20/01/2017, 16:34
World Economic Forum Davos: l'allarme di Soros, Trump "è un potenziale dittatore" Nel corso di una cena organizzata a margine dei lavori del World Economic Forum, l'uomo che nel settembre del 1992 guadagno' in un sol giorno piu' di un miliardo di dollari speculando contro la lira e la sterlina, a 86 anni compiuti, torna ad attaccare Trump e a chiedere al Congresso Usa di contrastare quella che puo' costituire 'in nuce' una vera minaccia per la democrazia americana -
"Donald Trump è un impostore, un imbroglione e un potenziale dittatore". "Non è a favore di una società aperta ma di una dittatura, di uno stato-mafia". A meno di 24 dall'inauguration day del 45esimo presidente americano il finanziere americano di origine ungherese, George Soros, ha lanciato da Davos la sua 'maledizione' al nuovo corso Usa appena iniziato. Nel corso di una cena organizzata a margine dei lavori del World Economic Forum, l'uomo che nel settembre del 1992 guadagno' in un sol giorno piu' di un miliardo di dollari speculando contro la lira e la sterlina, a 86 anni compiuti, torna ad attaccare Trump e a chiedere al Congresso Usa di contrastare quella che puo' costituire 'in nuce' una vera minaccia per la democrazia americana. "Il Congresso - ha detto - deve costituire un bastione per proteggere i diritti americani e c'e' una coalizione bipartisan su questo". "Sono personalmente convinto Trump che fallira', e non perche' c'e' gente come me che lo spera, ma perche' le sue idee sono talmente contradditorie che gia' si impersonano nei suoi consiglieri". L'Europa si sta per disintegrare Soros, che durante la campagna del 2016 ha donato alla sfidante Hillary Clinton oltre 10 milioni e mezzo di dollari, ha anche lanciato un'allarme sull'Europa "che e' sul punto di disintegrarsi". "Il referendum in Italia e la Brexit sono stati un disastro" ha commentato. Questo, ha aggiunto, "e' un processo che va contrastato e per farlo bisogna reinventare l'Europa". Secondo Soros infatti l'Europa "e' diventata troppo complicata". "Non si puo andare avanti cosi', la gente e' frustrata e sfortunatamente questa alienazione ha portato sostegno ai partiti anti-europei". Difficile cambiare il Trattato di Maastricht, ha aggiunto, ma bisogna trovare degli escamotoge per modificare le regole "e per fare questo ci vuole un grande sforzo". Una via di salvezza? "I politici devono comprendere che non hanno risposto alle aspettative della gente e devono cambiare direzione". Brexit sarà "un lungo divorzio". Theresa May non durerà Sulla Brexit Soros e' convinto che "sara' un lungo divorzio, perche' e' piu' facile sposarsi che divorziare, che danneggera' sia la Gran Bretagna che l'Ue". In questo processo, ha aggiunto il miliardario Usa "Theresa May non durera', c'e' gia una grande divisione nel governo e un contrasto con il Parlamento". Inoltre i britannici "stanno negando a loro stessi la situazione. L'economia non va male come previsto, ma l'inflazione avra' il sopravvento e ridurra' gli standard di vita. Solo allora si renderanno conto". I mercati si renderanno conto della realtà Parlando dei mercati - che nella scommessa anti-Trump sono costati cari a Soros che ha perso un miliardo di dollari - il finanziere ungherese ha detto di continuare a credere in un ribasso. "L'incertezza e' nemica degli investimenti a lungo termine - ha spiegato - e non penso che i mercati continueranno a salire. Ora stanno ancora celebrando ma appena si renderanno conto della realta' prevarra' la sfiducia". Come andra' Trump? "Difficile dirlo perche' in realta' lui stesso non ci ha pensato. Non si aspettava di vincere ed e' stato preso di sorpresa mentre era ancora impegnato a costruire il suo 'brand'. Poi solo quando e' stato eletto ha iniziato a pensare cosa fare".
