzato che la superficie del pianeta abbia potuto assorbire la CO2 presente in atmosfera, catturandola in minerali come il carbonato. Tuttavia, questa teoria è stata ridimensionata dato che i rover su Marte non sono riusciti a trovare abbastanza carbonato da giustificare il gas mancante.

Tra le ipotesi avanzate dai ricercatori sulla scomparsa dell’atmosfera di Marte, c’è ne una che parte da una curiosa anomalia della superficie del pianeta rosso. La crosta marziana, infatti, sembra essere divisa all’equatore in due zone morfologicamente molto diverse, perfettamente distinte e nettamente separate: i basso-piani dell’emisfero settentrionale relativamente lisci e senza crateri, la maggior parte dei quali giace ad almeno 1000 metri sotto il livello dato e gli altopiani dell’emisfero meridionale, massicciamente craterizzati, che in gran parte si innalzano a più di 2 mila metri sopra il livello dato. “ La linea di divisione che separa queste due zone elevate descrive un grande cerchio inclinato approssimativamente a 35 gradi rispetto all’equatore marziano”, spiega il geologo Peter Cattermole.

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Le eccezioni principali alla topografia del liscio emisfero settentrionale sono il rigonfiamento del monte Elysium, di Tharsis, il quale scavalca la linea di divisione. Invece, le eccezioni principali alla topografia dell’emisfero meridionale sono alcune parti delle Valles Marineris e due notevoli crateri, Argyre e Hellas, formati da impatti con comete o asteroidi. Argyre è profondo 3 chilometri e ha un diametro di 630 chilometri. Hellas è profondo 5 chilometri e ha un diametro di circa 2 mila chilometri.

Questi crateri, insieme a un terzo, Isidis, sono i più larghi esistenti su Marte. Ma il pianeta possiede innumerevoli altri crateri con un diametro di 30 o più chilometri, molti dei quali, compreso uno al polo sud, sono mostruosamente grandi: superano infatti i 200 chilometri di diametro. Nel complesso, oltre a decine di migliaia di crateri più piccoli con il diametro che misura al massimo un chilometro, su Marte sono stati contati 3305 crateri larghi più di 30 chilometri.

E’ difficile spiegare perché 3068 di essi, cioè il 93 per cento, si trovi a sud della linea di divisione; soltanto 237 crateri di questa ampiezza sono stati trovati a nord della linea di divisione. Ugualmente curioso è il fatto che l’emisfero senza crateri sia tanto meno elevato (è infatti più basso di parecchie migliaia di metri) rispetto alla parte craterizzata.

La causa di questa divisione bassopiano-altopiano, come osserva il geologo Ronald Greely, “rimane uno dei principali problemi irrisolti di Marte”. L’unica certezza è che a un certo punto della sua storia il pianeta fu afflitto da un cataclisma di dimensioni quasi inimmaginabili.

L’ipotesi avanzata dai ricercatori è che un corpo celeste di considerevoli dimensioni, forse una grande cometa o un planetoide vagante, possa aver impattato il pianeta rosso nella zona settentrionale, sventrando la crosta marziana e formando un oceano di lava fluida grande quanto l’intero emisfero nord. L’immenso impatto avrebbe spinto il materiale magmatico verso l’emisfero meridionale, causandone l’innalzamento delle crosta e le notevoli catene montuose. Il raffreddamento dell’oceano di magma nell’emisfero settentrionale giustificherebbe la relativa superficie liscia e la maggiore depressione rispetto all’emisfero meridionale.

Da segni inconfondibili si deduce che molti dei crateri più grandi e profondi di Marte nel raggio di oltre 30 chilometri si sono formati quando il pianeta aveva un ambiente umido e caldo. Hellas, Isidis e Argyre in particolare hanno margini bassi e indistinti e il fondo piatto: queste caratteristiche, secondo molti autorevoli scienziati, dimostrano che la loro formazione risale a quando Marte aveva ancora un’atmosfera densa, era soggetto a una rapida erosione e possedeva un campo magnetico più forte rispetto ad oggi. Allo stesso modo sulla Terra crateri di grandi dimensioni scavati dall’erosione possono integrarsi nel paesaggio in un periodo di alcune centinaia di anni al punto da diventare praticamente irriconoscibili dall’ambiente circostante.

