L'ENIGMA RENDLESHAM
Il 18 gennaio scorso ho avuto la possibilità di intervistare l’ex sergente dell’USAF James (Jim) Penniston, coinvolto negli anni ’80 nell’ormai leggendario caso UFO nella Rendlesham Forest. Jim ha appena dato alle stampe un libro, The Rendlesham Enigma. Book 1: Timeline, scritto in collaborazione con Gary Osborn, in cui ha voluto mettere per iscritto la sua esperienza e fare chiarezza su un caso storico, sul quale si è creata molta confusione. In precedenza aveva collaborato alla stesura di un altro saggio su questo evento, Encounter in Rendlesham Forest: The Inside Story of the World’s Best-Documented UFO Incident, a firma del noto ricercatore UFO inglese Nick Pope e scritto in collaborazione anche con John Borroughs (2015). Il caso Rendlesham è considerato la Roswell britannica, per il numero di testimoni militari coinvolti, per l’attendibilità delle testimonianze dirette e anche per l’insabbiamento che è seguito agli eventi. La notte del 26 dicembre 1980, lui e i due avieri Edward Cabasang e John Borroughs sono stati i primi a intervenire in seguito alla segnalazione di qualcosa di anomalo atterrato nella foresta di Rendlesham, vicino alle basi RAF di Bentwaters e Woodbridge, gestite dall’Aeronautica USA. Pensando a un aereo caduto, e per verificare che non ci fossero pericoli per la base, Penniston e altri militari vanno sul luogo del possibile incidente, dove però non trovano un aereo schiantato, ma un velivolo misterioso, non identificabile, con dei glifi sconosciuti sulla superficie che si illuminano al tocco. Questo è il racconto di quella notte che ha cambiato per sempre la sua vita, la vita di tutti i militari coinvolti nel caso, ed è entrata nella storia dell’Ufologia.
Sono molto contenta di pubblicare questa intervista. Sei stato tra i testimoni militari del Citizen Hearing al National Press Club di Washington. Per me siete degli eroi. E mi fa piacere poter presentare il tuo libro…
Uno dei motivi per cui abbiamo scritto questo libro sono i trentotto anni di disinformazione, intenzionale o meno. E non solo da parte di persone che stanno cercando di fare debunking sul caso, ma anche da parte di alcuni testimoni.
Perché non eravate tutti insieme…
Sì, l’altro motivo è che non tutti erano “in the know”. Erano là fuori e non sapevano cosa fosse successo il giorno dopo. Le persone coinvolte in ciò che è accaduto dopo avevano tutte il nullaosta Top-Secret. E sono il sergente Monroe, gestione emergenze, che era presente il terzo giorno e notte con il luogotenente Englund e il colonnello Halt. E io, ovviamente, l’unico security policeman ingaggiato con un nullaosta Top-Secret. Siamo stati coinvolti negli eventi successivi nel dettaglio. Era una routine riunirsi con loro, il colonnello Williams, il tenente colonnello, c’era il colonnello Conrad, comandante della base, e il colonnello Halt. Alla fine mi è stato assegnato un altro incarico, così facevo loro rapporto ogni mese in un incontro speciale e facevamo anche un rapporto unità per il resto del comando della base. Stavano succedendo molte cose e io ero sempre aggiornato. Inoltre, ho sempre tenuto dei diari.
Sei uno dei testimoni originali del caso. Hai scritto questo libro perché ti senti in dovere di fare un po’ di chiarezza?
È arrivato il momento di far sapere cosa sia accaduto davvero a Rendlesham. Oggi come oggi, il 50 per cento di quello che sapete di Rendlesham è da buttare via.
Dev’essere frustrante vedere tutta questa disinformazione.
Sì, negli ultimi cinque anni, soprattutto, è andata fuori controllo. Alcune persone si basano sui documentari per fare ricerca… vanno su Internet, guardano un documentario e questa è la loro ricerca. Ti sembra normale? Ci sono un sacco di esperti che parlano di Rendlesham e che non mi hanno neanche mai intervistato. Tu sei la quarta persona che lo fa in trentotto anni.
Torniamo a quel fatidico 26 dicembre. Puoi ricapitolare cosa è successo quel giorno?
