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 Oggetto del messaggio: Re: Stato-Mafia, ci hanno messo 20anni..ma alla fine..
MessaggioInviato: 29/09/2018, 12:07 
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 Oggetto del messaggio: Re: Stato-Mafia, ci hanno messo 20anni..ma alla fine..
MessaggioInviato: 29/09/2018, 13:19 
E io che credevo che la Mafia non esistesse più! [:297]



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 Oggetto del messaggio: Re: Stato-Mafia, ci hanno messo 20anni..ma alla fine..
MessaggioInviato: 30/09/2018, 13:10 
catwalk ha scritto:
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Giusto, meglio essere governati direttamente da mafiosi e corrotti alias FI e PD.



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 Oggetto del messaggio: Re: Stato-Mafia, ci hanno messo 20anni..ma alla fine..
MessaggioInviato: 30/09/2018, 13:23 
sottovento ha scritto:
E io che credevo che la Mafia non esistesse più! [:297]


Ma.......!
non era SOLO UN'INVENZIONE DELLA STAMPA ?!

(come il Governo...del resto.)

[:291]





P.s.:

A Bella 'Sta Scusa . [:81]



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 Oggetto del messaggio: Re: Stato-Mafia, ci hanno messo 20anni..ma alla fine..
MessaggioInviato: 30/09/2018, 13:27 
MaxpoweR ha scritto:



Giusto, meglio essere governati direttamente da mafiosi e corrotti alias FI e PD.


Ma vedi che quando vuoi (!) capisci Molto Bene !?

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 Oggetto del messaggio: Re: Stato-Mafia, ci hanno messo 20anni..ma alla fine..
MessaggioInviato: 24/10/2018, 23:55 
Voto di scambio, via libera del Senato: a favore Lega, M5s e Fratelli d’Italia. La sinistra e Libera: “Occasione sprecata”


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Il provvedimento ora passa alla Camera. Per il relatore Mario Giarrusso (Cinque Stelle), "è un passo fondamentale nella lotta alla mafia. Se sei candidato e accetti i voti di un mafioso, ti prendi una condanna tra i 10 e i 15 anni". L'associazione di Don Ciotti: "Lacune ed elementi a rischio di incostituzionalità. Complicato dimostrare che chi accetta la promessa abbia la consapevolezza di trattare con un condannato per 416 bis"
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Con 160 voti favorevoli è passato al Senato il disegno di legge contro il voto di scambio politico-mafioso. I contrari sono stati 98 e 7 gli astenuti. Hanno votato contro Leu, Pd e Forza Italia. A favore Lega, M5s e Fratelli d’Italia. Il provvedimento ora passa alla Camera. Per il senatore Cinque Stelle Mario Giarrusso, relatore e primo firmatario, “è un passo fondamentale nella lotta alla mafia” perché “l’articolo 416 ter del codice penale esiste da molti anni, ma è sempre stato poco efficace. Nel 2014 il Pd e i suoi alleati lo hanno addirittura peggiorato, rendendo più difficile condannare queste persone che fanno i patti col diavolo”. Pd, Leu e l’associazione Libera sostengono invece che il fatto che la promessa di procurare voti debba necessariamente provenire “da parte di soggetti la cui appartenenza alle associazioni di cui all’articolo 416-bis sia a lui nota” vanifica gli aspetti positivi. Contraria anche Forza Italia secondo cui il ddl “prevede solo aumenti indiscriminati di pena che non rappresentano un deterrente”.

Un passaggio questo, sulla consapevolezza, che è il frutto di un cambio in corsa in commissione su proposta di Fratelli d’Italia. In origine il testo all’articolo 1 recitava: “Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’articolo 416 bis, in cambio dell’erogazione o della promessa…”. Ma con la modifica è diventato: “Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti la cui appartanenza alle associazioni di cui all’articolo 416 bis sia a lui nota, in cambio…”


