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Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

06/02/2016, 11:45

Brigatisti alla scuola dei magistrati? Ecco i veri motivi per cui è sbagliato

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Roma, 3 feb – Alla fine, la Scuola della magistratura ha deciso di annullare l’incontro, nell’ambito di un corso di formazione per i giudici, al quale avrebbero dovuto partecipare gli ex brigatisti rossi Adriana Faranda e Franco Bonisoli. Salta così l’appuntamento che aveva generato tante polemiche nei giorni scorsi, e questo nonostante il fatto che al corso fossero stati invitati, per altri interventi, anche Agnese Moro, la figlia dello statista democristiano ucciso proprio dalle Br, e Sabina Rossa, figlia di Guido, il sindacalista genovese anche lui vittima della furia brigatista. Analoghe polemiche, diversi mesi fa, le aveva suscitate la decisione del ministro della Giustizia Orlando di nominare Adriano Sofri responsabile del tavolo istruzione e cultura nell’ambito degli Stati generali dell’esecuzione penale. Anche in quel caso, in seguito alle proteste, non se ne fece più nulla.

Si tratta di polemiche che hanno un senso? Sì, ma non il senso che gli viene dato dal chiacchiericcio qualunquista da talk show. Che un protagonista degli anni di piombo possa avere qualcosa di un qualche interesse da dire sulla giustizia o sulle carceri è fuor di dubbio. La cosa potrebbe essere inopportuna se fatta nelle scuole (forse), non certo di fronte a un pubblico adulto e selezionato, che non ha bisogno solo di discorsi edificanti: chi deve diventare magistrato non può che trarre giovamento dal confronto con un ex della lotta armata. Non per farsi tenere una lezione ideologica, ma per comprendere una fetta della realtà importante. Lo stesso varrebbe se si trattasse di uno spacciatore, un ladro, un rapinatore, ma vale ancor di più per chi ha commesso atti delittuosi di matrice ideologica. L’argomento puramente morale sul fatto che chi deve servire la Repubblica non può ascoltare chi ha lottato per sovvertirla è una banalità paternalistica. E allora, si dirà, qual è il problema?

Il problema è lo strabismo di fondo che regna in questi fatti. Se invitare Sofri o la Faranda in contesti istituzionali è comunque possibile, malgrado le polemiche, la stessa identica cosa fatta con un ex “terrorista nero” farebbe scoppiare un putiferio ben più ampio. Sarebbe, anzi, semplicemente impensabile. Eppure tutte le considerazioni fatte finora sarebbero ugualmente valide. Ma allora perché gli uni sì e gli altri no? Semplice, perché il retropensiero di quando si invita un brigatista è pur sempre che si tratti di un “compagno che ha sbagliato”, uno che ha usato mezzi discutibili per un fine giusto. C’è un’accondiscendenza di casta, il pres-sentimento che si ha a che fare con uno della stessa razza. E c’è il cedimento alla logorrea narcisistica degli ex terroristi rossi, che con la stessa cerebralità con cui scrivevano i comunicati dopo gli attentati oggi “elaborano” le loro scelte passate. Ecco cosa è indegno. Se l’invito alla Faranda segnasse un superamento degli anni ’70 sarebbe un gesto più che lodevole. Invece si tratta della solita manfrina tutta interna a uno stesso mondo, a una stessa storia, alla stessa gente. Che noia.

Adriano Scianca


http://www.ilprimatonazionale.it/cronac ... ato-39295/

Questi terroristi "rossi" guardati con benevolenza dalle istituzioni, tra un "buffetto" ed una carezza, questi "compagni che sbagliano"... vomito. [^]

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

06/02/2016, 20:37

Semplicemente perchè stanno sulla stessa barca e rispondono agli stessi vertici :)

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

07/02/2016, 11:10

Salvini: "Cinesi alle primarie del Pd. Povera Milano, povera sinistra"
"File di cinesi, molti dei quali intervistati dalle tivù non parlano neanche italiano, votano il renziano Sala alle primarie Pd per Milano. Che pena, povera Milano e povera sinistra!". Così il segretario federale della Lega Nord Matteo Salvini sulle primarie democratiche
Luca Romano

Milanesi in coda per la prima giornata di primarie del centrosinistra, che decideranno chi sarà il candidato sindaco della coalizione tra Francesca Balzani, Antonio Iannetta, Pierfrancesco Majorino e Giuseppe Sala. Ad attendere l'esito è anche il centrodestra che poi scoprirà le sue carte e, soprattutto, il nome del suo candidato sindaco. Ma la prima giornata della consultazione popolare per scegliere il candidato sindaco è stata segnata dalle polemiche sul voto degli immigrati. Ad attaccare è il segretario della lega Matteo Salvini, che se la prende con l'afflusso di cinsesi nei gazebo: "File di cinesi, molti dei quali intervistati dalle tivù non parlano neanche italiano, votano il renziano Sala alle primarie Pd per Milano. Che pena, povera Milano e povera sinistra!".