Era Santo Stefano, quindi subito dopo Natale. La sicurezza era impegnata nel suo turno di dodici ore. La Law Enforcement, entità separata, stava facendo il suo turno di otto ore. Così abbiamo cominciato presto. Io sarei dovuto essere il sergente di volo di Woodbridge. Quindi abbiamo dovuto passare i requisiti di sicurezza.
Perché Bentwaters-Woodbridge era una base britannica e americana, giusto?
Erano due basi gemelle distanti circa tre miglia e mezzo. Ma il comando e il controllo operativo di entrambe erano sotto Bentwaters. Quindi, c’era solo un comandante della base e solo un tenente colonnello. Io ero un Airforce security policeman, ovvero ero incaricato di proteggere le priorità, le risorse, che possono essere i tanker, i bombardieri, gli armamenti nucleari, qualsiasi cosa. Proteggevamo il perimetro della base e se qualcosa avesse messo in pericolo la capacità operativa dell’unità a Bentwaters o Woodbridge, noi intervenivamo. C’era un team d’intervento per la sicurezza guidato dal sergente McCulley. Io avevo accesso a tutte le zone limitate. Ho cominciato a svolgere i miei lavori di routine per quella notte, tra cui il compito di controllare le illuminazioni del perimetro, cosa che ho fatto. Ho portato a termine tutto. Mi sono fermato a parlare con il sergente McCullen del Security Response Team e c’erano due persone nuove con lui. Abbiamo deciso di incontrarci per colazione. Erano circa le 11:55 pm. Così mi sono incontrato col sergente McCullen, stavo prendendo il caffè, mi stavo togliendo la pistola e rilassando un po’, quando lui mi ha chiesto: “L’hai sentito, Jim? La CSC sta cercando di uscire”. CSC sta per Central Security Control. “Ti vogliono al 1012”. Così sono andato a rispondere alla linea diretta e dall’altra parte c’è il sergente David Coffey, il controllore senior. Gli ho chiesto cosa stesse succedendo e lui ha risposto: “Devo uscire da East Gate subito”. Gli ho chiesto quindi quale fosse il problema e lui mi ha spiegato che sarei stato informato dal sergente Bud Steffens. Gli ho domandato se dovevo adottare un “codice run” e lui mi ha risposto affermativamente, “codice run due”. Significa che posso accelerare, non molto, fino a 40 miglia all’ora circa, il che significa che il mio tempo di risposta è di due minuti. Ho preso la mia roba e sono andato. Quando sono arrivato a East Gate, c’era il sergente Steffens con un militare dell’Aeronautica. Ho chiesto cosa stesse succedendo e (il sergente Steffens, ndr) mi ha indicato la Foresta di Rendlesham.
Quanto distava da East Gate?
Senza contare le radure nella foresta vera e propria, saranno 200 iarde, forse 300, non è lontana e potevo vedere una bolla di luce, una cupola di luce sopra la foresta. E all’interno vedevo luci multicolore. “Oh no!” ho pensato, perché probabilmente era caduto un aereo. Ho chiesto (a Steffens, ndr) se l’avesse sentito cadere, o se avesse visto lo schianto, ma lui mi ha risposto che non si era schiantato, “è atterrato”. Gli alberi però sono molto fitti… Su questo punto, che era atterrato, era irremovibile e io continuavo a chiedergli se ne fosse proprio sicuro. Magari era un elicottero. Poi le Law Enforcement mi ha accompagnano fino alla CSC e in linea avevo il controllore della sicurezza, il sergente Coffey, il sergente Diller, il sergente Chandler, che era il comandante di volo delle due basi e il luogotenente Buran, il nostro responsabile di turno. Erano tutti collegati e mi hanno chiesto cosa stesse succedendo. Io ho risposto che non lo sapevo, e che forse era caduto un aereo. “Vedete qualcosa sul radar?” ho chiesto. Loro stavano già controllando, è successo tutto simultaneamente, nel giro di un minuto o due.
Stavi cercando di identificare qualcosa che pensavi normale.
