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Robot, il made in Italy cresce del 19%: un ritmo migliore di Germania, Giappone e Usa
Oltre mille installazioni in più. La robotica italiana nel 2017 si avvicina alle 8000 unità, presentando un tasso di crescita del 19%, più alto del Giappone, il doppio rispetto alla Germania, il triplo in rapporto agli Stati Uniti. I dati preliminari della federazione robotica internazionale (Ifr) evidenziano uno scatto deciso per l’automazione industriale nel 2017, con il nostro paese a giocare un ruolo di primo piano.
Il fermento è visibile soprattutto in Asia, con la Cina in progresso del 58%: oltre un terzo delle nuove installazioni mondiali è “spiegato” da Pechino.
Le previsioni di Ifr sono state riviste al rialzo rispetto alle stime precedenti e il totale annuo (387mila nuovi robot), nuovo record, evidenzia un quasi raddoppio del tasso di crescita (ora al 31%) rispetto alle indicazioni dell’ultimo rapporto annuale. Di fatto, siamo già oltre i valori assoluti stimati per il 2018, per un giro d’affari complessivo che nel mondo è valutato in 50 miliardi di dollari. Indicazioni riviste al rialzo anche per l’Italia, accreditata in precedenza di 7100 nuove installazioni, che ora dovrebbe essere arrivata attorno alle 7700 unità, un balzo deciso rispetto alle 6465 dell’anno precedente.
«Sono numeri in linea con ciò che raccontano i nostri associati - spiega il presidente di Siri (Associazione italiana di robotica e automazione) Domenico Appendino - e che in buona parte derivano dal piano di incentivazione per Industria 4.0, certamente un grande traino per l’innovazione. Noi vediamo l’andamento degli ordini, che evidenziano un buon trend anche nel 2018: il primo semestre è stato ancora molto positivo».
La conferma arriva da Comau, tra i big mondiali del comparto, che vede un mercato interno in decisa crescita, risalito al 20% dei volumi totali. Domanda spinta verso l’alto da system integrator nazionali che spesso riesportano le applicazioni, ma anche da un risveglio tutto italiano. «Gli incentivi stanno certamente funzionando - spiega il direttore marketing di Comau Maurizio Cremonini - e a questo si aggiunge una maggiore sensibilità dell’impresa ai temi dell’automazione, vista come leva di recupero della produttività. E nella nostra esperienza priva di impatti negativi sulla forza lavoro. Inoltre, non va sottovalutato l’aspetto dei costi: grazie alla concorrenza, robot che dieci anni fa costavano 70mila euro oggi si possono acquistare per un quinto di quell’importo».
Protagonista della rivoluzione su scala globale è certamente la Cina, in grado di aumentare in modo esponenziale le proprie applicazioni: se nel 2007 Pechino inseriva nelle proprie aziende appena 7mila robot, circa il 6% del totale mondiale, il valore assoluto è ora lievitato a quota 138mila, il 36% della torta complessiva.
Il Giappone (+18%, 46mila unità) riconquista il secondo posto al mondo per numero di impianti scavalcando la Corea del Sud, mentre Stati Uniti e Germania si confermano rispettivamente al quarto e quinto posto. L’Italia in termini di nuove installazioni è stimata all’ottavo posto mondiale, superata nel 2017 dal Vietnam, in grado di quintuplicare gli acquisti rispetto all’anno precedente.
Posizione analoga per noi (qui però i dati sono al 2016) vi è anche nell’intensità di utilizzo: siamo all’ottavo posto mondiale con 185 robot installati per 10mila addetti, più del doppio rispetto alla media globale.
In termini settoriali nelle indicazioni di Ifr le applicazioni più diffuse nel mondo riguardano l’industria automobilistica (125mila unità), anche se elettronica (116mila) e lavorazione dei metalli (44mila) presentano i tassi di crescita superiori. Con lo scatto del 2017, per la prima volta lo stock di installazioni nel mondo ha superato quota due milioni.
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