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MessaggioInviato: 29/06/2013, 22:38 
Delitto Moro, nuove rivelazioni : «Cossiga in via Caetani 2 ore prima della telefonata Br»

La morte di Aldo Moro non è ancora una questione per gli storici. Vitantonio Raso, il giovane antisabotatore che arrivò per primo in Via Caetani, rivela all'Ansa e al sito vuotoaperdere.org che la sua opera fu richiesta ben prima delle 11 del 9 di maggio 1978 e che arrivò davanti alla R4 amaranto in via Caetani poco dopo quell'ora. In un suo recente libro («La bomba umana») Raso aveva lasciato indeterminata la questione degli orari che ora chiarisce dopo 35 anni. La questione è rilevante perché la telefonata delle Br (Morucci e Faranda) che avvertiva dell'uomo chiuso nel bagagliaio della macchina è delle 12.13. Non solo: Francesco Cossiga e un certo numero di alti funzionari assistettero, ben prima delle famose riprese di Gbr che sono state girate a cavallo delle 14, alla prima identificazione del corpo fatta proprio da Raso. Cossiga si recò quindi due volte in via Caetani. La R4 fu ripetutamente aperta dai due sportelli laterali come testimoniano le foto a corredo di questa inchiesta.

«SEMBRAVA CHE COSSIGA SAPESSE GIA'» - «Quando dissi a Cossiga, tremando, che in quella macchina c'era il cadavere di Aldo Moro, Cossiga e i suoi non mi apparvero né depressi, né sorpresi come se sapessero o fossero già a conoscenza di tutto», dice Raso. «Ricordo bene che il sangue sulle ferite di Moro era fresco. Più fresco di quello che vidi sui corpi in Via Fani, dove giunsi mezz'ora dopo la sparatoria».

MAI INTERROGATO - Raso fornisce la prova che le cose il 9 di maggio non andarono come finora si è raccontato: «Sono ben consapevole. La telefonata delle Br delle 12.13 fu assolutamente inutile. Moro era in via Caetani da almeno due ore quando questa arrivò. Chi doveva sapere, sapeva. Ne parlo oggi per la prima volta, dopo averne accennato nel libro, perché spero sempre che le mie parole possano servire a fare un po' di luce su una vicenda che per me rappresenta ancora un forte choc. Con la quale ancora non so convivere». Raso non è mai stato interrogato.

http://www.corriere.it/cronache/13_giug ... 71d0.shtml



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MessaggioInviato: 02/07/2013, 11:36 
interessante film sul periodo precedente al rapimento Moro




sto leggendo l'ultimo libro di Imposimato , molto interessante anche se per ora sono solo alla prima parte .....


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MessaggioInviato: 08/07/2013, 12:52 
Aldo Moro, i servizi segreti, Gladio e la sovranità monetaria

Di Corrado Penna

http://www.altrainformazione.it/wp/2013 ... monetaria/

Quando ero piccolo e sentivo parlare del cosiddetto “affare Moro” mi ero fatto l’idea che Moro fosse il solito politicante intrallazzatore della Democrazia Cristiana, che ha avuto la sfortuna di essere oggetto della violenza di una frangia violenta di terroristi comunisti.

Adesso che sono grande invece ritengo che ciò sia esattamente quanto le élite dominanti ci hanno voluto fare credere.

Un po’ come Kennedy avevo visto solo una delle due facce, quella oscura (vedi l’articolo http://scienzamarcia.blogspot.it/2008/0 ... aggio.html).

Immagine

Il ripensamento è iniziato quando ho compreso che se hanno ucciso Moro è stato anche perché lo Stato lo ha abbandonato. Una volta assodato questo (e non ci vuole poi molto se si studiano i documenti o se si va indietro con la propria memoria) le cose si vedono sotto un altro aspetto.

Qui di seguito una rassegna di link che permette a chiunque di farsi rapidamente un’idea di quello che realmente è successo dopo avere letto che:

- leader politici spifferano il nome della via in cui viene tenuto sequestrato, ma la polizia non lo trova

- l’appartamento in cui viene tenuto nascosto si trova nello stesso palazzo di alcuni appartamenti dei servizi segreti

- i terroristi hanno una precisione di tiro spaventosa: uccidono tutti i membri della scorta senza fare un graffio ad Aldo Moro

- c’era un’organizzazione segreta (Gladio) dotata di un incredibile arsenale militare e con lo scopo di impedire ai comunisti di andare al governo (Aldo Moro preparava il terreno per un governo con il PCI)

- un leader della CIA ha ammesso di avere manovrato i terroristi affinché uccidessero Moro

- Moro ha curato il conio di monete e cartamoneta esenti dal signoraggio (come fece Kennedy poco prima di essere ucciso)


