Le false “testimonianze” di Tacito e Giuseppe Flavio su Gesù.I parte: sintesi. Con questo studio intendiamo mettere a confronto le informazioni, ad oggi pervenuteci tramite
copie manoscritte non originali, di Cornelio Tacito e di Giuseppe Flavio - gli unici storici che citano “
Cristo”, identificandolo esplicitamente col “
Gesù” dei Vangeli - per verificare se, dagli scritti tramandatici, viene effettivamente comprovata l’esistenza del “Figlio di Dio” nel I secolo, oppure si tratta di altre menzogne apportate nei documenti da copisti falsari allo scopo di rendere più credibile la dottrina cristiano-gesuita.
Alla fine del I secolo, nelle sue opere, giunte sino a noi tramite manoscritti medievali, il sacerdote fariseo Giuseppe Flavio riferisce gli atti basilari delle quattro correnti religiose ebraiche esistenti in Giudea sino a quando rimase in vita: Farisea, Sadducea, Essena e Zelota.
Viceversa
lo storico ebreo non descrive i principi della religione chiamata “Cristianesimo” o “Messianismo”, tuttavia, nella sua narrazione, in due brani cita “Gesù Cristo” (Testimonium Flavianum) e “Giacomo fratello di Gesù Cristo”, pertanto, scopo della nostra indagine è approfondire il motivo di questa incoerenza.
Contraddizione che ritroviamo anche in Tacito quando, nella sua opera “
Historiae”, spiega i fondamenti della religione ebraica
in Giudea, senza accennare ad alcun “Cristianesimo” e, tanto meno, ai
criteri essenziali della nuova dottrina (pur avendo ricevuto l’incarico ufficiale di sorvegliare i culti stranieri); mentre nell’altro suo lavoro, “
Annales”, cita “Cristo” e “Pilato” quando narra il martirio dei cristiani a Roma, in conseguenza del famoso incendio,
ravvisando nella Giudea la terra d’origine del “Cristianesimo”.Come stiamo per verificare, entrambi gli storici avrebbero avuto forti motivazioni per indagare sui precetti e le finalità del movimento cristiano gesuita, se veramente fosse esistito nel
I secolo.
Anche Gaio Svetonio Tranquillo parla di “cristiani” nel
I secolo e di lui riferiamo più avanti perché la sua testimonianza, già da sola, comprova che “Cristo”, a se stante, non distingue il “Cristo” giudaico dell’Attesa messianica ... dal “Cristo Gesù” dell’Avvento.
Lo stesso dicasi per Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto Plinio il Giovane, che, all’inizio del II secolo, nella X epistola a Traiano, oltre a “Cristo” cita i “cristiani” ma, l’assenza del nome di quel Messia significa che per quei cristiani “Gesù” non era ancora venuto.
Nelle testimonianze storiche, la mancanza di “Gesù”, cioè “Salvatore”, è un particolare di importanza fondamentale; infatti gli Ebrei chiamavano “Salvatore”, inteso come attributo divino, i condottieri che riuscivano a liberare, come Giosuè, la “terra promessa” dagli invasori pagani…salvo poi disconoscerli quando venivano sconfitti. Le locuzioni “Cristo” e “Cristiani” sono generiche e si riferiscono a fedeli giudei, cioè Ebrei della diaspora, esuli, promotori di sommosse, vittime di repressioni o guerre giudaiche, sparsi nelle province dell’Impero in “
Attesa” del loro Messia.
Il significato indeterminato di “cristiani” sarà sfruttato
successivamente dalla Chiesa e fatto passare come “credenti cristiani gesuiti” per i quali “
l’Avvento” del Messia, cui verrà dato nome “Gesù”, si era già concretizzato entro l’anno 30-31 del I secolo. Qualunque dicitura come “Cristo” o “cristiani”, riportata dagli scrittori dell’epoca, secondo la Chiesa,
doveva riferirsi al loro unico Cristo: Gesù. La Chiesa ne ha sempre riconosciuto solo uno e “doveva” essere Lui: era la sua dottrina ed è logico che sia stato così. Non è logico, invece, che gli “storici” spiritualisti moderni avallino questa “fede” facendola passare per “storia”.
Detto in parole più semplici: “cristiano” era colui che aspettava Cristo, e “cristiano” era colui convinto che il Messia fosse già venuto. Ciò che li distingueva era il nome: “Gesù”, col quale i secondi battezzarono il Messia; mentre i primi non poterono battezzare nessuno perché, per loro, non era ancora giunto il vero Messia divino.