20/01/2017, 16:47
25/03/2017, 13:42
Juncker a Trump: “Con crac euro sarà la guerra”
ROMA (WSI) – La Brexit? Un fallimento e una tragedia. A dirlo in una lunga intervista alla BBC il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, il quale ha avvertito dei rischi geopolitici che comporterebbe la spaccature dell’Eurozona, citando il pericolo di conflitto nei Balcani.
“Ogni giorno scopriamo nuovi problemi dei quali non eravamo nemmeno al corrente. La gente pensa che la Brexit sia la fine. Ma questo è solo l’inizio”, ha detto sottolineando come l’entusiasmo di Trump sulla volontà del Regno Unito di dire addio all’Unione Europea sia stato per lui “sorprendente e fastidioso”.
Parlando delle frasi pronunciate da Donald Trump con il vice presidente Mike Pence, Juncker ha detto: “non è accettabile, non si possono invitare altri ad abbandonare l’Europa unita”. Con le sue politiche protezioniste sotto lo slogan ‘America First’, Trump sta impaurendo gli europei. Se l’Europa collassa scoppierà una nuova guerra nei Balcani.
“Brexit è un fallimento e una tragedia”
“La Brexit costerà al Regno Unito fino a 60 miliardi di euro. È un fallimento e una tragedia. Sarà triste, così come è stato triste il voto nel referendum in Gran Bretagna. Per me è una tragedia”: sono le parole esatte pronunciate da Juncker.
La premier inglese Theresa May notificherà in via formale all’Unione europea la volontà di uscire dal mercato unico il prossimo 29 marzo, ricorrendo all’articolo 50 dei Trattati e dando così il via al periodo di trattative di due anni al termine del quale l’Ue passerà da 28 a 27 paesi membri. In merito il numero uno della Commissione europea ha promesso di attuare con Londra un negoziato amichevole ma d’altra parte ha affermato che le istituzioni europee non sono certamente ingenue.
“Non ho per nulla sentimenti ostili in relazione alla Gran Bretagna. Negozieremo in modo amichevole, in modo equo, e non siamo ingenui”.
Il riferimento di Juncker è al conto che la City dovrà pagare per uscire dall’euro.
“Sarà un conto che rispecchia gli impegni passati dal governo britannico e dal parlamento britannico. Non ci saranno sanzioni, punizioni, niente del genere”.
La cifra che circola negli ultimi tempi è di 60 miliardi di euro che serviranno per pagare gli impegni di finanziamento già presi e le pensioni dei funzionari inglesi che hanno lavorato all’Ue durante la permanenza di Londra nell’Unione europea.
Infine Juncker fa una promessa:
Sono fortemente determinato a preservare i diritti degli europei che vivono in Gran Bretagna e dei britannici che vivono nell’Unione europea (…) non è materia di scambio, è questione di rispetto della dignità umana.
Il mandato del presidente della Commissione Ue scade nel 2019.
25/03/2017, 14:03
"Abbiamo creato un'Unione unica, dotata di istituzioni comuni e di forti valori, una comunità di pace, libertà, democrazia, fondata sui diritti umani e lo stato di diritto, una grande potenza economica che può vantare livelli senza pari di protezione sociale e welfare."
http://www.quotidiano.net/politica/trat ... -1.2990465
25/03/2017, 14:38
25/03/2017, 14:51
25/03/2017, 15:38
ORSOGRIGIO ha scritto:Bisogna riconoscere che da 60 anni in Europa non ci sono state guerre, se escludiamo gli ex slavi.
Niente guerre armate, ma guerre economiche, con conseguenti vittime SI.
25/03/2017, 15:44
Thethirdeye ha scritto:ORSOGRIGIO ha scritto:Bisogna riconoscere che da 60 anni in Europa non ci sono state guerre, se escludiamo gli ex slavi.
Niente guerre armate, ma guerre economiche, con conseguenti vittime SI.
Già..... guerre economiche che hanno raso al suolo nazioni intere.
E i BABBEI oggi festeggiano pure....
