31/03/2015, 14:45
31/03/2015, 23:30
FONTE WIKILEAKS.ORG
L’ACCORDO SEGRETO DI PARTENARIATO TRANS-PACIFICO [TTP] – IL CAPITOLO INVESTIMENTI
WikiLeaks pubblica oggi [25-03-2015] il "Capitolo Investimenti" dei negoziati segreti che sono in corso per il Trattato TPP [Trans-Pacific Partnership, https://wikileaks.org/tpp-investment/WikiLeaks-TPP-Investment-Chapter.pdf]. Il documento aggiunge alle precedenti pubblicazioni fatte da WikiLeaks i capitoli relativi ai diritti di proprietà intellettuale (Novembre 2013) e all'ambiente (Gennaio 2014).
Il Capitolo Investimenti del TTP, pubblicato oggi, è del 20 Gennaio 2015. Il documento è classificato come “segreto” e tale sarebbe dovuto essere per i quattro anni successivi alla sua entrata in vigore o, in mancanza di accordo, per i quattro anni successivi alla chiusura dei negoziati.
Julian Assange, editore di WikiLeaks, ha sostenuto che: "Il TPP ha segretamente previsto l’istituzione di un “Tribunale Sovranazionale” autocefalo [non dovrà rispondere a nessuno delle proprie decisioni], nell’ambito del quale le Multinazionali potranno citare in giudizio gli Stati Nazionali. Questo sistema è una sfida alla loro sovranità parlamentare e giudiciale. Tribunali di questo tipo sono già stati implementati per “raffreddare” l'adozione di misure volte alla tutela dell’ambiente, della salute pubblica e delle politiche di trasporto pubblico".
Gli Stati attualmente impegnati nella trattativa sono: Stati Uniti, Giappone, Messico, Canada, Australia, Malesia, Cile, Singapore, Perù, Vietnam, Nuova Zelanda e Brunei. Il TPP è il più grande Trattato economico della storia, perché comprende paesi che da soli rappresentano oltre il 40% del Pil mondiale.
Il Capitolo Investimenti evidenzia l'intento delle parti – che stanno negoziando il TPP sotto la guida degli Stati Uniti – di aumentare il potere delle Multinazionali creando una “Corte Sovranazionale”, ovvero un Tribunale nell’ambito del quale le imprese straniere possono "denunciare" gli Stati e ottenere un risarcimento da parte dei contribuenti "per i mancati utili futuri". Questi “Tribunali per la Risoluzione delle Controversie tra Investitori e Stati” [ISDS] sono stati progettati allo scopo di annullare i sistemi giudiziari nazionali.
I Tribunali ISDS introducono un meccanismo attraverso il quale le imprese multinazionali possono costringere i Governi a pagare un risarcimento, qualora dovesse essere affermato che le leggi o le politiche di un paese stanno influenzando [negativamente] gli utili futuri rivendicati dall'azienda ricorrente. Gli Stati, in cambio, sperano che le Multinazionali possano investire di più nei loro paesi.
Meccanismi similari, del resto, sono già stati precedentemente utilizzati. L’americana Phillip Morris, ad esempio, ha utilizzato uno di questi Tribunali per citare in giudizio l'Australia [Giugno 2011 – giudizio in corso], per ottenere che le confezioni dei prodotti derivati dal tabacco non contengano riferimenti ai danni causati dal fumo, in sostituzione di quelle correntemente utilizzate per motivi di salute pubblica.
Il gigante petrolifero Chevron, invece, ne ha utilizzato uno simile contro l'Ecuador, nel tentativo di sfuggire ad una sentenza miliardaria emessa a compensazione dell’inquinamento ambientale, mentre il Canada è stato citato in giudizio nel 2008/2009 dalle società produttrici di pesticidi, nel tentativo di “raffreddare” la minaccia di future leggi a tutela dell’ambiente.
I Tribunali ISDS sono spesso tenuti segreti, non hanno alcun meccanismo di ricorso in appello, non sono subordinati alle leggi sui diritti umani o a quelle sull'interesse pubblico, ed infine hanno pochi meccanismi attraverso i quali le altre parti interessate possono essere rappresentate.