I “cristiani” di Plinio il Giovane erano “messianisti” ebrei
Esseni di Bitinia non ancora raggiunti dal mutamento gnostico iniziale del “Messia Salvatore”, avviatosi lontano, nell’alto Egitto, ove si erano rifugiati gli Esseni zeloti perseguitati da Vespasiano. In Bitinia, i “messianisti” non sapevano nulla del “Dio universale” che verrà inventato successivamente; erano sempre in “attesa” del “Messia davidico” giudaico, unica speranza ad essi rimasta da contrapporre all’enorme potere militare romano che aveva distrutto, quarant’anni prima, la Città Santa e il Tempio di Dio.
Praticavano la liturgia essena del pasto comunitaro, riportata nella loro regola assieme agli altri
principi che saranno mantenuti dai futuri cristiani gesuiti; ma, se quei fedeli fossero stati seguaci di “Gesù” … appartenenti alla nuovo cristianesimo riformato in un Messia che, come una Hostia sacrificale pagana, si propose per essere mangiato, corpo e sangue: cioè una fede diversa da quella ebraica …
per distinguersi ed evitare equivoci
lo avrebbero chiamato col nome completo “Gesù Cristo”, non soltanto “Cristo”,
consapevoli che il “Messia” era la divinità che interessava anche i Giudei, e da essi profetato, come dimostrano i rotoli del Mar Morto.
Essendo stato un suo compito specifico, per aver fatto parte di un
collegio sacerdotale designato a sorvegliare i culti stranieri, Tacito, nelle sue “Historiae“, dedica buona parte del Libro V per
descrivere la religione e le vicende del popolo giudaico, dal lontano passato
sino al 70 d.C..
Negli “Annales”, a seguito del devastante incendio di Roma, è scritto:
“coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il popolo chiamava Cristiani. Il nome derivava da Cristo, il quale, sotto l’imperatore Tiberio, tramite il procuratore Ponzio Pilato era stato sottoposto a supplizio; repressa per il momento, quella rovinosa superstizione dilagava di nuovo, non solo per la Giudea, luogo d’origine del male, ma anche per Roma” (Libro XV, 44).
Ma nelle sue “Historiae” Tacito non fa il minimo accenno a Gesù Cristo, al cristianesimo, al “Procuratore” Ponzio Pilato e agli “Apostoli”.E’ impossibile non rilevare che la grave lacuna nelle “Historiae” diventa una esplicita contraddizione degli “Annales”: Tacito avrebbe dovuto essere iper sensibilizzato al problema del nuovo “cristianesimo gesuita” proprio per la gravità di quanto accaduto a Roma, nel 64 d.C., ad epilogo del devastante incendio che vide - secondo lo scritto pervenutoci dei suoi Annali - come vittime sacrificali, crocefissi una
“ingente moltitudine” di cristiani accusati da Nerone di avere incendiato l’Urbe.
Come!…Nella terra di Cristo, la
Giudea, “luogo d’origine dove il male dilagava”, lo storico non sente il dovere di indagare sulle misure repressive, messe in atto da un “Procuratore” imperiale di Tiberio, tese a stroncare il
“grave flagello” e culminate con l’uccisione del capo di un “culto straniero”?. Racconta della Giudea, dei suoi abitanti, del loro
unico Credo ebraico, e non sente il dovere di approfondire quali furono le motivazioni religiose, lì originate, che trascinarono
“una ingente moltitudine” di cittadini cristiani nel più
drammatico martirio collettivo, da lui descritto negli “Annali”, spettacolare e
unico nella storia di Roma.
Niente! Nella sue Historiae non si parla di Gesù. Su ebraismo e Giudei: tredici capitoli; su cristianesimo, Gesù Cristo e Apostoli: neanche una parola ... No! Tacito non scrisse quel capitolo degli “Annali”! ...
Nel I secolo, dei tanti prodigi esibiti dal “Maestro” e dai “Dodici” non ne sentirono parlare: né Tacito, nelle sue “Historiae”; né gli Esseni nei loro rotoli manoscritti; né lo storico ebreo Giuseppe e …
nessun altro. Ma, soprattutto, non ne sentirono parlare, e tanto meno videro,
i Giudei, abitanti nel
“luogo d’origine dove il male dilagava ”… troppo impegnati a combattere i pagani, invasori della loro terra.