25/03/2017, 16:21
La povertà in Europa: 342 miliardari e 123 milioni di persone a rischio indigenza
http://www.lastampa.it/2015/09/09/ester ... agina.html
25/03/2017, 16:51
14/04/2017, 01:13
C’è la guerra in Europa per chi sa vederla
Nel 1997 W.G. Sebald tenne a Zurigo alcune memorabili conferenze sul tema “Guerra aerea e letteratura”. Si trattava di lezioni di poetica, essenzialmente, e di riflessione sulla condizione della letteratura tedesca nel secondo dopoguerra. I testi delle conferenze, successivamente rielaborati, vennero pubblicati in un volume – Storia naturale della distruzione (Adelphi) – che resta a tutt’oggi tra le vette delle produzione di Sebald e tra i tentativi più sbalorditivi di creare un nesso tra gli spropositi novecenteschi e le opere prodotte dagli scrittori. Il secolo breve, come lo chiamò Hobsbawn, aveva spalancato domande abissali, e gli artisti avevano a loro volta articolato domande ulteriori, ciascuno a modo proprio.
Sebald era uno scrittore e non uno storico. Il che significa che la sua specifica, e prima ancora il suo metodo, passava attraverso la delusione delle aspettative. Gli scrittori cercano di sabotare la versione del mondo così come viene loro consegnata. Ogni opera è un mondo restituito irriconoscibile agli uomini. Per questa ragione, ogni scrittore attenta all’ordine costituito, come sapeva bene Roberto Bolaño che descrisse i poeti come teppisti che seminano il panico per le strade. Ma non è necessario aver letto Roberto Bolaño per confezionare ordigni letterari. In letteratura il sabotaggio è un gesto naturale. Bastino alcuni: Pasternak, Pasolini, Céline, Ezra Pound: il carcere, il manicomio, il suicidio, certificano l’inconciliabilità di due statuti contrapposti.
Con le sue lezioni zurighesi Sebald compì un gesto analogamente coraggioso. Era uno scrittore tedesco, era nato quando la Seconda Guerra Mondiale era ancora in corso, e metteva la parola nella piaga della Storia. Il mea culpa, in Germania, era un atto dovuto: tra tutte le vergogne, la Shoah era la più monumentale. Sarebbe stato quindi naturale biasimare la Germania, fare abiura del più abnorme tra i disastri della Storia. Ma Sebald si mosse in direzione opposta: si concentrò sulla Germania come vittima di un’operazione, mai vista prima, di distruzione da parte degli alleati. “La sola Royal Air Force – scrisse – sganciò sul territorio nemico un milione di tonnellate di bombe in quattrocentomila incursioni, che delle cento trentuno città attaccate – alcune solo una volta, altre a più riprese – parecchie vennero quasi interamente rase al suolo, che fra i civili le vittime della guerra aerea in Germania ammontarono a seicentomila persone, che tre milioni e mezzo di alloggi andarono distrutti, che alla fine del conflitto i senzatetto erano sette milioni e mezzo”. La Germania aveva commesso un abominio, certamente; però, diceva Sebald, aveva anche subito “un’operazione di annientamento senza precedenti nella storia”.
Cosa voleva dire Sebald elencando i danni prodotti dei bombardamenti? Voleva forse riabilitare la Germania da una condanna unilaterale della Storia? Soprattutto: cosa c’entrava tutto questo con delle lezioni di poetica? Sebald ci mette poco, ad arrivare al punto, quando scrive che di tanta distruzione non è rimasta traccia nell’elaborazione che i tedeschi fecero del proprio passato. Forse per via di un senso di colpa collettivo? Niente affatto. Al contrario: “La distruzione totale non si presenta quindi come il terrificante esito di un processo di pervertimento collettivo, ma – per così dire – come il primo stadio di una ricostruzione pienamente riuscita”. I tedeschi vogliono dimostrare che torneranno ad essere i più forti: volontà di potenza allo stato puro. E gli scrittori? In fondo è questa la domanda che, da scrittore, interessa a Sebald. È lì che vuole arrivare. E gli scrittori hanno taciuto. E tacendo, si sono messi al servizio della nuova ideologia. “Per la stragrande maggioranza dei letterati rimasti in Germania durante il Terzo Reich, dopo il 1945 fu molto più urgente ridefinire la propria immagine anziché raffigurare il mondo reale che stava loro attorno”. È un’operazione di propaganda: la Germania doveva risorgere dalle sue stesse ceneri, e gli scrittori, lungi dal sabotare l’operazione, prestarono le loro penne alla ricostruzione nazionale. Sebald correda il testo con fotografie che ritraggono città completamente rase al suolo. Poi fa un ulteriore passo avanti. Pubblica cartoline che risalgono agli anni del primo dopoguerra: ritraggono cittadine rimesse in pieni, sorrette da didascalie in cui si dice all’incirca “Più bella di com’era prima”.