Andavano fatte delle verifiche. Così i sergenti maggiori Coffey e Dillard hanno chiamato il London and Eastern Radar e la Bentwaters Tower, cercando di capire cosa stesse succedendo e nel bel mezzo di tutto questo è arrivata la comunicazione: “Sì, abbiamo un contatto con un bogey (nel gergo militare significa un aereo nemico, ndt) non identificato. Vuol dire che non aveva un transponder. Quindi non era un aereo civile. “Circa 15 minuti fa e abbiamo perso il contatto sulla Woodbridge Base”. Questo conferma che non era lo schianto di un velivolo. Secondo l’accordo Status of Forces, ci deve essere un’emergenza di bonifica per dispiegare le forze USA fuori dalla base, non si poteva semplicemente andare lì a dare un’occhiata. E a quel punto c’era un’emergenza. La perdita di contatto radar con un bogey, quello che sembrava un incendio nei boschi, c’era l’alta probabilità che ci fosse a terra un aereo. Istantaneamente, il CSC ha contattato il comando locale e ricevuto il permesso dal colonnello Conrad di uscire dalla base. Mi è stato ordinato di portare con me due persone. Dovevo portare con me un crash kit con tutta l’attrezzatura necessaria per predisporre una postazione interna di pattugliamento, che sarebbe stata gestita da uno dei due avieri che avrei portato con me. C’era un protocollo ben preciso da seguire. Quindi ho preso la jeep e ho portato con me i due militari – il Security Airman Cabasang e il Law Enforcement Airman Burroughs. Nel frattempo, il sergente Chandler stava andando dalla base di Bentwaters verso East Gate per assumere il comando della base.
Eri sempre in contatto radio con loro?
Assolutamente sì.
E a un certo punto hai cominciato a filmare…
Sì, filmavo, prendevo appunti… era il mio lavoro.
Quindi dove vi siete diretti?
Non ci siamo diretti subito al limitare della foresta, perché stavo facendo ancora i miei controlli di sicurezza. Volevo che Cabasang, che era il nostro Security Airman, si posizionasse ai margini della foresta col trasmettitore radio. La persona con cui è rimasto, il sergente Chandler, avrebbe fatto da trasmettitore al centro di comando, il Central Security Control. Io continuavo comunque a trasmettere, perché magari riuscivano a sentirmi e io non riuscivo a sentire loro. Così siamo andati avanti e, quando ci siamo avvicinati alla foresta, è stato evidente che non si trattava dello schianto di un aereo. All’epoca non so quanti ne avevo visti, un paio di dozzine… molti schianti di aerei e quello non aveva il colore giusto né l’odore giusto.
Di che colore era?
Non del colore di un aereo in fiamme. Hai parlato anche di un odore… Avrei dovuto sentire odore di combustibile in fiamme e invece non c’era nessun odore. Abbiamo raggiunto il limitare della foresta e potevo vederlo al suo interno. Era una luce brillante. Non il colore della luce come la conosciamo, con l’azzurro, l’arancio. Mi ci sono avvicinato, sono arrivato forse a 15 o 20 piedi e c’è stato un flash luminoso. Ovviamente l’istinto è stato quello buttarsi per terra. Ma non c’è stata alcuna esplosione. Era solo un flash. Così, mi sono alzato…
Ti sei buttato a terra?
Sì, assolutamente. È stata una reazione naturale. Ho pensato che stesse per esplodere. Ma non c’è stato alcun suono. Così ho preso la mia macchina fotografica e ho cominciato a scattare delle foto. Ero molto scosso. A quel punto sapevo che non si trattava di un aereo che si era schiantato, ma poteva comunque essere una minaccia per la base, quindi la cosa che ho fatto subito dopo è stato inviare un rapporto telefonico, che sarebbe poi arrivato al tenente colonnello e ai centri di comando dell’Aeronautica. Dovevamo assicuraci che non ci fosse pericolo per le priorità. Di fronte a me c’era una banchina, mi ci sono avvicinato e la luce si è dissipata ed è rimasta una navicella con una specie di tecnologia sulla superficie. C’erano luci globulari rosse, blu e verdi attorno ad essa.
Le luci erano attorno al velivolo?
Erano parte di esso. Il velivolo sembrava nero ed era ancora illuminato da una luce bianca di qualche tipo, al di sotto di esso. Non abbiamo visto però dei lampeggianti.
Che forma aveva?