Buona lettura
http://ricerca.repubblica.it/repubblica ... onora.html
http://www.repubblica.it/politica/2010/ ... e-6182111/
http://www.ansa.it/opencms/export/site/ ... 56880.html
http://sulatestagiannilannes.blogspot.i ... -moro.html
http://www.frontediliberazionedaibanchi ... 27476.html
http://www.ilgiornale.it/news/interni/q ... 06392.html
http://www.corriere.it/cronache/08_marz ... c667.shtml
http://ricerca.repubblica.it/repubblica ... fermo.html


Link
http://scienzamarcia.blogspot.it/2013/0 ... -e-la.html



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MessaggioInviato: 08/07/2013, 13:16 
Facciamolo capire a tanti "Eroi" tra l'altro "ruffiani" che vi sono in questo Forum,i quali sono pronti ad andare in guerra per difendere l'attuale Sistema italiano lecca-zerbino,corrotto e alla merce' di Stati nostri padroni su tutto e che vogliono palesemente renderci schiavi nel vero senso della parola.[:(!]


Ultima modifica di bleffort il 08/07/2013, 13:18, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 24/03/2014, 01:08 
Cita:
Caso Moro, "le Br aiutate dai servizi" Il Pd invoca la Commissione d'inchiesta

Immagine

Roma - (Adnkronos) - Il vicepresidente dei deputati del Pd Zoggia: "Sconvolgenti le novità" sulle Brigate Rosse che sarebbero state 'tutelate' dai servizi per agire indisturbate durante il rapimento, così come rivelato in una lettera anonima scritta dall'uomo che era sul sellino posteriore dell'Honda di via Fani quando fu rapito il politico

Roma, 23 mar. (Adnkronos) - ''Anche se la politica non vuole occuparsi del caso Moro, i suoi misteri sono destinati a rivelarsi nel corso del tempo. Le novità di oggi sono sconvolgenti e mettono a tacere i detrattori della nuova Commissione d'inchiesta. Il merito va a quel giornalismo d'inchiesta che sa muoversi con cautela, indipendenza e determinazione''. Lo afferma Gero Grassi, vicepresidente dei deputati del Pd, riguardo alle ultime rivelazioni di un ispettore di Polizia in pensione, Enrico Rossi, su una lettera anonima scritta dall'uomo che era sul sellino posteriore dell'Honda in via Fani quando fu rapito Moro.

Nella missiva l'uomo sosteneva di essere alle dipendenze dell'ufficiale del Sismi che si trovava in via Fani all'ora del rapimento, e di avere avuto il compito di ''proteggere le Br da ogni disturbo''. ''Ora - avverte Grassi, promotore della proposta di legge che istituisce l'organismo parlamentare di cui si attende l'approvazione al Senato- non si potra' piu' dire che l'agguato di Mario Fani fu il frutto della geometrica potenza delle Brigate Rosse che furono in realtà quantomeno osservate e tutelate nei loro propositi. Era del resto scritto negli atti della Magistratura che l'evento di via Fani non era riconducibile solo alle Brigate Rosse. Lo hanno dichiarato piu' volte Alberto Franceschini e la vedova del maresciallo Oreste Leonardi: i nodi critici della mattina del 16 marzo sono tutti inseriti nel dossier 'Moro' pubblicato dal Gruppo Pd della Camera che evidentemente aveva visto giusto''.

''A questo punto -conclude- abbiamo la responsabilità di raccogliere questa ed altre recenti novità e tentare di ricostruire una nuova versione dei fatti per capire chi ha tramato per ottenere la morte di Moro''.

Della necessità di una commissione d'inchiesta parla anche il deputato del Pd Davide Zoggia: ''Quello che sta emergendo in queste ore, in merito al rapimento e all'uccisione di Moro e della sua scorta, dimostra l'assoluta necessità della costituzione di una Commissione d'inchiesta, come già deliberato dalla Camera. Ora si tratta di accelerare perché anche il Senato la approvi, cosicché si possa partire immediatamente per contribuire a fare chiarezza su uno dei casi che ha cambiato la storia del Paese''.

Stessa linea quella del senatore Andrea Marcucci (Pd), presidente della commissione Cultura a Palazzo Madama: ''Le rivelazioni di queste ore sulle presenze in via Fani durante il rapimento di Aldo Moro confermano la assoluta necessità di ricostituire una Commissione di inchiesta parlamentare. Dopo il via libera della Camera, il Pd chiederà una rapida approvazione anche in Senato. A distanza di 36 anni, forse è più facile arrivare alla verità oggi, in un contesto nazionale ed internazionale completamente cambiato''.


http://www.adnkronos.com/IGN/News/Polit ... 38197.html


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MessaggioInviato: 24/03/2014, 02:02 
Cita:
vimana131 ha scritto:

Cita:
Caso Moro, "le Br aiutate dai servizi" Il Pd invoca la Commissione d'inchiesta

''A questo punto -conclude- abbiamo la responsabilità di raccogliere questa ed altre recenti novità
e tentare di ricostruire una nuova versione dei fatti per capire chi ha tramato per ottenere la morte di Moro''.


Che strano paese è l'ItaGlia.......

Verità e giustizia, si attivano solo quando i RESPONSABILI
sono già passati a miglior vita.