Che cosa c’entra tutto questo con l’Europa? Noi scrittori siamo spesso sollecitati a intervenire sul significato dell’Europa, sulla sua valenza culturale, su un’identità diffusa, se mai ne esiste una, e sulle sue prospettive. Ci viene richiesto, così come ad altri lavoratori del pensiero, di provare a definire il retroterra culturale dell’Europa, il patrimonio comune, le vie eventuali di sviluppo, per rendere più evidente ancora quel che l’Europa è già. Ovvero, detto con eccesso di sintesi, l’unico continente in pace. Tra i lavoratori del pensiero, noi scrittori abbiamo un ruolo per certi versi più strategico: dobbiamo impastare immaginario creando delle forme da condividere con gli altri. Come si usa dire in questi anni, a noi scrittori è richiesto di produrre una narrazione, perché soltanto con una narrazione nuova l’Europa esisterà davvero. Il che, così formulato, assomiglia a quello che lo stesso Eric Hobsbawn, nella seconda metà del secolo scorso, chiamò “invenzione della tradizione”: una tradizione finzionale, politicamente funzionale.
E vale evidentemente anche per l’Europa, il Vecchio Continente. Perché dunque inventare una storia nuova per un soggetto che già la possiede, che è studiata dai nostri figli a scuola, su cui viene valutata la loro idoneità a conseguire o meno un titolo di studio? Perché dunque il nostro imbarazzo, ogni volta che qualcuno ci invita a conferire su questo tema? Non basterebbero gli storici, i sociologi, gli antropologi, gli archeologi, per ottemperare a questo compito? Perché è richiesto il nostro intervento – l’intervento cioè di esperti in finzione – perché un luogo diventi più reale? Perché c’è una disponibilità anche finanziaria così generosa da parte di organismi sovranazionali per foraggiare i tentativi di reinvenzione di un continente che esiste già da tanto tempo? Perché tanto denaro, tanti bandi – e dunque una macchina produttiva così imponente – per scoprire quello che è già stoccato negli hangar della storia? Io credo che sia questa la domanda più urgente che bisogna farsi.
È qui che ci torna in aiuto Sebald, che sul finire del millennio pose una domanda scomoda allo stato di cui era cittadino e agli scrittori di cui era collega. Le fotografie che ritraggono le città distrutte ci riguardano: quell’Europa è il nostro continente. È il nostro continente quello in cui i confini sono cambiati infinite volte non solo nell’ultimo secolo ma nell’ultimo millennio; e ogni confine che cambia, lo sappiamo bene, sono morti lasciati sulle strade, vedove indurite, orfani senza casa e con tutto da rifare. Quello di cui parlava Sebald nelle sue conferenze zurighesi era lo scenario che conosciamo bene, quello che anche noi abbiamo studiato a memoria senza riuscire a calcolare quanto dolore ci fosse dentro una scissione, un’annessione, una conquista ottenuta attraverso le rese e la firma dei trattati.