I negoziati TPP sono stati segretamente portati avanti per cinque anni e sono ora in fase di ultimazione. Negli Stati Uniti l'Amministrazione Obama ha in programma di porre il Trattato su una corsia preferenziale, per “attraversare il Congresso” senza che i parlamentari eletti possano discutere o votare sui singoli provvedimenti.
Tutto questo, tuttavia, sta incontrando una crescente opposizione, risultato di un controllo pubblico finalmente implementato come conseguenza delle precedenti pubblicazioni dei documenti negoziali fatte da WikiLeaks.
Il TPP è stato impostato in modo tale da poter essere il precursore di un accordo altrettanto segreto tra Stati Uniti e Unione Europea, il TTIP, “Transatlantic Trade and Investment Partnership” [Trattato Transatlantico sul Commercio e sugli Investimenti].
I negoziati per il TTIP sono stati avviati dall'Amministrazione Obama nel Gennaio del 2013. Messi insieme, il TPP ed il TTIP copriranno oltre il 60% del Pil mondiale. Il terzo Trattato dello stesso tipo, anch’esso negoziato in segreto, è il TISA, relativo allo scambio di servizi, tra i quali il settore finanziario e quello della salute. Questo Trattato copre 50 paesi, tra i quali gli Stati Uniti e tutti i paesi dell'UE.
WikiLeaks ha pubblicato il testo di questo progetto segreto nell'allegato finanziario del TISA [insieme ad altri commenti e rivelazioni], nel mese di Giugno del 2014 [https://search.wikileaks.org/search?q=TISA+June+2014].
Tutti questi accordi sul cosiddetto "libero mercato" sono negoziati al di fuori dal quadro di riferimento costituito dall'Organizzazione Mondiale per il Commercio [OMC o WTO]. Questi Trattati [TTP e TTIP] non coinvolgono i cosiddetti paesi BRIC – Brasile, Russia, India e Cina.
Fonte: https://wikileaks.org
Link Originale: https://wikileaks.org/tpp-investment/press.html
25.03.2015
Scelto e tradotto per http://www.comedonchisvciotte.org da FRANCO
03/04/2015, 11:43
03/04/2015, 12:28
Atlanticus81 ha scritto:Continuiamo a pensare, erroneamente a mio parere, che la politica economica occidentale stia sbagliando.
Certamente è vero dal nostro punto di vista... Ma per altri, per pochissimi altri, è vero l'esatto contrario.I PREDATORI DEL SISTEMA
[...] Nella situazione attuale assistiamo al dispiegare di forme estreme di concentrazione della ricchezza. Basti pensare che negli ultimi 25 anni la concentrazione della ricchezza nelle mani dell’un per cento della popolazione ha visto un balzo del 60 per cento.
Per essere più chiara: i primi 100 miliardari degli Stati Uniti hanno visto i loro redditi crescere di 240 miliardi di dollari solo nel 2012. Una cifra che, se redistribuita, avrebbe posto fine alla povertà di milioni e milioni di persone sempre negli Stati Uniti.
Altri dati: nel 2002, cioè pochi anni prima della data che indica l’inizio della crisi globale, le banche avevano assistito alla crescita dei loro profitti del 160 per cento, passando da 40 miliardi a 105 miliardi di dollari, cioè una volta e mezza il prodotto interno lordo su scala planetaria. Nel 2010, cioè in un periodo di crisi, i profitti delle corporation statunitensi sono saliti di 355 milioni rispetto il 2009. A fronte di queste cifre da capogiro, negli Stati Uniti le tasse sui redditi delle imprese sono solo di 1,9 miliardi di dollari.