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L’ipotesi è quindi che l’atmosfera sia stata spazzata via dall’immenso impatto con il corpo celeste. Dal momento che la forza di gravità su Marte è molto debole, è più facile per la nube di detriti che si espande da un impatto, distruggere tutta l’atmosfera del pianeta.

Infine, uno degli aspetti più sconcertanti della geologia di Marte è il ruolo che l’acqua ha giocato nell’evoluzione del pianeta, mostrando i segni di un’inondazione catastrofica che diede forma alle sue pareti lisce e scavò anche caverne sotterranee profonde molte centinaia di metri, incidendo isole affusolate a forma di goccia, lunghe da un’estremità all’altra fino a 100 chilometri.

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L’inondazione procedeva molto velocemente: così rapidamente da fornire punte di portata di milioni di metri cubi al secondo. Neppure l’atmosfera densa della Terra può fornire acqua così velocemente da causare simili portate di dimensioni analoghe. Soltanto i crolli delle dighe hanno causato flussi di macro-erosione significativi. Si è calcolato che il volume di acqua necessario a tagliare i canali doveva essere enorme. Peter Cattermole ritiene che sia stato pari allo spostamento di un oceano globale profondo più di 50 metri.

Un’altra grande inondazione avvenne nella Ares Vallis. Le fotografie inviate dal modulo d’atterraggio Pathfinder della NASA nel luglio del 1997 mostrano che, un tempo, questo immenso canale era colmo di acqua per chilometri e chilometri. “Deve esser stato imponente. Paragonabile al diluvio che riempì il bacino del Mediterraneo sulla Terra”, ebbe a dire Michael Malin, scienziato ideatore del Pathfinder.

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Quando è avvenuto tutto ciò?

È dunque opinione generalmente condivisa che miliardi di anni fa su Marte prevalessero queste condizioni climatiche calde e umide. Tuttavia, secondo Harold Masursky del Geological Survey, su Marte vi fu acqua allo stato liquido «fino ad alcuni milioni di anni fa».

In Gran Bretagna, Colin Pillinger si è spinto oltre. Il suo studio sui meteoriti di Marte dimostrerebbe che l’acqua allo stato liquido, e una qualche forma di vita primitiva, possano essere esistite sul Pianeta Rosso fino a 600 mila anni fa. Altri ricercatori, propendono per una datazione ancora più recente: un grande cataclisma avrebbe colpito Marte privandolo violentemente della sua atmosfera e dell’acqua meno di 17 mila anni fa!

La superficie di Marte è un misterioso puzzle. Tra i suoi strati è scritta la storia della morte di un mondo. Può essere che non ci si debba inoltrare in un passato risalente a miliardi di anni fa e il destino che gravò su Marte, forse, non lasciò completamente indenne neppure la Terra.

Secondo recenti osservazioni astronomiche, mese di ottobre del 2014, il Pianeta Rosso potrebbe essere lo scenario di un catastrofico evento astronomico, nel momento in cui la cometa C/2013 A1 si troverà a passare vicinissima alla sua superficie. [Leggi: La cometa “Siding Spring” (C/2013 A1) mette i russi in stato d’allerta: Marte e Terra in pericolo?]

A rivelare la possibile catastrofica profezia sono i calcoli diffusi dal sito web dell’osservatorio russo Ison-NM, secondo il quale un eventuale impatto potrebbe creare un cratere dal diametro di 500 chilometri. Secondo i modelli orbitali previsionali elaborati dagli astronomi, la cometa C/2013 A1 raggiungerà il massimo avvicinamento a Marte il prossimo 19 ottobre 2014.

http://www.ilnavigatorecurioso.it/2013/ ... obre-2014/

La conclusione del Progetto Atlanticus è pertanto che Marte fosse la "casa" degli Antichi Dei, Anunnaki o Elohim che fossero, biondissimi e chiari di carnagione data la maggiore lontananza dal sole, venuti sulla Terra salvando il salvabile quando il pianeta divenne inabitabile.



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un grande cataclisma avrebbe colpito Marte privandolo violentemente della sua atmosfera e dell’acqua meno di 17 mila anni fa!