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L’Aula ha poi approvato un solo emendamento, dello stesso Giarrusso, che prevede una aggravante di pena (aumento della metà) per il reato di voto di scambio politico-mafioso quando il politico viene eletto “nella relativa consultazione elettorale” in cui è stato sottoscritto lo scambio. “Nella scorsa legislatura”, ha ricordato Giarrusso, “mi ero battuto insieme ai colleghi del Movimento 5 Stelle per contrastare quella riforma e per farne una seria. Ma Pd e soci sono andati avanti nella loro strada verso il disastro. Adesso che abbiamo avuto il mandato di governare noi schieriamo l’Italia dalla parte della legalità e della giustizia: se sei candidato e accetti i voti di un mafioso, ti prendi una condanna tra i 10 e i 15 anni. Se poi vieni eletto la pena aumenta della metà. E subisci pure l’interdizione dai pubblici uffici. Lo stesso trattamento è previsto per il mafioso che procura i voti. Se non spezziamo la catena tra criminalità organizzata e politica non riusciamo a rendere più civile il nostro paese. Non vogliamo dare scampo a politici corrotti e mafiosi”.

Il senatore di LeU Pietro Grasso, intervenendo per annunciare il voto contrario di Liberi e Uguali, ha commentato che “per un’impuntatura della maggioranza, tutti gli aspetti positivi del testo sono vanificati da alcune parole nell’articolo 1 e cioè che la promessa di procurare voti debba necessariamente provenire “da parte di soggetti la cui appartenenza alle associazioni di cui all’articolo 416-bis sia a lui nota”. “Riconosco in voi la buona fede – ha aggiunto – ma devo prendere atto di una totale incapacità di ascoltare chi vi ha in ogni modo chiesto delle modifiche puntuali. Nonostante i ripetuti suggerimenti, gli emendamenti proposti sia in Commissione che in Aula, la richiesta di importanti Associazioni come Riparte il Futuro e Libera e da ultimo, consentitemelo, da chi come il sottoscritto ha ricoperto per anni il ruolo di magistrato e di Procuratore, non avete voluto correggere un errore che avrà effetti in sede applicativa”. Secondo Grasso la riforma “sarà l’ennesima occasione sprecata”.

Per il senatore Giuseppe Cucca, capogruppo Pd in commissione Giustizia a Palazzo Madama, “la maggioranza ha voluto solo fare propaganda e non ha voluto davvero migliorare le cose”. “Le citazioni, che qualcuno ha fatto, di Giovanni Falcone sono davvero apparse fuori luogo. Non si sono volute ascoltare le critiche dei magistrati e delle associazioni che quotidianamente combattono contro la criminalità organizzata. La verità è che la norma non viene migliorata, ma anzi, amplia la discrezionalità di chi deve decidere: le maglie della lotta alla criminalità si allargheranno. Si restringe, allo stesso tempo, la platea a cui si potrà applicare il 416 ter. Questi sono i motivi che ci portano a votare contro questo provvedimento: con l’approvazione della modifica del 416 ter si restringono le possibilità di condanna e si aiuta la mafia”.

Libera aveva chiesto che il testo tornasse in commissione e si aprisse “una indagine conoscitiva sul funzionamento della norma attualmente vigente perché mai come in questo caso la fretta è cattiva consigliera”. Secondo l’associazione presieduta da Don Ciotti “siamo davanti ad un provvedimento che presenta lacune ed elementi a rischio di incostituzionalità. In particolar modo con il nuovo disegno di legge diventa complicato, se non impossibile, dimostrare che chi accetta la promessa dei voti abbia la consapevolezza di trattare con un condannato per 416 bis”.
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Chissà come mai PD e FI votano contro!? Mah, misteri. [:291] Immagine [:246]



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 Oggetto del messaggio: Re: Stato-Mafia, ci hanno messo 20anni..ma alla fine..
MessaggioInviato: 04/12/2018, 13:40 
Per i mafiosi non c’è più spazio


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di Luigi Di Maio
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46 arresti e uno in particolare, quello di Settimo Mineo, rappresentano uno dei più duri colpi inflitti dallo Stato alla mafia. Mineo era stato infatti eletto “erede” di Totò Riina dopo la sua morte. Per questa gentaglia in Italia non c’è più spazio. Grazie ai Carabinieri e al pool di magistrati che hanno portato a termine questa grande operazione!

da ilfattoquotidiano.it

Cosa Nostra era tornata all’antico per eleggere il nuovo capo dei capi. Dopo la morte di Totò Riina, i capi mandamento avevano rimesso in piedi la Commissione provinciale per stabilire chi sarebbe stato l’erede del padrino di Corleone, morto poco più di un anno fa. E avevano scelto Settimino Mineo, 80 anni, ufficialmente gioielliere, con un “curriculum” mafioso lungo decenni. Né Matteo Messina Denaro né nuove leve: la Cupola – mai convocata dall’arresto di Riina, l’unico che poteva riunire il gran summit del gotha mafioso siciliano, aveva deciso di ripartire da un ottuagenario che negli anni aveva mostrato fedeltà e discrezione.