Il Pd respinge le critiche: il responsabile sicurezza Emanuele Fiano le bolla come "irricevibili e disgustose". I cittadini stranieri che hanno votato, sottolinea , sono stati il 4 per cento, e tutti regolarmente residenti a Milano. Intervengono anche le associazioni delle varie comunità straniere: somali, cinesi e sudamericani hanno diffuso una nota congiunta in cui smentiscono che ci sia stato "voto di scambio". Oggi i seggi allestiti erano 9, uno per ogni zona della città, aperti dalle 8 alle 18. I votanti sono stati 7.750. Le code ai seggi sono iniziate poco dopo l'apertura e, sempre in modo ordinato, sono proseguite per raggiungere il picco in tarda mattinata. Come hanno sottolineato gli organizzatori delle primarie le file di oggi sono dovute al fatto che i cittadini di ogni zona avevano a disposizione solo un seggio per il voto, mentre domani saranno 150 quelli aperti in tutta la città, dalle 8 alle 20. In coda per votare si sono messi questa mattina anche i quattro candidati. Il primo è stato Iannetta che ha votato ad un circolo Pd di Porta Genova verso le 10. Stesso orario, le 11, per i due candidati e colleghi nella giunta Pisapia, Francesca Balzani e Pierfrancesco Majorino. La prima ha votato al circolo Pd Molise-Calvairate in Zona 4, accompagnata da marito e figli. "Speriamo che tanti milanesi vadano alle urne - ha commentato la vice sindaco - per arrivare così al cuore delle primarie, che è il protagonismo dei cittadini". Stessa impressione positiva per l'assessore alle Politiche sociali del Comune, Majorino, che ha votato in Zona 5: "Mi pare una grande festa democratica e popolare - ha detto - e a quanto ho visto tutto sta procedendo bene". Alle 12 si è presentato al seggio della zona 1, quella del centro città, anche il commissario unico di Expo, Giuseppe Sala, accompagnato dalla moglie. Per lui la coda è durata circa 40 minuti. "In coda forse mi toglierò un po' di ansia - ha spiegato ai cronisti - del resto per me è la prima volta come candidato. Se le code ci sono c'è da aspettarsi una bella affluenza". Mentre il centrosinistra sceglie il suo candidato il centrodestra attende ma ancora "per pochi giorni". "Se non è questione di ore è questione di giorni - ha spiegato il consigliere politico di Forza Italia, Giovanni Toti, parlando della scelta del candidato a margine di un incontro del partito a Milano -. Subito dopo le primarie arriverà la nostra scelta". Se il candidato sarà l'ex city manager del Comune di Milano, Stefano Parisi, "immagino dovrà essere lui ad accettare definitivamente l'investitura", ha concluso.

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

23/02/2016, 13:37

[^]


L'edificante epopea dei partigiani costruita a tavolino

Le carte dell'istituto "Perretta" svelano in che modo le vicende delle Brigate Garibaldi nel Comasco siano state reinventate a colpi di documenti apocrifi. A rendersene conto gli stessi protagonisti di quelle vicende

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La storia bugiarda, ossia la ricostruzione artificiosa e mitopoietica del passato, è una sorta di specialità nazionale, almeno dal Risorgimento in poi. Ma esiste una forma di menzogna più sottile, sistemica e dannosa, che procede attraverso la fabbricazione di documenti falsi attraverso i quali elaborare una vulgata edificante per chi compie l'operazione.

