Ettore Majorana, la scomparsa Epiloghi Epopeici
Premessa
Una cara amica, nel tempo delle lettere, mi riferì di essere circondata da nobili scienziati, da luminari astrusi che, farfugliando e aritmetizzando i contesti cognitivi e sociali, si aggruppavano.
Io non risposi a quel pretesto con le parole adatte e rimandai tempo per tempo la maturazione di una cronica convinzione. D’altronde il pretesto era consono solo al fatalismo, alla presa d’atto e di distanza. Che poi fosse delle scienze il dovere di dipanare anziché velare e l’obbligo di armonizzare e non troncare questo ancora era ed è un giudizio condiviso. Condiviso come il sogno di una umanizzazione prenaturale, libera, perciò, dalla legge della forza. Ma l’eguaglianza è un mistero e tutto ciò che rientra nell’esercizio del potere se non è costipato con giusto equilibrio è schiavitù.
Il 25 marzo del 1938, Majorana spariva
I tempi, ben dilatati, che ci separano da quel dì hanno consentito, a tutti i livelli, un’ampia discussione e numerose indagini. I fatti, le cui circostanze si sono man mano gonfiate del vento dell’ignoto e della brezza notturna, sono il modello classico di un giallo.
Il morto persiste nel silenzio di un convento o di un lontano espatrio, oppure sotto il flusso delle onde. La cosa certa è che la scomparsa si è risolta in dissoluzione.
Se cercate, da infaticabili trovatori, scoprirete anche i più fini, seppur talvolta discutibili, dettagli.
Ovunque ci sono notizie, indagini e prove.
Proviamo però a seguire, per una volta, un filone di inchiesta che si è arenato trent’anni fa e che appartiene alla penna geniale di Sciascia. Per ricominciare da Sciascia dobbiamo cogliere, necessariamente, l’indicazione geometrica di un amico, che ha tentato di materializzare con i segni matematici un rischio, da quel rischio poi possiamo ripartire.
Ettore Majorana, la scomparsa
1. Stima della genialità attraverso il concetto di giudizio di valore
Consideriamo una costante, definiamo in questa circostanza costante la forza S.
Si intende per S scienza, pensata come progettualità vitale e durevole ovvero personificazione esistenziale di una professione intellettuale.
Consideriamo altresì una variabile U, ovvero uomo, che mettiamo in relazione con la contingenza storica e culturale, t , e che rappresenta il capitale umano, calcolato come apparato formativo.
Infine procedendo al raschiamento di tutto il superfluo, ci concentriamo sulla seconda variabile, posta come divisore dei termini suddetti, S; U(t-1), ovvero l’errore, che non consideriamo fisso, costante, ma in funzione della percezione di un arco temporale costruito sul senso di durevolezza e di capacità, k*r (t) detta, semplicemente, occhiata retrospettiva e che rappresenta il giudizio di valore. Questi sono i fattori che determinano il significato della genialità.
Nel senso comune genio è semplicemente colui che è la sua mansione e non colui che fa.
Quindi è genio chi impersonifica la sua professione, ovvero ne rende ragion d’essere e non ragion d’uso pratico. Questa è una definizione corretta, innegabilmente vera e al contempo sufficiente e necessaria.
Ma cos’è però la genialità e come si misura?
Scriviamo la funzione:
Dunque:
Il genio umano G è funzione di una costante S, valore intrinseco della Scienza, valore praticamente immutato e immutabile, e di una variabile U(t-1) che tende a dinamizzarsi e ad assorbire le onde culturali di determinate epoche storiche, tutto diviso k * r(t).
Al numeratore compaiono due termini, interessanti certo, ma indisponibili, poiché il giudizio di genialità è un giudizio storico, fatale, che si riverbera passivamente sul prospetto attuale ed ignora il futuro. In pratica è la stima del giudizio storico, di fatalità, a determinare i criteri di sintesi e di valutazione che adottiamo costantemente. Tale giudizio storico è legato in maniera inversa al giudizio di valore.
Il senso di genialità è determinato in toto da un giudizio di valore a posteriori, è il valore k* r(t) che determina la stima effettiva del livello di genialità di un perido determinato. Il giudizio storico, che da ora chiameremo fatale, è indicizzato ad un giudizio contemporaneo che chiamiamo k* r(t), tale giudizio però è fondamentalmente legato ad una percezione di sé strutturata su una idea di durevolezza e capacità dipendente anch’essa dall’epoca in cui il soggetto elabora il giudizio.
Di fatto la genialità dipende esclusivamente da un giudizio di valore che non viene dato dopo un’analisi delle prime due componenti dell’equazione(numeratore), bensì si origina dalla percezione temporale delle proprie capacità, che servono da misura intellettuale. Io stimo quanto so in base a quanto sapevano e sanno coloro che mi circondano, ed uso tale stima per dare un giudizio di valore attuale(implicito) e fatale(esplicito).
C’è una relazione bidirezionale tra k*r(t) e G, la formazione di k *r(t) dipende parzialmente anche da G e viceversa.