È quanto ricostruito dall’inchiesta della Dda di Palermo che ha portato al fermo di Mineo e di altre 45 persone. Dopo il decesso di Riina nel carcere di Parma il 17 novembre 2017, stando a quanto accertato dai magistrati guidati da Francesco Lo Voi, Mineo era stato designato al vertice della Commissione provinciale il 29 maggio scorso: segno che i clan avevano scelto di tornare alla struttura unitaria di un tempo.

Secondo quanto accertato nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano, la commissione era tornata a vedersi e aveva scelto Mineo come nuova guida, probabilmente con cerimonia dei pizzini. A conferma di quanto sostenuto da diversi inquirenti, quindi, l’erede di Riina non è Matteo Messina Denaro, la cui influenza resterebbe confinata al mandamento di Trapani”. Cosa Nostra aveva deciso di affidarsi piuttosto a un anziano padrino che – come è emerso dalle indagini dei carabinieri, guidati dal colonnello Antonio Di Stasio – aveva il terrore di essere intercettato. Per questo non usava telefoni e spesso si muoveva a piedi per le strade di Palermo.

Già condannato a 5 anni al maxi processo istruito da Giovanni Falcone, il gioielliere – di cui già il pentito Tommaso Buscetta fece il nome – fu riarrestato 12 anni fa per poi tornare in libertà dopo una condanna a 11 anni. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore Lo Voi, dall’aggiunto Salvatore De Luca e dai pm Francesca Mazzocco, Amelia Luise, Dario Scaletta, Gaspare Spedale e Bruno Brucoli e ricostruisce gli assetti dei clan palermitani di Porta Nuova, Poagliarelli, Bagheria, Villabate e Misilmeri.

La Commissione provinciale di Cosa nostra sarebbe stata riconvocata il 29 maggio scorso: un summit che riporta alla vecchia mafia. Come ispirata alla tradizione sembra essere l’organizzazione della nuova commissione provinciale guidata da Mineo. Gli investigatori sono riusciti, nel corso delle indagini, a “cogliere in presa diretta la fase di riorganizzazione in atto all’interno di Cosa nostra”. Le accuse per gli indagati sono di associazione mafiosa, estorsione aggravata, intestazione fittizia di beni, porto abusivo di armi, danneggiamento a mezzo incendio, concorso esterno in associazione mafiosa.
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 Oggetto del messaggio: Re: Stato-Mafia, ci hanno messo 20anni..ma alla fine..
MessaggioInviato: 05/12/2018, 10:41 
Arrestato Mineo... Meno male che contro la mafia "non facevano un c@zzo"! :)



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MessaggioInviato: 19/12/2018, 22:12 
Via d’Amelio, l’Antimafia: “Regia del depistaggio inizia prima della strage. Sapevano in anticipo il modello dell’autobomba”


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La commissione dell'Assemblea regionale siciliana di Claudio Fava deposita la relazione sull'eccidio di Paolo Borsellino. "Il falso pentito Scarantino serviva a escludere ogni possibile sospetto che mandanti potessero essere anche soggetti estranei all’associazione mafiosa", scrive l'organo parlamentare in un dossier che va oltre le responsabilità penali, mettendo in fila errori, anomalie, manomissioni e inerzie investigative. Dal ruolo dei servizi, a quello di La Barbera, alla "reticenza" della Istituzioni fino a due strane incursioni nell'ufficio e nella casa di campagna del magistrato assassinato
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MessaggioInviato: 06/03/2019, 00:23 
Mafia, 25 arresti a Trapani: anche l’ex deputato regionale del Pd Ruggirello. “Soldi in cambio di voti”


