Cita:
Groningen, l’estrazione del gas è un terremoto continuo
Nella calma Olanda l’odissea dei cittadini, alle prese con una serie infinita di terremoti collegati all’estrazione di una immensa riserva di gas da parte di una joint venture tra Royal Dutch Shell e dalla statunitense ExxonMobil
“La mia famiglia ha vissuto in questa casa dal 1873. Con il passare degli anni l'abbiamo ingrandita e non abbiamo mai pensato di andarcene. Ma poi sono iniziati i terremoti...”. Liefke Bos è una donna molto determinata e combattiva, nonostante abbia ormai superato i settanta e sia reduce da un incidente che le limita di parecchio la mobilità. Con suo marito Jan ci mostra la sua fattoria alle porte del villaggio di Krewerd, profondo nord dell'Olanda a 35 chilometri dalla città universitaria di Groningen. Il vasto fienile è puntellato da vari sostegni di ferro, la cucina, il salone e le altre camere recano le pesanti cicatrici inferte dai movimenti tellurici che dalla fine degli anni Ottanta hanno iniziato a colpire la zona. Non per un dispetto della natura, ma per colpa dell'uomo. Nel sottosuolo c'è infatti una immensa riserva di gas, scoperta nel 1959, e alla lunga gli effetti dell'attività estrattiva che va avanti senza sosta dal 1963 si sono palesati proprio tramite una serie infinita di terremoti. Quanto sia stata importante questa risorsa per l'economia olandese lo dimostra il fatto che i proventi del gas – esportato in Belgio, Germania e Francia – negli anni Ottanta incidevano per il 15% sulle entrate statali. Si calcola che abbiano fin qui fruttato allo Stato 417 miliardi di euro. La Nederlandse Aardolie Maatschappij (NAM), la joint venture composta dal campione nazionale Royal Dutch Shell e dalla statunitense ExxonMobil che è impegnata a tirar fuori dalla terra quello che rimane pur sempre un combustibile fossile, ha incamerato oltre 30 miliardi di euro. Tuttora poco meno del 90 per cento delle famiglie olandesi impiega il gas di Groningen per uso domestico.
Di terremoti se ne sono registrati nel decennio passato, ma è stato il sisma di 3,6 gradi della scala Richter del 16 agosto del 2012 a cambiare tutto. Dal quel momento sono iniziate la paura e la conta dei danni, da aggiornare di continuo a causa dello stillicidio di scosse, tutte non molto profonde – tre chilometri – e per questa ragione percepite in maniera più netta. L'ultima, di 3,4 gradi della scala Richter, è datata lo scorso 22 maggio. L'area interessata va dai confini di Groningen fino alla costa del Mare del Nord ed è abitata da circa 170mila persone.
“Nel 2016 ci siamo dovuti trasferire ad Appingedam, perché la fattoria non era più sicura e poi bisognava aspettare che facessero la stima danni”, racconta Liefke. “Per il momento hanno compiuto qualche lavoro di contenimento all'esterno, ma dentro un bel niente. Sappiamo già che una parte della casa va abbattuta, però è un anno che non procedono e a noi tocca solo aspettare”.
Che la burocrazia costituisca una parte tutt'altro che trascurabile del problema ce lo conferma Nienke Busscher, coordinatrice del Kennisplatform Leefbaar en Kansrijk Groningen (un progetto di analisi e condivisione di informazioni). “Mentre si battono per rivendicare i loro diritti, in tanti temono di perdere la loro eredità culturale. Il tipico modello architettonico della regione potrebbe essere cancellato per sempre”, ci spiega.
Krewerd, il villaggio di Liefke e Jan, è un esempio molto calzante. Rischia di dover essere rifatto da capo, perché la maggior parte delle abitazioni è seriamente danneggiata. Non a caso i proprietari sfoggiano la bandiera olandese recante la scritta “Broken Krewerd”.