Se alla funzione sopra descritta togliamo il denominatore rimangono S e U(t-1), quindi diviene chiaro che genialità corrisponde direttamente al valore che si dà alla scienza e alla qualità della preparazione umana. Facendo un semplice esempio diremmo che ai tempi dell’Accademia di Platone il valore G(t-1) dati i dati disponibili è praticamente insignificante se paragonato ad oggi.
Di fatto il valore U(t-1), preparazione, educazione umana, calcolato come apparato capitale non rende giustizia alla verità, si rende perciò necessario inserire il valore k*r(t), che è comunque fondamentale ed effettivamente inerente al problema.
In questo modo da un’ analisi quantitativa si passa ad un’ analisi qualitativa.
Il valore di G(t-1) inserendo nella funzione la k*r(t) è perciò un giudizio meramente qualitativo che si struttura secondo una semplice relazione. La k*r(t) è fondamentale anche perché altrimenti si potrebbe erroneamente pensare che oggi, dato il valore di U(t), siamo totalmente circondati da geni imperituri.
Quindi scomponendo il denominatore di (1):
Ovvero la convinzione che si ha del passato, la quale è tendenzialmente positiva rispetto al presente.
Quindi k è un valore positivo che tende ad essere sovrastimato da retaggi culturali decadentistici.
Il valore r(t) è plasmato da un fattore culturale molto dinamico e che vede un andamento progressivo. Con r(t) intendiamo, per chiarezza, il senso di fretta e di produttività commistionato con il valore di capacità, la capacità(giudizio di valore implicito) aumenta al crescere della produttività. Il valore r(t) è la stima di sé nell’oggi che si regola sul numero dei risultati raggiunti.
Poiché è un valore molto volatile e in crescita vertiginosa si è ironicamente definito occhiata retrospettiva.
La componente k è definibile parte costante dell’errore, perciò trascurabile, mentre è r(t) che varia ed oscilla fortemente sempre più in alto.
Tornando al problema di stima del valore fatale, genialità, ricordiamo che è un valore storico esplicito, un giudizio a posteriori circoscritto ad un periodo passato, determinato ed inerente un gruppo o un singolo individuo.
La volontà di pensare al giudizio fatale come un giudizio storico è verificata anche dalla consuetudine di epocalizzare, da epochè, la contemporaneità ovvero di sospendere i giudizi espliciti di valore sul vivente, conservando quelli impliciti, r(t).
Poiché i valori del numeratore sono indisponibili a determinare il valore di G(t-1) è il denominatore che lo determina, denominatore che in sé raccoglie una componente che abbiamo definito errore costante, giudizio storico a priori, ed una seconda parte dinamica che cresce al crescere di r(t) e che contiene tutta una forma mentis pragmo-produttivistica.
Più passa il tempo più k*r(t) cresce, più k*r(t) cresce più il giudizio di valore fatale si riduce, più si riduce G(t-1) più cresce k*r(t), dato che sono legate in modo bi-direzionale e inverso.
Più penso che si stia avanzando nella scienza oggi, più riduco la stima della genialità passata, più riduco tale stima, più cresce il giudizio di valore attuale(implicito) e il giudizio fatale diviene mito a-naturale.
Le ultime due parole fissano una condizione mentale che potrebbe, se l’equazione fosse corretta, animare una nuova deriva elitaria. Il punto debole di ogni fondamentalismo, ovvero la sua forza, sta nel separare, mai nell’unire. Se iniziamo a dare giudizi di valore di tipo a-naturale, mitico, compiamo una violenza simile a quella che si attua costantemente nella divinizzazione o nella demonizzazione delle persone da un punto di vista etico. Se dividiamo in classi stagne le facoltà personali rischiamo semplicemente di legittimare un ordine gerarchico che in pratica non trova nella legittimazione legale un fondamento sufficiente.
Eppure molti sono i sintomi che mi fanno supporre che l’esercizio del potere si stia pianificando su un basamento di spocchia intellettuale nutrito dal carisma del cinismo e dell’irrequietezza, carisma che intontisce una labile stirpe di pensatori violati nell’unicità del pensiero.
Ettore Majorana, la scomparsa
2. Prove della Scomparsa di Majorana
La prova cardine che dimostra l’uso improprio dell’espressione “genio” l’ha data proprio il fisico italiano Enrico Fermi in un talking con Cocconi poco tempo dopo la scomparsa di Majorana.
Il celebre epigramma di Fermi sulla genialità fa coincidere la personalità di Majorana con quella dei grandi Galilei e Newton però con una deficienza che l’ha condotto alla dissoluzione e tale mancanza altro non è che il buon senso.
Tra i due vi era una strutturata diversità, Fermi rappresentava l’accademico geniale ed impegnato, Majorana il solitario, l’incapace al lavoro di gruppo, la mente esterna.
Cosa significa, dunque, prova cardine, per una espressione di per sé ragionevole?
Bè in quella frase, resistita al tempo, vi è una scala di valori tra soggetti immersi nella stessa sostanza, una scala che separa il merito dall’incapacità congenita.
Vi sono persone che possono ed altre che non ce la fanno, nemmeno usurando al massimo la volontà. La cosa però ha un senso se si rapporta a qualcosa di definito;
qual è il risultato che attribuisce la nomea di genio e il risultato mancato che invece condanna all’incapacità congenita?