Un evento del genere accaduto "solo" 17mila anni fa non avrebbe lasciato tracce e frammenti anche attorno al pianeta ancora visibili?

In termini astronomici 17mila anni vuol dire che è successo un paio d'ore fa


Ultima modifica di MaxpoweR il 03/12/2013, 00:48, modificato 1 volta in totale.


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Atlanticus81 ha scritto:
La conclusione del Progetto Atlanticus è pertanto che Marte fosse la "casa" degli Antichi Dei, Anunnaki o Elohim che fossero, biondissimi e chiari di carnagione data la maggiore lontananza dal sole, venuti sulla Terra salvando il salvabile quando il pianeta divenne inabitabile.


Benevenuto nel club. Credo che siamo in molti convinti di questa ricostruzione. [;)]

Tuttavia la datazione di 17000 anni fa non mi trova d'accordo. Io credo che gli eventi siano di molto antecedenti e l'indicazione di 600'000/400'000 anni sia piu' realistica e meglio si incastri con gli eventi terrestri.
Non escludo comunque che anche 17000 anni fa possa esserci stato un evento cataclismatico ma non credo sia quello che ha determinato le attuali condizioni di marte.



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zakmck ha scritto:

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Atlanticus81 ha scritto:
La conclusione del Progetto Atlanticus è pertanto che Marte fosse la "casa" degli Antichi Dei, Anunnaki o Elohim che fossero, biondissimi e chiari di carnagione data la maggiore lontananza dal sole, venuti sulla Terra salvando il salvabile quando il pianeta divenne inabitabile.


... la datazione di 17000 anni fa non mi trova d'accordo. Io credo che gli eventi siano di molto antecedenti e l'indicazione di 600'000/400'000 anni sia piu' realistica e meglio si incastri con gli eventi terrestri.

Non escludo comunque che anche 17000 anni fa possa esserci stato un evento cataclismatico ma non credo sia quello che ha determinato le attuali condizioni di marte.



Sono totalmente d'accordo con te.

Più ragionevole pensare che Marte sia 'morto' centinaia di migliaia di anni fa, provocando l'emigrazione di alcuni superstiti sulla Terra che hanno ispirato la mitologia antica, sumera in primis.

Più facile che il cataclisma cui ci si riferisce avvenuto 17.000 anni fa abbia provocato più danni sulla Terra:
- Fine della glaciazione di Wurm
- Diluvio Universale
- Cancellazione civiltà prediluviane (Atlantide)

Direi che molti tasselli si vanno a combaciare perfettamente ormai... e anche la scienza sembra orientata a indirizzarci verso questa direzione.

Che i tempi stiano maturando per la "Grande Rivelazione"?

[;)]



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Ecco come potevano essere gli antichi Elohim... o i primi Nephilim, ancora devo capirlo!

[:p]

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Forse anche Jahveh aveva una testa così!

[:p]



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zakmck ha scritto:

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Atlanticus81 ha scritto:
La conclusione del Progetto Atlanticus è pertanto che Marte fosse la "casa" degli Antichi Dei, Anunnaki o Elohim che fossero, biondissimi e chiari di carnagione data la maggiore lontananza dal sole, venuti sulla Terra salvando il salvabile quando il pianeta divenne inabitabile.


Benevenuto nel club. Credo che siamo in molti convinti di questa ricostruzione. [;)]

Tuttavia la datazione di 17000 anni fa non mi trova d'accordo. Io credo che gli eventi siano di molto antecedenti e l'indicazione di 600'000/400'000 anni sia piu' realistica e meglio si incastri con gli eventi terrestri.
Non escludo comunque che anche 17000 anni fa possa esserci stato un evento cataclismatico ma non credo sia quello che ha determinato le attuali condizioni di marte.


Anche io ho sempre ragionato su ipotesi in questi termini...


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MessaggioInviato: 16/12/2013, 00:20 
“Cugino” dei Denisova, ha 400mila anni: scoperto Dna del progenitore più antico

Ha 400mila anni (il che riconduce alle tavolette sumere e all'arrivo dei primi Anunnaki), è vissuto in Europa, è “cugino” dell’homo di Denisova ed è il più antico antenato che l’homo Sapiens abbia mai “conosciuto”.

