Time zone: Europe/Rome [ ora legale ]




Apri un nuovo argomento Rispondi all’argomento  [ 451 messaggi ]  Vai alla pagina Precedente  1 ... 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29 ... 31  Prossimo
Autore Messaggio

Stellare
Stellare

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 12044
Iscritto il: 05/02/2012, 12:22
Località: Milano
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 19/12/2015, 17:28 
Massone: “Questo sistema ruba il tuo tempo per non farti pensare”

Immagine

Il rapporto tra la velocità e il tempo è cambiato solo negli ultimi quattro secoli: alla velocità è stato assimilato un significato di efficacia, di efficienza, mentre alla lentezza viene attribuito un coefficiente simbolico di ritardo e inefficienza.

Una persona che ha dei problemi la chiamiamo “ritardata”: tendiamo a considerare poco efficiente chi, magari, una cosa la capisce dopo – chi risponde dopo, chi reagisce dopo. E’ un ritardo, che per noi oggi è automaticamente un’inefficienza, un’inabilità.

Quante volte usiamo l’espressione “perdere tempo”?

I latini dicevano “festina lente”, cioè “affrettati lentamente”. Per circa due secoli è stato il motto di case nobiliari nonché del veneziano Aldo Manuzio, il primo editore del mondo. Già nella favola di Fedro, la tartaruga batte la lepre. Il “festina lente” lo ritroviamo nei testi più misteriosi, all’origine del rosacrocianesimo, e in Giordano Bruno, nel famoso dialogo de “La cena delle ceneri”. Manzoni, nei “Promessi sposi”, lo cambia in “adelante, cum judicio”: veloce, ma con prudenza.

La velocità percepita come virtù è un’acquisizione molto recente. Attribuire alla velocità un valore positivo e alla lentezza un valore negativo può non essere una cosa utile, in senso assoluto: chi ha detto che il boia che dice “domani” è peggio del boia che dice “subito”?

Nel film “Non ci resta che piangere”, con Benigni e Troisi, Leonardo è un ritardato. Leonardo era lento, molte commissioni gli sono state tolte perché non finiva in tempo i lavori: per fare le cose si prendeva i suoi tempi. Era lento, ma questo non gli ha impedito di scrivere 13.000 pagine di studi. Impegnava il tempo secondo i suoi principi.

Il tempo è un bene collettivo, ma anche individuale.

Il tempo è denaro, si dice, ma non è vero: il tempo non è denaro.

Il denaro è fungibile, il tempo no: se ti rubo 100 euro potrai sempre recuperarli, ma se ti rubo un’ora non te la ridarà nessuno. E questo è fondamentale per capire qual è la chiave di volta a cui siamo arrivati, nel nostro sviluppo evolutivo. Il sistema, l’intero sistema di potere mondiale, è fondato sulla sottrazione del nostro tempo.

Il tempo ci dev’essere sottratto, ci dev’essere tolto: perché, in quanto moneta infungibile, diventa la vera risorsa del sistema di potere. Quindi la vera risorsa non sono i nostri soldi, ma il nostro tempo. La sottrazione del nostro tempo è mirata a trasformare l’uomo in consumatore: l’essere umano pensante deve essere trasformato in consumatore. Meno si pensa, e più si consuma.

Il miglior consumatore è quello non pensante. Quindi, sottraendovi il tempo, voi non pensate. In tempi andati, fino a 70-80 anni fa, la gente teneva dei diari. Quella di racchiudere delle cose in un racconto è un’esigenza naturale dell’uomo, una narrazione destinata anche a se stessi. E quella stessa narrazione era un modo anche per pensare – perché non è che si pensa in compagnia, si pensa da soli. Il pensiero, l’introspezione, è individuale. Si può pregare in compagnia, ma non pensare.

Il pensiero è veramente la radice della nostra essenza.

Se un grande filosofo come Cartesio ha scritto “cogito ergo sum” (penso, dunque sono) ci sarà pure un motivo, no?E quindi il sistema ci deve togliere il tempo per non farci pensare. Ma dato che noi abbiamo l’esigenza del racconto, ci dà Facebook – che è un modo di sottrarre il tempo, evitando però di pensare: chi è che si va a riguardare le scemate che ha scritto in precedenza? Facebook non è un libro, un quaderno. E poi a un certo punto ti impedisce di andare indietro.

E’ l’ennesimo sistema costruito ai fini del grande progetto: la sottrazione del tempo. Noi non pensiamo, perché il tempo ci viene sottratto. E siccome non pensiamo, non partecipiamo. Chi di noi partecipa al sistema politico? Chi di noi si iscrive al partito che ha votato, andando a rompere i ******** ai congressi e facendo causa per averli, i congressi? Certo, nessuno nega che anche Facebook abbia anche i suoi aspetti positivi, la capacità di veicolare idee. Del resto, nessuna cosa è mai interamente negativa.

In una rivisitazione del “Dottor Jekyll”, Mister Hide deve fare un’azione malvagia, pesca un pesciolino dalla boccia e dice “adesso lo do al gatto”, ma poi ci ripensa: “No, così il gatto gode”. Avrebbero mai dato uno Stato a Israele senza i 6 milioni di ebrei sterminati da Hitler?Resta però il fatto che, se facciamo la somma del tempo sottratto, a tutti quanti, scopriamo che tutti gli espedienti sono indirizzati alla sottrazione del tempo. La sottrazione del tempo opera attraverso un concetto che si chiama “astrazione del gesto”: è il modo in cui si sono fondate tutte le operazioni di business criminale dell’umanità.

Se ti convinco, una tantum, a fumarti un sigaro particolare, tu non diventi un fumatore. E non sei un fumatore se ti fumi quattro sigari all’anno, nelle ricorrenze. Quand’è che diventi un fumatore? Quando io ti fabbrico l’oggetto astratto – l’astrazione di un piacere – che è la sigaretta: te la fumi, senza più neppure accorgerti che stai fumando. Devi arrivare al gesto per cui tu compri senza pensare a quello che stai comprando. Mangi, senza sapere che stai mangiando. Devono toglierti quello che c’è dietro alle cose, ai gesti – mangiare, fumare. Non necessariamente sarebbero morte di cancro migliaia di persone.

Una volta il tabacco non lo si fumava, lo si annusava. Nessuno sarebbe morto di cancro, ma non sarebbe neanche nata la Philip Morris.Le cose devono funzionare in quel modo: la sottrazione del tempo significa astrazione del contenuto dei gesti, e quindi eliminazione della scelta. Non facciamo più le cose per scelta, ma perché le abbiamo fatte ieri e quindi le rifaremo domani. E’ stato costruito uno schema per cui la quantità dei nostri gesti automatici è oggi infinamente superiore a quella dell’uomo di 400 anni fa.

Oggi, i nostri gesti automatici sono il 90% della giornata. L’uomo del ‘400 non ti diceva “ok, lo faccio subito”, ma “lo faccio dopo”: era la difesa del principio in base al quale lui sceglieva come destinare il proprio tempo. Su questo presupposto, il vero atto rivoluzionario è riappropriarsi del tempo. Ognuno di noi lo può fare. E’ semplice, ed è alla base di tutto: adottare un certo tipo di alimentazione, costruire un vissuto diverso. Alla base di tutto ci dev’essere la riappropriazione del tempo.

E’ vero che lavoriamo 8 ore, ma poi tendiamo a perdere anche le altre. Il tempo non è perso se ho visto una cosa che non mi è piaciuta, se ho scelto di vederla, perché anche quella è un’esperienza. Il tempo è perso se sono a una conferenza noiosa e non l’ho deciso io, di andarci. E il tempo perso non è restituibile.Anche all’interno dello schema della società odierna, noi potremmo riappropriarci di una serie di cose.

Rispetto ai concetti più complicati di consapevolezza e rivoluzione personale, questa è una cosa più semplice da spiegare, da far capire. Se a un certo punto ognuno di noi, nel suo piccolo, fa questa operazione su se stesso e la stimola nelle persone che gli sono vicine, scopre che questo è l’unico modo – vero – per recuperare energie per poi rifare progetti e rimettersi in moto. Dalla fine del ‘900 stiamo vivendo nel picco più basso, a livello di consapevolezza. E’ il più alto tecnologicamente, ma non ci serve a nulla.

Perché la tecnologia è stata sviluppata? Per fotterci il tempo.

Esce il telefonino nuovo e te lo devi comprare, esce il computer nuovo che ti fa risparmiare del tempo, ma quel tempo lo perdi lavorando come un matto per trovare i soldi necessari a quegli acquisti. Quando dirigevo “Pc Magazine” scrissi un editoriale nel quale dicevo: non comprate l’ultimo modello, perché vi fa risparmiare un’ora di lavoro ma ve ne fa perdere dieci per pagarlo. Il direttore italiano di Cisco ci tolse la pubblicità e inviò una lettera di fuoco, di tre pagine. Risposi con due parole: “Sopravviveremo entrambi”.

Tutto è costruito per fotterci il tempo.

La macchina da 50 milioni di euro, che può essere il sogno della mia vita, convive col divieto di superare i 130 chilometri orari. Che me ne faccio, allora, di una Ferrari? Eppure la gente continua a comprare le Ferrari: l’automatismo è formidabile, è un sistema micidiale. A chi non piacerebbe una bella casa, con parco e piscina? Ho un amico industriale che ne ha una così, vicino a Milano, ma è stata costruita su una vena radioattiva che risale all’evento di Chernobyl. Un umanista come Leon Battista Alberti per prima cosa domanda: dove la fate, la casa? Chi si pone mai il problema del “dove”, dell’orientamento fatto in modo serio?

Il Feng Shui dell’80% degli architetti italiani è una truffa, ma il vero Feng Shui si fonda sullo stesso principio del Padre Nostro, “così in cielo così in terra”, in alto come in basso. Ci sono energie che vengono da sopra e energie che vengono da sotto. Quelle che vengono da sotto vennero studiate a tutti i livelli: da egizi, persiani, alchimisti. E si chiama tellurismo.

Ora, studiare la ragnatela del tellurismo, la ragnatela geo-magnetica, non è semplice. Se uno la conoscesse davvero, potrebbe prevenire i terremoti.Io ho un caro amico, Giampaolo Giuliani, che i terremoti li prevede. Ci ha sempre azzeccato, perché rileva il radon, cioè l’espressione del tellurismo: è il gas che circola e viene liberato quando le vene, i canali in cui viaggia si rompono, e quindi sale. Ma non c’è pericolo che gli architetti “chic” ne sappiano qualcosa, di tellurismo: anche a loro hanno tolto il tempo.

Le forze che vengono dall’alto, invece, sono alla base del simbolismo astrologico, il cui significato non è quello divinatorio, di stabilire i caratteri dei segni. Il simbolismo astrologico nasce come ancestrale collocazione in un ordine, da parte degli antichi, delle energie che provengono dalle stelle. Il testo base della difesa dell’astrologia l’ha scritto Firmico Materno, è un romano del 100 dopo Cristo. La prima cosa che scrive è che l’astrologia non serve per divinare.

Tralasciando i fabbricanti di oroscopi, se invece studiamo come questa simbologia ha cercato di raffigurare i potenziali energetici delle varie costellazioni, non dico che possa essere una cosa esatta, ma è una cosa storica, mentre l’astrologia di oggi è come il Reiki, che non è una disciplina tradizionale e nasce per fottere soldi alla gente, su invenzione di un americano del secolo scorso.Le discipline tradizionali non necessariamente sono esatte, ma hanno una storia. Trovate molte differenze tra il rosario cristiano e il mantra degli indiani? La scansione dei tempi comporta un esercizio di respirazione. E’ la “novena della Vergine” o qualcos’altro? Certo che è qualcos’altro: l’hanno teorizzato i benedettini, si chiama Esicasmo ed è lo Yoga dei cristiani. E’ uguale: serve a regolare la respirazione per raggiungere un determinato stato di meditazione, solo che i preti si guardano bene dallo spiegare una cosa del genere.

C’è nel Cristianesimo qualcosa che andrebbe approfondito, ma non te lo dicono, perché per loro non è questo il business. Idem per la massoneria: la dottrina massonica non è un business, mentre l’organizzazione massonica lo è. Se voglio fare il business mi interessa l’organizzazione, non la teoria. Poi, certo, mi serve qualcosa di appiccicaticcio per convincere la gente che è una cosa seria – ma come fumo negli occhi, non come materia da approfondire.Il problema è che la sottrazione del tempo è innanzitutto è un’operazione di consapevolezza individuale: ci ha reso aggressivi e vendicativi.