Un caso da manuale è quello che abbiamo scoperto, compulsando le carte dell'Istituto di storia contemporanea Perretta di Como. Ossia, uno dei capisaldi della sacralizzazione delle vicende resistenziali, per il fatto che questo centro di memoria opera, da quasi quarant'anni, nell'area dove si compirono, in un sol colpo, tre eventi di gigantesca portata, nelle ultime giornate di aprile del 1945: la fine del fascismo, la conclusione della guerra e l'epilogo di Benito Mussolini e dei suoi fedelissimi.Consultando il Fondo Gementi del Perretta ci siamo imbattuti in una lettera esplosiva che mette a nudo i criteri attraverso i quali si è costruita la monumentalizzazione dell'episodio resistenziale. Un documento che dev'essere sfuggito ai censori rossi i quali controllano che nulla, di esiziale, possa sfuggire e capitare dentro i fascicoli che vengono distribuiti in consultazione agli studiosi. Bisogna spiegare anzitutto chi è stato il personaggio oggetto delle mie indagini. Oreste Gementi, milanese, classe 1912, fu il leader partigiano di più elevate responsabilità militari, negli organi di coordinamento interpartitico operanti durante la lotta di Liberazione, nel Comasco. Svolse infatti le funzioni di comandante della Piazza lariana del Cvl (Corpo volontari della libertà). Nonostante il suo rango elevato, su Gementi (nome di battaglia, Riccardo), è caduto un totale oblio, spiegabile con una circostanza molto semplice. Il comandante partigiano ebbe il torto, se così si può dire, di non allinearsi alle direttive del Partito comunista, il quale durante e dopo la Liberazione dettò legge, non soltanto nel Comasco. Tanto per cominciare, Gementi si convinse, sulla base di elementi raccolti già nell'immediatezza dei fatti, che a sparare a Mussolini e alla Petacci non fosse stato l'emissario di Luigi Longo, Walter Audisio, alias colonnello Valerio, ma l'umile operaio comasco Michele Moretti, il partigiano comunista Pietro. E ciò bastava perché il nome di Gementi venisse incluso nella lista di proscrizione stilata dagli apparatik della centrale di disinformacjia rossa concentrata nella triangolazione Pci-Anpi-Istituti storici della Resistenza. Non solo: il comandante Riccardo aveva tale determinazione morale da far spiccare, già nel giugno del 1945, un mandato di cattura contro Michele Moretti per il furto dell'oro di Dongo. Risultato: un mese dopo, il Pci architettò contro Gementi un agguato, che fu sventato solo grazie all'abilità straordinaria della vittima predestinata.Ma veniamo al cuore di questa nostra scoperta. Nel novembre del 1991, l'Istituto storico di Como diede alle stampe un volume di oltre 600 pagine, La 52ª Brigata Garibaldi Luigi Clerici attraverso i documenti: si trattava di un racconto della lotta di Liberazione, nel Comasco, attraverso una raccolta delle fonti scritte riferite all'attività della formazione partigiana cui si dovette l'arresto di Mussolini e il fermo della sua colonna, il 27 aprile 1945. Ben 550 documenti (relazioni, direttive, circolari, ecc.), presentati come originali, i quali portavano alla luce la trama organizzativa e l'intera vicenda cospirativa della brigata. Curatore dell'opera antologica era Giusto Perretta, comunista, fondatore e a lungo direttore dell'Istituto comasco di storia del movimento di Liberazione che oggi porta il nome di suo padre, l'avvocato Pier Amato Perretta, un antifascista ferito a morte a Milano da elementi delle Ss e della Legione Muti, nel novembre del 1944.Giusto Perretta, nella nota introduttiva, spiegava che la pubblicazione era frutto di ricerche «effettuate nel 1986-87 presso l'Istituto Gramsci di Roma». Tale scavo archivistico era valso ad arricchire e a integrare la già imponente documentazione in possesso dell'Istituto storico lariano. Ne sortiva una rassegna di materiali che il curatore accreditava come coevi, cioè «compilati e diffusi nel corso vivo della lotta»: in tal modo si sarebbero potute fornire «maggiori garanzie di veridicità» rispetto alle fonti cronologicamente successive. Fin qui le parole di Perretta. Ciò che non è mai trapelato, al riguardo, è la durissima contestazione pervenuta al curatore dell'opera, da parte di Gementi. Il comandante Riccardo, giunto ormai al termine dei suoi giorni terreni, il 10 aprile 1992 confessava, in una riservata-confidenziale, di aver accostato «con molto scetticismo» l'indigeribile repertorio stilato da Perretta, dichiarandosi incapace di «trarne alcun insegnamento», nell'impossibilità pratica di discernere «tra il vero ed il falso».Dove nasceva questo sentimento di somma diffidenza, nell'uomo che ben conosceva la segreta trama di quei lontani fatti della Resistenza, per averli vissuti dall'interno come pochissimi altri? Lo rivelava lo stesso Gementi, tornando con la memoria a una «confidenza fattami da Coppeno nei primi anni dopo la Liberazione, quando i nostri rapporti erano normali e saltuariamente ci incontravamo, ma soprattutto egli mi telefonava per accertarsi su dati e fatti del periodo clandestino». Il riferimento è a Giuseppe Coppeno, lo storiografo ufficiale cui il Partito comunista, già nell'immediato dopoguerra, affidò il compito di costruire, a tavolino, la storia bugiarda. In quale modo? Allestendo una vera e propria officina di fabbricazione di repertori documentari non genuini, allo scopo di produrre la glorificazione del movimento partigiano rosso. Coppeno, nato nel 1920 e scomparso nel 1993, fu un comunista duro e dogmatico che operò, durante la Resistenza, tra Como e Milano, quale cinghia di trasmissione delle direttive del partito dentro le formazioni garibaldine. In realtà, si chiamava Ciappina, in quanto fratello di Ugo Ciappina, un ex gappista che fu tra gli autori della rapina di via Osoppo, avvenuta a Milano, nel 1958. In conseguenza di tale fatto, egli chiese e ottenne di poter cambiare il cognome in Coppeno. Incontrai Ciappina-Coppeno, a Milano, nel maggio del 1992. Andai a casa sua, per intervistarlo. Il personaggio mi raggelò, ma non potevo nemmeno sospettare che si portasse appresso i segreti che Gementi non esitò a denunciare. Che cosa si era lasciato infatti sfuggire, il fratello del bandito Ugo Ciappina, nei suoi colloqui con il compagno di battaglie? Lo racconta lo stesso comandante Riccardo, con questa confessione-bomba: «Coppeno mi aveva confidato che, su richiesta di Gorreri e Fabio, stava costruendo documenti intesi a valorizzare e potenziare l'attività della 52ª, dal settembre '43 alla Liberazione». Dante Gorreri e Pietro Vergani Fabio furono dunque coloro che commissionarono il lavoro al falsario ideologico seriale. Vale la pena di ricordare chi fossero i due personaggi. Gorreri, segretario della Federazione lariana del Pci, e Vergani, comandante lombardo delle Brigate Garibaldi, furono due stalinisti ciecamente devoti al partito. Entrambi, negli anni Cinquanta, vennero rinviati a giudizio per alcuni delitti che insanguinarono il dopo-Liberazione, come quello del capitano Neri (Luigi Canali), leader morale della Resistenza comasca, della staffetta di questi, Gianna (Giuseppina Tuissi), e della giovane Annamaria Bianchi. La clamorosa denuncia dell'esistenza di una centrale della contraffazione, costituisce l'anello mancante di un teorema logico che gli storiografi di impostazione mentale laica, cioè non dottrinale, hanno sempre cercato di dimostrare. Vale a dire: i documenti sui quali è stata intessuta la trama della narrazione resistenziale non convincono. Ora sappiamo perché. I materiali apocrifi costruiti da Ciappina-Coppeno furono il preludio di una colossale opera di elaborazione storiografica mistificatoria che non è ancora cessata. Osserva, del resto, Riccardo che il falsario di partito lasciava, per così dire, le impronte del suo delitto nelle modalità stesse del confezionamento, in sequenza, di documenti in realtà non coevi: quelle carte risultavano infatti essere «dattiloscritti senza firma o con firma a macchina».Chiunque può constatare di persona che è proprio così: il compilatore seriale della storia bugiarda produsse documenti quasi sempre privi di firma autografa, o di altri elementi (come interpolazioni e correzioni manoscritte) che ne attestassero la genuinità sotto il profilo materiale. Autentiche polpette avvelenate, versate poi, in gran parte, all'Istituto Gramsci, dove poi Perretta andò a riesumarle. Istituto Gramsci il quale si fece, a sua volta, ente certificatore dell'autenticità e della sicura provenienza di quelle carte. Il bello è che, nella nota introduttiva al testo, lo stesso curatore compiva un'ammissione che, alla luce della lettera di Gementi, suona alquanto compromettente. «Date le condizioni delle copie originali», infatti, si era proceduto alla «loro ribattitura e riduzione rispettando rigorosamente il testo originale». Insomma, secondo Perretta, era stata effettuata la riscrittura, in forma dattilografica, delle fantomatiche carte originali, prendendo a pretesto le condizioni di cattiva conservazione, e conseguentemente di difficoltosa decifrazione, delle stesse.Ma, se così si fosse fatto, il curatore avrebbe dovuto avvertire quantomeno il dovere metodologico di produrre, in immagine, nelle pagine a fronte di ogni riduzione dattilografica (com'egli la chiama), i testi originali. Cosa che si guardò bene dal fare. Perretta non volle nemmeno spiegare quando, come, e da parte di chi, fosse stata realizzata questa colossale operazione da copisti. Questo autentico ginepraio ci riporta alle considerazioni dubitative di Gementi: a meno di voler per forza seguitare a supporre l'esistenza di veri documenti originali, gli unici originali paiono essere quelli, contrabbandati per tali, la cui matrice ci riporta alla figura di Ciappina-Coppeno e alla sua investitura a falsario di partito.Sorge del resto il sospetto che il Pci assumesse, per così dire, per vizio metodologico generalizzato, la predisposizione di un arsenale documentario realizzato in vitro, con un quadruplice scopo: alimentare il mito della propria forza egemone nel movimento partigiano, silenziare tutte le fonti non allineate con la propria verità di partito, riempire i vuoti narrativi e insieme occultare le degenerazioni violente della Resistenza.
1. Continua