Essi continuarono a sperare che un condottiero, il vero Unto Divino, li guidasse alla vittoria …sino al 132 d.C., quando, sempre in “Attesa” del loro “Salvatore”, lo ravvisarono in Simon bar Kokhba: fu su di lui che riposero le ultime speranze di riscatto.
L’Avvento del “Salvatore”, identificato dai Giudei in
Simone bar Kosìba, chiamato col nome profetico messianico “Figlio della Stella”, dimostra che il messianismo gesuita, conseguente
all’Avvento di “Gesù” nella loro terra un secolo prima, è un’invenzione che viene spazzata via dalla Storia come carta straccia a conferma delle falsificazioni contenute nelle “Sacre Scritture”.
All’infuori della “vampata” di cristiani apparsa nel cap. 44 del XV libro degli Annali, nelle opere di Tacito, nulla risulta che si riferisca al cristianesimo di “Gesù”, ai suoi capi e i loro prodigi, alla sua ideologia ed ai decreti di Roma che, secondo i “Padri della Chiesa”, ordinarono la persecuzione dei suoi adepti.
No! Non fu Tacito lo scriba dello spettacolare martirio ardente!
Infatti, avendo accennato ai “Padri della Chiesa”, leggiamo la “testimonianza” di Tertulliano su Tacito:
Apologeticum XVI:
“ Stupida e falsa è l’accusa che i Cristiani adorino una testa d’asino. E invero, come ha scritto un tale, avete sognato che una testa d’asino è il nostro Dio. Codesto sospetto lo ha introdotto Cornelio Tacito. Costui, infatti, nel libro quinto delle sue Storie, prendendo a congetturare quello che ha voluto sul nome e la religione della gente, narra che i Giudei, liberati dall’Egitto o, com’egli credette, banditine, trovandosi nelle vaste località dell’Arabia, quanto mai prive d’acqua, tormentati dalla sete, su l’indizio di onagri che si recavano dopo il pasto a bere, poterono far uso di sorgenti; e per questo beneficio la figura di una simile bestia consacrarono. Così si presunse che anche noi Cristiani, come parenti della religione giudaica, alla adorazione della medesima immagine venissimo iniziati. Vero è che Cornelio Tacito, pur essendo quel gran chiacchierone di menzogne …” Tertulliano (160 - 220 d.C.), senza rendersene conto, dimostra che i Cristiani (gesuiti), erano equiparati ai Giudei dai Romani, e di questo incolpa lo storico Tacito … ma, nel 200 d.C., Tertulliano (che aveva letto Tacito), se avesse trovato scritto:
“…coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il popolo chiamava Cristiani. Il nome derivava da Cristo, il quale, sotto l’Imperatore Tiberio, tramite il Procuratore Ponzio Pilato, era stato sottoposto a supplizio…”come avrebbe potuto riportare le affermazioni di Apologeticum XVI, dal momento che lo storico latino,
in base a quanto gli fu messo nella penna dagli scribi falsari, sapeva perfettamente che i Cristiani erano seguaci di Gesù Cristo?
E’ evidente che
Tertulliano, quando scrisse l’Apologetico,
non poté leggere il cap. 44 del libro XV degli Annali perché l’episodio dello spettacolare martirio non era ancora stato inventato dai futuri, Venerabilissimi e Santi Padri, garanti della “Verità della Fede Cristiana Gesuita”; ad iniziare proprio da Tertulliano.
Il “Padre” accusa Tacito di essere “gran chiacchierone di menzogne” … ma, più avanti, saremo noi a dimostrare che il vero falsario fu proprio lui: sia quando si inventò il decreto del Senato che vietava il culto di Gesù Cristo, sia per aver fatto “testimoniare” a Tiberio l’Avvento di Gesù.
Ma non basta.
Se lo storico latino avesse compilato di suo pugno il brano su riportato nel cap. 44 non avrebbe mai scritto che Ponzio Pilato era un “Procuratore”, bensì un “
Prefetto”.
Il 6 d.C., esiliato da Augusto l’Etnarca Erode Archelao, sul suo ex territorio fu costituita la Provincia romana di Giudea, Samaria e Idumea,
annessa amministrativamente e giuridicamente alla Siria. Venne affidata a Coponio, un governatore di
rango equestre con il titolo di “Praefectus”, al comando di più coorti ausiliarie formate da uomini reclutati nelle province e due o più ali di cavalleria, col compito principale di garantire l’esazione dei tributi dovuti a Roma e, nel contempo, mantenere l’ordine pubblico.