Noi abbiamo un altissimo coefficiente di aggressività, vendicatività e incapacità di subire un torto. Alla fine, subire un piccolo torto non è la fine del mondo: se uno ti passa davanti nella coda, e tu non hai fretta, che te ne importa?

Noi litighiamo anche quando non abbiamo fretta: perché?

Perché la sottrazione del tempo ci ha reso ipersensibili anche in questo senso. Siamo convinti che non dobbiamo essere fregati. E non capiamo che, in una vita sociale, un poco dobbiamo essere fottuti tutti quanti. Siamo esseri sociali, dopotutto. E allora è molto meglio stabilire un limite entro il quale sopportare, e reagire solo quando quel limite è oltrepassato. Invece, la maggior parte di noi reagisce sempre. Succede quando ti tolgono il tempo, quando non hai più il tempo di pensare a quello che stai facendo, il tempo di contare fino a dieci.Se tu potessi contare fino a dieci, se fossi abituato a prenderti il tempo, non t’incazzeresti. Ma siccome non sei più abituato a prenderti il tempo, t’incazzi.

Questo è il meccanismo. I primi che si fottono il tempo da soli siamo noi. Se al posto di Facebook avessimo un diario serio, lo scopriremmo che ci fottiamo il tempo. Il problema vero, centrale, è che rispetto a tutte le scelte – alimentazione, qualità della vita, piccole rivoluzioni personali – la prima cosa che dobbiamo fare è riprenderci il tempo.

L’alta velocità? Assurda. Cos’era il senso del viaggio, 500 anni fa? Se Marco Polo fosse potuto andare da Venezia in Cina in aereo, avrebbe mai scritto il “Milione”? Il senso del viaggio qual è?

Chi si organizza le vacanze lo fa, il ragionamento sul senso del viaggio? No, certo, perché gli hanno fottuto il tempo. La sottrazione del tempo coinvolge ogni aspetto della vita. “L’ozio e il negozio” dei latini si colloca perfettamente in questo quadro: tutte le cose in cui bisognava pensare erano delegate all’“otium”, non al “negotium”. Seneca dice che, se non fai un buon “otium”, ti va male il “negotium”: se non pensi le cose giuste, mentre fai l’“otium” con calma, poi nel “negotium” ti prendi le mazzate.In realtà c’è questo respiro, tra le cose che devi fare entro certi schemi e le cose che devi fare fuori dagli schemi.

Se tu questo equilibrio lo alteri, e fai tutto dentro gli schemi, la tua creatività è morta. Le nostre energie sociali, la capacità di avere progetti, di scoprire cose, di scoprire nuovi modi di vivere, sono zero. Diventiamo degli ottimi consumatori: alla Coop, all’Esselunga. Da anni, altri ci fanno fare quello che vogliono loro, e noi non ce ne preoccupiamo. Anche Sant’Agostino diceva “fa’ quel che vuoi”. La gente lo fraintendeva, e pensava che fosse epicureo. Poi nella “Città di Dio” l’ha spiegato: “fa’ quello che vuoi” significa che devi fare quel che vuoi veramente, non quello che ti spingono a fare. “Fa’ quel che vuoi” non significa andare a cercare tutti i piaceri del mondo, perché potresti scoprire che non è quel che vuoi, se ci pensi bene.

«La felicità è semplice, basta inseguire il piacere; però è quasi impossibile, perché bisogna capire qual è il piacere».
Epicuro


http://www.dionidream.com/massone-quest ... i-pensare/



_________________
Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
Top
 Profilo  
 

Stellare
Stellare

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 12044
Iscritto il: 05/02/2012, 12:22
Località: Milano
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 21/12/2015, 13:06 
Riprendiamoci la nostra vita

Sono passati sette anni dall’inizio di quella che tutti i media definiscono “crisi”. La maggior parte di noi, sprecando tempo ed energie ad incolpare tutti tranne se stessi, l’ha subita passivamente, mentre altri hanno deciso di prendersi la responsabilità di cambiare la propria Vita senza aspettare niente e nessuno. E sono tornati a vivere.

“Crisi” è una parola mediatica che serve a mettere paura alla gente. Noi non abbiamo bisogno di soldi per “comprare l’acqua da bere”, abbiamo bisogno semplicemente “di acqua da bere”. Non abbiamo bisogno di soldi per comprare “pomodori e insalata al supermercato”, abbiamo semplicemente bisogno di “pomodori e insalata” (li possiamo coltivare, ce li può regalare un amico, ecc.).

Noi soprattutto, non abbiamo bisogno di spendere soldi in prodotti idioti figli di bisogni indotti. In altre parole abbiamo bisogno di tornare a recuperare un minimo di indipendenza da un sistema che ha mercificato tutto e che, proprio per questo, se fa mancare i soldi (perché i soldi non mancano. Sono fatti mancare), ci lascia tutti con le pezze al culo. Il dramma quindi non è la “crisi”, ma il Sistema, e soprattutto il fatto che non si faccia nulla per uscirne. I media chiamano “crisi” quella che è una vera e propria guerra ai popoli, e questo per due motivi: il primo è che nel mondo d’oggi le guerre si fanno sempre dichiarandole sotto falso nome (missioni di pace è un esempio, lotta per la democrazie, lotta al terrorismo e si invadono Paesi e si ammazzano migliaia e migliaia di civili, ecc.).

Il secondo è che l’utilizzo della parola “crisi” serve a mantenere i popoli nella paura e far sì che non alzino la testa ed inizino a mettere in discussione il Sistema stesso. Perché la sola “crisi” che c’è è il Sistema stesso e conseguentemente in crisi c’è solamente chi è nel Sistema e dipende da esso e non chi ne è fuori.

Questa “crisi” dunque, a volerla vedere con altri occhi, da un’altra angolazione, è in realtà una meravigliosa opportunità per cambiare le nostre Vite, che è poi quello che molti in questi anni, silenziosamente, hanno iniziato a fare. Non combattere il Sistema ma voltargli le spalle senza consentirgli di rubarci energie.

Aprire gli occhi

Forse questa opportunità che abbiamo per aprire gli occhi non sarà indolore, ma sono fermamente convinto che dipenderà tutto o quasi dal nostro approccio. Se capiamo che è un’opportunità per rimettere in discussione i paradigmi imperanti, ci comporteremo con gioia ed entusiasmo, con vero spirito “positivo”. Se al contrario continueremo a lottare con le unghia e con i denti per non lasciar andare quello che abbiamo avuto fino ad oggi, questo stile di Vita, sarà una tragedia.

Per me è chiaro che non c’è nessuna “crisi”. Crisi è semplicemente una definizione data dagli stessi che prima non ne parlavano mentre la preparavano, gli stessi che adesso dicono che se ne uscirà presto (questo perché devono dare “speranza” così che la gente non si assuma la responsabilità della propria vita e lasci lo status quo, cioè lasci i manovratori al loro posto a manovrare). Crisi è solo una definizione data da giornali, politici, economisti, sindacalisti, industriali.

Ma questo non significa che nel nostro mondo non ci siano “crisi”. Ad esempio sono crisi la quotidiana devastazione ambientale, l’inquinamento, lo sfruttamento di centinaia di milioni di altri esseri umani nel sud del mondo ma ormai anche nell’opulento occidente, perché, checché se ne dica, viviamo ancora immersi nell’opulenza, per produrre inutilità di ogni genere che ci fanno stare male anziché bene. Queste sono crisi. La crisi è pensare che questo nostro stile di vita, insostenibile da tutti i punti di vista (vedi sopra) sia normale.

Quelli di sopra

Credetemi, chi sta sopra, chi manovra, lo sa benissimo che non è possibile andar avanti così, e allora, come dice Eduardo Galeano, ha deciso, invece di fare la guerra “alla povertà” di farla direttamente “ai poveri”.

La “crisi”, quella vera, è che la gente vive ammalata (il settore farmaceutico è il primo al mondo per fatturato. Vorrà pur dire che stiamo male? O no?) come se fosse normale essere ammalati. La “crisi” è che la gente è sempre più stressata, depressa, che impazzisce sempre più (le cronache ce ne danno notizia continuamente), e soprattutto che ha sempre più paura di vivere. Questa sono vere crisi.

La crisi è esserci convinti che dobbiamo cambiar l’auto, il cellulare, avere le mutande firmate, uscire il sabato sera. La crisi è nell’irrealtà di come viviamo, persi tra ore di tivù, di calcio, di social network, di aperitivi al bar. Questa è la vera crisi, una crisi del pensiero, e non c’è nulla di più drammatico di un pensiero che non riesce più a distinguere la realtà dalla fantasia.

Viviamo in un mondo (e in un modo) irreale e crediamo che sia reale, possibile. Anzi, ne vogliamo ancora di più, lo “desideriamo”. La crisi è non capire tutto questo. La “crisi”, quella vera, c’è da tanti anni, come minimo da qualche decennio, da quando è arrivato questo falso benessere che in realtà è uno straordinario malessere per il semplice motivo che viviamo vite vuote, completamente prive di significati autentici. Non si può desiderare un’automobile, un profumo, un vestito, che la squadra vinca la partita. Proprio non si può. Vuol dire volersi male.

Bisogna imparare tutti, un passo alla volta ma con determinazione e convinzione, a vivere con meno cose materiali, con meno desideri, con meno “tutto” e anche con meno “certezze” (che non esistono, sono un’invenzione dei nostri tempi. La Vita non dà certezze ed è meravigliosa proprio per questo. Perché senza certezze ti stupisce tutti i giorni).

Ricreare relazioni

Tutti questi “meno sono dei “più” alla Vita. Questa crisi, lo ripeto, è una straordinaria opportunità per uscire da quel tunnel in cui ci siamo ficcati (o ci hanno ficcato, ma la sostanza è la stessa).

Mi è capitato di sentire l’intervista a un politico (non ricordo chi fosse l’imbecille in questione) qualche mese addietro che durante una delle periodiche campagne mediatiche di demonizzazione dei No Tav li definiva non solo terroristi (mi preme sottolineare che i terroristi non sono coloro che difendono il territorio ma quelli che lo distruggono) ma anche “contro il Paese” perché “non vogliono capire che la Tav è una straordinaria opportunità di rilancio economico”. Ribadisco: brutto imbecille e imbecilli quelli che gli credono. È questa la “crisi”. Che qualcuno gli crede (e se lui lo dice è perché qualcuno gli crede).

Insomma, bisogna uscire da questa ipnosi di massa chiamata “crisi” (e dalla speculare altra ipnosi chiamata “crescita economica”). Per farlo bisogna aiutarci fra di noi, ricreare relazioni, guardarci negli occhi, toccarci, tornare a vivere, a giocare, a scherzare, a mangiare, a lavorare assieme, ad impegnarci in attività sensate, a disertare i templi del consumo, e, se siamo stanchi, stressati, depressi, in difficoltà (perché le difficoltà fanno parte del vivere) a rivolgersi agli amici e non a medici e psicologi che tra l’altro stanno male quanto noi perché il Sistema non guarda in faccia nessuno.

Bisogna ritornare a fare attività fisica, a fare lavori fisici invece che passare dieci ore al giorno tra computer e tivù per poi andare un’ora in palestra.

Camminare in un bosco

Bisogna riportare i bambini a camminare in un bosco che è il più grande dei parchi giochi e non riempirlo di paure (è troppo caldo, troppo freddo, troppo vento, troppa pioggia, troppi animali selvatici, vespe e insetti). Sono le case, le strade, l’inquinamento, il cibo, i nostri stili di vita ad ucciderci, non il bosco.

Bisogna riportare i bambini, e noi con loro, a guardare le stelle invece di metterli davanti a un videogioco. Bisogna stare fuori il più possibile anche con il “brutto tempo”, bisogna abbassare la temperatura dentro casa per consumare meno, inquinare meno, spendere meno e rendere il nostro corpo e la nostra mente più forti. Bisogna soprattutto reimparare a commuoverci per i miracoli veri e non per un I-Phone o per uno schermo Full-Hd. I miracoli veri sono lì ogni momento: il Sole ma anche la pioggia, il caldo ma anche il freddo, la Luna e le stelle, il vento, l’acqua. Bisogna bere ogni sorso di acqua con consapevolezza.