http://www.ilgiornale.it/news/spettacol ... 28073.html

[:305] [:306]

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

23/02/2016, 15:13

Ovvio... la storia la scrive chi vince.

Chissà come saranno scritti i libri di storia tra due secoli quando l'Impero Americano sarà soltanto un ricordo.

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

23/02/2016, 15:40

Atlanticus81 ha scritto:Chissà come saranno scritti i libri di storia tra due secoli quando l'Impero Americano sarà soltanto un ricordo.

Non oso neanche pensarlo... [:246]

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

23/02/2016, 17:56

Ehm ... scusate; dimenticavo lo schieramento del forum ....
(Questa è storia nostra; e tutti sappiamo come i partigiani si prendono tutto'ora il merito di aver "liberato" l'Italia!
Infatti, la Storia, l'hanno scritta LORO; ecco perché siamo tutt'ora divisi) Statemi bene.

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

24/02/2016, 00:08

Thethirdeye ha scritto:
Atlanticus81 ha scritto:Chissà come saranno scritti i libri di storia tra due secoli quando l'Impero Americano sarà soltanto un ricordo.

Non oso neanche pensarlo... [:246]



Su tavolette di argilla usando stecchetti di legno.

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

25/02/2016, 19:18

Bèh, visto che "combatto" da solo, continuo ... [^] Ai posteri la ... facile sentenza! [:306]

(Questi sarebbero quelli che hanno ..."vinto", per cui, LORO hanno scritto la storia ...) [:o)]


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Felice Cascione è stato un partigiano comunista, medico e poeta, uno dei pochi combattenti veri della prima ora, che morì in uno scontro con i Fascisti nel gennaio del 1944. La poesia “Fischia il vento” da lui scritta fu cantata sulle note di una popolare canzone sovietica, divenne l’inno delle Brigate Partigiane Garibaldi e lo storico Roberto Battaglia la cita come la canzone più nota e più importante nella “lotta di Liberazione”.

Per settant’anni, l’Italia ha subito una dominante vulgata celebrativa della resistenza, del mito del partigiano senza macchia e portatore dei valori di unità e libertà, tanto che la festa di Liberazione del 25 aprile, abbandonate le bandiere rosse e adottato il tricolore, è divenuta la vera festa Nazionale per eccellenza, mentre quella del 2 giugno, che ricorda l’avvento della Repubblica, resta ancora del tutto marginale.

Gli agguati, le imboscate, le inutili uccisioni, divennero nel dopoguerra “eroiche gesta”, loro erano i “giustizieri” e non gli assassini, anche se i proiettili colpivano alle spalle un semplice soldato tedesco in ritirata o un giovane milite di ritorno dal fronte. Questo ero lo spirito che li animava e con cui avevano agito durante i mesi della Repubblica Sociale: colpire vigliaccamente e fuggire.soldati della Rsi durante una trattativa con partigiani per scambio di prigionieri

Paolino Leone era nato a Mogadiscio nel 1928 da genitori italiani. Nel 1941, quando gli inglesi avevano occupato la città somala, il padre era stato fatto prigioniero e lui si era occupato di aiutare la madre nella difficile sopravvivenza fino al 43, quando vi era stato il rimpatrio forzato di tutti gli Italiani. Il ragazzo, una volta in Patria, si iscrisse a un liceo di Siena e dopo i pesanti bombardamenti avvenuti sulla città si adoperò per scavare tra le macerie e salvare vite umane. Paolino, animato da purezza di ideali e da tanto coraggio non tardò ad arruolarsi volontario fra gli avanguardisti e il 18 maggio del 1944 salendo su un camion al volo salutò la madre per l’ultima volta. Chiese e ottenne di passare nei paracadutisti, sua grande aspirazione. Era l’11 ottobre, si trovava in Piemonte, quando mentre stava portando un ordine, fu accerchiato da alcuni partigiani che gli intimarono “Deponi le armi e arrenditi!”. Egli era solo, aveva poco meno di diciassette anni, ma animato di grande coraggio rispose prontamente:

” I Paracadutisti della Folgore non fanno né una cosa né l’altra!”

Lo freddarono con una scarica di fucile senza troppe cerimonie, senza “giusti” processi e abbandonarono il cadavere sul terreno.

Al nord i comunisti che parteciparono alla resistenza furono più attenti a costruire le premesse di una rivoluzione che a combattere i “nazifascisti”, ma Togliatti alias Ercole Ercoli, funzionario di spicco del Komintern, inviato da Mosca con direttive precise, sapeva bene che senza l’avallo di Stalin nulla sarebbe stato possibile. E sapeva bene che la strategia definita col “suo” dittatore era quella di inserire il PCI nella dinamica costituzionale e democratica.