L’annessione comportava una subordinazione giurisdizionale al Legato di Siria, sia militare che amministrativa, come sopra visto, attuata, prima, con l’intervento di “tassazione” effettuato da Quirino tramite il censimento e, dopo, con quello di “detassazione”, effettuato da Vitellio nel 36.
Col titolo di “Praefectus” i Governatori della Provincia si susseguirono in tale ufficio sino al
41 d.C., anno in cui Claudio decretò la riunificazione del grande regno di Palestina sotto Erode Agrippa I … e i territori assegnati comprendevano la Giudea (Ant. XIX, 351).
Era dall’epoca di Erode il Grande che la Palestina non veniva riconosciuta come
grande regno unificato e, in conseguenza di ciò,
Roma smise di inviare i Prefetti che, sino allora, avevano governato la Giudea da quando fu esiliato Archelao.
Claudio, proponendosi di rendere più efficiente il sistema burocratico amministrativo dell’aerarium, (guerre e legionari costavano) lo centralizzò accentuandone il controllo diretto e, alla morte di Erode Agrippa, nel
44 d.C., ricostituì nuovamente la Provincia su tutto l’ex Regno, pertanto molto più estesa, incluse Giudea, Samaria, Idumea, Galilea e Perea, poi
“mandò Cuspio Fado come Procuratore della Giudea e di tutto il regno” (Ant. XIX, 363) e da quel momento in poi, l’ufficio e di conseguenza il titolo dei Governatori romani, in quel territorio, divenne “
Procurator”, appunto per rimarcare la maggiore responsabilità e cura amministrativa autonoma dei beni per conto dell’Imperatore.
I nuovi Procuratori, come prima i Prefetti, disponevano di
“una schiera ( due ali) di cavalleria, composta da uomini di Cesarea e di Sebaste, e di cinque coorti” (Ant. XIX, 365)
“alcune ali della cavalleria” (Svet. Cla. 28), ma,
sotto il profilo giurisdizionale e militare, rimanevano subordinati al Governatore di Siria, luogotenente dell’Imperatore e comandante di almeno quattro legioni oltre ai corpi ausiliari.
Nel 1961, archeologi italiani, a Cesarea Marittima, in un anfiteatro di quella che fu la antica capitale romana della Provincia di Giudea, rinvennero una lapide (di cm.82 x 65) con scolpito nella pietra:
TIBERIEVM
PONTIVS PILATVS
PRAEFECTVS IVDAEAEInequivocabile!… Ma, allora, come è potuto succedere che Tacito - alto funzionario in carriera, dopo aver ricoperto importanti incarichi, compreso il consolato, sino a quello di Governatore d’Asia, e conosciuto, per esperienza diretta, i rapporti gerarchici connessi a tale responsabilità - nel libro XV degli Annali al cap. 44, abbia potuto scambiare un “Prefetto” per un “Procuratore”?.
Ci arriviamo subito.
Lo stesso errore, guarda caso,
lo commette san Luca nel suo Vangelo, di cui riproduciamo sotto i passi interessati (Lc. 3, 1), ripresi nel “Novum Testamentum” Graece et Latine, H. Kaine, Paris: Ed. F. Didot, anno 1861 e, nel “Novum Testamentum” Graece et Latine, A. Merk, Roma: Pont. Ist. Biblico, anno 1933:
http://www.vangeliestoria.eu/doc/procurante.pdfI traduttori latini del vangelo di Luca dal greco, sin dall’inizio (Vulgata di san Girolamo), riportarono la
unica “qualifica precisa” di Pilato come “
procuratore”, nonostante provenisse da due vocaboli greci di significato diverso.
Successivamente, quando il copista falsario decise di introdurre nella storia dell’incendio di Roma la notizia del “sacrificio” di Gesù, lo abbinò, ovviamente, al nome del suo “sacrificatore”, cioè Ponzio Pilato, che sapeva essere
“procuratore” dopo aver letto il passo del Vangelo tradotto in latino.
Era consapevole di manipolare lo scritto
in latino dell’importante storico e questa “precisazione storica” richiedeva un riscontro che trovò nello stesso Tacito (Ann. XII, 54 e 60) quando lo scrittore chiama (giustamente dal 44 d.C. in poi, ma
non prima del 41) “procuratori” di Galilea e Samaria, Ventidio Cumano e Antonio Felice.