Katherine Stroebe, docente presso la facoltà di scienze sociali dell'Università di Groningen, che dal 2016 sta conducendo uno studio sugli impatti patiti dalla popolazione locale, ci dipinge un quadro a tinte fosche della vita di tanti abitanti della regione. “Molte persone soffrono di palpitazioni, mal di testa e insonnia. Chiaramente più danni si sono sofferti, più incertezza per il futuro si prova e più si sta male, con alcuni che vanno letteralmente in burn out, come un vero e proprio lavoro aggiuntivo. I bambini sono tra i più colpiti, perché in tanti hanno paura che si possa verificare una vera e propria catastrofe”. È facile immaginare che il mercato immobiliare è crollato. “Le persone qui sono molto attaccate alla loro terra, al tipo di vita che conducevano fino a pochi anni fa, per cui sono in pochi ad andare via, anche se visto l'alto livello di incertezza non sono rari i malumori e i litigi sul tema delle compensazioni”, aggiunge la professoressa Stroebe. “In generale c'è tantissima rabbia per come è stata affrontata la questione”.
“Le istituzioni locali hanno avuto pochissima voce in capitolo sul problema, abbiamo solo potuto fare molta pressione sul governo, ma senza grande successo”, si lamenta Eelco Eikenaar, fino a pochi mesi fa membro della giunta provinciale. “Lo Stato è intervenuto con forte ritardo, così in tanti hanno perso la speranza”. Vari indicatori economici, compreso il tasso di disoccupazione di un paio di punti più alto della media nazionale (3,3 per cento) sono lì a dimostrarlo. “Anche grazie alla presenza dell'università, Groningen è una città ricca, ma basta spostarsi pochi chilometri verso nord e ci si ritrova in una delle zone meno abbienti dell'Olanda, sebbene ironicamente le statistiche dell'UE dicano l'esatto inverso, perché mettono in conto anche i proventi del gas estratto lì!”
La mole di ricorsi e richieste di risarcimenti è enorme, i dati ufficiali parlano di 30mila ricorsi, oltre 22mila case danneggiate e un centinaio per cui è già stato necessario l'abbattimento (vedi sito con tutte le case abbattute). Per la verità negli ultimi mesi qualche passo in avanti è stato fatto. Nel 2018 il governo ha costituito la Tijdelijke Commissie Mijnbouwschade Groningen, l'ente indipendente che deve far fronte all'emergenza in atto in questa parte dei Paesi Bassi. Nei corridoi della Commissie, situata nei sobborghi di Groningen, si ammira anche una foto di una delle tante manifestazioni organizzate dalla popolazione locale. Una sorta di dichiarazione di intenti: noi (ben 300 unità di staff) siamo qui per aiutare.
“Ieri qui c'era il ministro delle attività economiche Eric Wiebes, che ha ribadito la volontà dell'esecutivo di velocizzare il più possibile le procedure”, ci dice Jouke Schaafsma, alto funzionario dell'ente, ammettendo che la gestione precedente era a dir poco deficitaria. Se fino al 2012 i problemi erano pochi e li affrontava direttamente il consorzio composto da Shell ed ExxonMobil, da quando è scoppiata la vera e propria crisi, dopo il terremoto dell'inizio gennaio di quell'anno, è stato necessario gestire una mole impressionante richieste di danni. Così nel 2015 è stata costituita una società di natura privata (con azionisti società del settore ingegneristico e assicurativo) che tuttavia ha fatto poco e male per risolvere il problema, scatenando solo ancor di più l'ira dei residenti. “Non era realmente indipendente, le decisioni le prendeva ancora il consorzio NAM”, specifica Schaafsma. La transizione dal privato al pubblico ha fatto perdere oltre un anno, creando un arretrato di 12.500 ricorsi. “Per far fronte alle istanze del passato abbiamo dovuto allungare i tempi per l'esame dei nuovi ricorsi, però al momento abbiamo chiuso 9mila casi e già erogato 33 milioni di euro”, chiosa Schaafsma.
Da Groningen servono solo una ventina di minuti di treno per arrivare a Loppersum, tra le località più colpite dall'attività sismica. Appena usciti dalla piccola stazione scorgiamo subito la prima delle case circondate da ponteggi o recinti perché danneggiate dalla lunga litania di terremoti verificatisi nel corso degli anni. Poco più in là c'è l'albergo che doveva chiudere per un anno ma per ora è rimasto aperto, in attesa si dipani il guazzabuglio amministrativo. Nonostante le “ferite”, Loppersum rimane un vero e proprio idillio agreste, punteggiato da case in mattoncini rosso scuro di massimo due piani con i tetti ricoperti da tegole nere o grigie.