Ciononostante, proprio nelle stesse ore in cui si festeggiava “la liberazione”, in molte zone del nord ebbe inizio una mattanza di vaste proporzioni con altissima concentrazione soprattutto nelle regioni ad alta predominante comunista. Una catena di eccidi, in cui vennero trucidati e seviziati ex fascisti coi loro familiari, ma anche sacerdoti, partigiani autonomi, o coloro che venivano individuati come nemici di classe, possidenti terrieri, professionisti e industriali. Un vero regolamento di conti politico, con l’aggiunta di crudeltà fine a se stesse e anche di omicidi comuni a scopo di rapina e tutto con la finalità di prendere il potere.

Eppure, ogni anno in cadenza dell’anniversario del 25 aprile non si parla di questi morti e di queste stragi ma si menzionano solo le rappresaglie avvenute per mano tedesca. Assistiamo nelle piazze dei paesi a solenni manifestazioni che ricordano ai cittadini i tragici eventi, commemorando le vittime, in alquanto macabri elenchi, con dovizia di particolari sulle circostanze delle morti. Dimenticano però da settant’anni a questa parte di raccontare perchè e a causa di chi avvennero queste pur gravi violente uccisioni di innocenti. La verità è che i caduti non morirono per la Patria, per la libertà o per la democrazia, ma vennero scientemente sacrificati per quella che, come dice Pisanò in “Sangue chiama sangue”, si può definire una “guerra privata” scatenata dai comunisti dopo la proclamazione della Repubblica Sociale. Coloro che aizzavano i tedeschi, sapevano benissimo di commettere atti terroristici al solo scopo di provocare reazioni che, quanto più sarebbero state dure, tanto più avrebbero sortito l’effetto di sollevare il popolo.

Durante il processo indetto verso il maresciallo Graziani, nel 1950, fu chiamato come testimone l’ex socialista Carlo Silvestri che documentò con un lungo elenco le azioni terroristiche commesse dai comunisti nell’inverno del ’43 e concluse con le seguenti parole:

“L’iniziativa della guerra civile non fu di Graziani e di Mussolini, non fu del Fascismo repubblicano. Affinchè non vi siano ombre sulla mia chiarezza, testimonio, ancora una volta, che tutte queste uccisioni furono volute col criterio di esasperare la situazione e di rendere inevitabile la guerra civile…”

Tutto questo fu confermato anche dallo storico ex partigiano Claudio Pavone, che nel suo libro “Una guerra civile: saggio storico sulla moralità nella Resistenza”, non solo avviò per la sinistra, che l’aveva sempre negato, il concetto di “guerra civile”, ma destò scandalo fra i detentori della “verità assoluta” ponendo una serie di riflessioni sulla moralità della resistenza stessa.

Il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) fu costituito a Roma già il giorno dopo l’armistizio, prese vita infatti il 9 settembre 1943 in un alloggio di via Adda da una riunione del “comitato delle opposizioni” cui parteciparono Alcide De Gasperi, democristiano, il socialista Pietro Nenni, il comunista Mauro Scoccimarro, il liberale Alessandro Casati, Ugo La Malfa del partito d’Azione e l’indipendente Ivanoe Bonomi. L’intento era quello di chiamare alla lotta e alla resistenza gli Italiani con lo scopo di non rendere possibile la restaurazione del Fascismo.

In realtà non ci furono mai rivolte di popolo, né a Roma, né altrove. La popolazione non insorse contro “l’incubo nazifascista” perchè questo incubo non esisteva e non si manifestò fino a quando non fu artatamente provocato.

A Roma in special modo, dove si ebbe una delle peggiori rappresaglie tedesche con l’uccisione di 335 persone alle Fosse Ardeatine, in realtà i partigiani e i nuclei combattenti fino alla data dell’attentato di Via Rasella erano ben pochi e non avevano compiuto azioni di rilievo. Jo di Benigno, antifascista, nel suo libro “Occasioni mancate”, ammette onestamente:

“Non si riusciva sempre ad appurare cosa avessero fatto al di fuori di tenersi collegati fra di loro, comunicarsi le notizie e darsi misteriosi e buffi appuntamenti sui lungotevere o nelle chiese”.

Nella capitale, però, come in tutto il resto d’Italia, non appena giunsero gli angloamericani, furono invece migliaia coloro che si fregiarono del titolo di resistenti.

Gli stessi Ferruccio Parri e Luigi Longo, partigiani combattenti, manifestarono il loro disappunto sulle decisioni della Commissione Ministeriale istituita dopo la guerra per il riconoscimento delle qualifiche partigiane, ed entrambi denunciarono la falsificazione dei numeri dei combattenti in tutta Italia.

Basti pensare solo alla proliferazione di sedi ANPI anche in Sicilia, dove la resistenza non era mai iniziata essendo lo sbarco alleato avvenuto prima dell’8 settembre .

E’ fondamentale inoltre ricordare che la Resistenza, mostrò fin da subito una fredda competizione fra i gruppi ideologici. A poco a poco divennero marginali le formazioni autonome, presero forza quelle riconducibili a partiti politici che scatenarono una corsa frenetica per occupare i posti chiave una volta finita la guerra. Fu il partito comunista, su tutti, a ingaggiare una vera e propria lotta all’ultimo sangue non solo verso quello che doveva essere il comune nemico, ma contro gli stessi partigiani appartenenti a nuclei più moderati. Divisioni mai sanate che sfociarono in scontri, delazioni di una banda a danno di un’altra e questo soltanto per ragione di partito, con buona pace dell’unità nazionale e della democrazia.

