ILVA di Taranto Salvare i posti di lavoro o l'ambiente e la salute? Il falso dilemma della battaglia per la giustizia ambientale: non si può separare o alienare la vita dal lavoro. ¯ L’Ilva di Taranto, quarto polo siderurgico italiano, è stato costruito nel 1960 a carico dello Stato (ex Italsider) ed è stato inaugurato 4 anni dopo. La scelta di localizzare lo stabilimento, costituito da 5 altiforni più alti di 40 metri e con un diametro che va dai 10 ai 15 metri, presso la città di Taranto derivava da differenti considerazioni: la convinzione che sarebbe stata una spinta per lo sviluppo economico della città, la posizione privilegiata a causa della vicinanza del mare che avrebbe facilitato la logistica e il trasporto. Tutto ciò però andava a discapito della norma che, già dal 1934, imponeva la costruzione di stabilimenti industriali al di fuori delle aree abitate [1]. Inizialmente l’Italsider produceva 3 milioni di tonnellate l’anno di acciaio; arrivò a produrne 11,5 milioni nel 1975 con un numero di addetti pari a 43.000 nel 1981, quadruplicando la capacità produttiva. Tuttavia, l’aumento della capacità produttiva non è andato di pari passo con l’elaborazione di un piano strategico per l’area circostante: la conseguenza è stata la creazione di un’area completamente dipendente dalla siderurgia, facendo scomparire altre attività di sviluppo [1]. Per questo motivo, negli anni ‘80, con la crisi del settore siderurgico, c’è stato un rallentamento dello sviluppo della città con una riduzione dell’occupazione e una conseguente emigrazione verso altre aree [1]. Nel 1995 il Governo ha deciso di privatizzare l’Ilva, la quale è stata dunque acquisita dal Gruppo Riva che l’ha gestita fino al 2015. Negli anni sono state attuate diverse azioni di fronte all’autorità giudiziaria contro le emissioni inquinanti dell’Ilva; alcune di queste azioni sono ancora in corso. Si tratta di accuse di inquinamento, disastro ambientale doloso e colposo, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento di beni pubblici, sversamento di sostanze pericolose, inquinamento atmosferico [1] In particolare nel 2005 è arrivata la prima condanna per violazione delle norme antinquinamento nei confronti del Gruppo Riva con sentenza passata in giudicato [2]; mentre nel 2012 la Procura della Repubblica di Taranto, oltre al sequestro preventivo senza facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo, ha disposto gli arresti per alcuni manager del gruppo ed esponenti politici. L’accusa è stata quella di aver prodotto un livello di inquinamento tale da causare la morte di migliaia di persone [3] e aver contaminato in modo spregiudicato l’ambiente, senza osservanza dei limiti di emissioni stabiliti. Tuttavia, a seguito della ordinanza di sequestro sono stati adottati diversi provvedimenti legislativi per far proseguire le attività lavorative [1]. Questo nonostante i provvedimenti emessi dalla Magistratura [4] che erano corredati da perizie le quali hanno accertato che presso lo stabilimento Ilva sono stati oltrepassati tutti i limiti previsti per polveri e agenti inquinanti, ignorando così qualsiasi normativa a tutela dell’ambiente e dei cittadini con conseguenze drammatiche per la salute di questi ultimi (Vedi conclusioni perizia chimica e epidemiologica [3]). La perizia epidemiologica ha infatti confermato, che l’aumento dei decessi e delle patologie tumorali è riconducibile al disastro ambientale dell’Ilva [5]. Il sequestro dello stabilimento del luglio 2012 ha scatenato la mobilitazione della società civile e la presa di coscienza collettiva rispetto al rischio sanitario per la popolazione tarantina [6]. Tuttavia si è venuto a creare uno scontro interno in cui da una parte, si è cercato di tutelare la salute, dall’altra l’obiettivo è stato preservare il lavoro dei tanti operai. Tante sono state le persone che hanno richiesto la definitiva chiusura dell’Ilva ma, allo stesso tempo, tanti altri cittadini si sono schierati a favore dello stabilimento che produce il 75% dell’economia tarantina, in termini di posti di lavoro e Prodotto Interno Lordo, bloccando così qualsiasi altra forma di sviluppo alternativo [7]. A partire soprattutto dal 2012 sono state presentate denunce, esposti e sono state