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Le squadre nazionali fanno il
saluto nazionalsocialista prima della partita tra Inghilterra e Germania disputatasi all’Olympic Stadium di Berlino nel 1938, l’anno dell’infame accordo di Monaco.
Un’ora prima dell'inizio della partita i giocatori inglesi furono informati che avrebbero dovuto salutare il Fuhrer.
Da subito, se non tutti la maggior parte, espressero la propria contrarietà e si rischiò quasi l’ammutinamento.
Il capitano Eddie Hapgood, ad esempio, disse chiaramente al proprio manager dove poteva mettersi il suo saluto nazista.
Prontamente allertato intervenne l’allora ambasciatore britannico a Berlino, Neville Henderson, che rassicurò i giocatori dicendo loro che il saluto non avrebbe costituito alcun avallo del regime nazionalsocialista.
L’ambasciatore si prodigò con successo affinché i calciatori non si sottraessero alla richiesta del tributo di rispetto alla Nazione ospitante.
E così la squadra nazionale inglese, volente o nolente, contribuì ad alimentare la macchina della propaganda nazionalsocialista davanti a 110 mila spettatori.
L’immagine fece presto il giro del mondo e va detto che all’epoca per il plateale gesto non ci fu alcuna indignazione collettiva e che solo nel 2003, a 65 anni di distanza, la BBC ha avuto la decenza di definirlo come "uno dei momenti più bui dello sport". E un momento buio lo è stato per davvero, per quanto sepolto per
convenienze postume.
Per la cronaca la partita finì 6 a 3 per l’Inghilterra in un giorno in cui però persero tutti.
Ora, a 73 anni di distanza, se potessi chiederei giocatori di pallone di tenere qualsiasi simbolo politico lontano dai campi di gioco; che sia esso un saluto romano, il pugno chiuso o una genuflessione.
Per poi un giorno non doversene pentire.
E quel giorno arriva sempre.
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