Tutto doveva coincidere:
la storia che Tacito aveva fatto conoscere agli uomini e
la storia che Dio aveva fatto conoscere all’evangelista.
La storia doveva confermare la parola di Dio:
la Verità da Lui dettata all’Evangelista e riportata nel Vangelo.
Verificata la corrispondenza fra San Luca e Tacito, “l’Abate Priore”, senza rendersene conto, ordinò agli abatini amanuensi, di
riprendere la qualifica, specifica ma errata, del Vangelo di Luca trasferendola nella “testimonianza” di Tacito.
Scusate … scappa da ridere, ma accadde proprio così:
gli ingenui copisti falsari rimasero vittime della loro … “buona fede”.
Questo spiega perché, da quasi mezzo secolo, cioè, da quando fu scoperta la famosa lastra di pietra con scolpito il nome e la qualifica di Ponzio Pilato, gli storici “ispirati” hanno iniziato a convocare congressi, scrivere libri, verbali e relazioni solo su questi quattro vocaboli: Ponzio Pilato Prefetto di Giudea … mentre il popolo dei lavoratori, impegnato a sbarcare il lunario, non si capacitava del perché tanto interesse.
Però loro, gli “esegeti genuflessi”, avevano già compreso il significato di quella scritta e tratto le conclusioni:
la “dimostrazione” storica dell’esistenza di Gesù, testimoniata da Tacito nel cap. 44 libro XV degli Annali, era saltata …non solo, era diventata una prova che, una volta scoperto l’imbroglio, gli si ritorceva contro
dimostrando che il cap. 44 fu una interpolazione creata da scribi falsari cristiani per far risultare nella storia ciò che non era vero: a Roma, nel primo secolo, una
“ingente moltitudine di seguaci della setta di Gesù Cristo” era un
falso conclamato.
Una volta sconfessato dall’archeologia, l’attributo di “Procuratore”, riportato a suo tempo su milioni di Vangeli di Luca in tutto il mondo, diventava, di conseguenza, la conferma della falsificazione dello scritto di Tacito.
Allora gli ispirati storici baciapile corsero ai ripari studiando la strategia da seguire: prima di tutto, per evitare confronti diretti,
eliminare, nelle successive edizioni dei Vangeli in lingua moderna,
la qualifica di “procuratore”, sostituendola con il più generico
“governatore” e, per ovviare al passato, sminuire, sempre e il più possibile, la differenza tra “Procuratore” e “Prefetto”… fino al punto da non poterli più distinguere.
Sapevano e sanno che
i vocaboli originali scritti in greco nei vangeli non importano.
La testimonianza di Tacito venne trascritta in latino da scribi falsari che si susseguirono nei secoli e a loro risultava che Ponzio Pilato era “
Procuratore”
perché il Vangelo latino di Luca lo definì tale … e questo era quanto.
Agli storici mistici odierni interessa che i “beati poveri di spirito” continuino ad inginocchiarsi davanti a statue, simulacri e feticci per conservare il potere secolare della Chiesa; pertanto, poiché “Prefetto” e “Procuratore” sono troppo facili da comprendere, derivando l’italiano dal latino, hanno riempito di chiacchiere complicate e senza costrutto relazioni e libri, tirando in ballo il greco, che “ci entra come i cavoli a merenda”, per concludere che Tacito, indifferentemente, avrebbe potuto scrivere sia “praefectus” che “procurator” e, se scrisse “procurator”…fu un caso.
Finsero e fingono di ignorare che Tacito visse nel I secolo e conosceva per esperienza diretta i compiti di entrambi i funzionari, lo stesso vale per Giuseppe Flavio, inoltre, entrambi potevano consultare gli Archivi imperiali e gli Atti del Senato.
Non potevano sbagliare sulla investitura di un funzionario che operava in una Provincia imperiale.
Incarico preciso e definito, vigente nel I secolo; come stiamo per dimostrare.
Dalla traduzione delle copie manoscritte dal greco delle opere di Giuseppe Flavio, fatteci pervenire,
oggi leggiamo che Pilato era “Procuratore”, ma … quali copie manoscritte dell’ebreo lessero i primi traduttori in latino dal greco quando riportarono che, Coponio, Marco Ambivolo, Annio Rufo, Valerio Grato e Ponzio Pilato, dal 6 d.C. in poi,
furono tutti “Praefectus” o “Praefes”?.