Era triangolare. Che non era così impensabile. Già allora erano possibili. Mi ci sono avvicinato ed è sembrato che cominciasse ad affievolirsi. Le luci globulari hanno smesso di muoversi e hanno cominciato a spegnersi. Ed è rimasto solo il velivolo nero di fronte a me. Be’, in realtà non so quale fosse la parte di fronte, poteva anche essere laterale.
Come ti sentivi?
Ho esaurito la pellicola. Vorrei aver avuto più tempo e non aver consumato tutto così…
Eri curioso?
No, sapevo che c’era un problema. Era qualcosa che non potevo identificare. Ho cominciato a diventare curioso solo quando mi sono calmato. E ho pensato: “Come fa questa cosa a stare sul terreno?”. Era sospesa.
Com’è possibile… ha lasciato dei segni.
Sì, è molto strano. Ho guardato sotto il velivolo alla ricerca di un carrello d’atterraggio, ma era fermo, non si spostava. L’ho persino spinto.
L’hai toccato!
Pensavo che potesse spostarsi. Ma non c’era un carrello d’atterraggio. E poi avete trovato delle tracce fisiche sul terreno… Abbiamo trovato delle rientranze nel terreno…
Questo è importante, perché evidentemente si trattava di una tecnologia misteriosa che lasciava delle rientranze nel terreno ma non si poteva vedere…
No, ma si potrebbe presumere che qualsiasi tecnologia ci fosse, con quella luce al plasma, lasciava dei segni sul terreno. Quindi aveva una massa sul terreno.
Mentre eri lì a osservare il velivolo, comunicavi con la base?
Quando ho cominciato a entrane nell’area circostante al velivolo, i miei movimenti sono diventati faticosi. Prima di tutto non c’era alcun rumore, zero, non si sentivano più gli alberi, i rami, non si sentivano gli animali, c’era un silenzio mortale. Non sentivo nemmeno i miei passi sul terreno della foresta. Direi che c’era una sfera d’influenza attorno all’oggetto, che si estendeva forse per circa 10 piedi. Ho guardato indietro a destra di 25-30 piedi, dove c’era l’altro militare e lui era in piedi, immobile. Non so se fosse spaventato a morte, non ho idea di come si sentisse.
E Cabasang?
Cabasang era indietro, vicino alla jeep.
Ma anche lui poteva vedere….
Sì. Anche il sergente Chandler vedeva. Era ben visibile.
Poi cosa è successo?
Muovendomi con difficoltà e avvertendo dell’elettricità statica nei capelli, sulla faccia e sui vestiti, l’unica cosa che potevo fare era documentare tutto. Ho pensato che la persona che era con me fosse una vittima e io potessi essere la prossima. Così avrei documentato tutto il possibile in modo che al comando potessero avere delle informazioni su cosa fosse successo là fuori. Trasmettevo per radio, anche se non sapevo se riuscissero a sentirmi.
E avevi un blocco degli appunti con te.
Sì. Non avevo con me degli strumenti di misura così l’ho misurato coi miei passi.
Ed è a quel punto che hai visto i glifi?
Prima ci sono alcune altre cose importanti da dire. Come dicevo, ho cominciato a misurarlo a passi. Sono alto 6 piedi (1, 83 metri, ndt), quindi ogni mio passo è 3 piedi circa. Da un lato misurava 9 piedi ed erano tutti uguali, ed era alto tra i 6 e i 7 piedi. Sembrava vetro nero, liscio. Ho cercato le cose ovvie che hanno tutti gli aerei del mondo… compartimenti per l’equipaggio, all’epoca non c’erano i droni e cose del genere, tubi di scarico e prese d’aria. Tutte cose necessarie per volare, ma di cui non c’era traccia.
Quando hai detto che era nero… significa che non c’erano più le luci?
Era completamente opaco. Mentre ci giravo intorno mi sono accorto che c’era una specie di pinna dorsale che sporgeva e non era qualcosa che troviamo negli aerei conosciuti. Quindi non poteva appartenere a un altro governo. Venivo istruito mensilmente, addestrato sulla forma degli aerei. Solo dalla forma di un velivolo potevamo dire di che aereo si trattava. Ma quello non riuscivo a identificarlo. Prima di tutto non era un aereo. Seconda cosa, non era simile a nessun velivolo che avessi mai visto. E io ero di stanza in una base militare dell’Aeronautica, dove tenevano dei prototipi…
E non c’era niente di simile…
Oh no. Neanche oggi ho visto una tecnologia simile a quel velivolo. Mentre facevo il giro, ho visto su un lato una specie di scritta e ho pensato “Grazie a Dio”.