Bisogna mangiare con consapevolezza, senza ingozzarci, con calma, in silenzio, assaporando veramente il cibo che mangiamo. Dobbiamo farlo noi perché nessuno lo farà per noi. Tutte queste cose sembrano solo belle parole, teorie, utopie. Lo sono in effetti. Fino a che non le mettiamo in pratica. A quel punto diventano realtà e sostituiscono la realtà della “crisi” che stiamo vivendo oggi.

Buona crisi

La “crisi” a ben vedere è solo in questa grande ipnosi di massa che stiamo vivendo, questa lobomotizzazione del cervello e dell’anima che stiamo subendo senza batter ciglio, anzi, quasi con entusiasmo. La “crisi” è che ci hanno messo la morte nella testa, nel cuore e nell’anima. Ma non è una morte. È solamente un lungo sonno. Non buttiamo via questa splendida opportunità, un vero dono, che ci è stato dato per riprendere in mano le nostre Vite.

Apriamo gli occhi, smettiamola di lamentarci e prendiamoci la responsabilità di cambiare in prima persona, e facciamolo, possibilmente, prendendo per mano chi ci è accanto. Andrà a finire che ci terremo tutti per mano e ci renderemo conto che non c’è nessuna “crisi” se non nella nostra testa.

Buona “crisi” (opportunità di cambiamento) a tutti.

http://comune-info.net/2015/02/riprendi ... ita-crisi/



_________________
Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
Top
 Profilo  
 

Stellare
Stellare

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 12044
Iscritto il: 05/02/2012, 12:22
Località: Milano
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 21/12/2015, 14:42 
L'età dell'oro, l'Eden, l'Arcadia, l'era del Cinghiale Bianco, l'era dell'Acquario o come la volete chiamare è lì davanti ai nostri occhi, tangibile e realizzabile...

[:)]



_________________
Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
Top
 Profilo  
 

Stellare
Stellare

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 12044
Iscritto il: 05/02/2012, 12:22
Località: Milano
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 23/12/2015, 11:54 
Cambiamo le città e vivremo meglio

Il capitalismo delle rendite immobiliari prima e il neoliberismo dopo, hanno peggiorato le condizioni di vita nelle nostre città e favorito piani urbanistici speculativi che hanno costruito il degrado che osserviamo in diverse città. La deindustrializzazione e la delocalizzazione produttiva hanno innescato un lungo processo di cambiamenti sociali e ambientali. La nostra classe dirigente, anziché favorire programmi per trovare soluzioni e prevenire danni sociali e ambientali, ha scelto di ignorare tale fenomeno. Nonostante la stagione dei “programmi complessi”, le nostre città non offrono luoghi urbani adeguati ai cambiamenti sociali; per aggiustare le aree urbane ci vogliono interventi ben più corposi, poiché bisogna porre rimedio alle cattive espansioni urbanistiche cominciate sin dal secondo guerra. Mentre il paradigma dominate distrugge economie locali e il futuro di diverse generazioni di persone, l’inerzia del legislatore è criminogena.

Il territorio è la risorsa principale del Paese, noi dipendiamo dall’energia della campagna e dalle relazioni nelle aree urbane, ma la città è completamente ignorata e assurge all’attenzione dei media solo quando la natura si manifesta con calamità che recano morti e danni ai suoli antropizzati. Il crimine dell’indifferenza è tipico degli idiotes, soprattutto quando l’inerzia politica riguarda la risorsa che ci tiene in vita. Una priorità del genere non dovrebbe neanche essere oggetto di dubbi o discussioni, ma i nostri dipendenti, se fossero persone dotate di un banale buon senso, dovrebbero agire per conservare il nostro patrimonio, unico al mondo, senza fiatare. A questo fenomeno di deindustrializzazione la classe dirigente non ha voluto proporre nuovi paradigmi per governare il territorio e prevenire la disgregazione sociale che assistiamo. La recessione sta facendo abbassare i livelli della qualità di vita.

In quasi trent’anni, le città sono cambiate con una velocità inimmaginabile per i secoli passati. Questa velocità è direttamente proporzionale all’evoluzione del capitalismo che si sta sganciando dal lavoro. La degenerazione culturale dell’Occidente è favorita dall’informatizzazione piegata ai capricci del capitale, basti osservare il fenomeno dell’immorale mondo offshore collegato anche all’attività dei piani di riqualificazione urbana a debito, poiché così si nasconde la corruzione, mentre emergono e si diffondo prezzolati servi e adoratori d’internet.

Ovviamente internet è l’ennesima tecnica, e non rimane indifferente di fronte alle ingiustizie sociali e alla fame dei popoli, semplicemente le sfrutta poiché rispecchia il nichilismo dell’epoca moderna. Grazie alle giurisdizioni segrete e l’evoluzione dei sistemi informatici, il sistema bancario ha corrotto persino le mafie, e attrae i peggiori criminali del pianeta che possono compiere le proprie transazioni grazie a internet, e i Governi lo sanno benissimo. I politici preferiscono favorire l’industria del grande fratello – google e facebook – per raccogliere informazioni sugli stili di vita dei cittadini e sfruttarle per l’industria delle merci inutili, piuttosto che cancellare le giurisdizioni segrete e incriminare le banche che comprano e vendono armi.

Il contesto urbano e territoriale che ereditiamo è complesso, contraddittorio. Abbiamo tutte le principali città italiane – ben 26 – che sono in contrazione (perdita di abitanti) e le rendite hanno favorito la crescita della cosiddetta regione urbana, poiché hanno espulso i ceti meno abbienti dai principali centri urbani e si sono trasferiti nei comuni limitrofi. Questi abitanti usano e vivono un territorio più vasto della città, facendo crescere il volume degli spostamenti pendolari, che realizzati con mezzi privati aumentano l’inquinamento.

I piccoli e medi comuni sono cresciuti, deliberando piani urbanistici espansivi hanno consumato suolo agricolo. Nonostante i principali centri urbani siano stati coinvolti dal fenomeno della contrazione hanno approvato piani espansivi con la speranza di incassare soldi attraverso gli oneri di urbanizzazione contribuendo a consumare suolo agricolo. In questo contesto drammatico si intuisce che nessun comune italiano, ripeto, nessuno ha deliberato piani urbanistici rigenerativi secondo i paradigmi della bioeconomia. La rigenerazione urbana è auspicata da tutte le categorie professionali che si occupano di urbanistica ma viene proposta una tecnica che ricade nell’obsoleta cultura delle crescita (perequazione e premi volumetrici), anziché compiere un’evoluzione dettata dalla bioeconomia. Esempi di rigenerazione si trovano soprattutto nel mondo anglosassone che ha conservato una propria sovranità monetaria.

La letteratura straniera è molto vasta e mostra aspetti contraddittori poiché da un lato si sono favorite le rendite e dall’altro c’è stata una sensibilità a conservare le risorse naturali. Le tipologie insediative sono generalmente caratterizzate da tessuti urbani con densità che imitano la città classica europea. In Italia ci si è limitati, dove è stato possibile, a recuperare le aree industriali dismesse senza avere il coraggio di intervenire nei tessuti urbani esistenti e costruiti male dalla speculazione. Tutti gli urbanisti sanno bene che la soluzione del problema si trova nella proprietà dei suoli e nella rendita immobiliare, tutti sanno che la cosiddetta municipalizzazione dei suoli avrebbe ridotto i rischi della speculazione capitalista ma il legislatore italiano preferì favorire la lobby degli immobiliaristi. Ci sono proposte di riforma che auspicano la separazione fra la proprietà dei suoli e il diritto alla casa, all’alloggio. Separando il suolo dall’alloggio possiamo immaginare di scomporre e ricomporre parti di città per realizzare una corretta morfologia urbana.

E’ fondamentale che il disegno urbano si liberi di discipline negative come la finanza e la proprietà. Fatto ciò, bisogna portare l’urbanistica nell’alveo della bioeconomia poiché ci consente di misurare correttamente i flussi di energia e materia. In tal senso l’edilizia è ormai matura, un pò meno l’urbanistica, ma l’approccio della scuola territorialista che fa uso della bioeconomia riempie il vuoto culturale, anche se l’ambito d’intervento è quello territoriale vasto e non la città. L’unico ambito finora rimasto scoperto è quello che riguarda i piani regolatori generali in vigore e gli strumenti giuridici finanziari che valutano i piani. I criteri di valutazione, cioè gli indici finanziari ed economici non servono a nulla per giudicare la qualità progettuale, e pertanto le decisioni politiche sono condizionate da orientamenti fuorvianti e persino dannosi. E’ la qualità urbana e dei progetti che bisogna imparare a valutare ed è necessario sostenere criteri bioeconomici, di bellezza e di decoro.

E’ necessario partire da un approccio conservativo, partendo da analisi dirette, funzionali, morfologiche, percettive e bisogna avere l’ambizione e l’obiettivo di riportare la bellezza e il decoro nelle città. Dobbiamo abbattere le rendite immobiliari e di posizione, trasformare le leggi introducendo il concetto di bene nell’accezione bioeconomia per togliere dal mercato i valori del nostro patrimonio e poi favorire interventi di trasformazione urbana che hanno il coraggio e la virtù di aggiustare i tessuti urbani costruiti dalla speculazione. Secondo l’economia neoclassica tali trasformazioni che hanno il coraggio di recuperare standard, non sarebbero economicamente sostenibili ma attraverso l’aumento di carichi urbanistici, cioè speculando, potrebbero esser convenienti poiché si offrono al mercato le superfici che ricoprono i costi delle trasformazioni. Questa logica della crescita figlia dell’ossimoro sviluppo sostenibile è fallita anche nelle città, e contraddice il concetto stesso della rigenerazione.

Nel Novecento la città di Ulm tagliò la testa al mostro del capitalismo. L’Amministrazione acquistò i suoli per costruire alloggi e poi li cedette a prezzo di costo ai ceti meno abbienti; “a prezzo di costo“!!! Il Comune di Ulm non fece alcun profitto e agevolò persino le famiglie che non potevano pagare il prezzo di costo, vendendo gli alloggi a rate ma applicando un interesse del 3%. Quando esiste una volontà politica per aiutare le persone più povere, politici seri e civili prendono le giuste decisioni.

Le nostre città, cresciute dagli anni ’50 fino agli anni ’80, hanno costruito anche periferie orrende e anziché prendere le giuste decisioni e aiutare i più poveri, i politici hanno favorito le speculazioni e le rendite di posizione. Bisogna porre rimedio con soluzioni radicali e favorire la rigenerazione urbana bioeconomica che come l’esempio di Ulm ignora il profitto ma favorisce la tutela dei diritti e lo sviluppo umano. Il denaro è un mezzo, un banale strumento di misura, l’obiettivo è rigenerare le aree urbane favorendo nuova occupazione, rilocalizzando servizi e attività. Il punto di partenza sono i progetti secondo l’approccio bioeconomico cioè concentrarsi nelle zone omogenee B, cioè i tessuti urbani esistenti, e studiarli secondo “l’unità di vicinato” (cellula urbana), cioè verificare se sussistono le regole della corretta composizione e inserire le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, raggiungendo una maggiore qualità urbana, la bellezza e il decoro, e una sostenibilità duratura nel tempo.

Già negli anni ’70 a seguito del DM 1444/68, i Comuni furono costretti a deliberare piani per recuperare gli standard mancanti, ma il risultato in generale, fu che i consiglieri comunali non si schierarono contro le rendite e vinse il disegno urbano speculativo. Fortunatamente ci furono anche casi ove i Comuni progettarono un corretto equilibrio fra spazio pubblico e privato costruendo i servizi in maniera adeguata, ma ciò avvenne ove esisteva una corretta cultura urbanistica a tutela dell’interesse generale.

In questi anni 2000, le città hanno accelerato la propria crisi poiché il capitale si trasferisce nei Paesi emergenti e innesca la recessione che colpisce il potere d’acquisto dei lavoratori salariati. La soluzione alla recessione è sul piano dei nuovi paradigmi culturali col ripristino della sovranità monetaria. Per avviare questa transizione nelle nostre città, e anche nelle città europee, non servono le mance proposte dal Governo ma una seria riforma del sistema economico europeo. Bisogna cambiare i Trattati e le funzioni della BCE per uscire dall’economia del debito. L’aborto politico chiamato UE è un sistema idiotes che sta danneggiando i popoli e adotta un’agenda urbana fatta di indicazioni e buoni propositi sotto il profilo energetico ma culturalmente carente sotto il profilo urbanistico e territoriale.