Il sorprendente Dna è stato trovato in un femore rinvenuto in uno scavo nel nord della Spagna (il che si ricollega al popolo basco, all'rh negativo e alle ricerche sui cro-magnon) e sposta indietro di 200mila anni la ricostruzione dell’evoluzione umana, che oggi si fonda su basi genetiche.

Il Dna non solo ha una forte importanza nella ricostruzione delle specie che hanno portato fino all’homo Sapiens, ma ha messo in evidenza una stretta parentela tra l’homo misterioso e i Denisoviani, mentre i ricercatori avrebbero pensato di vedere una parentela più stretta con l’homo di Neanderthal.

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La ricerca che ha portato alla scoperta arriva dal gruppo coordinato da Svante Paabo, dell’Istituto Max Planck di Antropologia Evolutiva, ed è stata pubblicata sulla rivista Nature. Gli scienziati hanno inoltre sviluppato un nuovo metodo per l’estrazione di Dna dai fossili, che ha permesso una ricostruzione più accurata del genoma analizzato.

I ricercatori hanno così estratto il Dna che si eredita per via materna, cioè il Dna mitocondriale, dai resti di un ominide scoperto nella grotta di Sima de los Huesos, nella Sierra di Atapuerca. Il fossile, datato a circa 400.000 anni fa, è classificato come Homo heidelbergensis, ma ha anche molti tratti simili ai Neanderthal.

Il suo genoma mitocondriale è stato poi confrontato con il Dna mitocondriale di Neanderthal, Denisoviani, uomini moderni e scimpanzé. È stato così scoperto che l’ominide ha delle affinità genetiche con l’uomo di Denisova, tali da supporre che i due abbiano un antenato in comune.

Matthias Meyer, primo autore dello studio e ricercatore del Max Planck Institute, ha detto: “Questo è solo l’inizio di quello che possiamo fare con la nuova tecnica e i fossili rinvenuti. Dobbiamo ammettere che la scoperta ci ha colto di sorpresa. Ora nuovi e approfonditi studi ci permetteranno di stabilire se questo ominide è stato il progenitore dei Neanderthal e dei Denisoviani, o addirittura un ominide completamente differente”.

Il 18 novembre i ricercatori hanno presentato alla Royal Society di Londra un nuovo studio di alta qualità del genoma dei Neanderthal e dei Denisova, evidenziando come alcune sequenze di Dna dei due estinti progenitori presentassero tracce di un’altra popolazione ancor più arcaica e sconosciuta, che sarebbe vissuta tra Europa e Asia oltre 30mila anni fa.

Neaderthal, Denisova e un “homo” misterioso condivisero il letto e non certo per dormire. Lo studio del genoma dei nostri antichi ed estinti progenitori che vissero oltre 40mila anni fa mostra segni di un Dna ancora più antico e misterioso.

I ricercatori dell’Harvard Medical School, guidati da David Reich, hanno collaborato con Svante Pääbo del Max Plack Institute for Evolutionary Anthropology e hanno scoperto la traccia del Dna di un altro progenitore dell’homo Sapiens nel genoma dell‘homo di Denisova e di Neanderthal recuperato nella grotta di Denisova.

Che l’homo Sapiens avesse “dormito” con Neanderthal e Denisova non è certo un segreto: il Dna umano delle popolazioni originate dai progenitori provenienti dall’Africa ha in comune con i Neanderthal circa il 2% del genoma, mentre il 4% del genoma delle popolazioni aborigene dell’Oceania, dalla Papua Nuova Guinea all’Australia, è condiviso con i Denisova.

Mark Thomas, genetista dell’evoluzione dello University College London ha commentato la ricerca: “Ciò che i risultati suggeriscono è che stiamo osservando una sorta di mondo simile a quello del “Signore degli Anelli” dove diverse popolazioni di ominidi convivevano tra loro”.