Molti conoscono la controversa storia dell’eccidio di Porzus, località dove il 7 febbraio del 1945 vennero trucidati una ventina di uomini appartenenti alla brigata partigiana dei fazzoletti verdi “Osoppo”, comandati da Francesco De Gregori (Bolla) zio e omonimo del noto cantautore. Fra i morti anche Guido Pasolini (Ermes) fratello del regista Pier Paolo. Il capo della Osoppo, fervente anticomunista, si era rifiutato di passare sotto il comando dei partigiani jugoslavi come invece avevano fatto i garibaldini di quella zona, e questa “testardaggine” gli costò oltre la vita, sevizie ante e post mortem :il corpo venne trovato “trasfigurato, pugnalato e sputacchiato”. (Porzus 1945 edito dalla DC a Udine nel 1965)

L’esecutore materiale della strage fu Mario Toffanin (Giacca) ex operaio iscritto al PCI e in stretti rapporti coi comunisti jugoslavi. Finita la guerra date le contrastanti versioni sull’accaduto, vennero fatti diversi processi per chiarire la dinamica e i colpevoli della strage. I mandanti, oltre alle chiare responsabilità di Toffanin e di alcuni partigiani ai suoi ordini, non furono mai accertati.

A livello locale i veterani della Osoppo ricordarono ogni anno i loro morti e la vicenda fu motivo di scontro fra comunisti e anticomunisti, ma il resto d’Italia non seppe mai o si fece in modo che si dimenticasse della triste vicenda. Ancora nel 1997, quando il regista Renzo Martinelli si recò sul luogo per girare gli esterni del suo film intitolato appunto Porzus, trovò l’ostilità di molti sindaci dei luoghi interessati, che gli negarono il permesso di fare riprese sui loro territori.

Nel 1954 Toffanin venne condannato all’ergastolo in contumacia poiché subito dopo la guerra si era rifugiato prima in Cecoslovacchia e poi in Slovenia. Ciò non gli impedì comunque di parlare e rilasciare dichiarazioni in cui si disse sempre convinto che i partigiani della brigata Osoppo erano dei traditori, che avevano collaborato con i soldati della Repubblica di Salò e pertanto meritato quella orrenda fine. Nonostante la grazia ricevuta da Sandro Pertini nel 1978, non fece ritorno e preferì restare in Slovenia, godendo fino al giorno della sua morte, avvenuta alla veneranda età di 86 anni, di una pensione INPS erogata dall’Italia che, secondo un’inchiesta de “Il Giornale” del 1996, ammontava a 672.270 lire al mese.

I casi analoghi furono molteplici. Ricorderò ora qui di seguito l’uccisione di cinque partigiani di una brigata autonoma, perpetrata la sera del 26 novembre 1944 dall’ “eroe” Francesco Moranino in arte “Gemisto”, macchiatosi, come ben sappiamo, di altri numerosi orrendi delitti .

La strage da lui compiuta e conosciuta come “missione Stasserra”, era stata programmata col chiaro intento di far sparire alcuni partigiani, non schierati coi comunisti, che avevano chiesto il suo aiuto per raggiungere la Svizzera, dove contavano di prendere contatto diretto con gli alleati. Con l’inganno Gemisto fece loro credere che li avrebbero accompagnati e invece li fece trucidare durante il tragitto e, successivamente, il 9 gennaio del 45 fece assassinare anche Maria Santucci e Maria Francesconi, mogli di due dei cinque. Le donne erano state messe a tacere poichè essendo a conoscenza degli spostamenti dei mariti, avrebbero potuto scoprire il tradimento.

L’estenuante lotta processuale che affrontarono le famiglie degli uccisi nel dopoguerra, durò nove lunghi anni, che furono necessari per aprire un varco nello spesso muro di omertà eretto dai comunisti per nascondere il bestiale episodio.

Nella sentenza di condanna si legge che il Moranino: “…non tollerava che nella zona da lui controllata sorgessero reparti di diverso colore politico o di ideologie in contrasto con le sue…”

Il processo si risolse con la condanna definitiva, in contumacia, all’ergastolo per sette omicidi.

Alla lettura della sentenza, Moranino era deputato del PCI e sedeva in Parlamento e, quando nel 1955, la Camera per la prima volta concesse l’autorizzazione a procedere, scappò in Cecoslovacchia dove divenne direttore dell’emittente radiofonica in lingua italiana “Radio Praga”.

Per la riabilitazione di Moranino non fu sufficiente l’amnistia Togliatti, in seguito ci pensarono prima il presidente Gronchi che gli commutò la pena dell’ergastolo in dieci anni e poi Saragat a graziarlo definitivamente per consentirgli di rientrare in Italia, dove venne rieletto senatore nelle fila del PCI .

Questo è il vero volto di tanti partigiani che hanno scritto la storia di quel periodo, mentendo e negando anche l’evidenza, persone che sono divenuti “padri costituenti” e che in Parlamento hanno legiferato contro l’interesse della loro stessa Patria.

È assai facile dimostrare che il popolo era estraneo a tutto ciò, infatti alle prime elezioni, i partiti maggiormente violenti, che più si erano sporcati le mani nella guerra civile, furono puniti dal responso popolare e vinse la democrazia cristiana il cui peso nella lotta clandestina era stato scarsamente rilevante.

Dunque a conti fatti il “partigianato” non fu affatto quello spontaneo fenomeno tanto decantato dall’ideologia resistenziale, l’insurrezione, la rivolta, le barricate, la “guerra di popolo” non sono mai avvenute, nonostante i fantasiosi racconti post-liberazione.

C’è un paese nel nord Italia, in cui avvenne una tremenda strage e dove, ancora oggi, l’opinione pubblica è nettamente divisa fra chi difende l’opera dei partigiani locali e chi invece li accusa.

La guerra era ormai finita e i tedeschi in ritirata percorrevano la strada a nord di Vicenza, tra gli altipiani di Tonezza del Cimone e dei Sette Comuni di Asiago per fare ritorno in Germania.