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Operazione della procura di Palermo e dei carabinieri. Il clan era guidato dai fratelli Francesco e Pietro Virga, figli di Vincenzo, boss di Trapani che è in carcere dal 2001, quando fu arrestato da latitante. I boss avevano costituito una nuova cellula a Favignana, isola turistica dell’arcipelago delle Egadi. Coinvolto anche l'ex consigliere regionale (non rieletto): dopo aver cambiato diversi partiti era stato accolto dai renziani
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I fantasmi del passato tornano in galera. Con loro in manette anche un ex deputato regionale accusato di associazione mafiosa: si tratta di Paolo Ruggirello ed era uno degli esponenti di punta del Pd di Matteo Renzi in provincia di Trapani. Ora è accusato di associazione mafiosa. Dove la mafia aveva creato perfino una nuova cellula. Si trovava a Favignana, isola turistica dell’arcipelago delle Egadi. Lì i fratelli Francesco e Pietro Virga – figli di Vincenzo Virga, boss di Trapani che è in carcere dal 2001, quando fu arrestato da latitante – avevano allungato i loro tentacoli. Sull’isola avevano rilevato il Grand Hotel Florio, prestigiosa struttura con un ampio ristorante, ora sotto sequestro. Anche loro sono finiti tra i 25 arrestati nel blitz dei carabinieri nel trapanese, la terra del superlatitante Matteo Messina Denaro.

L’indagine è coordinata dalla Dda di Palermo, del procuratore capo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Gianluca De Leo e Claudio Camilleri e riguarda le famiglie mafiose di Trapani, Paceco, Marsala e Favignana. I fratelli Virga erano riconosciuti come i capi del mandamento di Trapani dal tessuto imprenditoriale, dalle altre famiglie mafiose e dalla politica locale. Secondo le indagini avrebbero fornito ampio sostegno elettorale a Paolo Ruggirello, ex deputato regionale del Pd non rieletto alle ultime elezioni. Si era anche candidato al Senato, senza successo, alle politiche. In precedenza, invece, era stato consigliere regionale con il Movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo, e poi tra i fondatori di Articolo 4, una lista di centro poi annesa nel Pd dai renziani. Il politico oggi è finito in manette per associazione mafiosa e gli episodi contestati si riferiscono ad almeno due campagne elettorali, in cui avrebbe offerto favori, assunzioni ma soprattutto soldi. Nell’indagine è coinvolto anche un altro politico.

Sono 33 in totale persone indagate e il lavoro degli investigatori ha ricostruito gli interessi sia dell’ex deputato all’Ars. A partire dai legami di Ruggirello con Lillo Giambalvo, il consigliere comunale di Castelvetrano prima arrestato nell’operazione Eden, poi scarcerato e assolto dall’accusa di mafia ma adesso sotto processo per estorsione. Ruggirello ne fu lo sponsor politico; Giambalvo non era un consigliere qualsiasi: fu intercettato, infatti, mentre esprimeva la sua ammirazione per Matteo Messina Denaro; il suo caso fece scalpore e mosse un movimento che nel marzo 2016 portò un gran numero di consiglieri – 27 su 30 – a dimettersi e al conseguente scioglimento nonché commissariamento del consiglio comunale.

Spicca anche il nome di Bice Ruggirello, sorella di Paolo, candidata alle elezioni politiche del 2013 con il Mir (Movimento Italiani in Rivoluzione). C’è un intercettazione in cui un politico di Castelvetrano dice a Giambalvo di farsi dare “mille euro” dalla donna. Tra gli arrestati Ivana Inferrera, 56 anni, ex assessore del Comune di Trapani. E tra gli indagati un collaboratore di Ruggirello.