I ricchi e le imprese globali non potevano da soli raggiungere questo intenso tasso di concentrazione della ricchezza. Hanno avuto bisogno di un «aiuto sistemico», cioè di un milieu di innovative tecniche finanziarie e supporto governativo. L’esito è stato appunto la formazione di una élite globale che si autorappresenta come un mondo a parte che trae forza dalle politiche economiche, dalle leggi stabilite a livello nazionale, ma anche globale. Da questo punto di vista, i governi hanno svolto un fondamentale ruolo di intermediazione, teso a rendere opaco, meglio fosco ciò che stava accadendo.
Siamo quindi di fronte a un complesso dispositivo finalizzato alla concentrazione della ricchezza. Niente a che vedere con una stanza dove è difficile scorgere le cose a causa del fumo dei sigari di qualche impenitente «padrone del vapore». In passato è bastato aprire una qualche finestra e tutto era diventato chiaro. Ora non è così.
La mia tesi è che abbiamo assistito a un cambiamento di scala della concentrazione della ricchezza che ha mandato in pezzi il mondo di qualche decennio fa, dove esisteva una classe media e una classe operai sostanzialmente non ricche, ma «abbienti». Provocatoriamente potrei affermare che nel Nord globale le società sono sempre più simili a quelle del Sud globale.
L’Europa e gli Stati Uniti non erano quindi immuni da concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, disuguaglianze sociali, razzismo, povertà, ma tutto ciò era mitigato dalla crescita costante nel tempo di una classe media. Inoltre, erano paesi dove era forte la tensione a superare povertà, razzismo, differenze di classe, ma c’era una tensione al superamento di quegli elementi.
Bene quel mondo è stato progressivamente cancellato dagli anni Ottanta in poi. Ora siamo in un mondo dove élite globali «predano» la ricchezza senza troppe resistenze. Per tornare alla sua domanda, invito a pensare ad un aspetto che è fondamentale in una realtà come quella che ho sinteticamente descritto.[...]
Estratto da. "I predatori del sistema" - Intevista di Benedetto Vecchi a Saskia Sassen
http://www.comedonchisciotte.org/site/m ... &sid=14872
Quindi mettetevi il cuore in pace... i loro piani stanno andando, e quel che è peggio andranno avanti come previsto e programmato
03/04/2015, 12:38
06/04/2015, 20:51
08/04/2015, 19:23
08/04/2015, 19:31
08/04/2015, 20:32
04/05/2015, 20:28
Londra 'caccia' i poveri, via 50mila famiglie in 3 anni
"Pulizia sociale in stile Kosovo". Municipi spostano indigenti per austerità e caro affitti
Più di 50mila famiglie povere sono state costrette a quello che appare come un vero e proprio esodo degli indigenti da Londra negli ultimi tre anni. E' quanto denuncia in prima pagina l'Independent, che pubblica l'esito di una sua inchiesta in cui ha potuto vedere documenti sino ad ora mai pubblicati. Si parla di una sorta di "pulizia sociale" portata avanti, a causa dei tagli al welfare e del caro affitti, dai municipi che offrono alle famiglie senza casa un alloggio al di fuori della capitale.
Ed ecco quindi che chi abita da sempre in un quartiere dell'est o del nord di Londra si può ritrovare in una città del tutto nuova, a centinaia di chilometri di distanza, come Manchester o Leeds, lontano da abitudini e affetti. Questo accade sempre più spesso a persone che non sono in grado di pagare i crescenti affitti della capitale.
L'Independent ricorda come questa situazione - che vede una media di 500 famiglie costrette a lasciare la capitale ogni settimana - doveva essere del tutto evitata stando alle parole pronunciate nel 2010 dal sindaco di Londra, Boris Johnson, che voleva scongiurare una "pulizia sociale in stile Kosovo".
04/05/2015, 22:05
18/05/2015, 01:13
Lo yuan conquisterà anche il Nord America
La valuta cinese raccolgie sempre più seguaci nel processo d’internazionalizzazione. Dopo l’istituzione in Asia-Pacifico e Europa di centri di scambio diretto per consentire investimenti in attività finanziarie denominate in Yuan, ora si spezza la resistenza del Canada, vecchio alleato degli Stati Uniti, destinato ad essere la piattaforma della “yuanizzazione” del continente americano.