Nei giorni precedenti a Schio erano stati sottoscritti accordi coi Comitati di Liberazione dei luoghi da attraversare e questi, affinchè le truppe tedesche in ritirata potessero raggiungere il confine indisturbate, avevano concesso i loro lasciapassare. Nei pressi di Pedescala, paesino a nord di Vicenza, tra il 30 aprile 45 e il 2 maggio successivo, avvenne comunque la terribile strage che vide la morte di cittadini innocenti.

Le armate tedesche passavano lungo la strada statale in fondovalle e non sarebbero mai salite in paese se non fossero state oggetto di un attentato. Un’avanguardia fu attaccata da alcuni partigiani che, sparando dalla collina, lasciarono a terra sei tedeschi e scapparono gridando ai paesani di nascondersi. Al sopraggiungere della colonna principale, che, in spregio a ogni accordo e a ogni parola data, trovò i cadaveri dei commilitoni si scatenò l’infuriata reazione dei tedeschi. Saliti in paese cominciarono a rastrellare gli abitanti minacciando di ucciderli, se non si fossero presentati gli autori materiali dell’agguato.

PEDESCALA RIFIUTA LA MEDAGLIA OFFERTA DAL PRESIDENTE PERTININon vi fu, ovviamente, alcuna risposta e la tragedia si compì. Vennero uccise senza pietà 64 persone e il paese fu dato alle fiamme. In quella tremenda situazione alcuni cittadini che videro morire congiunti innocenti, accusarono i partigiani di aver volutamente provocato una inutile strage. I partigiani, dal canto loro si difesero rifiutando ogni responsabilità e accusandosi l’un l’altro: alcuni incolparono i garibaldini, altri invece gli autonomi che agivano senza guida e senza ordini, altri ancora vollero addebitare ogni colpa a persone non appartenenti alla lotta partigiana “cani sciolti in cerca di vendette personali e di gloria”.

Vi sono molte rappresaglie compiute dai tedeschi di cui si è sentito parlare di più nel dopoguerra, ma Pedescala è venuta alla ribalta proprio quando oramai anche i cittadini avevano messo da parte ogni risentimento fra famiglie e cancellato i tristi ricordi di quei giorni. Infatti nel 1983 l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, volle recarsi alla commemorazione dell’eccidio per consegnare personalmente al paese l’onorificenza della Medaglia al valor partigiano. Fu allora che la popolazione insorse e rifiutò il riconoscimento con la seguente motivazione:

“Spararono poi sparirono sui monti, dopo averci aizzato contro la rabbia dei tedeschi, ci lasciarono inermi a subire le conseguenze della loro sconsiderata azione. Per tre giorni non si mossero, guardando le case bruciare. Con quale coraggio oggi proclamano di aver difeso i nostri cari…”

I comunisti, più di ogni altra formazione, non si fecero riguardi a passare per le armi anche le donne, non solo i militari. Nel biellese, dove furono particolarmente violenti, ne vennero uccise centocinquanta. Questo il numero che Pisanò è riuscito a documentare nelle sue approfondite quanto angosciose ricerche. Si trattava di ragazze semplici, non solo di militanti fasciste, magari giovani di bell’aspetto e per questo ambite, desiderate e uccise per odio di classe verso la famiglia, oppure per coprire una violenza, o come nel caso delle sorelle Teresa e Bortolina Girelli per ritorsione verso un partigiano di cui si dubitava la fedeltà.MARIA LAURA BELLINI

Maria Laura Bellini era una graziosa diciassettenne di cui si erano invaghiti alcuni partigiani comunisti che la vedevano ogni mattina scendere dall’autobus per andare al lavoro. Un giorno provarono a prelevarla con una scusa, ma la ragazza difendendosi con tutte le forze, prese a dibattersi e a urlare chiedendo aiuto ai passanti. Tutti, terrorizzati, andavano diritti senza alzare un dito in sua difesa, uno soltanto dalla folla dei presenti urlò “Arrivano i fascisti!” e ottenne la reazione sperata: gli assalitori lasciarono la preda e si infilarono in macchina per fuggire, ma prima di partire uno di loro le scaricò addosso la sua pistola.

Molteplici si contarono le morti avvenute senza una spiegazione, famiglie intere: come Nella Perico e la madre Domenica, Antonietta Quaglia e il padre che voleva difenderla, le tre sorelle Maria Teresa, Fiorina e Marta Sirio.

Morti gratuite ad opera di uomini vigliacchi e malvagi, storie e dinamiche simili, e troppo lungo e penoso sarebbe raccontarle tutte.

Le violenze, le menzogne, le uccisioni, la falsità, hanno prodotto questa Italia che non ci piace, un Paese nato sulle macerie del tradimento e della vergogna, dove tutti avevano vinto e nessuno aveva perso e, mentre in Germania e in Giappone si è fatto memoria della guerra e si è ricostruito conservando l’onore, da noi non è stato possibile. Ogni forma di sentimento nazionale, dalla dominante cultura di sinistra, è stato identificato col fascismo, abbiamo aumentato il solco delle divisioni esistenti a scapito di un’identità collettiva, la scuola volutamente si rifiuta ancora oggi di trasferire alle nuove generazioni i valori della storia comune, abbiamo negato la sconfitta e abbiamo esaltato la vittoria innalzando a eroi dei banditi.

http://www.ereticamente.net/2015/04/par ... gente.html

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

26/02/2016, 17:49

... E'h ... le capocce ...! (Sempre quelle) [^]



Dai partigiani sono nati i fascisti rossi


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L'aggressione ad Angelo Panebianco ricorda che non c'è stata e ancora non c'è una chiara demarcazione fra i metodi di una certa sinistra e quelli che erano stati del fascismo


L'aggressione da parte di facinorosi di estrema sinistra ad Angelo Panebianco, impedito dai loro schiamazzi di tenere lezione, ricorda che non c'è stata e ancora non c'è una chiara demarcazione fra i metodi di una certa sinistra e quelli che erano stati del fascismo.