Stavi cercando uno stemma di riconoscimento?
Sì, ho pensato, ok magari è della Nasa, magari della US Air Force, oppure russo. Qualsiasi risposta sarebbe stata ben accetta. Mentre lo osservavo ho visto i glifi, alti circa 4 pollici. Li ho misurati con le mani.
Erano luminosi?
No, ma il velivolo era liscio e nel passare le mani sui glifi mi sono accorto che era come toccare carta velina, il che mi ha lasciato perplesso.
Erano delle rientranze?
Erano incisi sul velivolo, almeno questa è la definizione migliore che riesco a trovare. Poi ho continuato a girarci attorno. Questa volta i miei movimenti non erano più così faticosi. Era più facile. Sono tornato a fermarmi sui glifi. Sopra di essi, sopra uno di essi, uno triangolare, grande così (forma un triangolo con le mani, nda) c’erano tre altri piccoli cerchi. L’ho toccato e nel farlo si è accesa una luce bianca accecante. Non so per quanti secondi ci ho tenuto sopra le mani, ma quando le ho tolte, la luce è cessata. La cosa che mi sbalordisce è che dopo quell’intensa luce bianca non avrei dovuto vederci più. Non per almeno 35-45minuti. Invece ci vedevo. Non so, in realtà, cosa fosse, la chiamo luce ma non lo so. Poi, quando ho ricominciato a fare il giro, ho visto che c’era di nuovo un movimento di luce nella struttura del velivolo. Era come se si stesse attivando. Mi sono allontanato di un dieci piedi e quando si è illuminato di più, mi sono buttato a terra. Pensavo ancora che potesse esplodere… Non so cosa sia successo. Forse l’ho attivato in qualche modo. Quindi si è alzato dal terreno e si è spostato un po’ indietro, attraverso gli alberi, che fra l’altro sono molto ravvicinati. Forse è andato indietro di 15-20 metri. Poi si è sollevato sul bosco e ha fatto una leggera virata a destra. E a un tratto non c’era più.
Eri in comunicazione con gli altri mentre succedeva tutto quello?
No, tutta la mia attenzione era focalizzata sul veicolo di fronte a me.
E prendevi appunti?
Sì, perché non pensavo che sarei sopravvissuto. Per questo volevo assicurarmi che ci fosse una documentazione. Lo scopo di trovarmi lì era passare informazioni in modo che il comando della base potesse prendere delle decisioni o essere consapevole di determinate cose.
In seguito, quando ti sei messo in contatto con il comando, cosa credevano che ti fosse successo?
Non abbiamo parlato subito con la base. Uno (uno di quelli che era con lui, ndr) ha esclamato, “Il velivolo, è stato velocissimo, in un attimo non c’era più!”. Poi, improvvisamente, ho ricominciato a sentire qualcosa: sentivo il fruscio degli alberi, lo scricchiolio della foresta sotto i miei piedi. Il militare che era con me ha esclamato “È laggiù” e si è messo a correre, e io dietro di lui. Non dovevamo dividerci, eravamo un team. Abbiamo scavalcato un paio di recinzioni e attraversato il campo di un contadino. Sono caduto… sì, sono caduto in mezzo al fango e all’acqua. Finalmente siamo usciti dal campo e gli ho chiesto di fermarsi. Lui si è fermato e mi ha indicato un punto con la mano dicendo: “È laggiù”. Io mi sono girato e gli ho detto che secondo me era la luce di un faro, ma lui mi ha risposto sicuro di no, che non era quella la luce, e poi finalmente l’ho vista, in direzione del Mare del Nord. Era ferma e poi, all’improvviso, è schizzata via. È tornato nell’altra direzione verso il Mare del Nord. Era stazionaria e improvvisamente è schizzata via di nuovo. Alla fine ho contattato il CSC e mi è stato ordinato di tornare alla base.
Articolo di Paola Harris