Lo yuan è un componente del potere ‘morbido’ (mezzi ideologici, culturali e diplomatici utilizzati da una nazione per influenzare le azioni degli attori nel sistema internazionale) della Cina per avere il supporto dei Paesi più allineati alla politica estera degli Stati Uniti.
Con il tasso di crescita annuo pari a circa il 7% e le aspettative di redditività nelle zone economiche speciali che si riducono rapidamente, la Cina cerca di trasformare i termini delle sue relazioni economiche con i Paesi industrializzati. Con l’aumentare della domanda di prodotti ad alto valore aggiunto dei consumatori cinesi, centinaia di uomini d’affari occidentali mostrano maggiore interesse ad incrementare gli affari con il gigante asiatico.
Con il crescente ruolo della Cina sui flussi di capitale (investimenti diretti, di portafoglio, ecc.) e sul commercio mondiale, aumenta in parallelo l’orbita d’influenza dello yuan quale mezzo di pagamento ed investimento e valuta di riserva in sempre più settori dell’economia globale.
Questo è il caso del Canada, Paese aderente al trattato di libero scambio nordamericano (NAFTA) con Messico e Stati Uniti.
Sorprendentemente, il primo ministro Stephen Harper non solo non si oppone all’internazionalizzazione dello yuan ma, al contrario, non risparmia sforzi per fare di Toronto la prima piattaforma di valuta cinese fuori dall’Asia-Pacifico.
In un primo momento il governo cinese favorì l’uso della “moneta del popolo” (renminbi) solo in territorio asiatico, e in un secondo momento lo yuan superava i confini giungendo in Europa, Africa, Medio Oriente e America Latina.
Nel caso del continente americano, l’internazionalizzazione dello yuan si limitava, fino al termine dello scorso anno, a creare accordi bilaterali di swap (cambio valuta) con le banche centrali di Brasile e Argentina (le due economie maggiori del Sud America). Mentre è vero che diversi mesi fa la Cina avviò i colloqui con alti funzionari del governo dell’Uruguay per lanciare Montevideo come “capitale latino-americana dello yuan” (1), ancora i progetti non vengono finalizzati nel promuovere l’uso della moneta cinese presso i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi.
Al contrario, il governo del Canada ha potuto concludere tre importanti accordi negli ultimi sei mesi. Entrambi i Paesi, in primo luogo, approvano l’insediamento del primo centro di pagamento diretto per facilitare l’uso dello yuan nel continente americano. In precedenza ciò è stato attuato solo in Asia e Europa. Sotto la supervisione della Banca industriale e commerciale della Cina (ICBC, nell’acronimo in inglese) a Toronto, il centro di pagamento diretto permette le operazioni di cambio fra dollaro canadese e valuta cinese senza tener conto del tasso del dollaro USA, permettendo di ridurre i costi di transazione e rafforzare i legami tra le imprese di entrambi i Paesi, aumentando gli scambi di beni e servizi (2).
Secondo le stime della camera di commercio del Canada, grazie all’attivazione del centro di pagamento in yuan, i canadesi risparmieranno circa 6,2 miliardi di dollari nel prossimo decennio, le cui esportazioni raggiungeranno una cifra inaudita tra 21 e 32 miliardi di dollari.
In secondo luogo, la Banca del popolo cinese e la Banca centrale del Canada hanno firmato per uno scambio di valute triennale per un totale di 30 miliardi di dollari canadesi (200 miliardi di yuan). Una volta che il Federal Reserve System (Fed) ha concluso il programma di allentamento quantitativo (Quantitative Easing), diversi Paesi hanno subito il deprezzamento delle proprie valute rispetto al dollaro: Giappone, zona Euro ed avanzati esportatori di materie prime come Australia e Canada, senza tralasciare ovviamente le economie periferiche dalla maggiore fragilità finanziaria. Tuttavia, il governo degli Stati Uniti tollera sempre meno l’apprezzamento del dollaro per via degli effetti negativi sulla crescita economica.