Secondo l’inchiesta, i Virga si muovevano come imprenditori – entrambi gestivano dei negozi – ma oltre a raccogliere i voti i due sono accusati anche di estorsione. Pietro Virga è noto come “il coccodrillo” per l’arroganza con cui chiedeva i soldi alle sue vittime. Fu lui a occuparsi della Calcestruzzi Ericina dopo l’arresto del padre. Francesco Virga, invece, per la prima volta fu arrestato nel blitz “Rino 2” e venne condannato a nove anni per mafia. Tra gli arrestati c’è anche Francesco Orlando, 53 enne ex consigliere comunale del Psi, già condannato a 8 anni per mafia e segretario particolare del politico Bartolo Pellegrino, già vicepresidente della Regione di Totò Cuffaro. Adesso Orlando gestiva l’”Efri Bar”, in uno dei salotti periferici della città. Di lui parlò il collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa, morto nel gennaio 2018 per cause naturali. “E’ chiddo du bar”, disse. Cioè “quello del bar”. “A Trapani chi comanda?” chiedeva il pm. “Da quello che ho sentito dire, Franco Orlando”, rispondeva, aggiungendo che glielo aveva riferito Francesco Guttadauro. Cioè il nipote prediletto di Messina Denaro.
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 Oggetto del messaggio: Re: Stato-Mafia, ci hanno messo 20anni..ma alla fine..
MessaggioInviato: 06/03/2019, 13:55 
TheApologist ha scritto:
Arrestato Mineo... Meno male che contro la mafia "non facevano un c@zzo"! :)


Dovrebbero depurare Palermo dal comando USmafioso delegato dell'Italia, cosa fattibile solo militarmente.



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Correte correte... che per pagare i mercanti e i loro camerieri dovrete rubare sempre di più, e attenti a non dimenticarvi la carta di credito a casa... che se vi rompete il muso per strada neppure il carroattrezzi viene più a prendervi.
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MessaggioInviato: 15/03/2019, 12:45 
Trattativa Stato mafia, la difesa di Dell’Utri chiede citazione di Berlusconi nel processo d’appello


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Si legge nell’atto di impugnazione depositato dal legale alla Corte d’assise d’appello di Palermo che celebrerà il processo di secondo grado. L'ex senatore è difeso dall’avvocato Francesco Centonze
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La difesa di Marcello Dell’Utri, condannato a 12 anni nel dibattimento sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, chiede la riapertura del processo d’appello, che avrà inizio tra poco più di un mese, e la citazione a deporre dell’ex premier Silvio Berlusconi. Si legge nell’atto di impugnazione depositato dal legale alla Corte d’assise d’appello che celebrerà il processo di secondo grado. Dell’Utri è difeso dall’avvocato Francesco Centonze.

Berlusconi, che come si legge nelle nelle motivazioni pagò Cosa nostra fino al 1994, “vittima” della minaccia stragista rivolta da Cosa nostra allo Stato per il tramite di Dell’Utri non è mai stato sentito in aula, né in fase d’indagine. Una circostanza che, secondo il legale, andrebbe sanata essendo l’esame di Berlusconi “una logica conseguenza dalla qualifica di persona offesa attribuita al medesimo nella sentenza impugnata in quanto destinatario finale della ‘pressione o dei tentativi di pressione’ di Cosa nostra”.

La Corte, – scrive l’avvocato – “con doti divinatorie, prima profetizza che Silvio Berlusconi, se chiamato a deporre si sarebbe certamente avvalso della facoltà di non rispondere e, poi, deduce da questo dato futuribile e privo di qualsiasi aggancio nell’istruttoria la superfluità e comunque la non assoluta necessità della sua testimonianza“. “Si tratta evidentemente di argomentazioni prive di qualsiasi rilevanza rispetto ai presupposti di attivazione del potere-dovere del giudice di disporre un’integrazione probatoria – spiega – che, giova ribadirlo, ha lo scopo fondamentale di assicurare la ‘completezza dell’accertamento probatorio’e ‘evitare che si pervenga a condanne ingiuste'”.

“Se pure non vi è prova diretta dell’inoltro della minaccia mafiosa da Dell’Utri a Berlusconi, perché solo loro sanno i contenuti dei loro colloqui, ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell’Utri abbia riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l’associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano“, scrisse la corte d’assise nelle motivazioni della sentenza. L’ex senatore azzurro, secondo i giudici, avrebbe svolto con continuità almeno fino al 1994 il ruolo di intermediario tra interessi di Cosa nostra e quelli di Berlusconi e ciò sarebbe dimostrato dall’esborso di ingenti somme di denaro da parte delle società di Berlusconi poi versate o fatte arrivare a Cosa nostra. “Si ha la conferma – prosegue la sentenza – che sino alla predetta data Dell’Utri, che faceva da intermediario di cosa nostra per i pagamenti, riferiva a Berlusconi riguardo ai rapporti coi mafiosi ottenendone le necessarie somme di denaro e l’autorizzazione a versarle a cosa nostra“. (Leggi le motivazioni della sentenza)