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l'italia,purtroppo,e' il paese dei misteri,e mai risolti,e ritengo quanto mai difficile trovare ora una soluzione,cmq e' necessario riaprire le indagini,sperando........ [}:)]


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MessaggioInviato: 24/03/2014, 09:21 
Cita:
ubatuba ha scritto:

l'italia,purtroppo,e' il paese dei misteri,e mai risolti,e ritengo quanto mai difficile trovare ora una soluzione,cmq e' necessario riaprire le indagini,sperando........ [}:)]


Fosse solo l'Italia...

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MessaggioInviato: 24/03/2014, 11:32 
E non dimentichiamo la "seduta spiritica" di quel buffone di Prodi (che aveva un'Agenzia Nomisma di consulenza a Mosca che, come tutte le società straniere, non avrebbe potuto muovere un passo senza la stretta sorveglianza, e forse le buone relazioni, con il servizio segreto sovietico.[;)]
Ecco perché sapeva ...

http://www.ilgiornale.it/news/quell-ami ... -urss.html



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U.F.O. "Astronavi da altri Mondi?" - (Opinioni personali e avvenimenti accaduti nel passato): viewtopic.php?p=363955#p363955
Nient'altro che una CONSTATAZIONE di fatti e Cose che sembrano avvenire nei nostri cieli; IRRIPRODUCIBILI, per ora, dalla nostra attuale civiltà.
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MessaggioInviato: 24/03/2014, 12:44 
Cita:
Atlanticus81 ha scritto:

Cita:
ubatuba ha scritto:

l'italia,purtroppo,e' il paese dei misteri,e mai risolti,e ritengo quanto mai difficile trovare ora una soluzione,cmq e' necessario riaprire le indagini,sperando........ [}:)]


Fosse solo l'Italia...

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parlando del caso.................... [;)] [:I]


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MessaggioInviato: 24/03/2014, 13:13 
http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2014 ... gate.shtml



Sequestro Moro:

«Le Brigate rosse coperte dai servizi segreti italiani»




Roma - Due uomini dei servizi segreti sulla moto Honda, presente in via Fani il 16 marzo 1978 mentre le Brigate Rosse (da sole?) rapivano Aldo Moro e massacravano la sua scorta.

Da quella moto partirono colpi di mitraglietta contro un testimone e fu quella moto che bloccò il traffico. La confessione post mortem di qualcuno che sapeva e le rivelazioni di un poliziotto riaprono i dubbi su uno dei passaggi più oscuri della storia italiana. E infatti nel racconto di Enrico Rossi, ispettore di pubblica sicurezza in pensione, si parla anche di prove distrutte dopo una breve indagine della magistratura romana.

Rossi ha parlato con Paolo Cucchiarelli, un giornalista dell’agenzia Ansa. «Tutto è partito - ha spiegato - da una lettera anonima scritta dall’uomo che era sul sellino posteriore della Honda in via Fani. Diede riscontri per arrivare all’altro, quello che guidava la moto».

Rossi, che vive a Torino spiega con puntiglio e gentilezza sabauda che, secondo colui che inviò la lettera anonima - che si qualificava come uno dei due sulla moto - gli agenti avevano il compito di «proteggere le Br da disturbi di qualsiasi genere. Dipendevano dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi che era in via Fani la mattina del 16 marzo 1978».



LA LETTERA ANONIMA


Tutta l’inchiesta è nata da una lettera anonima inviata al quotidiano torinese La Stampa nell’ottobre 2009. Eccola: «Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi,il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente...».



LE INDAGINI


L’anonimo forniva elementi per rintracciare il guidatore della Honda: il nome di una donna e di un negozio di Torino. «Tanto io posso dire, sta a voi decidere se saperne di più». Il quotidiano all’epoca passò alla questura la lettera per i dovuti riscontri. A Rossi, che ha sempre lavorato nell’antiterrorismo, la lettera arriva sul tavolo nel febbraio 2011 in modo casuale. Non è protocollata e non sono stati fatti accertamenti, ma ci vuole poco a identificare il presunto guidatore della Honda di via Fani che secondo un testimone ritenuto molto credibile era a volto scoperto e aveva tratti del viso che ricordavano Eduardo De Filippo. «Non so bene perché ma questa inchiesta trova subito ostacoli. Chiedo di fare riscontri ma non sono accontentato. L’uomo su cui indago ha, regolarmente registrate, due pistole. Una è molto particolare: una Drulov cecoslovacca; pistola da specialisti a canna molto lunga, di precisione. Assomiglia ad una mitraglietta». «Per non lasciare cadere tutto nel solito nulla predispongo un controllo amministrativo nell’abitazione. L’uomo si è separato legalmente. Parlo con lui al telefono e mi indica dove è la prima pistola, una Beretta, ma nulla mi dice della seconda. Allora l’accertamento amministrativo diventa perquisizione e in cantina, in un armadio, ricordo, trovammo la pistola Drulov poggiata accanto o sopra una copia dell’edizione straordinaria cellofanata de La Repubblica del 16 marzo». Il titolo era: «Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse».