Ricordiamo che nelle settimane precedenti, la Fed ha alzato il tono delle critiche sulla politica moneta accomodante della Banca centrale europea (BCE) e della banca del Giappone. Pertanto, sembra che le tensioni tra valute aumenteranno il prossimo mese (3). Tuttavia, attraverso l’accordo swap Cina e Canada abbandonano l’uso del dollaro e, quindi, diminuiranno gli effetti della volatilità del tasso di cambio su commercio e flussi di investimento bilaterali. Terzo, infine il governo cinese ha concesso una quota di investimenti agli imprenditori canadesi per un importo massimo di 50 miliardi di yuan (8,2 miliardi di dollari) partecipando al programma cinese per gli investitori istituzionali stranieri qualificati in Renminbi (RQFII, nell’acronimo in inglese) (4).
Così, come già accaduto con le imprese di Londra, Parigi, Francoforte e Lussemburgo, ora gli investitori canadesi sono sostenuti dalle autorità di regolamentazione cinesi nell’acquistare attività finanziarie denominate in yuan. Non c’è dubbio che gli accordi di cooperazione tra Cina e Canada hanno comportato risultati eccellenti sia per i futuri scambi ed investimenti delle società canadesi, sia aprendo la via all’internazionalizzazione dello yuan nel Nord America, con lo slancio del Canada.
Inevitabile conseguenza della crescente importanza della regione Asia-Pacifico nella regione nord-americana, lo yuan attualmente occupa la seconda posizione (10,2%) nella ‘classifica’ delle valute più utilizzate dal Canada nelle transazioni con Cina e Hong Kong: 8,5 volte più utilizzato rispetto al dollaro degli Stati Uniti (1,2%), superato solo dal dollaro canadese (75,4%).
Secondo la società di comunicazioni interbancarie e finanziarie internazionale (SWIFT, nell’acronimo in inglese), nel marzo 2015 le società canadesi hanno aumentato del 213% le operazioni in yuan rispetto al 2013 (5). Così grande è l’emozione suscitata dalla valuta cinese in Canada, che il 16 giugno vi sarà il primo vertice della finanza nell’Asia-Pacifico al Vancouver Convention Center, sponsorizzato da City AgeMedia, AdvantageBC e provincia della Columbia britannica (6).
L’incontro tra accademici e businessmen cercherà di costruire nuovi schemi di cooperazione con la Cina per implementare l’uso dello yuan nelle città canadesi oltre Toronto, Vancouver, Montreal e Calgary, e anche a formare importatori ed esportatori nel trarre il massimo rendimento dagli accordi raggiunti nel novembre 2014 (7).
In conclusione, mentre il presidente Barack Obama non riesce a contrastare i trionfi diplomatici globali del governo di Xi Jinping, armato dal cavallo di Troia in Canada, i cinesi rafforzano il processo di “yuanizzazione” nel “cortile” della casa bianca.
18/05/2015, 01:15
Cina, nasce a Dongguan la prima fabbrica senza operai: “Sostituiti da 1.000 robot”
Il piano della Shenzhen Evenwin Precision Technology Co, un’azienda privata che fabbrica componenti per telefoni cellulari, è quello di ridurre del 90% l'attuale forza lavoro (1.800 persone) sostituendola con un migliaio di robot. Nella regione del Guandong il governo ha annunciato un piano di investimenti di 135,5 miliardi di euro nei prossimi tre anni per sostituire sulle linee di assemblaggio gli automi agli umani. Ma Pechino è ancora in ritardo rispetto a Giappone, Germania e Usa
A Dongguan – l’ex “fabbrica del mondo” – al via il primo stabilimento che sostituirà completamente il lavoro manuale con gli automi. Il piano della Shenzhen Evenwin Precision Technology Co, un’azienda privata che fabbrica componenti per telefoni cellulari, è quello di ridurre del 90% l’attuale forza lavoro sostituendola con un migliaio di robot. Chen Xingqi, presidente dell’azienda, ha previsto che dopo questa prima fase sarà sufficiente il lavoro di appena duecento persone contro le attuali 1800. E che la capacità di produzione annuale dell’azienda si assesterà attorno ai 280 milioni di euro. Quello che non ha ancora reso pubblico è a quanto ammonta l’investimento fatto per la riconversione degli stabilimenti.