La corte conclude che “vi è la prova che Dell’Utri interloquiva con Berlusconi anche al riguardo al denaro da versare ai mafiosi ancora nello stesso periodo temporale nel quale incontrava Mangano (mafioso che lavorò come stalliere per Berlusconi ndr) per le problematiche relative alle iniziative legislative che i mafiosi si attendevano dal governo”. “Ciò dimostra – prosegue la corte – che Dell’Utri informava Berlusconi dei suoi rapporti con i clan anche dopo l’insediamento del governo da lui presieduto, perché solo Berlusconi, da premier, avrebbe potuto autorizzare un intervento legislativo come quello tentato e riferirne a Dell’Utri per tranquillizzare i suoi interlocutori“. In realtà l’ex premier non si è fatto mai interrogare – se non una volta dal pm Antonino Ingroia nel 2012 come testimone sulla questione dei soldi elargiti a Dell’Utri – ed è indagato a Firenze con l’ex senatore per la strage di vai Georgofili.
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Mafia: chiesti 12 anni per 're dell'eolico' Nicastri


Tranche romana dell'inchiesta coinvolge sottosegretario Siri



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Il Pm della Dda di Palermo Gianluca De Leo ha chiesto la condanna a 12 anni di carcere per concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni per l'imprenditore Vito Nicastri detto il "re dell'eolico". Nicastri è stato coinvolto nell'inchiesta della Procura di Palermo su un giro di mazzette alla Regione che ha per protagonista Paolo Arata, ex deputato di Forza Italia ora vicino alla Lega. L'inchiesta ha una tranche romana che riguarda il sottosegretario della Lega Armando Siri, accusato di corruzione.

Nicastri era stato arrestato lo scorso anno. Per i pm sarebbe vicino al boss Matteo Messina Denaro a cui avrebbe finanziato la latitanza. All'imprenditore vennero concessi i domiciliari, ma da casa "il re dell'eolico" continuava a delinquere e fare affari violando i divieti di comunicazione imposti dal giudice. La circostanza è venuta fuori proprio nell'indagine sulle mazzette alla Regione, nel frattempo aperta dalla Procura, che coinvolge anche Arata e alcuni dirigenti regionali. E ha spinto la Procura a chiedere per l'imprenditore il ripristino della custodia cautelare in carcere. Mentre i pm continuavano a indagare sulle tangenti che sarebbero state pagate per sbloccare procedimenti amministrativi legati alle energie rinnovabili, proseguiva il processo in abbreviato per concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia in cui Nicastri è stato imputato dopo l'arresto dell'anno scorso. Con l'imprenditore sono finiti davanti al gup il fratello Roberto, anche lui accusato di concorso in associazione mafiosa, per cui oggi sono stati invocati 10 anni. Imputati anche Melchiorre Leone e Girolamo Scannariato, per cui sono stati chiesti 12 anni e Giuseppe Bellitti, per cui è stata sollecitata la condanna a 10 anni. Sono tutti accusati di associazione mafiosa.
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Trattativa Stato-Mafia, procura chiede 9 anni di carcere per l’ex ministro Mannino dopo l’assoluzione in primo grado


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L'ex ministro Dc ha scelto il rito abbreviato ed è giudicato separatamente rispetto agli altri imputati. Nel novembre 2015 era stato assolto per non aver commesso il fatto. Il pg Sergio Barbiera: "Le acquisizioni probatorie confermano il timore dell’onorevole Mannino di essere ucciso e le sue azioni per attivare un turpe do ut des per stoppare la strategia stragista attivata da Cosa nostra". Lui: "Richiesta infondata"
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La procura generale di Palermo ha chiesto la condanna a 9 anni di carcere per l’ex ministro Calogero Mannino, imputato di minaccia a corpo politico dello Stato. I magistrati insistono quindi nella loro ricostruzione del ruolo dell’ex esponente democristiano nella trattativa Stato-mafia. Mannino, che ha scelto il rito abbreviato ed è giudicato separatamente rispetto agli altri imputati, era infatti stato assolto in primo grado per “non aver commesso il fatto”.