I DEPISTAGGI

«Nel frattempo - continua Rossi - erano arrivati i carabinieri non si sa bene chiamati da chi. Consegno le due pistole e gli oggetti sequestrati alla Digos di Cuneo. Chiedo subito di interrogare l’uomo che all’epoca vive in Toscana. Autorizzazione negata. Chiedo di periziare le due pistole. Negato. Ho qualche `incomprensione´ nel mio ufficio. La situazione si `congela´ e non si fa nessun altro passo, che io sappia». «Capisco che è meglio che me ne vada e nell’agosto del 2012 vado in pensione a 56 anni. Tempo dopo, una `voce amica´ di cui mi fido - dice l’ex poliziotto - m’informa che l’uomo su cui indagavo è morto dopo l’estate del 2012 e che le due armi sono state distrutte senza effettuare le perizie balistiche che avevo consigliato di fare.

Ho aspettato mesi. I fatti sono più importanti delle persone e per questo decido di raccontare l’inchiesta `incompiuta». Rossi ricorda, sequestrò una foto, che quell’uomo aveva un viso allungato, simile a quello di De Filippo: «Sì, gli assomigliava». Fin qui l’ex ispettore, che rimarca di parlare senza alcun risentimento personale ma solo perché «quella è stata un’occasione persa. E bisogna parlare per rispetto dei morti».



I RISCONTRI

Il signore su cui indagava Rossi è effettivamente morto - ha accertato l’ANSA - nel settembre del 2012 in Toscana. Le pistole sembrerebbero essere state effettivamente distrutte, ma il fascicolo che contiene tutta la storia dei due presunti passeggeri della Honda è stato trasferito da Torino a Roma dove è tuttora aperta un’inchiesta della magistratura sul caso Moro. Per una volta sono tutti d’accordo: magistrati e Br. La Honda blu presente in via Fani il 16 marzo del 1978 è un mistero. I capi brigatisti hanno sempre negato che a bordo ci fossero due loro uomini, ma da quella moto si spararono - sicuramente - gli unici colpi verso un `civile´ presente sulla scena del rapimento, l’ingegner Alessandro Marini, uno dei testimoni più citati dalla sentenza del primo processo Moro. Mario Moretti e Valerio Morucci sono stati sempre chiarissimi su quella moto blu di grossa cilindrata: «Non è certamente roba nostrà».

L’ingegner Marini si salvò solo perché cadde di lato quando una raffica partita da un piccolo mitra fu scaricata contro di lui `ad altezza d’uomo´ proprio da uno dei due che viaggiavano sulla moto. I proiettili frantumarono il parabrezza del suo motorino con il quale l’ingegnere cercava di `passare´ all’incrocio tra via Fani e via Stresa. Marini fu interrogato alle 10.15 del 16 marzo. Il conducente della moto - disse - era un giovane di 20-22 anni, molto magro, con il viso lungo e le guance scavate, che a Marini ricordò «l’immagine dell’attore Edoardo De Filippo». Dietro, sulla moto blu, un uomo con il passamontagna scuro che esplose colpi di mitra nella direzione dell’ingegnere perdendo poi il caricatore che cadde dal piccolo mitra durante la fuga. La sera a casa Marini arrivò la prima telefonata di minacce: `Devi stare zitto´. Per giorni le intimidazioni continuarono. Si rafforzarono quando tornò a testimoniare ad aprile e giugno. Poi l’ingegnere capì l’aria, si trasferì in Svizzera per tre anni e cambiò lavoro. Il caricatore cadde certamente dalla moto e Marini, dicono le carte, lo fece ritrovare ma questo non sembra essere stato messo a raffronto con i tre mitra (ritrovati in covi Br) che spararono in via Fani (ce ne è anche un quarto, mai ritrovato).

LE IPOTESI

Di certo da quella moto si sparò per uccidere Marini, tanto che i brigatisti sono stati condannati in via definitiva anche per il tentato omicidio dell’ingegnere. Marini d’altra parte confermò più volte durante i processi il suo racconto e consegnò il parabrezza trapassato dai proiettili. A terra in via Fani rimasero quindi anche i proiettili sparati dal piccolo mitra ma le perizie sembrano tacere su questo particolare. Sarebbe questa l’ottava arma usata in via Fani: 4 mitra, 2 pistole, oltre alla pistola dell’agente Zizzi, che scortava Moro, e quella in mano all’uomo della Honda: il piccolo mitra.

Su chi fossero i due sulla Honda tante ipotesi finora: due autonomi romani in `cerca di gloria´ (ma perché allora sparare per uccidere?); due uomini della `ndrangheta (ma non si è andati oltre l’ipotesi); o, come ha ventilato anche il pm romano Antonio Marini che ha indagato a lungo sulla vicenda, uomini dei servizi segreti o della malavita. I Br negano ma, ha detto il magistrato, «una spiegazione deve pur esserci. Io vedo un solo motivo: che si tratti di un argomento inconfessabile». Uomini della malavita o dei servizi? «Allora tutto si spiegherebbe».