Come esposto in: FLAVII IOSEPHII “ANTIQVITATVM IVDAICARVM” per Hier. Frobenium et Nic. Episcopium, Basileae, MDXLVIII (Lib. XVIII cap. I e seg.), anno 1548, e come risulta in altri testi tradotti dal greco, risalenti allo stesso secolo, che abbiamo copiato con fotocamera digitale.
Dagli stessi documenti risulta che,
successivamente, Cuspio Fado viene indicato come “
Procuratore”, distinguendo nettamente i due incarichi. Inoltre, P. Sulpicio Quirino, l’esecutore del censimento voluto da Cesare Augusto il 6 d.D., giustamente, anche lui viene indicato come “Procuratore”.
Questa è la prova che cinque secoli fa erano ancora in circolazione
copie di codici manoscritti di tale opera
non ancora “epurati” in questo particolare e, nel contempo,
è la dimostrazione che la documentazione, fattaci pervenire dal lontano passato,
fu “scelta” e “ufficializzata”, volutamente,
per riportare “l’errore” del “Procuratore” Ponzio Pilato,
in “Antichità Giudaiche” e in “La Guerra Giudaica”, allo scopo di “coprire” l’errore contenuto nel Vangelo di Luca, e quello, conseguente, del passo falsificato di Tacito.
Il sistema di stampa di Gutemberg stava diffondendo, oltre la Bibbia, le opere di Giuseppe Flavio e Tacito, ma, l’errore “dettato da Dio” all’evangelista Luca, dopo essere stato riportato negli “Annali” dello storico latino, costrinse i copisti amanuensi a correggere i manoscritti di Giuseppe Flavio, che ancora riportavano il vero titolo di “Prefetto” da Coponio a Pilato ... e far sparire quelli già copiati correttamente.
Accortisi che l’errore riportato nei Vangeli era lo stesso errore riportato negli “Annali” di Tacito, i falsari compresero che gli storici li avrebbero collegati e, scoperto l’inganno, denunciato la falsità del martirio di cristiani fatto da Nerone …
pertanto i “Prefetti” citati da Giuseppe Flavio, nelle sue opere, dovevano diventare tutti “Procurator”… come quello di Tacito.
E’ da molti secoli addietro che gli amanuensi decisero di “correggere” la storia per salvaguardare la “credibilità” degli
scritti sacri, poiché questi, con gli sbagli contenuti, erano ormai
enormemente diffusi e ricopiati dai religiosi che li diffondevano in tutto il mondo. Al contrario,
i manoscritti originali di Giuseppe Flavio, rarissimi ma richiesti ed accaparrati esclusivamente da loro,
furono riscritti e poi distrutti.
Errori e manomissioni coperti dagli esegeti genuflessi odierni, nonostante gli sia caduta una lapide in testa, schiacciandone … la logica.
Dalla documentazione trasmessaci dagli scrittori d’epoca si possono definire in modo preciso
le funzioni e le responsabilità amministrative, giuridiche e gerarchico-militari dei Luogotenenti, dei Procuratori e dei Prefetti che governarono nella Provincia imperiale di Siria.
Durante l’epoca del Principato, a partire dall’incarico di
“Procuratore di tutta la Siria”, conferito da Augusto ad Erode il Grande, la differenza fondamentale tra la funzione di “
Procuratore” e quella di “
Prefetto” consisteva nel fatto che,
il primo - oltre a governare, difendere e mantenere l’ordine pubblico nel territorio assegnatogli (compito sin qui analogo al Prefetto) - come “
curatore” aveva, in più, un “mandato” con il potere di censire, stimare, espropriare, accatastare e prendere decisioni prettamente amministrative, comprese quelle tributarie, finalizzate a migliorare le rendite dei territori assoggettati al dominio dell’Imperatore.
Sotto il profilo economico-militare, un territorio sottomesso all’Impero poteva essere governato, amministrato e “curato” da un Re indigeno (ovviamente insediato o ratificato dal Cesare), oppure da un “Governatore” che poteva essere un funzionario romano, incaricato dal Senato o dall’Imperatore, di rango equestre o di rango consolare o pretorio; oppure, a partire dal 53 d.C., con un editto di Claudio (Ann. XII, 60), addirittura un liberto fiduciario del Principe … da lui scelto a seconda della grandezza o importanza economica del territorio o singola città.