“Le acquisizioni probatorie confermano il timore dell’onorevole Mannino di essere ucciso e le sue azioni per attivare un turpe do ut des per stoppare la strategia stragista attivata da Cosa nostra”, ha detto il pg Sergio Barbiera nel richiedere la condanna dell’ex ministro. La richiesta “è priva di ogni fondamento e prova”, ha commentato Mannino all’Adnkronos. “Se prova c’è – dice Mannino – è quella di una pretesa pregiudiziale e fantasiosa. Anche alla stregua della stessa sentenza Montalto. Che tutta la trattativa si riduca alla paura del sottoscritto e dalla sua ispirazione ad un generale dei carabinieri è soltanto una fake-news”. Nel novembre 2015, Mannino era stato assolto dal gup Marina Petruzzella. Nelle motivazioni depositate un anno dopo, la giudice scrisse che l’ex membro del governo già dal 1991 sapeva di essere finito nella lista nera dei corleonesi: per questo motivo chiese protezione al maresciallo Giuliano Guzzelli, al generale Antonio Subranni, a Mario Mori e a Bruno Contrada.

Questi elementi però, nelle oltre 500 pagine di motivazioni, “risultano non adeguati”, passibili di “varie ragionevoli interpretazioni” diverse da quelle scelte dai pm, e quindi “non sufficienti” per considerare l’ex ministro Dc colpevole di essere l’ispiratore della trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. “Non c’è qualcosa, come delle fonti orali o documentali che dimostrino il collegamento tra l’iniziativa dei Ros di interloquire con Vito Ciancimino e l’evento ipotizzato dall’accusa di un accordo tra Mannino e Cosa nostra, per salvarsi e attuare un programma politico favorevole a una trattativa, volta a condizionare, partecipando alla volontà ricattatoria stagista della mafia, le scelte del Governo”, scrisse la Petruzzella nelle motivazioni depositate il 31 ottobre 2016.

“Allo stato degli atti – continuava il giudice – appare improvabile, da un punto di vista processuale – che applica i canoni della gravità e della precisione indiziaria degli elementi di fatto su cui fondare un ragionamento probatorio – collegare il fatto che Mannino si raccomandasse con i Ros alla interlocuzione tra i Ros e Vito Ciancimino e alla scelta di sostituire Scotti col manniniano Nicola Mancino e con le dimissioni successive di Martelli”. Per la procura – che anche in primo grado aveva chiesto la condanna a 9 anni – invece le “acquisizioni probatorie” confermano “le sue azioni per attivare un turpe do ut des per stoppare la strategia stragista attivata” dai corleonesi. La parola passa adesso alle parti civili e alla difesa dell’ex politico. La sentenza dovrebbe essere emessa prima dell’estate.

Nel processo principale, in primo grado, sono stati condannati a 12 anni di carcere gli ex vertici del Ros Mori e Subranni. Stessa pena per l’ex senatore Marcello Dell’Utri e Antonino Cinà, medico fedelissimo di Totò Riina. Otto gli anni di detenzione inflitti all’ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno, ventotto quelli per il boss Leoluca Bagarella. Prescritte, come richiesto dai pubblici ministeri, le accuse nei confronti del pentito Giovanni Brusca, il boia della strage di Capaci. Assolto dall’accusa di falsa testimonianza perché il fatto non sussiste l’ex ministro della Dc Nicola Mancino: la sua posizione è definitiva poiché non è stata impugnata dai magistrati. Massimo Ciancimino, invece, è stato condannato a 8 anni per calunnia nei confronti dell’ex capo della Polizia Gianni de Gennaro. Il figlio di don Vito, uno dei testimoni fondamentali del processo, è stato invece assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
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 Oggetto del messaggio: Re: Stato-Mafia, ci hanno messo 20anni..ma alla fine..
MessaggioInviato: 23/05/2019, 12:29 
Giovanni Falcone, i misteri della strage di Capaci 27 anni dopo. L’esplosivo, i mandanti, una donna nel commando


