09/11/2019, 19:12
Una nuova specie di scimmia getta nuova luce sull’origine del bipedismo
Una nuova specie di scimmia, vissuta circa 11 milioni di anni fa, è stata riportata alla luce in Germania e potrebbe aiutare gli scienziati a capire in che modo è avvenuta, nei nostri antenati, la transizione da quadrupedi a bipedi, o meglio come è insorto il bipedismo. Le presentazioni ufficiali sulla rivista Nature, fresca di un anniversario importante.
Il bipedismo e fossili mancanti
Ci sono un gran numero di ipotesi che cercano di spiegare l’origine del bipedismo nelle scimmie e come questo si sia evoluto a partire da animali che erano invece principalmente quadrupedi. Tuttavia la mancanza di fossili non ha reso finora possibile confermare queste teorie. E sappiamo invece quanto fondamentali siano i fossili per ricostruire le storie dei nostri antentati: il piede di una piccola Lucy ci ha permesso per esempio di comprendere che malgrado il bipedismo accertato gli Australopithecus afarensis fossero ancora degli scalatori (di alberi), soprattutto i piccoli. Il nostro bipedismo potrebbe arrivare da lì, o essersi evoluto alzandoci da terra, o ancora in un terzo modo di locomozione suggerito proprio dalla scoperta di questa nuova scimmia, spiega Tracy L. Kivell in una News & View che accompagna oggi il paper su Nature.
Una nuova scimmia
A parlare, anche stavolta, sono nuovamente i fossili. La nuova specie scoperta, che prende il nome di Danuvius guggenmosi, è stata infatti ricostruita a partire da un fossile, ritrovato in Bavaria, con tutte le ossa degli arti ancora presenti, risalente a oltre 11 milioni di anni fa. La presenza di tutti gli arti ha permesso ai ricercatori di ricostruire l’aspetto di questo antico esemplare: si trattava di una scimmia con un robusto torace, una spina dorsale lombare e fianchi e ginocchia estese, una serie di caratteristiche già più vicine a quelle tipiche del bipedismo che tipiche dei quadrupedi.
bipedismo
Danuvius guggenmos, una strana arrampicatrice
Secondo gli autori, le ossa riportare alla luce confermano un nuovo tipo di movimento utilizzato da questa specie, che gli scienziati hanno chiamato “l’arrampicata con gli arti estesi” (letteralmente: extended limb clambering). D. guggenmosi sarebbe quindi stato in grado di appendersi ai rami utilizzando le proprie braccia ma, contrariamente ad altre specie come per esempio gibboni e orangotango, che usano per lo più le braccia per muoversi, le gambe della nuova specie erano perlopiù dritte, e con un’anatomia tale da consentirgli di camminare. Completa il quadro un alluce prensile. Con queste caratteristiche, D. guggenmosi potrebbe quindi rappresentare un antenato comune tra gli esseri umani e le scimmie antropomorfe.
Secondo gli scienziati, questa specie potrebbe indicare l’inizio del bipedismo nelle scimmie antropomorfe, e potrebbe aiutare a capire come questi animali hanno iniziato a muovere i primi passi sulle zampe posteriori.
09/11/2019, 19:45
10/11/2019, 01:23
Tempus1891 ha scritto:Resti fossili di una specie sconosciuta di scimmia risalenti a 11 milioni di anni fa sono stati ritrovati in GERMANIA?????![]()
Allora addio "out of Africa"?
10/11/2019, 04:12
10/11/2019, 06:56
10/11/2019, 11:24
03/04/2020, 13:42
03/04/2020, 14:23
03/04/2020, 14:36
04/04/2020, 14:34
sottovento ha scritto:Le vere origini dell'uomo (e della donna)....DIO!!!!![]()
Nb: nemmeno dopo questa durissima prova del coronavirus vi viene da riflettere non tanto sulle origini ma sul dopo quando sarete soltanto un mucchio di ossa??
12/05/2020, 01:26
MaxpoweR ha scritto:Non trovo il topic sulle origini dell'uomo, lo metto qui nel frattempo...Scoperti i resti più antichi dell'Homo sapiens in Europa
Hanno 45.000 anni, la datazione parla italiano
Hanno oltre 45.000 anni, e sono perciò 2.000 anni più antichi di quanto si pensasse, i resti più antichi dell'Homo sapiens in Europa, che descrivendo anche le interazioni dell'uomo moderno con i cugini Neanderthal. Pubblicato sulle riviste Nature Ecology & Evolution e Nature, il risultato si deve a un gruppo internazionale coordinato dall'Istituto tedesco Max Planck per l'antropologia evolutiva e del quale l'Italia fa parte con l'Università di Bologna.
I resti sono stati scoperti in Bulgaria, nella grotta di Bacho Kiro, e consistono in un dente e cinque frammenti ossei che l'analisi del Dna ha attribuito all'Homo sapiens. Sono stati analizzati nelle due ricerche coordinate da Helen Fewlass e Jean-Jacques Hublin, entrambi dell'Istituto tedesco Max Planck per l'antropologia evolutiva. Ha coordinato la datazione dei reperti l'italiana Sahra Talamo, dell'università di Bologna.
"L'analisi al radiocarbonio conferma che i fossili risalgono alla fase iniziale del Paleolitico superiore e rappresentano quindi la più antica testimonianza diretta della presenza della nostra specie in Europa", rileva Talamo.
Il sito, ha osservato Hublin, "documenta una prima ondata di Homo sapiens, che entrò in contatto con gli uomini di Neanderthal e portò in Europa nuovi comportamenti". La conferma della presenza dell'Homo sapiens in Europa già prima di 45.000 anni fa permette di ampliare di 2.000 anni il periodo di convivenza tra la nostra specie e l'Uomo di Neanderthal, che scomparve circa 40.000 anni fa. Una coesistenza prolungata che ha inevitabilmente influenzato i percorsi delle due specie, come mostrano alcuni indizi trovati sempre nella grotta di Bacho Kiro.
fonte: LINK
12/05/2020, 12:57
12/06/2020, 19:49
13/06/2020, 12:41
Che sia stata proprio l’intelligenza simbolica uno dei fattori cruciali per la sopravvivenza della nostra specie è un’ipotesi condivisa da molti. Come effetto contingente, sottolinea Pievani, “probabilmente il declino del Neanderthal fu causato dal nostro arrivo e dalla nostra invadenza territoriale”.
08/08/2020, 21:21