Il cacciabombardiere delle polemiche
Pronto a volare il primo F35 italiano: darà lavoro a 6.300 persone

Il momento è arrivato. A metà marzo il primo F 35 italiano sarà terminato e pronto per il Roll out. Uscirà dall'hangar dalla fabbrica di Cameri e si avvierà all’ultimissima fase di lavoro, che consentirà al caccia bombardiere di 5° generazione prodotto da Lockheed Martin e Alenia Aermacchi (gruppo Finmeccanica) di volare. Già quest'estate. E poi volare con un pilota della nostra Aeronautica a fine anno, quando sarà trasferito negli Usa per l’addestramento. La medesima settimana di marzo sempre dalla Faco (Final Assembly and Check Out) di Cameri verrà spedita in direzione Usa la prima ala completa di struttura, equipaggiamenti, tubazioni e cavi (in pratica, quasi mezzo velivolo) totalmente costruita da Alenia e dalla filiera produttiva italiana.

In pratica in pochi giorni si concentreranno due pilastri basilari del Jsf, Joint Strike Fighter. Un doppio evento che segna il giro di boa del maxi programma a cui l’Italia ha aderito nel 2002 e che si concretizzerà con 60 F35 versione base e altri 30 a decollo verticale.
Tutti destinati ad andare a sostituire 253 vecchi Tornado, gli Amx dell’Aeronautica e gli Harrier ancora in uso alla Marina. Dell’F 35 i media italiani si sono generalmente occupati dei costi che a regime - tra il 2018 e il 2020- si aggireranno intorno agli 80 milioni di dollari. In linea con i velivoli di quarta generazione. Mediamente un risparmio del 30% sui costi attuali che consentirà in parallelo di tagliare sugli attuali programmi delle difese dei Paesi partecipanti al Jsf, il cui costo totale stimato è di 396 miliardi per oltre 3.000 aerei per gli Stati Uniti e gli alleati chiave. Meno si sono occupati dei ritorni industriali che nell’arco dei cinque lustri del programma dovrebbero arrivare a circa 15 miliardi di dollari, per le fasi di sviluppo e produzione.

I RITORNI
A oggi le industrie del nostro Paese hanno ricevuto contratti per 1,7 miliardi, in linea con le previsioni e peraltro in rapido aumento (erano 1,3 miliardi un anno fa). Circa ventisette contratti sono stati firmati direttamente dal colosso americano Lockheed Martin. Mentre all'incirca una settantina sono legati a fornitori o subfornitori di Piazza Montegrappa o direttamente da Pratt & Whitney per i motori. Uno studio di PricewaterhouseCoopers, aggiornato a settembre, calcola che a fine vita gli F 35 avranno prodotto 6.300 posti di lavoro, inclusa la fase di logistica, e che ogni dollaro investito a Cameri genererà attività economiche per circa otto. A ciò vanno aggiunti due aspetti: uno più tangibile l’altro meno.
Come ha ricordato il ministro della Difesa, Roberta Pinotti a dicembre, il «polo per la manutenzione, la riparazione e l’aggiornamento degli F35 in Europa», sia di quelli acquistati dai Paesi europei che quelli americani di stanza in Europa sarà a Cameri. Non a caso nel «garage» vicino a Novara è stata costruita una linea di montaggio come a Fort Worth che impiega tecnologie di ultima generazione. C’è anche, solo per citare un esempio, la capacità tecnica per applicare e ripristinare la bassa osservabilità (stealth) e quella per misurarla in un’apposita camera anecoica (un capannone di 24 metri di altezza, ndr). Non solo. Alcuni fornitori hanno imparato a utilizzare le tecniche di assemblaggio legate al sistema Emas (Electronic Mate and Alignment System) che utilizza il laser. Così, lo stabilimento di Cameri, che oggi conta 760 dipendenti, a regime ne avrà 1500 e una volta terminata la produzione manterrà centinaia di persone attive nella manutenzione, in gergo tecnico Mrou (manutenzione, ndr).
IL GARAGE
E l’Italia potrà continuare a generare ricavi dal programma Jsf. C'è poi anche il secondo aspetto non tangibile. O meglio difficilmente calcolabile. Che si chiama know how. Tecnici ed esperti, che lavorano sul velivolo e sulle ali all'interno della Faco, saranno esposti a questo tipo di tecnologie e le potranno far proprie: tutto ciò crea condizioni per trasferimento di tecnologia e per acquisizione di nuove conoscenze ingegneristiche. Senza dimenticare la partecipazione delle Pmi. Solo una parte delle aziende è del gruppo Finmeccanica, venti sono di media grandezza (tra cui Vitrociset, Aerea, Piaggio) e una quarantina sono piccole. In quest’ultimo gruppo spiccano Oma Foligno che assieme alla società campana Omi lavorano come subfornitori di Alenia per la componentistica in titanio, tecnologia di nicchia dall’impiego duale o, in gergo tecnico, «multifunzione». Mantenere fermo il numero dei velivoli significa garantire i ritorni. Quando il governo Monti tagliò gli F 35 da 131 a 90, il minor costo pubblico scese più o meno di 3 miliardi. Ovviamente la produzione delle ali affidata ad Alenia passò da circa mille a 800 con una perdita di fatturato complessivo che si è avvicinata ai 4 miliardi di euro. Non proprio un successo. Ma questo sembra essere un passato lontano. Soprattutto adesso che si vola.
http://www.liberoquotidiano.it/gallery/ ... o-F35.html