Badate non voglio dire, assolutamente, che esista un’ eguaglianza sostanziale nel prodotto creativo umano, non sarebbe accettabile pensare che Proust sia paragonabile a uno dei tanti di oggi, ma badate che il discriminante qualitativo non è nel risultato ma nel metodo e nell’empatia.
Che la Luna abbia i crateri ci è indifferente, importante è aver puntato l’occhio attraverso una lente.
Il risultato che attribuisce l’etichetta di genio è compreso, per caso, nel numero delle pubblicazioni scientifiche? Non parliamo delle teorie che praticamente hanno una fortuna durevole il tempo di una stagione, sono le pubblicazione e le cattedre ad attribuire valore al significato di risultato?
Ovviamente no, ma oggi è proprio così.
Qual è quindi la prova regina che dimostra la dissoluzione di Majorana?
Leonardo Sciascia adduce un’indicazione convincente, dà una chiave di lettura che scavalca i balzelli cronistici e riesce a palesare una verità, che è la ragione stessa che dimostra la sostanziale ed irriducibile complessità della scienza.
Riprendiamo la definizione che, ironicamente, ho definito, comune, di genio.
Genio è colui che impersona quella che è la sua mansione.
Dimentichiamoci le parole e ammettiamo come vero il fatto che qualitativamente esistano persone che fanno e persone che sono il loro mestiere.
Sono costoro uguali? No.
Non possono essere uguali, poiché i primi, i facenti arte, conservano un destino distinto rispetto a ciò che fanno, i secondi, gli essenti arte, fondono la loro vita con la mansione intrapresa(non sono affatto pochi e rari).
Un genio è perciò, semplicemente, colui che si destina alla dissoluzione man mano che dipana i misteri della sua arte. La vita in sé, scorporata dal lavoro, si consuma con la scoperta.
Che fardello porta colui che la vita lega ad un sogno? Porta un fardello dal peso maggiore poiché le scoperte della scienza che impersona sono consumo di una vita, predestinata ad essere perciò più breve.
Sciascia suggerisce questo tormento ricordando un giovane e precoce Stendhal:
“ Prendiamo Stendhal. E’ un caso il suo di doppia precocità ritardata al possibile. Doppia perché precoci saranno pure i suoi libri. [..] di questa seconda precocità Stendhal è cosciente.
All’altra di cui ha premonizione e paura, tenta di sfuggire in tutti i modi. Perde tempo. Si finge ambizioni carrieristiche e mondane. Si nasconde. Si maschera. Rampa per plagi e pseudomini.[…]”
Di cosa parla? Quale precocità?
Sciascia si riferisce alla consapevolezza di portare dentro un qualcos’altro oltre la vita.
E Majorana, dice in un passo precedente ,questa scienza la portava dentro sé, custodita da un orrendo destino.
Definire una teoria, abbozzata nella mente o su cartoncini volanti, scriverla, chiarirla, dipanare un mistero, avvicinarsi ad una verità poteva rappresentare per Majorana il preludio alla morte.
Come l’amore, ottenuto nella sua infinita pienezza, ci consegna all’oblio, così pure questo vivere incantato assieme ad un amore infinito ed indissolubile può ,per chi completa l’opera, essere un delitto contro sé stessi.
Non si tratta, certo oramai l’effettiva scomparsa da questo mondo ce lo consente, di suicidio, ma di dissoluzione, una dissoluzione però che nel caso di Majorana rappresenta qualcosa di più, un che di epopeico.
Non finisce con lui la felice stagione dei ragazzi di via Panisperna, nemmeno l’epoca di un’Italia giovane e vitale, finisce con lui l’era della fisica classica. Un epilogo infelice, atomico, direte voi, ma non è così. La dissoluzione di Ettore Majorana, come per l’epopea omerica, segna il tramonto dell’unicità.
Ettore, che in sé possiede tutti gli attributi “Umani”, muore davanti al mito, così la scienza moderna, Ettore si dissolve e in una breccia feroce le sue membra corporee si consumano ignobilmente.
Majorana, no, forse studiando le correnti, ha lasciato che la storia si evolvesse e che la beffa atroce venisse velata da anomali moti marini, e discioltosi così nelle onde ha superato il mito.
Non è nella Bomba la fine della scienza, affatto.
Se cara Amica, per genio intendi costoro, allora sappi che sono i più umani.
Tutto ciò che converge all’Uno, alla sintesi, tutto ciò che vuole riordinare il caos dell’incomprensibile è umano.
Genio è colui che sa Integrare e Scomporre il pensiero, ma questa capacità si ottiene solo conservando un margine di libertà infinita.
Mantenendo un principio di totalità si assume su di sé la colpa, scomponendo e basta si elimina la responsabilità.
Alcuni scenziati si rifiutarono di costruire la bomba, altri la fecero.
Dimmi, chi sono i Geni?
Il Tesla italiano?
Ultima modifica di greenwarrior il 05/02/2010, 20:23, modificato 1 volta in totale.
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