Certo che quella mattina a pochi passi da via Fani c’era, per sua stessa ammissione, Camillo Guglielmi, indicato alternativamente come addestratore di Gladio o uomo dei servizi segreti, invitato a pranzo alle 9.15 di mattina da un suo collega. E Guglielmi è proprio l’uomo dei servizi chiamato in causa nella lettera anonima che ha dato il via a Torino agli accertamenti sui due uomini a bordo Honda, poi trasferiti a Roma. A Guglielmi si è addebitata anche la guida di un gruppo clandestino del Sismi incaricato di `gestire´ il rapimento Moro secondo un’inchiesta che è anche nell’archivio della Commissione stragi, in Parlamento




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La figlia di Aldo Moro ritiene attendibili queste notizie .

Annoto che il tutto era stato ipotizzato anche dal magnjfico film :

PIAZZA DELLE CINQUE LUNE

http://it.wikipedia.org/wiki/Piazza_delle_Cinque_Lune



CONSIGLIO TUTTI DI VEDERLO PIU' VOLTE.



zio ot [8]


Ultima modifica di barionu il 24/03/2014, 13:23, modificato 1 volta in totale.


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Cita:
Aldo Moro, parla l'americano che aiutò Cossiga dopo via Fani: "Non dovevamo salvarlo, ma stabilizzare l'Italia"

Immagine

"L'ordine non era di far rilasciare l'ostaggio, ma di aiutarli nelle trattative relative ad Aldo Moro e stabilizzare l'Italia". È solo uno dei passaggi della testimonianza di Steve Pieczenik, lo psichiatra americano che nella primavera del 1978, durante il sequestro del leader democristiano, fu inviato in Italia per assistere il ministro dell'Interno Francesco Cossiga. A 36 di distanza, Pieczenik, il protagonista "amerikano" del caso Moro, è stato sentito per la prima volta da un inquirente italiano, il pm Luca Palamara, che è andato ad ascoltarlo in Florida. Il Corriere della Sera oggi in edicola ricostruisce la sua testimonianza.

All’epoca - scrive il Corsera - Pieczenik veniva considerato un esperto di sequestri: "Ero appena riuscito a negoziare il rilascio di circa 500 ostaggi americani a Washington in tre diversi palazzi utilizzando tre ambasciatori arabi... Cossiga è venuto a sapere di me e ha chiesto al segretario di Stato Cyrus Vance di chiedermi se potevo andare ad aiutarli nel rapimento di Aldo Moro".

Di seguito un estratto della testimonianza riportata dal Corriere:

Allo psichiatra statunitense sbarcato a Roma una decina di giorni dopo la strage di via Fani in cui le Brigate rosse avevano sterminato la scorta del presidente della Dc e portato via il prigioniero, erano state date consegne precise per la sua collaborazione col governo italiano: "L’ordine non era di far rilasciare l’ostaggio, ma di aiutarli nelle trattative relative ad Aldo Moro e stabilizzare l’Italia". Poi aggiunge: "In una situazione in cui il Paese è totalmente destabilizzato e si sta frantumando, quando ci sono attentati, procuratori e giudici uccisi, non ci possono essere trattative con organizzazioni terroristiche... Se cedi l’intero sistema cadrà a pezzi". Aveva paura anche per se stesso, il consigliere americano: "Ero terrorizzato, non avevo nessuna protezione, mi hanno messo in una abitazione sicura con due carabinieri senza pistola e senza munizioni, e sono andato via... Cossiga mi ha dato una pistola Beretta 7.4 mm e qualcuno che venisse con me per allenarmi a sparare, non ero vestito in modo formale ma con i jeans, in incognito... Mi ero trasferito all’hotel Excelsior. Ho trascorso tutte le notti con una pistola tra le gambe, pronto a sparare a chiunque".

E ancora:

Il pm Palamara gli chiede che cosa ha fatto in concreto, e il testimone risponde: "Dovevo valutare che cosa era disponibile in termini di sicurezza, intelligence, capacità di attività di polizia, e la risposta è stata: niente. Ho chiesto a Cossiga cosa sapeva delle trattative con gli ostaggi e lui non sapeva niente; in terzo luogo dovevo assicurarmi che tutti gli elementi che negoziavamo dovevano diminuire la paura e la destabilizzazione dell’Italia; quarto: dovevamo valutare la capacità delle Br nelle trattive e sviluppare una strategia di non-negoziazione, non-concessioni". Nella sostanza, Pieczenik voleva "costringere le Br a limitare le richieste in modo che avessero una sola cosa possibile da fare, rilasciare Moro".