Ma basta girare un po' per la campagna per imbattersi nell'ottantina di punti d'estrazione del gas, un complesso intrico di condotte, tubature e valvole che deturpano il paesaggio di campagna. Lo Stato, oltre ad ammettere che i terremoti sono causati dall'attività estrattiva, ha deciso di mettere un limite alle attività di Shell ed ExxonMobil. “A marzo del 2018 le autorità hanno deciso di fissare uno stop definitivo per il 2030. Io non escludo ci possano essere dei ritardi perché prima bisogna sostituire le esistenti infrastrutture per far passare il gas russo, che ha una percentuale più bassa di azoto rispetto a quello olandese”, ci illustra l'economista George De Kam, co-autore dello studio condotto dall'Università di Groningen “Gas Production and Earthquakes in Groningen”. Si stima che il gas lasciato nel sottosuolo sia il 20 per cento dei 2.740 miliardi di metri cubici (bcm) stimati alla fine degli anni cinquanta, per un valore che oscilla tra i 50 e i 120 miliardi di euro. Dopo ogni terremoto di forte intensità la soglia di bcm da estrarre viene abbassata, ora è 19, ma nel 2013 era ancora 59. Ora il ministro Wiebes ha ventilato la possibilità di portarla a 12. Questo “attacco” a una terra già di per sé delicata, perché di composizione in parte sabbiosa e argillosa, ha provocato un ulteriore abbassamento del livello del suolo in un'area già notoriamente al di sotto livello del mare. Sulla costa, nello specifico a Delfzijl, andiamo in una ventosa ma soleggiata domenica di metà giugno. Ci appare estremamente antropizzata, vista la presenza di numerose fabbriche (chimica e acciaio in primis). Per un lungo tratto c'è il cartello dei lavori in corso e una teoria di macchinari oggi a riposo. “Stanno rafforzando le barriere che devono evitare che il mare allaghi tutta l'area, anche perché con la minaccia dei terremoti non si può certo stare tranquilli”, chiarisce Bram Reinders, attivista che da queste parti abitava, ma ha dovuto vendere la sua casa per la metà della cifra pagata qualche anno prima.
In questo panorama che non richiama di certo alla memoria la “Veduta di Delft” di Jan Vermeer, spiccano anche numerose pale eoliche. Un ulteriore problema. L'opposizione alla prevista costruzione di altre wind farm sembra confermare come il processo di transizione energetica si stia sviluppando senza consultare la popolazione locale. Quasi tutti i nostri interlocutori ci parlano addirittura di minacce di morte nei confronti dei responsabili del progetto. Al di là di questi gesti estremi, la sensazione è che qui le persone siano stufe che tutto sia calato dall'alto. L'esperienza del gas, visto prima come una benedizione, ma successivamente vissuto come una tragica condanna, ha radicalmente cambiato l'atteggiamento nei confronti delle autorità.
Dopo l'ultima forte scossa di terremoto il primo ministro Mark Rutte ha chiesto ufficialmente scusa per quanto sta accadendo nella regione e il ministro Wiebes ha paventato l'idea di anticipare la scadenza del 2030 per lo stop all'estrazione, che però come visto comporta dei passaggi preliminari e non è certo auspicata dalla Shell, pronta a far valere i contratti in essere. Difficilmente la multinazionale anglo-olandese, profitti netti per 23,4 miliardi di dollari nel 2018 e una sorta di Stato nello Stato, mollerà la presa. È improbabile che se ne parli in termini negativi sui media, sebbene qualche articolo inizi a raccontare come sia pesantemente coinvolta nella vicenda OPL 245 (la licenza petrolifera nigeriana per cui è a processo per corruzione a Milano insieme all'Eni) e sia accusata di eludere la pressione fiscale in Olanda. Nonostante questo parziale silenzio, la società civile è sempre più battagliera. L'organizzazione Code Rood ha lanciato una campagna del titolo molto esplicativo “Shell must fall, Shell deve cadere”, ma è tutto il fronte ambientalista che chiede conto all'azienda degli impatti delle sue attività in Olanda e nel resto del mondo. Ormai le assemblee degli azionisti di Shell, la più grande multinazionale europea per capitalizzazione, sono sempre più movimentate e chissà che prima o poi, con la montante urgenza della crisi climatica, qualche risultato concreto si possa cominciare a vedere.
https://www.lastampa.it/tuttogreen/2019 ... 1.37390999