Lo stesso Governo italiano manifesta una carenza culturale per governare il proprio territorio e i centri urbani, nonostante la creazione del Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane. I documenti pubblicati dalle agenzie istituzionali manifestano diverse carenze circa le forme urbane che si sono sviluppate e trasformate negli ultimi trent’anni. E le proposte legislative, come il DDL sulla riforma urbanistica, sono addirittura pericolose per la tutela del nostro patrimonio poiché lasciando intuire un certo incentivo per progetti criminali privati. Possiamo comprende che al di là della carenza culturale chi ha il potere di decidere preferisce favore un capitalismo da rapina piuttosto che applicare la Costituzione.

Dal punto di vista di una politica urbana seria e responsabile, è necessario ampliare i principi di tutela e conservazione ed estenderli a tutta la progettazione urbana, cioè fare l’opposto di quello fatto finora attraverso i piani espansivi per trasformarli in piani rigenerativi. E’ necessario incentivare il sistema dei parchi e ampliare gli ambiti territoriali circa la tutela della biodiversità, portando il concetto di “bio distretto” nelle aree urbane. Solo per l’Italia servirebbero circa 60 miliardi per intervenire e risolvere definitivamente problemi rimasti insoluti negli ultimi quarant’anni, questo solo nelle 26 città in contrazione.

Ovviamente bisogna fissare un orizzonte temporale, ad esempio 20 anni, e distribuire la programmazione economica per gli anni che fissano obiettivi intermedi e a lungo termine.

Quest’atteggiamento cambia la politica nazionale ed europea, cambia la visione e costruisce un presente e futuro fatto di prosperità poiché rigenerare i centri urbani per i prossimi 20 anni significa risolvere i problemi occupazionali, riequilibra il rapporto uomo e natura in quanto tutela l’ambiente e favorisce lo sviluppo umano.

La cifra di 60 miliardi è solo un’indicazione ricavata da scenari progettuali di rigenerazione, che tengono conto di una certa quantità demolizioni e ricostruzioni; arredo urbano; conservazione; ristrutturazione; riattamento; servizi (verde pubblico, scuola, teatro, biblioteca); sufficienza energetica e mobilità dolce. La cifra può giustamente variare rispetto ai singoli progetti, ma l’indicazione è utile a capire le dimensioni della programmazione economica che si discosta dai ridicoli spiccioli stanziati da una classe dirigente a dir poco, dannosa, inutile e immatura. E’ fondamentale che i cittadini stabiliscano la priorità di riprendersi le città, poiché sono la nostra casa. Bisogna farlo riportando l’architettura e l’urbanistica al centro della politica, come avvenne nel mondo classico della magna Grecia, nel Rinascimento e nell’Ottocento, e stabilire l’uscita dal becero consumismo sostituito dalla cultura e dalla bellezza.

https://peppecarpentieri.wordpress.com/ ... mo-meglio/



_________________
Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
Top
 Profilo  
 

Essere Interdimensionale
Essere Interdimensionale

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 7012
Iscritto il: 10/01/2009, 13:06
Località: Barletta
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 30/12/2015, 12:42 
Cita:
Reddito minimo: non solo Finlandia, da altro paese Ue 900 euro a tutti

OTTAWA (WSI) – In Italia se ne parla da tempo e in molte città europee comincia a farsi strada, portando con sé polemiche e discussioni molto accese. Parliamo del reddito minimo che dopo la Finlandia, con la proposta di un reddito minimo per tutti a 800 euro netti al mese e la Svizzera che ha indetto un referendum il prossimo anno per un reddito base da 2500 dollari a testa, che ora vede protagonista un altro esperimento: quello dell’Olanda.

Tali esperimenti, è bene dirlo, non rappresentano affatto una novità. Anzi è proprio il contrario. Tra i maggiori sostenitori, Thomas Paine, tra i padri fondatori degli Stati Uniti d’America, che disse che tutti hanno il diritto di condividere un contesto di prosperità generale. Paine riteneva che lo Stato avrebbe dovuto versare a favore di ogni cittadino un bonus, probabilmente al compimento del 21esimo anno di età.

In questo modo, a suo avviso, sarebbero state ridotte in modo considerevole le “distinzioni oltraggiose”, a suo dire, tra i ricchi e i poveri.

Ad Utrecht, cittadina dei Paesi bassi, con oltre 300mila abitanti, e altri 19 piccoli comuni il reddito minimo potrebbe diventare presto realtà. L’idea è inizialmente quella di erogare assegni da 660 sterline al mese, circa 900 euro. Ma non chiamatelo “basic income” tuonano i proponenti, visto che potrebbe portare l’opinione pubblica ad interpretarlo come un “contributo a pioggia” che infoltisce la schiera dei nullafacenti.

Il progetto di Utrecht è di lanciare un esperimento che, all’inizio, sarà applicato a piccoli gruppi; a seconda dei risultati, si deciderà se estendere il piano a tutti.

Si schierano due filoni opposti: da una parte i sostenitori, secondo cui il contributo permette a coloro che sono in cerca di un lavoro di poter valutare le varie possibilità professionali e così avere una maggiore soddisfazione che significa maggiore produttività per le aziende. Senza dimenticare lo snellimento nella macchina burocratica visto che, non dovendo verificare la sussistenza dei requisiti, gli assegni sarebbero erogati senza dover attendere troppo tempo o varie lungaggini. D’altra parte i detrattori, che puntano il dito contro l’idea del reddito minimo, che potrebbe significare un assegno in bianco, garantito dallo Stato, che rischierebbe di alimentare chi voglia di lavorare non ne ha.

Gli effetti dell’esperimento olandese saranno valutati dall’economista Loek Groot dell’Università di Utrecht.

E fuori dall’Europa? Il più grande sperimento del genere fu condotto in Nord America, precisamente in Canada a Dauphin, nella provincia di Manitoba, negli anni ’70 .

Per 4 anni gli abitanti più poveri ricevettero un assegno mensile. Gli effetti di quell’esperimento, chiamano “mincome”, sono stati spiegati da Evelyn Forget, esperta in scienze sociali, secondo cui sembra che in quel periodo gli effetti della povertà iniziarono a scomparire.

Chi ricevette il reddito minimo a Dauphin non fu meno motivato a lavorare rispetto a prima. In Canada la proposta del reddito minimo vide in primo piano sostenitori come Milton Friedman, economista statunitense e leader del partito conservatore canadese, e altri da Robert Stanfield a Hugh Segal.

E oggi il partito liberale canadese si è posto un nuovo impegno, ossia creare un reddito minimo annuo già nel 2016. Nella convention di Montreal del 2014, quando era appena terzo in Parlamento, il partito approvò la considdetta Policy Resolution 100, promettendo di creare un “Basic Annual Income” per risolvere i vari problemi di welfare e garantire una rete di sicurezza sociale a tutti. Ora, il nuovo governo a maggioranza liberale del premier Justin Trudeau ha l’occasione di trasformare quella promessa in realtà.

Un esperimento in tal senso è appoggiato da Joe Ceci, ex consigliere comunale di Calgary e ora ministro delle finanze di Alberta, provincia nel Nord Occidentale del Canada. Ceci avrebbe il sostegno dei sindaci delle sue più grandi città, Calgary e Edmonton, che si sono offerti di ospitare progetti pilota


http://www.wallstreetitalia.com/reddito ... o-a-tutti/


Top
 Profilo  
 

Stellare
Stellare

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 12044
Iscritto il: 05/02/2012, 12:22
Località: Milano
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 30/12/2015, 19:52 
Il Reddito minimo di cittadinanza è una buona cosa a mio parere. Per diverso tempo sono stato il primo sostenitore di un certo tipo di provvedimento, ma va considerato che comunque rimane una operazione da considerare all'interno di un sistema economico di scambio poiché quel reddito servirà al ricevente per scambiare beni e merci.

Meglio di niente e sicuramente meglio di morire di fare o indotti al suicidio... assolutamente.

Ma più potente del reddito di cittadinanza è per mia opinione la realizzazione di un sistema di transazioni economiche non più basate su scambio/baratto, ma sul concetto di dono.

Economia del dono
Anna Cossetta

Quando si deve fare un regalo, si corre nelle cattedrali del consumo, i grandi supermercati, gli outlet, i mall, oppure si scelgono le piccole nicchie, le botteghe artigiane, i negozi del commercio equo e solidale e così via. Si comprano dei doni. Ci si rivolge al mercato per esprimere un gesto d’amore.

In cosa consiste la differenza tra il dono e lo scambio? Cosa c’è di diverso dal comprare un dono e qualsiasi altra cosa?

È capitato a tutti, credo, di ricevere qualcosa che non ci si aspettava: un regalo troppo bello e costoso o un misero cucchiaio di legno da un possibile – forse - affascinante fidanzato.

Il dono lascia sempre interdetti e pieni di domande. Parla di noi, della relazione che nasce, esiste, si dipana e si svolge così, tra un dono e l’altro, tra un’attenzione e un’idea.

Il dono è un fatto essenziale, che tutti noi abbiamo incontrato, sul quale ci siamo scervellati, annoiati, stupiti, divertiti.

Eppure all’università del dono non si parla mai. E anche gli esami di economia (micro, macro, politica economica, econometria ecc.) non ne accennano.

Il dono non piace all’economia neoclassica perché scardina uno dei suoi principi essenziali: il dono non massimizza l’utilità individuale. Il dono non è individuale, ma relazionale, sempre.

Per capirci qualcosa bisogna cominciare con un autore che agli economisti del suo tempo non è stato mai molto simpatico: Karl Polanyi. Questo autore tanto affascinante ci ha permesso di riflettere su alcune cose: l’economia è dentro la società, non è un fatto individuale, ma è espressione del contesto nel quale viviamo.

L’economia è dunque il modo, mai del tutto scontato, attraverso il quale rispondiamo ai nostri bisogni e permettiamo alla società di riprodursi e trovare relazione (ancora) con l’ambiente circostante. Nella nostra epoca in genere troviamo risposta ai nostri bisogni attraverso lo scambio di mercato, questo è certo, ma al suo fianco si possono riconoscere anche altri modi (Polanyi li chiama “forme dell’integrazione): il dono è uno di queste. Non solo, forse il dono è stata proprio la prima, la più antica e seducente forma di scambio che l’uomo abbia conosciuto. Come ha dimostrato David Graeber e ne abbiamo già parlato qui l’economia non è nata dal baratto, né tantomeno dalla moneta: ben prima era nato il debito e la finanza. Prima ancora il dono.

In principio fu il dono oppure, per dirlo con Marcel Mauss che sul dono ha scritto il saggio più famoso e geniale, il dono è un fatto sociale totale: un aspetto della cultura che è in relazione con tutti gli altri.

Il dono è fatto di paradossi: è libero e al tempo stesso obbligatorio, interessato e disinteressato. E il dono non finisce con l’atto del donare, ma si esplica nella triplice azione del donare-ricevere-contraccambiare. Se facciamo un dono a qualcuno e questo non lo accetta si spezza questa catena, ma ancor più finisce, probabilmente, la nostra amicizia, la nostra relazione. Se invece il nostro dono viene accettato ci aspettiamo che – in qualche modo - verremo ricambiati, con un altro dono, chissà quale e quando; ma se verremo contraccambiati di sicuro si proseguirà in un’altalena mai in equilibrio e proprio per questo sempre sorprendente e avvincente.

Il dono dice sempre qualche cosa di noi e ogni volta che doniamo qualcosa non doniamo proprio solo quella cosa lì, ma un pezzetto di noi stessi.

Il dono è quindi un comportamento economico, ma è soprattutto un modo per esprimere il nostro bisogno di relazione, di comunicare quanto e come vogliamo contribuire alla costruzione, al mantenimento e al rafforzamento delle nostre reti relazionali. È così se pensiamo anche al cosiddetto “dono moderno”, vale a dire a quelle forme di doni che si possono effettuare anche tra sconosciuti, come il dono del sangue, il volontariato o la collaborazione nella costruzione di software open o free, oppure quando scriviamo o miglioriamo una voce su wikipedia e così via. Mettiamo a disposizione il nostro tempo, le nostre competenze, il nostro sangue, affinché la nostra società cresca, sia in salute e rimangano saldi i legami che ci costituiscono, anche se non sempre ce ne accorgiamo.