L’Europa è sempre stato un continente in guerra: questo è quel che dicono le fotografie delle città tedesche bombardate. Di fronte a quelle foto Sebald contestava alla Germania postbellica la volontà di opporre alla coscienza critica la volontà di potenza, e agli scrittori di farsi portavoce di quell’ideologia, di fare finzione di una sciatta malafede. È un fatto: la storia dell’Europa è quella di un continente ferocemente bellicoso al suo interno. I suoi stati da sempre sono in lotta tra di loro, i morti che hanno causato sono sepolti sotto i nostri prati, i confini sono più confusi delle linee di una mano. Noi scrittori siamo invitati a fare quel che fecero i tedeschi dopo la Seconda Guerra mondiale. A dire cioè che certo ci sono state delle guerre, ma ora, nel presente, siamo in pace. Se esistono minacce arrivano da fuori. Siamo invitati a produrre cartoline con la didascalia “più bella di com’era prima”. Possiamo ricevere del denaro, in cambio, perché l’invenzione dell’Europa sia ancora più efficace. In altri tempi, questa sarebbe stata chiamata propaganda.
Ma l’Europa è attraversata da una spietata e inarrestabile guerra tra i suoi stati. Nel presente. Le armi tradizionali hanno solo lasciato il posto ai flussi finanziari, i cannoni ai diktat delle banche centrali. È una guerra invisibile, passa attraverso codici e algoritmi; è digitale, ronza dentro i computer, non alza polvere, non scava trincee. L’Europa continua cioè a essere flagellata da guerre interne, singoli stati sono strangolati, messi all’angolo dai tassi d’interesse, dai debiti, dalle clausole, dai patti sottoscritti. Una tale cinica e invisibile ferocia si era raramente esercitata. Ma anche l’invisibile può uccidere, e infatti questa guerra provoca morti silenziose, annienta fasce intere di popolazione, rinforza l’odio, spinge alla guerra di tutti contro tutti. Le armi sono economiche. Le vittime sono sotto gli occhi di tutti. Ma come scrittori, siamo invitati a far finzione del presente, perché l’Europa ha più bisogno di ridefinire la propria immagine, anziché raffigurare il mondo reale che le sta intorno. Mentre noi siamo sollecitati a inventare a pagamento un continente in pace, l’Europa è in guerra: la Germania, la Grecia, il Portogallo, la Spagna, l’Italia, sono paesi impegnati in un conflitto atroce. È una guerra di algoritmi, forse più violenta ancora. Basta leggere i giornali e dare un nome alle cose che succedono. Anche questo facciamo noi scrittori.
14/04/2017, 10:35
14/04/2017, 12:38
TheApologist ha scritto:Non ci sono guerre tra eserciti perché é in atto una guerra subdola, economica e silenziosa. I paesi potenzialmente fastidiosi per la grante Cermania sono tutti ricattabili, ergo sono costretti ad abbassare la testa. Hanno sostituito i panzer con le procedure d'infrazione e le sanzioni.
“Dopo la fine del mandato di Draghi nel 2019, il prossimo governatore della BCE deve essere un tedesco, che si senta obbligato a seguire la tradizione della stabilità monetaria della Bundesbank”. Lo ha dichiarato alla Bild il vice-presidente della CSU, il partito gemello della CDU della cancelliera Angela Merkel al Bundestag, Hans-Peter Friedrich. Parole condivise dal collega di partito Hans-Peter Uhl, che attacca la politica dei tassi zero del governatore italiano, chiarendo come la Germania non possa permettersi un altro Draghi e come sia necessario mettere a capo della BCE un esperto di finanza tedesco.
https://www.investireoggi.it/economia/d ... i-berlino/
14/04/2017, 13:27
TheApologist ha scritto:Non ci sono guerre tra eserciti perché é in atto una guerra subdola, economica e silenziosa.
I paesi potenzialmente fastidiosi per la grante Cermania sono tutti ricattabili, ergo sono costretti ad abbassare la testa.
Hanno sostituito i panzer con le procedure d'infrazione e le sanzioni.
14/04/2017, 13:43
MaxpoweR ha scritto:TheApologist ha scritto:Non ci sono guerre tra eserciti perché é in atto una guerra subdola, economica e silenziosa.
I paesi potenzialmente fastidiosi per la grante Cermania sono tutti ricattabili, ergo sono costretti ad abbassare la testa.
Hanno sostituito i panzer con le procedure d'infrazione e le sanzioni.
Veramente in ucraina si combatte anche con le armi e quella sempre europa è