Sono venuti al pettine i nodi non risolti nel 1945, quando gli italiani si illusero, e contrabbandarono l'illusione, che, avendo sostituito la camicia nera che aveva indossato fino a quel momento con quella rossa, la democrazia fosse automaticamente tornata in Italia. In realtà, la Resistenza aveva semplicemente sconfitto il fascismo, ma non aveva ancora instaurato la democrazia nel nome della quale la stessa Resistenza pure era stata combattuta, almeno da una sua parte, quella cattolica, liberale, repubblicana, socialista. Per creare le condizioni di un'autentica forma mentale democratica sarebbe stato necessario riflettere su ciò che era stato il fascismo, perché fosse durato tanto a lungo e quali fossero stati i fondamenti culturali di chi aveva combattuto nella Resistenza da una certa parte, quella comunista, pur meritoria.

La mancata riflessione ha finito col rivelare una correlazione fra i metodi squadristi del fascismo e l'intolleranza della sinistra di matrice comunista, allergica alla libertà d'opinione altrui e convinta che in Europa Orientale l'occupazione militare sovietica avesse instaurato democrazie superiori e non semplici dittature. Il fatto che l'Urss avesse contribuito internazionalmente alla caduta del fascismo non ha fatto del suo sistema politico una forma di democrazia superiore a quella borghese. È, perciò, del tutto inutile prendersela ora con i quattro facinorosi che hanno aggredito il professore liberale, e condannarli moralmente e politicamente se non si riflette sull'esito della Resistenza e su ciò che ha significato la caduta del fascismo ad opera di una opposizione che propugnava la nascita anche in Italia di una democrazia popolare che del fascismo aveva la stessa natura totalitaria.

La Resistenza non ha cancellato le responsabilità culturali e politiche di chi era stato fascista e, dopo la caduta del fascismo, si era rapidamente trasformato in un (falso) difensore delle libertà conquistate. È questo il pesante lascito culturale e politico della Resistenza sulla nostra giovane e imperfetta democrazia. La verità è che nel 1948 l'Italia è stata salvata dal voto delle donne, che hanno scelto in massa la Democrazia cristiana e i partiti ad essa alleati, allontanando lo spettro di una trasformazione del Paese in una democrazia (si fa per dire) di tipo sovietico per cui si era battuta la Resistenza comunista.

piero.ostellino@ilgiornale.it

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

24/03/2016, 10:21

E come te sbagli ....?! [^]


Roma, polizia arresta uno spacciatore a scuola: studenti tossici di sinistra in rivolta

Non si placano gli animi degli studenti del Virgilio: anzi, più passano le ore e più la polemica – da loro innescata – monta a dismisura. Non si arrendono: né ai fatti – l’arresto di un ragazzo nel corso di un’operazione antidroga nell’istituto, colto in flagranza mentre spacciava hashish a un compagno di scuola minorenne – né alla loro evoluzione – la convalida del fermo –. E così, mentre i giudici della II sezione collegiale del Tribunale di Roma all’udienza per direttissima convalidavano l’arresto e disponevano i domiciliari per lo studente arrestato martedì, un centinaio di suoi compagni organizzavano un sit-in con l’intenzione di estenderlo poi a un vero e proprio corteo. Un corteo, va detto, che la polizia non ha autorizzato.

CONTINUA: http://www.riscattonazionale.it/2016/03 ... a-rivolta/

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

24/03/2016, 13:55

"studenti tossici di sinistra"

Il solo fatto che leggi queste porcherie i da una credibilità pari a 0.

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

24/03/2016, 14:06

Ufologo 555 ha scritto:E come te sbagli ....?! [^]


Roma, polizia arresta uno spacciatore a scuola: studenti tossici di sinistra in rivolta

Non si placano gli animi degli studenti del Virgilio: anzi, più passano le ore e più la polemica – da loro innescata – monta a dismisura. Non si arrendono: né ai fatti – l’arresto di un ragazzo nel corso di un’operazione antidroga nell’istituto, colto in flagranza mentre spacciava hashish a un compagno di scuola minorenne – né alla loro evoluzione – la convalida del fermo –. E così, mentre i giudici della II sezione collegiale del Tribunale di Roma all’udienza per direttissima convalidavano l’arresto e disponevano i domiciliari per lo studente arrestato martedì, un centinaio di suoi compagni organizzavano un sit-in con l’intenzione di estenderlo poi a un vero e proprio corteo. Un corteo, va detto, che la polizia non ha autorizzato.

CONTINUA: http://www.riscattonazionale.it/2016/03 ... a-rivolta/


un mio ex compagno di classe è celebre fra chi lo conosce per aver organizzato una manifestazione contro l'uso/lo spaccio di droghe: fa regolare uso di cocaina...

e per dovere di cronaca: era candidato nelle liste giovanili di qualche partito di destra, mi pare Forza Italia... tutto il mondo è paese.

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

24/03/2016, 15:10

Massimo Falciani ha scritto:un mio ex compagno di classe è celebre fra chi lo conosce per aver organizzato una manifestazione contro l'uso/lo spaccio di droghe: fa regolare uso di cocaina...

e per dovere di cronaca: era candidato nelle liste giovanili di qualche partito di destra, mi pare Forza Italia... tutto il mondo è paese.


Ancora c'è gente che perpetra la teoria Sinistra-drogati,anti clericali,contro la famiglia / Destra-sani principi,fervidi credenti casa e chiesa ???
Negli anni 90 quando ero ragazzino e andavo in curva,c'erano i cosiddetti "naziskin" tutti croce celtica e svastica che si fumavano di quei cyloom e tiravano di quelle madonne tra un "faccetta nera" e un "me ne frego" [:246] ,lasciamo perdere i luoghi comuni va.

Re: A sinistra intanto..ovvero, compagni che sbagliano

24/03/2016, 19:18

Ma il titolo non è "a sinistra intanto .... ovvero, compagni che sbagliano"? E allora ...! [:D]
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