Recentemente, soprattutto dagli anni ’90 in poi, ma in modo ancor più significativo negli ultimi cinque anni, il dono è tornato ad essere un tema di grande interesse. Spesso tuttavia lo si è confuso con il baratto, che è uno scambio senza denaro, ma si comporta in modo simile allo scambio di mercato. È una transazione che comporta una maggiore capacità di relazione, ma non ha la stessa portata e la stessa necessità del donare-ricevere-contraccambiare. Si esprime nel mero dare e ridare. Non è una differenza da poco, se ci pensiamo.

Il baratto, e con esso altre forme di scambio non monetario, si diffondono nei momenti di crisi finanziaria, quando gli stati o le istituzioni preposte, non riescono a controllare o addirittura a emettere valuta. È successo tante volte, dalla Caduta dell’impero Romano, fino alle crisi finanziarie in Russia e Argentina. Le tasche vuote di denaro ci costringono ad inventare forme nuove (o forse antiche), creative, per rispondere ai nostri bisogni molto: swap party, monete alternative, couchsurfing, banche del tempo e così via. La cosiddetta sharing economy ha trovato la sua dimensione ideale nel Web: i costi sono bassi e le piattaforme ci consentono di condividere, scambiare e barattare in modo sempre più immediato e semplice.

Non si tratta di vere e proprie forme di dono, non sempre almeno, perché in alcuni di questi casi non stiamo davvero cercando una relazione o di ricostruire dei legami sociali. Si tratta però di scambi economici che si sottraggono al mercato benché ne riproducano i meccanismi, ma che, con estro e qualche volta genialità, ci fanno ri-apprezzare il piacere di risolvere i problemi quotidiani attraverso la condivisione e un “noi” ritrovato.

Immagine

http://www.doppiozero.com/materiali/che ... a-del-dono


Il concetto di dono nell'economia neoclassica è pari a una eresia che porta al rogo...

[}:)]



_________________
Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
Top
 Profilo  
 

Stellare
Stellare

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 12044
Iscritto il: 05/02/2012, 12:22
Località: Milano
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 01/01/2016, 16:50 
Come pensa la classe dominante

Dobbiamo comprendere che la grave situazione in cui viviamo non è una parentesi. Niente funzionerà più come prima del 2008. È probabile che stiamo entrando in un sistema forse anche peggiore del capitalismo, una sorta di economia della rapina, più simile al modo in cui funzionano le mafie del narcotraffico che ai modelli imprenditoriali che abbiamo conosciuto nella maggior parte del XX secolo. La crisi è stata provocata da los de arriba, quelli che stanno in alto, per continuare a restarvi, a essere classe dominante. Vogliono farlo a spese dell’umanità intera e sono disposti a creare anche un’ecatombe demografica pur di togliere di mezzo o far scomparire tutto quel che limita i loro poteri e intralcia i loro piani. A noi non resta altra strada che organizzare il nostro mondo nei nostri spazi/territori

Immagine

La crisi continua a rivelare tutto quello che nei periodi di normalità rimaneva celato. Anche i progetti strategici della classe dominante, il suo modo di vedere il mondo, la scommessa principale che fa per continuare a essere classe dominante. È questo, a grandi linee, il suo obiettivo centrale, quello al quale subordina tutto il resto, comprese le forme capitaliste di riproduzione dell’economia.

Si potrebbe pensare che la crisi sia appena una parentesi dopo la quale tutto continuerebbe, più o meno, come funzionava prima. Non è così. La crisi non è solo un rivelatore, ma il modo con il quale los de arriba, quelli che stanno in alto, stanno rimodellando il mondo. Perché la crisi è, in grande misura, provocata da loro per spostare o far scomparire ciò che limita i loro poteri. In sostanza, nel nostro continente (in senso generale l’América latina, ndt): i settori popolari, gli indigeni, i neri e i meticci.

D’altro canto, una crisi di questa portata (si tratta di un insieme di crisi che comprendono crisi/caos climatico, ambientale, sanitario e, quel che investe tutto, una crisi della civilizzazione occidentale) significa mutazioni più o meno profonde delle società, dei rapporti di forza e dei poli di potere nel mondo, in ogni regione e in ogni paese. Sembra necessario affrontare tre aspetti. Non esauriscono tutte le novità che presenta la crisi ma sono, a mio modo di vedere, quelli che possono maggiormente influenzare le strategie dei movimenti antisistemici.

Immagine

In primo luogo, ciò che chiamiamo economia ha sofferto cambiamenti di fondo. Un quadro elaborato dall’economista Pavlina Tcherneva, sulla base degli studi sulla disuguaglianza di Thomas Piketty, rivela come sta funzionando il sistema dagli anni Settanta, la situazione si è aggravata con la crisi del 2008.

Il quadro abbraccia sessanta anni dell’economia statunitense, dal 1949 a oggi. Descrive poi di quale parte della crescita delle entrate si impadronisce il 10 per cento più ricco della popolazione, e quanto spetta al 90 per cento restante. Negli anni Cinquanta, per esempio, il 10 per cento ricco si appropriava di una quota tra il 20 e il 25 per cento delle nuove entrate annuali. Così funziona un’economia capitalista “normale”, con un’appropriazione maggiore del frutto del lavoro umano da parte degli imprenditori, quel che Marx chiamò plusvalore. È l’accumulazione di capitale per riproduzione allargata.

A partire dal 1970 si produce un importante cambiamento che diventa ben visibile negli anni Ottanta: il 10 per cento ricco della popolazione comincia a impadronirsi dell’80 per cento della ricchezza e il 90 per cento rimane appena con il 20 per cento di quello che si genera ogni anno. Questo periodo corrisponde all’egemonia del capitale finanziario, quello che David Harvey ha chiamato “accumulazione per espropriazione” o spoliazione.

Qualcosa di straordinario avviene però a partire dal 2001. I ricchi si tengono tutte le nuove entrate e, dal 2008, arraffano anche una parte di quello che aveva il 90 per cento in termini di risparmi o beni. Come chiamiamo questo modo di accumulazione? È un sistema che non è più capace di riprodurre le relazioni capitaliste perché consiste nella rapina. Il capitalismo estrae plusvalore e accumula ricchezza (anche per espropriazione), ma lo fa espandendo le relazioni capitaliste, per questo impiega lavoro salariato e non lavoro schiavistico (devo queste riflessioni a Gustavo Esteva, che le ha formulate nei giorni della scuoletta zapatista e in successivi scambi di opinioni).

È probabile che stiamo entrando in un sistema forse anche peggiore del capitalismo, una sorta di economia della rapina, più simile al modo in cui funzionano le mafie del narcotraffico che ai modelli imprenditoriali che abbiamo conosciuto nella maggior parte del XX secolo. È probabile, inoltre, che questo non sia stato pianificato dalla classe dominante, ma che sia il frutto della smisurata ricerca di profitti avvenuta nel periodo finanziario e dell’accumulazione per espropriazione, (un processo, ndt) che ha fatto nascere una generazione di avvoltoi/lupi incapaci di produrre niente altro che distruzione e morte intorno a sé.

Immagine

In secondo luogo, il fatto che il sistema funzioni in questo modo fa sì che quelli in alto abbiano deciso di salvarsi a spese dell’intera umanità. In un qualche momento devono aver cancellato ogni sentimento nei confronti degli altri esseri umani e sono disposti a provocare un’ecatombe demografica, come suggerisce il quadro menzionato. Vogliono tutto.

Per questa ragione, la forma in cui sta funzionando il sistema è più appropriato definirla “quarta guerra mondiale” (come ha fatto il subcomandante insurgente Marcos) che “accumulazione per espropriazione”, perché l’obiettivo è l’umanità intera. Sembra che la classe dominante abbia deciso che con l’attuale grado di sviluppo tecnologico possa prescindere dal lavoro salariato che genera ricchezza, e che per i suoi prodotti non dipenda più dai consumatori poveri. Al di là del fatto che questo possa essere un delirio indotto dalla superbia, sembra evidente che quelli in alto non sono intenzionati a mettere ordine nel mondo secondo i loro vecchi interessi, bensì a creare regioni intere (e a volte continenti) dove regna il caos assoluto (come tende ad accadere in Medio Oriente) e altre di assoluta sicurezza (come in alcune zone degli Stati Uniti e dell’Europa, e nei quartieri ricchi di ogni paese).

Insomma, quelli in alto hanno rinunciato all’idea di “una” società, un’idea che viene sostituita dall’immagine del campo di concentramento.

In terzo luogo, questo ha enormi ripercussioni per la politica di quelli in basso. La democrazia è solo un’arma che si può scagliare contro i nemici geopolitici (iniziando da Russia e Cina) e che non si applica ai regimi amici (Arabia Saudita), ma non è più il sistema al quale una volta veniva concessa una qualche credibilità. La stesso vale per lo Stato-nazione, ormai solo un ostacolo da superare, come dimostrano gli attacchi in Siria che violano la sovranità nazionale.

Non ci rimane altra strada che organizzare il nostro mondo, nei nostri spazi/territori, con la nostra salute, la nostra educazione e la nostra autonomia alimentare. Con i nostri poteri per prendere decisioni e farle rispettare. Ossia, con nostre stesse istituzioni di autodifesa. Senza dipendere da quelle statali.

http://comune-info.net/2014/11/come-pen ... dominante/



_________________
Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
Top
 Profilo  
 

Stellare
Stellare

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 12044
Iscritto il: 05/02/2012, 12:22
Località: Milano
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 12/01/2016, 17:02 
"La società si è costruita con sue leggi che non sono la conseguenza delle leggi della biologia, sono le leggi dell'economia. La legge della biologia richiede la cooperazione, la legge dell'economia richiede la competizione; quindi, in questo senso, l'economia è intrinsecamente un fatto patologico."

Guarda su youtube.com



_________________
Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
Top
 Profilo  
 

Stellare
Stellare

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 12044
Iscritto il: 05/02/2012, 12:22
Località: Milano
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 13/01/2016, 10:44 
Esempi di "Decrescita felice" e di "Economia del dono"

Siamo contadini, amiamo la terra
http://comune-info.net/2016/01/siamo-co ... -la-terra/

L’ospitalità gratuita in Italia
http://comune-info.net/2014/04/ospitalita/



_________________
Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
Top
 Profilo  
 

Stellare
Stellare

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 12044
Iscritto il: 05/02/2012, 12:22
Località: Milano
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 16/01/2016, 13:29 
Dissacrare il progresso
di Theodor Shanin*

Demistificazioni

Ivan Illich fu un maestro dissacratore della contemporaneità e dei suoi miti della ‘modernità’, della ‘scientificità’ e del progresso, come pure degli ‘esperti’ professionali che ne sono i principali creatori e riproduttori. I suoi principali ‘strumenti’ di demistificazione (per usare la sua analogia preferita) consistevano nell’affrontare e nello smascherare le trappole semantiche, nell’analizzare le contro-produttività che derivano dai ‘saperi esperti’ e nell’articolare paragoni a livello storico e inter-sociale, per mettere a nudo le nozioni usuali che vengono ritenute evidenti. Aveva una capacità particolare di sorprendere, rifiutando di dare le ovvietà per scontate. L’orientamento etico e la sensibilità estetica che lo guidarono nella vita collegano tutti questi strumenti in una coerente cosmovisione personale.

I bersagli principali delle demistificazioni di Illich erano le ‘confusioni cognitive’ provocate dalle parole ‘ameba’, per utilizzare anche qui una delle sue espressioni preferite. Parole ‘ameba’ sono le parole senza forma, ‘per tutte le circostanze’, parole ‘plastiche’, senza un contenuto, un contesto o dei limiti chiaramente definiti. Nascondono nozioni senza senso e non designano nulla di preciso.