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Nonostante le sentenze abbiano condannato più di venti mafiosi, sull'attentato del 23 maggio 1992 restano ancora molte ombre. Buchi neri, dettagli mai chiariti, piste mai battute. E poi fantasmi che compaiono e scompaiono sullo sfondo del cratere aperto dall'esplosivo sull'autostrata tra Palermo e Capaci. Già, l'esplosivo: che tipo di esplosivo? E perché Riina non fa uccidere il giudice a Roma, dove girava spesso senza scorta? E ancora: c'era davvero una donna sul luogo della strage?
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Sulla carta è la”più ovvia“delle stragi. Il nemico numero uno di Cosa nostra ucciso da Cosa nostra. E invece di ovvio nella strage di Capaci c’è poco, molto poco. In 27 anni si sono celebrati quattro processi, con più di venti mafiosi condannati all’ergastolo. Un quarto di secolo d’indagini ha ricostruito passo passo la fase esecutiva dell’Attentatuni, il più grande attentato della storia di Cosa nostra. Eppure su quel botto spaventoso che uccise Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani, restano ancora molte ombre. Buchi neri, dettagli mai chiariti, piste mai battute. E poi fantasmi che compaiono e scompaiono sullo sfondo del cratere aperto dall’esplosivo sull’autostrata tra Palermo e Capaci. Già, l’esplosivo: che tipo di esplosivo? “La verità che è stata accertata, mi sento di dirlo con cognizione di causa, è ancora una verità parziale“, ha dichiarato di recente il pm Nino Di Matteo ad Andrea Purgatori. In che senso una verità parziale? Cosa c’è che non sappiamo ancora del botto di Capaci? “La lettura analitica delle sentenze che sono state emesse ci porta a ritenere che è stato possibile – ma mi sento di dire altamente probabile – che insieme agli uomini di Cosa nostra abbiano partecipato alla strage, nel momento del mandato stragista, organizzazione ed esecuzione, anche altri uomini estranei alla mafia“, ha spiegato sempre il sostituto procuratore della Dna. Il riferimento è alle motivazioni del cosiddetto processo Capaci bis. È l’ultimo procedimento sulla strage del 23 maggio 1992, nato dopo la confessione di Gaspare Spatuzza che ha riscritto la fase esecutiva della strage. “Nel presente procedimento viene a formarsi un quadro, sia pure non ancora compiutamente delineato, che conferisce maggiore forza alla tesi secondo cui ambienti esterni a Cosa nostra si possano essere trovati, in un determinato periodo storico, in una situazione di convergenza di interessi con l’organizzazione mafiosa, condividendone i progetti e incoraggiandone le azioni”, hanno scritto i giudici della corte d’assise di Caltanissetta. Più di millecinquecento pagine di sentenza in cui i magistrati elencano anche i temi “suscettibili di ulteriori approfondimenti”. Sono i pezzi mancanti della strage di Capaci: i quesiti rimasti ancora senza risposta dopo 27 anni.
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In memoria di Giovanni Falcone


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di Luigi Di Maio
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27 anni fa, oggi, avveniva la maledetta strage di Capaci che ha causato la morte del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e della scorta composta da Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.

Ma oggi è un giorno, una ricorrenza. Io penso invece che commemorare la morte di uno degli eroi di questa nazione, non significhi limitarsi al minuto di silenzio che oggi giustamente gli tributeremo. Commemorare il giudice Falcone è, prima di tutto, per chi come me si ritrova a rappresentare lo Stato, una responsabilità. Lo dico perché, anche al governo, il nostro messaggio è sempre stato chiaro: le Istituzioni devono essere sempre intransigenti nei confronti di mafie e corruzione. Perché girarsi dall’altra parte, o tollerare questi fenomeni, significa essere complici!

Siamo grati al giudice Falcone e alle sue intuizioni nel contrasto alla criminalità organizzata. Dobbiamo rendere giustizia ogni giorno a chi ha lottato e lotta contro la criminalità per la libertà degli italiani. Ma dobbiamo anche ricordarci che le commemorazioni servono solo se seguite da azioni coerenti.

Il nostro impegno è difendere sempre i valori e la cultura della trasparenza e della legalità. Oggi, come sempre, è doveroso ricordare l’esempio di uomini e donne che hanno dato la vita per lo Stato. Questo, più di ogni altra cosa, significa far camminare le loro idee sulle nostre gambe.
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