Secondo i dati ufficiali, da settembre scorso la metropoli di 6,5 milioni di abitanti avrebbe già avviato l’automazione di 500 fabbriche rendendo superflui 30mila lavoratori. E questi numeri verranno triplicati entro il 2016. Dongguan è nella regione sudorientale del Guandong, da sempre la più sviluppata nell’ambito del settore manifatturiero. Qui il governo ha annunciato un piano di investimenti di 135,5 miliardi di euro nei prossimi tre anni per sostituire sulle linee di assemblaggio i robot agli operai. Le singole aziende potranno ricevere sussidi per avviare il processo di automazione nei loro stabilimenti. Si tratta di cifre che oscillano tra i 20 e i 70 milioni di euro. Guangzhou, il capoluogo della regione con oltre 14 milioni di abitanti, ha annunciato che l’80% della manodopera verrà sostituita da macchine entro il 2020.
Si tratta di una svolta storica nell’economia e nella società della Repubblica popolare. Nell’ultimo decennio gli stipendi della classe operaia sono aumentati in media del 10% ogni anno. E il costo dei robot è stato inversamente proporzionale: nello stesso periodo è diminuito del 5% ogni anno. Siamo inoltre di fronte a una fase cruciale che gli economisti chiamano “il punto di svolta di Lewis”, ovvero il momento in cui in una società la percentuale di popolazione in età da lavoro lavoro comincia a calare, gli stipendi salgono più rapidamente della produttività e diminuisce il flusso di migranti che dalle campagne si sposta in città.
Secondo un recente rapporto dell’Ufficio nazionale di statistica, la forza lavoro è più vecchia, istruita e costosa di quella degli anni precedenti. L’età media ha superato i 38 anni, e il salario mensile è arrivato a più di 400 euro. E il 24% ha un diploma di scuola superiore o addirittura una laurea. Contemporaneamente i piccoli e medi imprenditori soffrono la crisi e investono sempre più nel lavoro meccanizzato. Foxconn – la più grande multinazionale di assemblaggio di componenti elettronici, balzata tristemente alle cronache negli ultimi anni per una serie di suicidi tra i suoi dipendenti – aveva annunciato il suo piano di automazione già nel 2012. Oggi, secondo un sondaggio interno, più del 30% dei suoi operai teme di essere sostituito dalle macchine.
Intendiamoci. La Cina è ancora in ritardo rispetto a Giappone, Germania e Stati Uniti. La percentuale attuale è quella di 30 robot ogni 10mila operai. Inoltre quattro automi su cinque sono prodotti e commissionati dalle multinazionali straniere che operano in Cina. Ma il settore dell’automazione è stato ritenuto fondamentale nello scorso piano quinquennale e si calcola che già nel 2017 il numero totale dei robot operativi nelle fabbriche cinesi raddoppierà e supererà quello del resto del mondo. Si passerà dalle 200mila unità attuali alle 400mila. Nel frattempo il governo ha elargito incentivi per la riconversione del lavoro e ha sponsorizzato la creazione di aziende nazionali che possano supplire la domanda interna di automi.
È sicuramente una soluzione vincente per ovviare alla carenza di forza lavoro. Ma il suo funzionamento è legato alla riuscita di un passaggio storico di ogni civiltà: contemporaneamente dovranno crescere terziario e consumatori. E non è detto che il sistema regga con una crescita economica in calo che, secondo la stessa leadership, per quest’anno sarà pari o inferiore al 7%. È il ritmo di crescita più lento dal 1990, cioè da quando la Cina ha subito sanzioni internazionali a seguito del massacro di piazza Tian’anmen.
18/05/2015, 08:20
18/05/2015, 15:44