Immagine

Molte volte la loro plasticità non è neutrale né accidentale, ma è al servizio degli interessi di governanti, ideologi ed ‘esperti’, cioè di coloro che le utilizzano per generare miti. L’uso contemporaneo della parola ‘terrorismo’ da parte dei governi e dei media può servire come esempio di parola ameba: non viene mai definita con precisione ed include liste mutevoli di ‘nemici’, ma esclude sempre i ‘migliori amici del presidente’, servendo così a coloro che hanno interesse ad evitare che si capisca qualcosa di preciso. Gli esperti, e in particolare quelli che lavorano per il governo, sono soliti produrre immagini di una realtà auto-evidente, modi comuni di vedere e parametri di analisi che appaiono come cortine impermeabili a una visione critica o alternativa. Questo non deve essere inteso in maniera semplicistica. Come la ‘scienza normale’ di Thomas Kuhn, le parole plastiche contengono elementi reali ma racchiudono anche potenti ‘mitologemi’ che inducono visioni molto particolari e impongono le domande ‘corrette’ che la gente educata deve porsi e di cui deve ritenersi soddisfatta. Il loro monopolio dell’auto-evidenza e delle linee di indagine da seguire fa sì che i principali aspetti della realtà restino inesplorati, negati o perfino ignorati.

Un modo per demistificare tali visioni ‘esperte’ fu, per Illich, l’analisi impietosa delle strutture concettuali e semantiche soggiacenti a nozioni che non vengono prese in esame per il semplice fatto di apparire evidenti. Questo significava indagare con molta attenzione i linguaggi intellettuali che producono miti e falsità. Significava anche tornare alle radici e alla fenomenologia dell’uso delle parole, analizzando i linguaggi, gli ambienti e le istituzioni degli esperti. Significava esplorare la società in generale, le sue dinamiche e il suo impatto sulla cognizione e sulla percezione – una sociologia realista della conoscenza.

L’analisi storica rivelò diversi livelli di significato dentro le parole che usiamo. Illich prestò una particolare attenzione alle forme pre-alfabetizzate del parlare, messe a confronto con i linguaggi formalizzati e ‘sottoposti a regole’ da ‘letterati’ esperti. Una volta che sono state formalizzate e generalizzate, le parole vernacolari perdono il loro contenuto specifico e denso, legato alla realtà che evocano o significano. La divergenza che si crea come risultato di tale generalizzazione contribuisce al prodursi della manipolazione delle parole. Anche in questo caso, Illich non offre una semplificazione: non propone di preferire la lingua vernacolare a quella formalizzata. Si limita ad introdurre una comprensione più approfondita delle tensioni esistenti fra l’esperienza, le sue espressioni dirette e le parole che effettivamente usiamo.

Immagine

L’analisi delle forme con le quali le comunità di esperti stabiliscono e utilizzano le strutture attuali della comprensione e del fraintendimento costituì per Illich un modo di andare al di là degli ‘specchi deformanti’ della percezione sociale. Studiava ad esempio le distorsioni cognitive della realtà come risultato dell’uso ingenuo delle generalizzazioni statistiche (principale linguaggio burocratico dei nostri tempi) e il conseguente appiattimento unidimensionale della realtà umana. Indagava anche gli effetti dell’imposizione di presupposti assiomatici e di modelli di scarsità universale nello studio accademico dell’economia, e il modo in cui le semplificazioni iniziali si trasformano in mostri astorici che distruggono la comprensione della realtà a vantaggio del modello universale. In questo senso parlava dell’arroganza e della «violenza sociale del linguaggio burocratico» nell’affrontare esperienze sociali e personali che non possono essere inquadrate dentro le costruzioni mentali degli esperti e dei politici.

Illich non trascurò la sfida delle parole ‘ameba’ a livello semantico. Una parte fondamentale del suo pensiero era indirizzata alla critica dei percorsi di industrializzazione e di mercantilizzazione della società, strettamente legati alle ideologie della modernizzazione. Si oppose instancabilmente alla polarizzazione crescente fra la minoranza ricca e le maggioranze povere della razza umana. Non era un utopista. Non pensava che il mondo pre-industrializzato fosse ideale né che i processi di industrializzazione e globalizzazione fossero semplicemente e totalmente ‘sbagliati’. Era un realista che non cercava semplicemente di accettare o di rifiutare, ma voleva scoprire un’immagine del passato e del presente più reale, più complessa e più contraddittoria.

Non accettava nemmeno i nuovi miti del postmodernismo. La sua attenzione si concentrava sull’«immaginazione morale e politica a rischio di estinzione» – sull’intorpidimento della vitalità e dello spirito creativo e critico delle menti, causato dall’attività di esperti che si dedicano alla produzione di significati ed alla formazione culturale della gente. Le sue demistificazioni non sfociarono in spazi vuoti privi di significato, ma in uno sforzo tangibile per una comprensione alternativa degli esseri umani, delle società e delle loro storie reali.

In breve, tutti questi temi acquistano un significato ancora più profondo nell’ambito della filosofia umana, dove si intrecciano questioni di realtà e di libertà. Noam Chomsky ha descritto così la specificità degli esseri umani: Gli esseri umani sono fondamentalmente diversi da tutto il resto che c’è nel mondo fisico. Gli altri organismi sono macchine. Quando i loro componenti sono regolati secondo una certa configurazione e sono posti in un certo ambiente, ciò che fanno è completamente determinato (o forse in parte soggetto al caso). Invece gli esseri umani in queste situazioni non sono ‘obbligati’ a comportarsi in un determinato modo, ma sono semplicemente ‘indotti o orientati’ a fare una certa cosa. Questo comportamento può essere prevedibile, nel senso che tendono a fare quello che sono indotti o orientati a fare; tuttavia sono liberi, in modo singolare, perché non sono obbligati a farlo.

Comprendere questo in profondità, significa contestare gli utilizzi burocratici, assolutistici e grossolani delle statistiche generalizzanti e delle supposizioni arroganti che molte volte stanno dietro al necessario carattere convenzionale di tutti gli esseri umani, una demistificazione assai importante.

Questa visione dell’eccezionale libertà delle persone si colloca nel cuore del metodo etico e analitico di Illich. Si deve ricordare che un cambiamento autocritico fondamentale dei suoi punti di vista fu il rifiuto del modello cibernetico degli esseri umani che aveva utilizzato per un certo tempo. Man mano che avanzava nei suoi studi, approfondì la sua visione specificamente umanistica della realtà.

Illich usò abbondantemente l’analisi comparativa per la demistificazione degli strumenti. La sua esperienza di vita, il suo iter accademico e il suo lavoro in America Latina gli fornirono una grande conoscenza del cosiddetto Terzo Mondo, con i suoi sistemi culturali, distinti e paralleli rispetto a quelli dell’Occidente. Li studiava e li conosceva abbastanza bene, rifiutandosi di scambiare le ‘teorie del progresso’ con la vita reale che andava scoprendo in essi. Conobbe inoltre a fondo la maniera in cui la visione globalizzatrice del mondo, che prevede che si segua un cammino presentato come l’unico possibile (considerato sia necessario che benefico per tutti, almeno a lungo termine), opera come una falsificazione ideologica utile ai potenti. Comprendere il mondo significa conoscere la sua diversità, la sua forza motrice e le disuguaglianze quantitative e qualitative in entrambi gli aspetti.

Illich usò molto efficacemente un metodo di confronto poco convenzionale. Era un medievalista insigne e riconosciuto, con un particolare interesse per i secoli XII e XIII in Europa. La sua conoscenza del mondo europeo alla fine del medioevo, della lingua franca latina e della storia della Chiesa, gli permisero di fornire contributi molto importanti alla comprensione di quell’epoca, sfidando la versione deformante che la descriveva come una ‘età oscura’ e dimostrando la misura in cui la rivoluzione culturale e semantica dei secoli XII e XIII costituì il fondamento dei principi delle scienze moderne nel XVI secolo. Il passato gli offrì importanti linee di confronto che gli permisero di vedere il mondo del pensiero nei suoi ritmi di sviluppo e nelle sue continue fratture. Illich era solito parlare dei suoi lavori come di una ‘archeologia del pensiero’ – un modo per recuperare ed utilizzare la comprensione del passato come strumento per comprendere meglio il presente. La sua analisi degli effetti dei modelli e delle forme dell’alfabetizzazione su quelli del pensiero sono un buon esempio di ciò.

L’analisi di Illich prestò attenzione alla molteplicità delle forme dell’esistenza umana. Non perse mai la sensibilità ai vincoli di base della catena sociale: la persona, il ‘gruppo primario’ di interazione umana diretta e la società più ampia. La questione centrale di quello che si doveva prendere in considerazione era, per lui, «il modo in cui le cose si relazionano», che in una delle sue prime opere definì come ‘cultura’. A tale scopo era di particolare importanza prendere atto e comprendere l’esistenza simultanea di forme e sistemi diversi del vivere umano. Illich si spinse ancora più oltre nell’analisi di quelli che chiamò i «sensi archeologici» – il modo in cui hanno preso forma le caratteristiche fondamentali della soggettività degli esseri umani.

La terza categoria degli strumenti di demistificazione usati da Illich era la sua capacità di sorprendere. Amici e studenti riconoscevano la sua abilità nel cogliere lampi inattesi, nascosti dietro all’evidenza. Nel suo straordinario lavoro di filosofo e maestro risaltava questa grande capacità, collegata ad una impressionante abilità creatrice. Questi erano i momenti più emozionanti del lavoro e della discussione con lui, particolarmente per coloro che reagivano senza timore di fronte a qualcosa di originale e di poco ortodosso. Per questa ragione anche quelli che si dichiaravano in disaccordo con Illich impararono molto da lui.

Questa capacità di sorprendere risultò straordinaria per scoprire quello che gli ‘esperti’ non avevano visto.

* Theodor Shanin, sociologo lituano, docente universitario a Manchester e a Mosca, è noto per le sue ricerche sul mondo contadino. I suoi studi sopra l’ultima decade di Marx, realizzati negli anni’80, hanno aperto una nuova linea di riflessione sull’opera di Marx.

http://comune-info.net/2015/01/progresso-illich/



_________________
Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
Top
 Profilo  
 

Stellare
Stellare

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 12044
Iscritto il: 05/02/2012, 12:22
Località: Milano
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 18/01/2016, 13:21 
Il ribaltamento del senso della nota fiaba della cicala e della formica come metafora del ribaltamento del paradigma socio-economico mondiale...

La cicala e la formica: una versione del terzo millennio

Immagine

Una piccola cicala aveva appena fatto la sua muta, non con poche difficoltà, e già stava volteggiando per aria. Aveva tanto atteso quel momento ed era felice di esservi finalmente giunta.

Adesso si esibiva in piroette e volteggi, libera, felice, eccitata. Era una calda estate e il sole brillava alto in un cielo azzurro e limpido. La cicala allegra e un po’ stanca si posò su di un ramo e iniziò a cantare, liberando tutta la sua energia in un fragoroso suono.

Sotto di lei una lunga fila di formiche lavorava senza sosta, trasportando per metri e metri una gran quantità di semi e chicchi di grano.
“La smetti di gracchiare in quel modo!!” protestò una formica gridando “ci stai disturbando, noi stiamo lavorando!”

“Scusate, non credevo di dare fastidio” disse con sorpresa la cicala “ perché non venite anche voi qua al sole e vi riposate un po’? possiamo cantare insieme”

“Cantare??” disse la formica che intanto si era staccata dalla fila “non abbiamo tempo per cantare noi, dobbiamo lavorare, altrimenti non sopravvivremo all’inverno”

“Ma avete tempo per lavorare, non potete fare neanche una breve sosta?”

“Sei matto? Se cominciamo a fermarci, nessuno vorrà più riprendere a lavorare e sarà la fine per noi tutte. Te piuttosto, perché non lavori mai e sei sempre a cantare al sole?”

“Non ho bisogno di lavorare, almeno non più di qualche ora al giorno. Riesco a trovare cibo a sufficienza senza dover lavorare troppo. E poi si sta così bene al sole adesso”

“Bello sì, ma come farai a sopravvivere all’inverno? In inverno non troverai cibo tanto facilmente”

“Sì, è vero, ma morirò prima dell’inverno” disse la cicala mantenendo la sua allegrezza.

“Morirai?! Come fai a saperlo con certezza? E perché lo dici con tanta allegria?” fece la formica assolutamente scossa.

“Noi cicale viviamo la maggior parte della nostra vita sotto terra, al caldo e al sicuro. Ma dopo anni e anni emergiamo dalla terra e cambiamo muta”

“Muta? Cioè?”

“Ci trasformiamo, cambiamo la nostra corazza, mutiamo d’aspetto. Ci evolviamo in vere e proprie cicale, come tu mi vedi adesso, con le ali per volare e cantare”

“Ah, sì? Non lo sapevo” disse la formica con vivo interesse.