Chris Stringer, paleoantropologo del London Natural History Museum, ha commentato la notizia: “Non abbiamo idea di quale popolazione possa trattarsi”. Ma allo stesso tempo lancia la sua ipotesi e parla di homo Heidelbergensis, specie che lasciò l’Africa mezzo milione di anni e che diede vita ai Neanderthal in Europa e che potrebbe aver raggiunto anche l’Asia. L’identità del terzo “homo” nel letto di Neanderthal e Denisova per ora rimane un mistero.

http://www.blitzquotidiano.it/scienza-e ... e-1723213/

http://www.blitzquotidiano.it/scienza-e ... o-1737794/

L'identikit di questo terzo "homo" potrebbe corrispondere al profilo genetico degli "Antichi dei" Anunnaki/Elohim, ovvero i famosi "giganti" dell'antichità?



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UN MONDO PER RETTILIANI

Ronald Breslow suggerisxce che forme di vita basate su aminoacidi e zuccheri leggermente diversi, potrebbero prendere la forma di enormi dinosauri feroci che si sono evoluti per avere intelligenza e tecnologia simili alle umane 'Faremmo meglio a non incontrarli,' ha detto Breslow, che afferma che fu un colpo di fortuna che un astoroide fece piazza pulita dei dinosauri sulla Terra, lasciando libero il campo per i mammiferi come gli umani..

In altri mondi, i dinosauri potrebbero essersi evoluti in enormi guerrieri intelligenti armati di armi altamente tecnologiche ma senza perdere la loro fame di carne fresca. 'Naturalmente' dice Breslow, 'Mostrare che sarebbe potuto accadere cosi, non è la stessa cosa che mostrare che cosi sia realmente accaduto". Cio' che implica un lavoro di ricerca del genere è che altrove nell'universo ci potrebebro essere forme di vita basate su D-aminoacidi e L-zuccheri. "Tali forme di vita potrebbero essere versioni molto avanzate di dinosauri, nel caso i mammiferi non avessero avuto la buona fortuna di vederli spazzati via da collisioni di un asteroide, come è accaduto sulla Terra". Nella relazione sulla ricerca, lo scienziato Ronald Breslow, Ph.D., discute il mistero che dura da secoli sul perchè i mattoni costituenti gli aminoacidi terrestri (che costituiscono le proteine) , gli zuccheri e i materiali genetici del DNA e RNA, esistano essenzialmente in una sola forma o orientamento.

Ci sono due possibili orientamenti, destra e sinistra, che si specchiano reciprocamente come accade per le mani. Perchè possa sorgere la vita, le proteine, per esempio, devono contenere solo una forma chirale di aminoacidi , destra o sinistra. Ad eccezione di alcuni batteri, gli aminoacidi in tutta la vita terrestre hanno un orientamento sinistrorso (da destra verso sinistra) . La piu' parte degli zuccheri l'ha destrorso. Come avvenne la cosiddetta omochiralità, la predominanza della forma chirale? Breslow descrive prove a sostegno dell'idea che gli insoliti aminoacidi portati su una Terra senza vita da dei meteoriti circa 4 miliardi di anni fa, hanno posto la forma degli aminoacidi normali con geometria a L, il tipo nelle proteine terrestri e degli zuccheri a forma D che sono del tipo di quelli del DNA.



http://www.youtube.com/watch?v=6YJ9xwRL5_M



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i dinosauri hanno dominato la terra per decine di milioni di anni avrebbero avuto tutto il tempo di evolversi anche prima di essere distrutti dal PRESUNTO meteorite, perchè non è accaduto, SE NON E' ACCADUTO?

In fondo l'uomo c i ha messo meno di 1-10 del tempo che hanno vissuto i dinosauri per passare da mammifero a sapiens no?



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Cita:
MaxpoweR ha scritto:

i dinosauri hanno dominato la terra per decine di milioni di anni avrebbero avuto tutto il tempo di evolversi anche prima di essere distrutti dal PRESUNTO meteorite, perchè non è accaduto, SE NON E' ACCADUTO?



E qui torniamo al tema che avevo affrontato nel mio libro, ovvero il caso del Troodon...

http://it.wikipedia.org/wiki/Troodon_formosus

[:p]



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MessaggioInviato: 28/12/2013, 21:19 
si ma è vissuto verso la fine dell'era dei dinosauri ed era ancora largamente primitivo rispetto ad una possibile variante intelligente e pure i dinosauri erano li da quanto? 120 milioni di anni?



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