organizzate le prime manifestazioni. Il Comitato Altamarea ![Palla Otto [8]](./images/smilies/UF/icon_smile_8ball.gif) è riuscito ad unire 20.000 cittadini che hanno manifestato per l’aria pulita e contro l’inattività dell’allora sindaco tarantino di fronte ai dati dell’Arpa Puglia. Tuttavia, le conseguenze in termini di esuberi e licenziamenti a seguito dell’eventuale chiusura dello stabilimento ha reso difficoltosa la scelta. I cittadini e gli stessi operai sono stati messi davanti alla necessità di scegliere tra la tutela della propria salute e quella dei propri figli o il lavoro. Ad aprile del 2013 la popolazione tarantina è stata chiamata a esprimersi sulla chiusura della fabbrica con un referendum; il quorum però non è stato raggiunto: solo il 20% degli aventi il diritto hanno votato, l’80% dei quali si è comunque espresso a favore della chiusura dell’Ilva a Taranto [9]. Tra gli operai qualcuno ha addirittura deciso di denunciare le irregolarità e la mancanza di sicurezza all’interno dell’azienda; dopo poco tempo è arrivato il licenziamento, come accertato dal Fatto Quotidiano [10]. In seguito allo scandalo nazionale nel 2012 il Governo ha deciso di intervenire - sollevando non poche polemiche. Il primo dei numerosi provvedimenti adottati (DL 207/2012) stabiliva che il Ministero dell’Ambiente poteva autorizzare il proseguimento dell'attività produttiva (in quanto stabilimento di interesse strategico nazionale) per un periodo non superiore a 36 mesi nonostante il sequestro [1]. I successivi decreti (come il Decreto 61 del 2013, Decreto n. 136 del 2013,Decreto n. 1 del 2015, Decreto n. 98 del 2016) hanno avallato le decisioni già individuate. In particolare nel 2015, anno in cui - dopo il dichiarato fallimento da parte della famiglia Riva a causa del sequestro - l’ILVA è stata rinazionalizzata nell’attesa di un acquirente o di una chiusura dell’impianto (11), per mezzo del decreto n. 1 del 2015 si è stabilito che il commissario straordinario e i suoi incaricati avrebbero ricevuto immunità penale e amministrativa per quanto adottato in attuazione del piano ambientale previsto dall’autorizzazione integrata ambientale. Nel 2016 (con il decreto 98) è stato esteso ulteriormente il termine ultimo per l’attuazione del piano ambientale; inoltre l’immunità per le condotte poste in essere in attuazione del piano è stata estesa anche agli acquirenti o affittuari e ai loro delegati [1]. Il 5 giugno 2017 il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) ha firmato il decreto di aggiudicazione dell’ILVA al gruppo AM Investco Italy: tale gruppo è composto da Arcelor Mittal Italy Holding (51%), Arcelor Mittal SA (31%) e Marcegaglia Carbon Steel Spa (15%) [1]. Per quanto riguarda le azioni di protesta, nel 2017 è nato un altro comitato che riunisce i cittadini del quartiere Tamburi, separato dallo stabilimento dell’Ilva solo da una collina: i Tamburi Combattenti [12], che hanno iniziato a confrontarsi tra loro dopo l’ordinanza n° 39 del 24.10.2017 del comune di Taranto, la quale impone la chiusura delle scuole materne, elementari e medie presenti nel quartiere in occasione dei Wind Days, ovvero quando il vento soffiando da Nord-Ovest a un’intensità maggiore di 25 km/h disperde inquinanti di origine industriale (in particolare PM10 e benzo(a)pirene) provenienti dall’area industriale su alcuni quartieri, quali Tamburi e Paolo VI [13]. I Tamburi Combattenti si incontrano settimanalmente per confrontarsi sulla situazione della loro città soprattutto per quanto riguarda le tematiche della tutela della salute, della chiusura delle fonti inquinanti, della necessità di bonifiche dei terreni e delle falde acquifere e di sviluppare un programma di reimpiego dei lavoratori attualmente alle dipendenze dell’industria inquinante [12] A seguito dell’ingresso in scena da parte del gruppo AM Investco Italy è stata aperta la procedura di negoziazione - prevista dalla normativa - tra i commissari e gli acquirenti. L’offerta presentata da Investco prevedeva un investimento di 1,25 miliardi di euro destinati all’attuazione del Piano Ambientale, il quale è stato criticato, tra gli altri, dall’Arpa Puglia: infatti tale Piano prevede lo spostamento al 2023 delle misure di risanamento ambientale; l’Arpa Puglia ha inoltre sottolineato i rischi inerenti alla proposta di riaccensione dell’altoforno n. 5, che è anche quello più cancerogeno [1]. Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 prorogava l’autorizzazione integrata ambientale fino al 23 Agosto 2023. Dunque, il 30 settembre 2017 le associazioni ambientaliste, i cittadini di Taranto, la Regione Puglia e il Comune di Taranto hanno chiesto, tramite istanza di sospensione, l’immediato spegnimento degli altiforni della fabbrica [1]. È stato allora indetto un tavolo negoziale dedicato all’Ilva di Taranto da parte del Ministro dello Sviluppo Economico. Il Governo ha poi emesso un protocollo d’intesa che prevedeva rafforzamenti della fase esecutiva del DPCM del 29 settembre 2017, e ha dato via libera al piano ambientale per l‘Ilva. La Regione Puglia e il Comune di Taranto hanno però presentato una proposta di accordo di programma contenente modifiche e integrazioni al Protocollo di intesa, ma tale proposta è stata dichiarata irricevibile [1]. Nel gennaio 2018 è stata poi emessa la sentenza n. 45/2018 della Corte d’Appello di Lecce che ha confermato la sentenza di primo grado accertando la sussistenza del diritto al risarcimento del danno da parte degli abitanti del quartiere Tamburi i quali hanno dovuto lasciare la propria casa a causa della vicinanza con l’Ilva e dello sversamento delle polveri prodotte da quest’ultima [1]. Il 28 settembre 2018 si è svolta una conferenza stampa indetta dal gruppo Tamburi Combattenti: al centro della discussione il gas radon rilevato in tre scuole del quartiere Tamburi. Tale gas legandosi agli agenti presenti nell’aria, una volta entrato a contatto con l’organismo, rilascia radioattività nelle cellule. Questa scoperta ha aggravato una situazione già nota da anni come critica per la salute degli abitanti del quartiere, e dei bambini in particolare [14]. Per questo motivo genitori e cittadini hanno chiesto l’immediato trasferimento di alunni e personale delle scuole in sedi più consone. Sempre nello stesso mese, è stato chiuso l’accordo sindacale, dopo un anno di trattative con il nuovo azionista Arcelor Mittal, e sei anni dopo che l’Ilva è passata dalle mani dei Riva ai commissari di Stato. L’accordo prevede l’assunzione di 10 700 lavoratori, ovvero quelli che ora lavorano negli stabilimenti. Come spiega Alessandro Marescotti, ambientalista storico di Peacelink, con questo accordo però il danno ambientale e sanitario rischia si aumentare con l’incremento della produzione [15]. _ Fonte "L’ILVA ci dà da mangiare...e ci uccide”A Taranto, in Italia, gli operai hanno votato per il piano di recupero della loro fabbrica inquinante da parte di Arcelor Mittal. 25 settembre 2018 - Jérome Gautheret Fonte: lemonde.fr - 15 settembre 2018  ¯ TARANTO (Puglia) Inviato speciale
Sulle pareti esterne della chiesa di San Francesco de Geronimo, nel centro di Taranto (Puglia), sono state scritte in nero queste parole: “O l'acciaio o la vita, devi scegliere”. Da quanto tempo è là quella scritta? Un giorno, una settimana, un anno? Impossibile saperlo: nessuno dei passanti intervistati riesce a dirlo. Eppure essa riassume, in maniera clinica, il terribile dilemma col quale da anni deve confrontarsi questa città del Sud Italia di 200.000 abitanti, la cui principale risorsa è esattamente ciò che la fa morire. In un certo senso, è a questa domanda impossibile che i 10.700 lavoratori dell’ILVA di Taranto hanno dovuto rispondere, in un referendum interno che si è tenuto dal 10 al 13 settembre. Il loro verdetto è stato quasi unanime, e non ha destato sorpresa. Per il 94% e con quasi il 70% della partecipazione, i votanti si sono pronunciati a favore del piano di recupero del sito formulato dal gigante della siderurgia ArcelorMittal, concluso grazie ad un accordo con il governo italiano, rappresentato dal vice-premier e ministro Luigi Di Maio (Movimento 5S), lo scorso 6 settembre. Comincerà nei prossimi giorni una lunga fase transitoria. Il sito dovrà restare sotto tutela pubblica fino al 2023. Almeno cinque anni di sospensione, 4 miliardi di euro di investimenti, impiego garantito per 10.000 persone, 100.000 euro di indennizzo per chi vuole andarsene...I dipendenti non potrebbero desiderare di più.