Nel frattempo la formichina non si era accorta di aver trascurato così a lungo il suo lavoro, e che le altre formiche, che sgobbavano con fatica portando grossi pesi, si stavano insospettendo della sua pausa non prevista e cominciavano a guardarla con rabbia e rancore.

“Ehi tu! Che ne dici di riprendere a lavorare, eh! Noi non fatichiamo per te!” protestò qualcuno dalla fila. Ma la formichina era adesso completamente assorta nell’ascoltare la cicala.

“Quando stiamo sotto terra non siamo così belle ed eleganti, perciò aspettiamo tanto, per poi cantare al sole e innamorarci alla follia”

“Innamorarci?”

“Sì, certo!” disse la cicala “noi cantiamo per il piacere di cantare, ma anche perché ci innamoriamo e così celebriamo il nostro amore con un’altra cicala”
“Davvero?” si sorprese la formica “io avevo sempre pensato che voi cantavate solo per disturbare gli altri, solo per un vostro dispetto impertinente”
“No no, ci mancherebbe altro. Ma voi formiche non cantate quando siete innamorate?”

“Eh, non proprio direi. Nessuno di noi ha il tempo né la testa per mettersi a cantare o a pensare a cose tanto frivole come il cantare”

“E come fate ad innamorarvi senza cantare?”

“Bé, noi ci innamoriamo … non so, direi che dipende dalla riserva di cibo che abbiamo accantonato. Se è sufficientemente grande allora faremo una famiglia, altrimenti nessuno ci vorrà e resteremo sole per tutta la vita”

“Davvero? Per tutta la vita? Per questo dovete lavorare tanto?”

“Eh sì. Per questo … ma non solo per questo”

“E per cosa?”

“Per avere tempo libero quando saremo vecchie e dovremo riposarci, perché noi non moriamo come te prima che arrivi l’inverno, possiamo sopravvivere anche fino all’inverno successivo. Soprattutto quelli che hanno accumulato grandi scorte possono sopravvivere di più”

“Capisco. Perciò chi non ha grosse scorte non si potrà innamorare e non potrà neanche sopravvivere all’inverno”

“Esatto. Per questo siamo così indaffarate, capisci?”

“Capisco, sì. Soltanto non mi è chiaro come sia possibile che dobbiate lavorare così tanto, perché abbiate bisogno di così tante scorte. Non è sufficiente lavorare qualche ora al giorno ed avere scorte soddisfacenti per il resto dell’anno, per fare famiglia e per la vecchiaia?”

“Mmh, no. Non credo proprio. Almeno, in linea teorica forse sì, ma …”

“Che significa in linea teorica??”

“Perché quello della raccolta dei semi non è l’unico lavoro che facciamo. In più dobbiamo lavorare sodo per espandere il formicaio. Siamo in continua crescita, e poi le formiche che hanno più semi hanno bisogno di sempre più spazio per immagazzinarlo”

“Continua crescita? Vuoi dire che la vostra crescita non finisce mai?”

“No, non finisce mai. Perché siamo sempre di più e molte formiche hanno la mania di costruire magazzini per semi sempre più grandi, per accumulare sempre più semi”

“Ma a cosa servono questi semi? Pensavo che servissero per mangiare”

“Sì, ma non solo. Tutto nel formicaio è deciso in base ai semi che uno ha e che riesce ad accumulare: chi ha più semi ha diritto a prendere le decisioni importanti e a utilizzare gli altri per i propri scopi”

“Utilizzare gli altri?”

“Sì, vedi le formiche con più semi pagano altre formiche più sfortunate perché lavorino per loro, così accumulano ancora più semi, capisci?” disse infine la formica vedendo la cicala perplessa.

“Capisco, sì. Ma non ne vedo il senso. In questo modo alcune formiche avranno sempre più semi mentre altre sempre meno”

“Ma da voi cicale non è così che funziona?”

“Non direi. Noi non accumuliamo niente se non lo stretto indispensabile per pochi giorni. Viviamo di quello che ci offre la terra e gli alberi. E se qualcuno è in difficoltà lo aiutiamo come possiamo. Nessuno è costretto a lavorare tutti i giorni per tutta la sua vita”

“Davvero?” disse la formica sempre più curiosa delle parole della cicala “e funziona?”

“Sì, direi di sì. Ha sempre funzionato così da noi, e nessuno ha mai pensato di cambiare”

“E cosa fate invece di lavorare?”

“Cosa facciamo?” si chiese la cicala stupita della domanda

“Tante cose, viviamo. Camminiamo, esploriamo, parliamo con altri animali, voliamo, mangiamo, cantiamo e ci innamoriamo perdutamente”

“Sembra davvero una bellissima vita la vostra” fece la formica, pensierosa
“Direi di sì”

“Ma dicevi che morirai prima dell’inverno, perché mai dovresti?”

“Perché è nella nostra natura. Viviamo nel sottosuolo, cresciamo, ci facciamo forti e robuste, poi emergiamo dalla terra e ci trasformiamo in bellissime cicale dalle lunghe ali. Cantiamo e ci innamoriamo alla luce del sole estivo. Cantiamo e facciamo l’amore per tutta l’estate e poi subito prima che giunga l’inverno, lasciamo al mondo i nostri piccoli e moriamo in pace, felici”

La formichina era completamente assorta e assorbita da ogni parola della cicala. D’un tratto un gruppetto di formiche si avvicinò ai due con fare minaccioso. Una delle formiche più grandi, che pareva essere il capo, disse con tono severo e rigido:

“Ehi tu! Cosa credi di fare? Pensi poter riposare quando vuoi?”

“No signore. Stavo solo parlando … “

“Lo vedo” lo interruppe perentorio il capo formica “simpatizzi con quelle scansafatiche, inette, lavative delle cicale. Forse sei come loro anche tu?”

“Bé, veramente loro non sono esattamente come dice lei …”

“Cosa?” tuonò il capo formica “Osi contraddirmi? Vuoi dire che le cicale non sono pigre, scansafatiche, delle buone a nulla?”

“Io … “ la povera formica si guardò attorno titubante, si soffermò sugli occhi della cicala, che sorrideva, di un sorriso sottile ma radioso.

“Ebbene” disse il capo formica con ancora più vigore nella sua voce “vorresti dirmi?”

“Niente” disse la formichina abbassando la testa.

“Bene, allora torna subito in fila a lavorare con le altre, e niente più soste o scambi di opinione con questi esseri sottosviluppati”

La formichina stava riprendendo il suo carico di semi per riunirsi alla fila, quando un bagliore attraversò i suoi occhi e la sua bocca si allargò in un bellissimo sorriso. Aveva deciso. Lasciò andare il suo carico di semi, si arrampicò svelta lungo il tronco dell’albero e raggiunse la cicala sul ramo. Subito il capo formica gridò:

“Fai un altro passo e sarai esiliata per sempre dal formicaio, morirai di fame e di stenti in men che non si dica”
Intanto tutte le altre formiche, che lì vicino stavano lavorando in fila, si voltarono ad osservare quella scena bizzarra. La formica si avvicinò alla cicala e l’abbracciò con calore.

“Grazie cicala”

“E di cosa?”

“Grazie per avermi aperto gli occhi sulla nostra situazione, da oggi cambierò il mio modo di vivere. Penserò a vivere e non ad accumulare cose che non mi serviranno”

“Ma ti cacceranno dal formicaio, non potrai più tornarci, come farai?”

“Non so. Troverò la mia strada e le cose forse un giorno saranno diverse per tutte le formiche”

E si abbracciarono nel caos generale. Il capo formica quel giorno dovette urlare e usare minacce per far tornare a lavorare tutte le altre formiche.
Da quel giorno formica e cicale divennero vere amiche. E quella amicizia fu l’alba di una nuova vita per tutte le formiche del formicaio. Col tempo abbandonarono una vita dedicata al lavoro e all’accumulo di oggetti, per vivere pienamente le loro vite in serenità e leggerezza.

http://creazionedivalore.blogspot.ch/20 ... e-del.html



_________________
Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
Top
 Profilo  
 

Stellare
Stellare

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 12044
Iscritto il: 05/02/2012, 12:22
Località: Milano
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 24/01/2016, 14:29 
DECRESCITA : 7 COSE DA SAPERE PER COMPRENDERLA DAVVERO
(Dal sito dolcevitaonline.it)

LA DESCRESCITA È IL RITORNO ALL’ETÀ DELLA PIETRA?

No, la decrescita rappresenta la messa in discussione dei presupposti teorici insostenibili del consumismo, del capitalismo e della tecnologia. Ma non prevede l’eliminazione degli oggetti propri della modernità. Vivere la decrescita non significa rinunciare del tutto ad auto e aereo, ma certamente significa limitarne l’utilizzo allo stretto necessario.

Allo stesso modo non significa tornare all’epoca dell’aratura manuale dei campi, ma prevede un’agricoltura rispettosa dei cicli e dei ritmi della natura, degli ecosistemi e di tutto il vivente. Non significa rifiutare la tecnologia, ma prevede che le invenzioni siano guidate da uno spirito di servizio verso la Terra. Accorgimenti che partono dall’assunzione di responsabilità di fronte alle gravi emergenze del nostro tempo.

Non possiamo continuare a promuovere modelli tecnologici, economici ed etici che risultano aggressivi e devastanti nei riguardi della Terra, per questo vi è l’esigenza di radicali cambiamenti nel modo di produrre e di vivere: questo è il primo assunto teorico della decrescita.

DECRESCITA SIGNIFICA PROIBIRE LO SFRUTTAMENTO DI OGNI RISORSA NATURALE?

Certamente dovrebbero cessare al più presto tutti quei metodi di estrazione che danneggiano l’ambiente (come il fracking, le miniere a cielo aperto, ecc.), così come lo sfruttamento di materie prime che alimentano le guerre (coltan, diamanti, ecc.) e di quelle che richiedono troppa acqua per il processo di pulizia. Per tutte le altre risorse non rinnovabili (petrolio e gas in primis) occorrerebbe limitare lo sfruttamento in quantità al di sotto delle capacità di rigenerazione del bene stesso. L’obiettivo di fondo, nel quale andrebbe coinvolta la ricerca scientifica, deve essere quello di convertire al più presto tutta l’industria energetica alle fonti rinnovabili e pulite.

Dovrebbe quindi essere avviato in tempi stretti un processo di mutamento in cui prevalgano obiettivi di salvaguardia e conservazione, mentre le limitazioni e i divieti sarebbero ispirati in larga misura a criteri di ridimensionamento delle produzioni in funzione di consumi concentrati sui bisogni essenziali e sulla soddisfazione di esigenze che saranno espresse rispettando la volontà delle popolazioni locali.

QUALE RUOLO AVREBBERO LA TECNOLOGIA E L’INDUSTRIA?

Così come l’industria energetica, e tutta la produzione in generale, anche la tecnologia deve essere liberata dai condizionamenti del potere economico e messa al servizio del benessere della collettività e del pianeta.

Il paradigma che guida attualmente la nostra società, e che è a base del sistema produttivo liberista, ritiene che la tecnica sia in grado di risolvere ogni problema, sociale, ambientale o sanitario, in un ambiente dove energia e materie prime sono ritenute sempre disponibili, praticamente infinite. Si tratta di una visione sbagliata ed immotivatamente ottimistica, come dimostrano i dati sul disastro ambientale in atto e sulla scorretta distribuzione delle risorse.

É necessario, quindi, un nuovo paradigma scientifico, coerente con la prospettiva della decrescita, che sviluppi tecnologie appropriate e condivise dalla collettività. Scienza, industria e ricerca devono essere poste al servizio della collettività, e guidate dal principio della ricerca del bene comune.

Una società della decrescita non potrà delegare a tecnocrati o centri di potere economico quali ricerche svolgere e soprattutto non potrà affidare a valutazioni solo scientifiche il proprio presente e il proprio futuro, con la consapevolezza che scienza e tecnologia non possono risolvere limiti naturali, come l’esaurimento delle risorse, ma solo rispondere a domande sociali.

L’ATTUALE CRISI ECONOMICA È UN ESEMPIO DI DECRESCITA?

No, la recessione selvaggia in atto non va confusa con la decrescita scelta e selettiva.

I processi di decrescita non vanno confusi con le politiche di austerità messe in atto dai governi e che sono un modo arrendevole di adattamento alla crisi e nemmeno con politiche neo-keynesiane (di sostegno pubblico all’economia di mercato) che servono solo ad attutire e dilazionare le conseguenze della crisi senza affrontare le sue ragioni profonde e strutturali.