Secondo lo psichiatra oggi settantenne a permettere la morte di Moro fu "l'incompetenza dell'intero sistema" italiano. "Nessuno era in grado di fare niente - spiega - né i politici, né i pubblici ministeri, né l'antiterrorismo. Tutte le istituzioni erano insufficienti e assenti". Pieczenik se ne tornò negli States prima del tragico epilogo. "Ho fatto il mio lavoro e sono tornato a casa, ero felice di aiutare l’Italia... Poi sono stato impegnato nella caduta dell’Unione Sovietica... L’America e io abbiamo abbattuto l’Urss, portato la libertà in Cambogia, abbattuto il partito comunista cinese e integrato l’Unione Europea, ma l’Italia non è cambiata, ha un tasso di crescita negativo, una disoccupazione elevata... Penso che abbiate oggi un problema più grave di quello che avete avuto nel rapimento di Aldo Moro".


http://www.huffingtonpost.it/2014/07/17 ... _ref=italy


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MessaggioInviato: 10/03/2015, 20:25 
USA, ALDO MORO E SERVIZI SEGRETI: "ABBIAMO UCCISO NOI ALDO MORO"

http://www.informarexresistere.fr/2015/ ... aldo-moro/

«La decisione di far uccidere Moro non venne presa alla leggera. Ne discutemmo a lungo, perché a nessuno piace sacrificare delle vite. Ma Cossiga mantenne ferma la rotta e così arrivammo a una soluzione molto difficile, soprattutto per lui. Con la sua morte impedimmo a Berlinguer di arrivare al potere e di evitare così la destabilizzazione dell’Italia e dell’Europa».
Così parlò nel 2006 Steve Pieczenik, il consigliere di Stato USA, chiamato al fianco di Francesco Cossiga per risolvere la condizione di crisi, in un’intervista pubblicata in Francia dal giornalista Emmanuel Amara, nel libro Nous avons tué Aldo Moro. Ancora prima il 16 marzo del 2001 in una precedente dichiarazione rilasciata a Italy Daily, lo stesso Pieczenik disse che il suo compito per conto del governo di Washington era stato quello
«di stabilizzare l’Italia in modo che la Dc non cedesse. La paura degli americani era che un cedimento della Dc avrebbe portato consenso al Pci, già vicino a ottenere la maggioranza. In situazioni normali, nonostante le tante crisi di governo, l’Italia era sempre stata saldamente in mano alla Dc. Ma adesso, con Moro che dava segni di cedimento, la situazione era a rischio. Venne pertanto presa la decisione di non trattare. Politicamente non c’era altra scelta. Questo però significa che Moro sarebbe stato giustiziato. Il fatto è che lui non era indispensabile ai fini della stabilità dell’Italia».
Queste dichiarazioni di un esponente ufficiale del governo United States of America (assistente del segretario di Stato sotto Kissinger, Vance, Schultz, Baker) di dominio pubblico da tempo, anzi il 9 marzo 2008 sono peraltro state riportate dal quotidiano La Stampa (“Ho manipolato le br per far uccidere Moro”). E non sono mai state smentite da Cossiga e Andreotti. Ma allora, come mai la magistratura italiana, ovvero la procura della Repubblica di Roma, non convoca Steve Pieczenik in Italia e lo torchia legalmente a dovere? Proprio Pieczenik nei primi anni Settanta fu chiamato da Henry Kissinger a lavorare da consulente presso il ministero degli Esteri con l’approvazione di Nixon. Kissinger aveva minacciato di morte Aldo Moro. Kissinger ai giorni nostri è stato ricevuto come se niente fosse da Giorgio Napolitano, quello eletto da onorevoli illegittimi, che ha piazzato ben tre governi abusivi, ossia Monti, Letta, Renzi (sentenza della Corte costituzionale numero 1 del gennaio 2014) che il popolo “sovrano” non ha votato.
L’ex vicepresidente del CSM ed ex vicesegretario della Democrazia Cristiana Giovanni Galloni il 5 luglio 2005, in un’intervista nella trasmissione NEXT di Rainews24, disse che poche settimane prima del rapimento, Moro gli confidò, discutendo della difficoltà di trovare i covi delle BR, di essere a conoscenza del fatto che sia i servizi americani che quelli israeliani avevano degli infiltrati nelle BR, ma che gli italiani non erano tenuti al corrente di queste attività che sarebbero potute essere d’aiuto nell’individuare i covi dei brigatisti. Galloni sostenne anche che vi furono parecchie difficoltà a mettersi in contatto con i servizi statunitensi durante i giorni del rapimento, ma che alcune informazioni potevano tuttavia essere arrivate dagli USA:

«Pecorelli scrisse che il 15 marzo 1978 sarebbe accaduto un fatto molto grave in Italia e si scoprì dopo che Moro doveva essere rapito il giorno prima (…) l’assassinio di Pecorelli potrebbe essere stato determinato dalle cose che il giornalista era in grado di rivelare».
Lo stesso Galloni aveva già effettuato dichiarazioni simili durante un’audizione alla Commissione Stragi il 22 luglio 1998, in cui affermò anche che durante un suo viaggio negli USA del 1976 gli era stato fatto presente che, per motivi strategici (il timore di perdere le basi militari su suolo italiano, che erano la prima linea di difesa in caso di invasione dell’Europa da parte sovietica) gli Stati Uniti erano contrari ad un governo aperto ai comunisti come quello a cui puntava Moro:
«Quindi, l’entrata dei comunisti in Italia nel Governo o nella maggioranza era una questione strategica, di vita o di morte, “life or death” come dissero, per gli Stati Uniti d’America, perché se fossero arrivati i comunisti al Governo in Italia sicuramente loro sarebbero stati cacciati da quelle basi e questo non lo potevano permettere a nessun costo. Qui si verificavano le divisioni tra colombe e falchi. I falchi affermavano in modo minaccioso che questo non lo avrebbero mai permesso, costi quel che costi, per cui vedevo dietro questa affermazione colpi di Stato, insurrezioni e cose del genere».
La prigione di Aldo Moro, nel cuore di Roma, ovvero nel quartiere ebraico, ad un soffio da via Caetani dove il 9 maggio 1978 fu ritrovato il corpo senza vita dello statista, era ben nota al governo di allora (Cossiga e Andreotti). Il 16 marzo 1978 la strage di via Fani fu compiuta da uomini dei servizi segreti italiani. Era presente in loco il colonnello Camillo Guglielmi, ufficiale del Sismi, il servizio segreto militare, addetto all’Ufficio “R” per il controllo e la sicurezza. Quei cosiddetti brigatisti rossi non sapevano neanche tenere in mano un’arma giocattolo, figuriamoci sparare con armi vere e assassinare due carabinieri e tre poliziotti. Mai come allora gli apparati di cosiddetta sicurezza italiana unitamente alle forze dell’ordine, mostrarono una così grande inettitudine voluta. I brigatisti grazie a una trattativa segreta con lo Stato tricolore sono oggi tutti liberi. Come se la spassano adesso Valerio Morucci (vari ergastoli), Mario Moretti (condannato a 6 ergastoli) e Barbara Balzerani? A proposito: le carte sulla vicenda Moro, in barba alla legge vigente, sono ancora sottoposte all’impermeabile segreto di Stato, nonostante i proclami propagandistici di Renzi. Anche per questo siamo una colonia a stelle e strisce, un’Italietta delle banane eterodiretta dall’estero, a sovranità inesistente.
Tratto da: www.pressnewsweb.it



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

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 Oggetto del messaggio: Re: Aldo Moro, quando la verità uccide.
MessaggioInviato: 23/03/2015, 06:11 
Da articolo L43
Alessio Casimirri, il mistero dell'ex Br latitante da 30 anni
Il sequestro Moro nel 1978. Poi Francia, Cuba, Panama e Nicaragua. Dove risiede. Ora il governo vuole riportare in Italia Casimirri. L'uomo dei segreti di via Fani.
di Fabrizio Colarieti | 22 Marzo 2015