Un pesante tributo
“In Italia, negli ultimi vent’anni, non ricordo esempi di piani così generosi”, conviene il responsabile sindacale Francesco Brigati (Fiom-CGIL), incontrato davanti ad uno degli ingressi dell’impianto industriale interdetto ai giornalisti. Da dove viene allora questa pesantezza che si avverte nell’aria? C’è che è difficile avere il cuore leggero, dato che nessuno può ignorare il pesante tributo che gli abitanti pagano per il mantenimento della più grande acciaieria d’Europa... All’inizio c’era la piccola città di Taranto, fondata da esiliati spartani durante l’Antichità, che si era pian piano specializzata, nel corso dei secoli, nella pesca e nella costruzione di navi. La città crebbe lentamente, fino al momento in cui lo Stato italiano decise, all’inizio degli anni ‘60, di insediarvi una acciaieria senza pari. Nell’idea dei governanti, Taranto era chiamata a diventare la locomotiva di tutta la regione, il simbolo del decollo economico del Sud. Con i suoi cinque altoforni e una produzione che è riuscita a raggiungere i 10 milioni di tonnellate all’anno, l’ILVA è un mastodonte. Per mere ragioni logistiche (l’accesso al mare, collegamenti più brevi), la parte più inquinante della fabbrica è stata costruita in prossimità immediata - appena 200 metri in linea d’aria - dal centro della città. Una scelta le cui conseguenze si sono rivelate drammatiche: oggi, secondo diverse associazioni, Taranto è senza mezzi termini la città più inquinata d’Europa. Dalla città vecchia, i cui edifici per il 70% sono disabitati, l’inquietante silhouette della fabbrica è onnipresente, come un promemoria perenne della minaccia. E quando il vento soffia in senso sfavorevole (una ventina di giorni all’anno), una spessa nuvola grigio-rosa si abbatte su Taranto, posando dappertutto una pellicola sottile di polvere tossica. “È così, l’ILVA ci dà da mangiare, e allo stesso tempo ci ammazza”, constata con un sorriso fatalista Nicola Giudetti, 81 anni, ex operaio della fabbrica, che da trent’anni vende i suoi dipinti e le sue figurine scolpite in una minuscola bottega del centro. Nel 2012, dopo anni di mobilitazioni delle associazioni ecologiste, la Giustizia dichiara il sequestro e il commissariamento dell’azienda, privatizzata negli anni ‘90, per “reato ambientale”. Subito la situazione si manifesta in tutto il suo orrore: secondo diversi studi, l’inquinamento ha provocato nella popolazione un aumento della mortalità dal 10 al 15 % e, nei bambini, un numero di tumori superiore del 54% alla media nazionale. Secondo i magistrati, almeno 400 morti sono direttamente da imputare all’ILVA. Per le associazioni si conterebbero almeno 10.000 vittime. La società, dichiarata in fallimento, è rinazionalizzata nel 2015, nell’attesa di un acquirente o di una chiusura dell’impianto. Ormai sotto la tutela di un commissario nominato dallo Stato, la fabbrica ha visto calare la sua produzione, scendendo sotto i 5 milioni di tonnellate all’anno, molto al di qua del suo punto di equilibrio (intorno ai 7 milioni). Nell’accordo firmato con ArcelorMittal, la produzione dovrebbe innanzitutto risalire a 6 milioni di tonnellate, poi, dopo i lavori per limitarne le emissioni, essere portata a 8. “Fino a 6 milioni di tonnellate, secondo gli esperti, il rischio è considerato ragionevole, ma superate le 8, invece, è insostenibile”, spiega il militante ecologista Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione PeaceLink, molto critico sull’accordo concluso dal governo. “Le garanzie ottenute sono troppo deboli, denuncia. Mittal riuscirà ad aggirarle senza problemi. Quando pensiamo che qui i Cinque Stelle avevano promesso la chiusura degli impianti...” Da anni il Movimento portava avanti la campagna per lo smantellamento della fabbrica, con parole durissime nei confronti del Partito Democratico al potere, che cercava ad ogni costo la prosecuzione dell’attività. Localmente, il discorso del Movimento ha incontrato una larga eco - il M5S ha ottenuto più del 48% dei voti a Taranto alle ultime elezioni. Dunque l’accordo con Mittal è vissuto come un tradimento da una buona parte della popolazione, al punto che diversi eletti locali hanno annunciato che abbandoneranno il Movimento. Dal canto suo, il dirigente nazionale del M5S, Luigi Di Maio, era stato molto meno categorico rispetto ai militanti locali durante la campagna elettorale. Per rispondere alle critiche, Di Maio evidenzia le garanzie sociali e ambientali supplementari che lui dice di aver ottenuto, piuttosto che l’assenza di ogni minima prospettiva di riconversione, in caso di chiusura. “Il vero problema è che nessun progetto serio è stato sviluppato in tutti questi anni, riconosce Angelo Cannata, operatore culturale nella città vecchia. Uno dei miei zii è stato sindaco, mio padre era militante sindacale. Spesso lui dice di essersi battuto a favore di ILVA e che, in fondo, tutto questo è colpa della sua generazione. Quello che penso io è che Taranto e l’ILVA siano due facce della stessa medaglia. Oggi è diventato impossibile immaginare l’una senza l’altra.” _ Fonte Formato file: php
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