La decrescita invece comporta un completo cambiamento di modelli, un nuovo paradigma, un salto storico nelle relazioni e nelle logiche sociali, per un motivo molto semplice: le analisi formulate sullo “sviluppo”, hanno portato i teorici della decrescita a convincersi che è l’intero sistema dominante di tipo capitalistico che deve essere sostituito, poiché i danni arrecati al pianeta e alle popolazioni più deboli non possono essere modificati dall’attuale sistema economico e sociale.

Il sistema dominante ha superato i limiti di sopravvivenza della biosfera, ha trasformato il clima e sta alterando le condizioni di sopravvivenza delle specie viventi (non solo di quella umana), il tutto dimostrando di non essere nemmeno in grado di garantire un’esistenza dignitosa a tutti gli abitanti del pianeta.

COME SI PONE LA DECRESCITA DI FRONTE AL BISOGNO DI SVILUPPO DEI PAESI POVERI?

Quel che spesso si chiede ai fautori delle decrescita è: “Ma cosa vorreste far decrescere ai paesi poveri? E ai tanti che anche nei paesi industrializzati vivono sotto la soglia di povertà?”. Si tratta di domande che però partono da un fraintendimento di fondo. La decrescita non è sinonimo di diminuzione dei beni e dei servizi necessari al benessere delle persone. La decrescita al contrario si propone di aumentare l’accesso ai beni primari, liberandoli dal giogo del denaro e del libero mercato che, invece, ne negano l’accesso a buona parte degli abitanti del pianeta.

Secondo la teoria della decrescita, è solo fuoriuscendo dal dominio del capitalismo che è possibile “lasciare in loco”, a disposizione delle popolazioni locali, le immense risorse del Sud del mondo. La decrescita prevede l’abbattimento di tutte le logiche di sfruttamento neo-coloniale che affamano il sud del mondo: stop alle coltivazioni orientate solo all’esportazione nei paesi ricchi, all’uso di sostanze chimiche volte a massimizzare la produzione ma che distruggono l’habitat, ai fenomeni del land-grabbing e alle logiche dell’assistenza della cooperazione internazionale. Da questa rivoluzione può cominciare il riscatto dei paesi poveri, i quali potranno finalmente produrre, vivere e lavorare per la propria sussistenza.

CON LA DECRESCITA DIMINUIRÀ ULTERIORMENTE L’OCCUPAZIONE?

Ovviamente non è semplice convincere chi ha perso il lavoro, o si trova in condizione di ristrettezza economica a diventare un paladino della decrescita. “Già siamo messi male, se diminuisce pure la produzione industriale come troverò mai un lavoro?” potrebbe essere la risposta tipo. Eppure la decrescita sarebbe inaspettatamente utile proprio per chi si trova in queste posizioni. Proprio dalla liberazione della produzione dalle logiche dell’arricchimento di grandi imprenditori e multinazionali può infatti passare la creazione di nuovi posti di lavoro: specie per quanto riguarda l’agricoltura.

Tornare ad una produzione alimentare su piccola scala, sostenibile, e finalmente slegata dalle logiche dell’industria e dalla tecnica delle enormi monocolture, produrrebbe un grande numero di posti di lavoro per piccoli produttori di materie prime più buone, sane e sostenibili.

Inoltre, per chi un lavoro lo ha già, il passaggio verso un modello di produzione liberato dalle logiche del capitalismo dovrebbe permettere sia di ridurre le ore lavorate per persona (aumentando tempo libero e qualità della vita), sia di concentrare la produzione su beni e servizi realmente utili, pur mantenendo retribuzioni sufficienti alla soddisfazione dei bisogni non appagabili altrimenti (tramite l’autoproduzione).

QUALE AUTORITÀ DOVREBBE GOVERNARE LA DECRESCITA?

Una società della decrescita deve essere guidata dal senso del limite, del bastevole. Questa è l’assunto di base per permettere a tutti di avere risorse sufficienti alla propria vita, senza però negarne agli altri e senza gravare eccessivamente sul pianeta e sulle risorse a disposizione delle generazioni a venire. Ma chi può stabilire questo senso del limite?

Un tempo, nell’epoca pre-industriale, ci pensavano le religioni, o i regimi assolutistici, oggi l’unica soluzione può, e deve, essere laica e democratica. Secondo il progetto politico della decrescita consapevole una trasformazione socioeconomica profonda può avverarsi solo partendo dalla presa di coscienza di ciascun individuo per diventare un movimento di popolo. La decrescita si sostanza in innumerevoli micropratiche di cittadinanza attiva che quotidianamente sperimenta modi di produzione sociale, senza fini di lucro, di beni e servizi utili per sé e per gli altri.

La società della decrescita, che ha come obiettivo quello di raggiungere un equilibrio con la biosfera, è necessariamente una società autogovernata, con un più alto – non più basso – tasso di democrazia. L’unica “autorità”, quindi, che può decidere quanto prelevare, quanto consumare, quanto restituire nell’ambiente naturale esterno, è la comunità dei produttori e dei consumatori che abitano i loro territori, conoscendone le potenzialità e rispettandone i limiti.


Altro che società dei mini-pony...

[:305]

E comunque meglio la società dei mini-pony che quella dei pezzi di m [:303] "rettiliani" (e sapete cosa intendo quando mi riferisco alla metafora dei 'rettiliani'...)



_________________
Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
Top
 Profilo  
 

Galattico
Galattico

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 22383
Iscritto il: 08/07/2012, 15:33
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 25/01/2016, 13:37 
Sono solo chiacchiere fini a se stesse. In questo articolo non c'è nulla di concretizzabile. E' questa la differenza TRA CHI FA e chi vorrebbe si facesse.



_________________
la prima religione nasce quando la prima scimmia, guardando il sole, dice all'altra scimmia: "LUI mi ha detto che TU devi dare A ME la tua banana. (cit.)
Top
 Profilo  
 

Stellare
Stellare

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 12044
Iscritto il: 05/02/2012, 12:22
Località: Milano
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 25/01/2016, 14:00 
MaxpoweR ha scritto:
Sono solo chiacchiere fini a se stesse. In questo articolo non c'è nulla di concretizzabile.


Questo lo dici tu sulla base delle tue convinzioni consolidate che non sono diverse da chi considera le piramidi costruite a colpi di scalpellini di rame. E poi perché mai le proposte dell'articolo non sarebbero concretizzabili?

Cosa c'è di "non concretizzabile" nel

Tornare ad una produzione alimentare su piccola scala, sostenibile, e finalmente slegata dalle logiche dell’industria e dalla tecnica delle enormi monocolture, produrrebbe un grande numero di posti di lavoro per piccoli produttori di materie prime più buone, sane e sostenibili.


Io inizio a pensare che non siano concretizzabili solo PERCHE' NON LO VOGLIAMO... e allora siamo solo degli sporchi ipocriti poiché quando un bambino muore in una miniera di coltan la responsabilità è NOSTRA prima ancora dei potenti della terra.

Troppo comodo lamentarsi del "Sistema" e poi ogni giorno dargli forza con i propri comportamenti.



_________________
Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
Top
 Profilo  
 

Galattico
Galattico

Avatar utente

Non connesso


Messaggi: 22383
Iscritto il: 08/07/2012, 15:33
 Oggetto del messaggio: Re: Rinascita Sociale Globale
MessaggioInviato: 25/01/2016, 15:02 
Cita:
DECRESCITA : 7 COSE DA SAPERE PER COMPRENDERLA DAVVERO[/size][/b]

LA DESCRESCITA È IL RITORNO ALL’ETÀ DELLA PIETRA?

No, la decrescita rappresenta la messa in discussione dei presupposti teorici insostenibili del consumismo, del capitalismo e della tecnologia. Ma non prevede l’eliminazione degli oggetti propri della modernità. Vivere la decrescita non significa rinunciare del tutto ad auto e aereo, ma certamente significa limitarne l’utilizzo allo stretto necessario.


Stretto necessario? Cioè? Quando l'uso dell'aereo è strettamente necessario e quando no? Chi lo decide? viene normato? Spiegami in concreto come vorresti si facesse perchè a me queste sembrano solo chiacchiere.

Cita:
Allo stesso modo non significa tornare all’epoca dell’aratura manuale dei campi, ma prevede un’agricoltura rispettosa dei cicli e dei ritmi della natura, degli ecosistemi e di tutto il vivente.


Altre banalità. nutriamo 7 miliardi di persone, presto 10, rispettosi dei clicli bla bla bla ok d'accordassimo. COME?

Cita:
Non significa rifiutare la tecnologia, ma prevede che le invenzioni siano guidate da uno spirito di servizio verso la Terra. Accorgimenti che partono dall’assunzione di responsabilità di fronte alle gravi emergenze del nostro tempo.


Altre parole vuote

Cita:
Non possiamo continuare a promuovere modelli tecnologici, economici ed etici che risultano aggressivi e devastanti nei riguardi della Terra, per questo vi è l’esigenza di radicali cambiamenti nel modo di produrre e di vivere: questo è il primo assunto teorico della decrescita.


Ok e quindi?

Cita:
DECRESCITA SIGNIFICA PROIBIRE LO SFRUTTAMENTO DI OGNI RISORSA NATURALE?

Certamente dovrebbero cessare al più presto tutti quei metodi di estrazione che danneggiano l’ambiente (come il fracking, le miniere a cielo aperto, ecc.), così come lo sfruttamento di materie prime che alimentano le guerre (coltan, diamanti, ecc.) e di quelle che richiedono troppa acqua per il processo di pulizia. Per tutte le altre risorse non rinnovabili (petrolio e gas in primis) occorrerebbe limitare lo sfruttamento in quantità al di sotto delle capacità di rigenerazione del bene stesso. L’obiettivo di fondo, nel quale andrebbe coinvolta la ricerca scientifica, deve essere quello di convertire al più presto tutta l’industria energetica alle fonti rinnovabili e pulite.


Come?

Cita:
Dovrebbe quindi essere avviato in tempi stretti un processo di mutamento in cui prevalgano obiettivi di salvaguardia e conservazione, mentre le limitazioni e i divieti sarebbero ispirati in larga misura a criteri di ridimensionamento delle produzioni in funzione di consumi concentrati sui bisogni essenziali e sulla soddisfazione di esigenze che saranno espresse rispettando la volontà delle popolazioni locali.


Come?

Cita:
QUALE RUOLO AVREBBERO LA TECNOLOGIA E L’INDUSTRIA?

Così come l’industria energetica, e tutta la produzione in generale, anche la tecnologia deve essere liberata dai condizionamenti del potere economico e messa al servizio del benessere della collettività e del pianeta.


Come?

E' tutto un susseguirsi di "bla bla bla" bastavano 2 righi. Desidero che babbo natale mi porto la pace nel mondo.

E' tutto condivisibile ma non praticabile quanto meno non a chiacchiere come si pretende di fare.

Cita:
Io inizio a pensare che non siano concretizzabili solo PERCHE' NON LO VOGLIAMO... e allora siamo solo degli sporchi ipocriti poiché quando un bambino muore in una miniera di coltan la responsabilità è NOSTRA prima ancora dei potenti della terra.


Muoiono bambini ovunque ed a causa della qualunque così come muoiono persone ovunque e dovunque. E' il ciclo della vita. Anche per permetterti di navigare in internet muoiono persone o pensi che i PC i tablet i cellulari e le reti siano fatti di polvere di fata?.

Allora perchè non lo spegni?



_________________
la prima religione nasce quando la prima scimmia, guardando il sole, dice all'altra scimmia: "LUI mi ha detto che TU devi dare A ME la tua banana. (cit.)
Top
 Profilo  
 
Visualizza ultimi messaggi:  Ordina per  
Apri un nuovo argomento Rispondi all’argomento  [ 451 messaggi ]  Vai alla pagina Precedente  1 ... 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29 ... 31  Prossimo

Time zone: Europe/Rome [ ora legale ]


Non puoi aprire nuovi argomenti
Non puoi rispondere negli argomenti
Non puoi modificare i tuoi messaggi
Non puoi cancellare i tuoi messaggi
Non puoi inviare allegati

Cerca per:
Vai a:  
cron
Oggi è 16/07/2025, 01:32
© 2015 UfoPlanet di Ufoforum.it, © RMcGirr83.org