Immagine

Il governo intende porre fine alla trentennale latitanza di Alessio Casimirri, uno dei nove brigatisti che il 16 marzo 1978 partecipò al sequestro di Aldo Moro e alla mattanza di via Fani.
La notizia è arrivata proprio mentre il capo dello Stato stava deponendo una corona nel giorno del ricordo della strage in cui persero la vita gli agenti della scorta di Aldo Moro.
Casimirri, nome di battaglia “Camillo”, insieme con Alvaro Lojacono è considerato l’ultimo “irriducibile” da catturare.
Nel 1980 si è dissociato dalle Br, due anni dopo ha lasciato l’Italia prima verso la Francia, poi Cuba, Panama e infine il Nicaragua dove ha continuato per qualche anno la lotta armata unendosi al Fronte Sandinista di liberazione nazionale.
CONDANNA ALL'ERGASTOLO. Nel 1985 è arrivata la condanna all’ergastolo per i fatti di via Fani, per lui, per la sua ex moglie, Rita Algranati, e per lo stesso Lojacono.
Da allora Casimirri - che oggi ha 64 anni e non ha mai scontato un giorno di prigione - è considerato dalla giustizia italiana un latitante ricercato in ambito internazionale.
In Centro America Camillo si è costruito una nuova vita e si fa chiamare Guido Di Giambattista.
Nel 1998 ha sposato una cittadina nicaraguense, Raquel Garcia Jarquin, da cui ha avuto due figli.
GESTISCE DUE RISTORANTI. Assieme ad alcuni italiani ha aperto il ristorante “Magica Roma” e ne gestisce un altro, a due passi dal mare, a Managua, “La cueva del Buzo” (il covo del sub).
Casimirri, dunque, è cittadino nicaraguense, gode di ottimi rapporti con i politici locali e in particolare con i vertici militari e della polizia.
Rapporti che finora lo hanno tenuto ben protetto dalla possibile esecuzione degli ordini di cattura promossi, a più riprese, dalla magistratura italiana.
«PUÒ DIRCI ANCORA TANTO». Beppe Fioroni, il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, ha annunciato che il governo farà di tutto per far sì che «possa rientrare in Italia e pagare il debito con la giustizia, perché sa tanto e può dirci tanto del caso Moro».
Anche perché «abbiamo buoni rapporti con il Nicaragua, abbiamo contribuito ad abbattere il suo debito. Spero che si possa arrivare a sentire qual è la versione di Casimirri», ha aggiunto.
Il giallo della copertura si intreccia coi Servizi segreti
Casimirri potrebbe fornire alla magistratura nuovi elementi sul caso Moro, anche se gran parte dei misteri che aleggiano attorno al suo nome riguardano le coperture di cui lui stesso avrebbe goduto all’indomani della sua dissociazione.
Perché la storia di Casimirri non finisce in via Fani, ma si intreccia con il ruolo giocato dai Servizi segreti anche negli anni successivi.
Una materia scivolosa, ancora oggi tutta da chiarire, che, non a caso, è in cima alla lista dei nodi che la Commissione Moro vorrebbe sciogliere una volta per tutte.
MOTO HONDA AVVISTATA. Casimirri potrebbe dare un contributo anche nel filone investigativo, appena riaperto dalla procura generale di Roma, sul giallo della moto Honda avvistata in via Fani con due persone in sella, armate, che non avrebbero nulla a che fare con il commando delle Br, bensì, ancora, con i Servizi segreti.
A tirare in ballo Camillo su questo episodio è stato un altro Br, Raimondo Etro, il custode delle armi utilizzate in via Fani.
«SONO PASSATI DUE CRETINI». Nel 1994, nel corso di un interrogatorio, quest’ultimo dichiarò: «Ricordo anche di avere appreso da Casimirri che era successo qualcosa di imprevisto che potrebbe riguardare una moto e chi la guidava. Ricordo che mi disse “sono passati due cretini con la moto”, o forse, “sono passati quei due cretini con la moto”».
Ed è sempre lo stesso Etro, più di recente, in un’intervista rilasciata a Stefania Limiti nel libro Doppio livello (Chiarelettere), a ipotizzare che la storia della fuga di Casimirri non è per nulla chiara.
«LUI LIBERO, LA MOGLIE VENDUTA». «Non ho mai capito come Alessio Casimirri e Rita Algranati riuscirono a scappare in Nicaragua: erano insieme in Francia, Antonio Savasta stava collaborando e dovevamo cercare riparo. Per una settimana sparirono», afferma Etro, «e poi vengo a sapere che sono fuggiti in America Latina. E poi ancora: perché Casimirri è ancora libero e Rita Algranati, che lasciò il Nicaragua alla volta dell’Algeria, fu poi “venduta” e catturata durante il governo Berlusconi (...). Sarà forse perché il padre di Casimirri era molto amico del generale Santovito? Certamente non quadrano molte cose, la sua latitanza fa davvero pensare a quella assicurata a Delfo Zorzi».
L'ex magistrato Turone si imbatté in un muro di gomma
Perché Casimirri è ancora libero? Forse una possibile risposta è dietro il “muro di gomma” in cui si è imbattuto, qualche mese fa, l’ex magistrato Giuliano Turone, pm di lungo corso che indagò sul caso Sindona e sull’omicidio Ambrosoli.
DOCUMENTI TOP SECRET. Turone per motivi di studio ha chiesto all’Archivio storico del Senato di consultare alcuni documenti sul caso Moro, ma la sua richiesta - legittima anche alla luce del provvedimento con cui il governo Renzi aveva appena deciso di declassificare migliaia di documenti sulle stragi e sugli Anni di piombo - è stata respinta con la motivazione che «l’Agenzia informazioni e sicurezza interna ha stabilito la proroga della classifica fino al 2019», per 2 dei 5 documenti richiesti. E quelle due informative top secret riguarderebbero proprio Casimirri.
NEL 1993 PARLÒ CON GLI 007. L’ex Br potrebbe chiarire anche un altro aspetto, legato sempre alla sua decennale latitanza. Nel dicembre del 1993 circolò la notizia, che trovò conferme da fonti qualificate, che Casimirri aveva deciso di parlare di fronte a due agenti del Sisde (Mario Fabbri e Carlo Parolisi) in missione in Nicaragua.
Nel primo incontro con gli 007, Camillo indicò il nome del quarto carceriere di via Montalcini, il luogo dove fu tenuto prigioniero Moro, e fornì elementi per rintracciare la sua ex moglie, Rita Algranati, che assieme a Maurizio Falessi si nascondeva in Algeria dove, effettivamente, il Sisde li rintracciò e li arrestò nel 2004.
FUGA DI NOTIZIE E FLOP. Una missione molto discussa che costò quasi un miliardo e mezzo di vecchie lire e che in parte fallì a causa di una fuga di notizie, tutta interna ai Servizi, che suonava come un chiaro messaggio per Casimirri: non parlare e nessuno ti verrà più a cercare.



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 Oggetto del messaggio: Re: Aldo Moro, quando la verità uccide.
MessaggioInviato: 09/06/2015, 10:02 
Cip di attenzione .

Mauro, all' erta ; ho un incarico in arrivo .


zio ot [:299]



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