“Le sentenze emesse dai suoi Procuratori dovevano avere la stessa efficacia di quelle pronunciate da Claudio” (ibid.).
Con questo decreto Claudio confermò Antonio Felice, fratello del liberto Pallante, “Procuratore” della Giudea. Cosa non condivisa da Tacito che contro di lui così si espresse:
“Claudio affidò la provincia di Giudea a cavalieri romani o a liberti. Uno di questi, Antonio Felice, esercitò poteri regali con animo da servo, fra violenze e arbitrii di ogni tipo” (His. V, 9).
Questo particolare sta a significare che i Romani e gli storici dell’epoca seguivano con interesse il potere politico di chi amministrava quella Provincia.
Quando la costituzione del governo di un territorio, sottomesso all’Impero, da monarchica veniva modificata in quella egemonica imposta direttamente da Roma, il Cesare, attraverso un funzionario da lui delegato, era interessato a verificare o rivedere le stime delle rendite precedenti. Quanto più l’estensione o l’importanza economica del territorio si ingrandiva, tanto più le rendite dovevano aumentare.
Solo un “Legato di Augusto”, con mandato specifico, e un “Procuratore” potevano “curare” amministrativamente tali interessi, assumere iniziative ed emettere norme a tal fine. Al contrario, un cavaliere “Prefetto” aveva il dovere di applicare le normative e il potere di farle rispettare;
non di modificarle. Il compito di un Prefetto era preminentemente militare e nella Provincia imperiale di Giudea l’incarico era ricoperto da cittadini romani di rango equestre al comando di più coorti, ognuna delle quali agli ordini di un Tribuno.
Nell’ambito del territorio della Provincia assegnatagli, il “Praefectus” agiva come un Comandante di Brigata, inserito nella gerarchia militare e subordinato solo al Luogotenente dell’Imperatore, Capo di Stato Maggiore, ed allo stesso Principe.
Come abbiamo visto nei due passaggi sopra riportati,
Sabino (Ant. XVII, 221/223) fu il primo “pro curatore” romano che si prese “cura” del Regno alla morte di Erode il Grande … e, Cuspio Fado (Ant. XIX, 363) fu il primo “pro curatore” romano che si prese “cura” del Regno alla morte di Erode Agrippa il Grande.
Dopo la morte di Erode il Grande e dieci anni di guerre e rivoluzioni giudaiche, Cesare Augusto, esiliò Archelao e dette un incarico di eccellenza al suo Legato di Siria, comandante di più legioni, Publio Sulpicio Quirino, per effettuare il censimento della Siria (Erode ne fu Procuratore) e dei territori ad essa annessi, pertanto …
“Quirino visitò la Giudea, allora annessa alla Siria, per compiere una valutazione delle proprietà dei Giudei e liquidare le sostanze di Archelao…e nello stesso tempo ebbero luogo le registrazioni delle proprietà” (Ant. XVIII 1-2, 26); contemporaneamente l’Imperatore inviò
“Coponio, di ordine equestre, visitò la Giudea; fu inviato (da Cesare) con lui (assieme a Quirino) per governare sui Giudei con piena autorità” (ibid.).
Lo storico, descrivendo i compiti assegnati da Cesare Augusto, è chiaro:
al contrario di Quirino, Coponio non ebbe l’incarico di “curatore” dei beni imperiali, così come, dopo di lui, quelli che lo sostituirono si limitarono a difendere e conservare quei “beni” essendo cavalieri “Prefetti”.
Lucio Vitellio, nel 36 d.C., Legato di Siria su mandato di Tiberio, con pieni poteri su tutto l’Oriente, poté tassare i Cieti, detassare i Giudei e…destituire Pilato.
Gli scribi cristiani sostituirono “Prefetto” con “Procuratore”, come riferito nel Vangelo latino di Luca, senza capire che
gli storici del I secolo, in base al volere dei Cesari, attribuirono compiti diversi ai due funzionari imperiali.
Ponzio Pilato fu un Prefetto, non un Procuratore, perciò Tacito non fu lo scriba del martirio di
“Cristiani, il cui nome derivava da Cristo, il quale, sotto l’Imperatore Tiberio, fu condannato a supplizio tramite il Procuratore Ponzio Pilato…” …ma, ancora non basta…
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