Giochi Preziosi, il caso dei porti: in Cina bloccati 5.500 container
«Ho 5.500 container fermi nei porti della Cina. Per sbloccare le navi e ricevere la merce le compagnie asiatiche ci chiedono di pagare cifre astronomiche: invece dei circa 10 milioni che abbiamo sempre versato per queste spedizioni, ora ce ne vogliono più di 60. Ci tengono in ostaggio dicendo che non ci sono navi a sufficienza da inviare in Europa. E in gioco per noi c’è la campagna di vendite di giocattoli per il Natale, che dovranno essere nelle vetrine già a ottobre. Ho 2.400 dipendenti tra Italia ed Europa e un piano importante di investimenti nella Penisola. Non voglio che siano messi a rischio, quindi sto pagando».
L’allarme viene da Enrico Preziosi, classe 1948, l’imprenditore della Giochi Preziosi, la maggiore realtà a proprietà italiana dei giocattoli. E’ convinto che l’industria nazionale, ma anche quella europea, debba rivedere il suo modello. E non certo solo per il settore dei giocattoli. Ormai per tutte le imprese il problema degli approvvigionamenti dall’Asia è sempre più pressante. “Mi chiedo se anche questo atteggiamento non faccia parte della grande disputa commerciale tra Cina e Occidente. Nei trasporti è in atto una sorta di asta speculativa, equiparabile a una nuova battaglia sui dazi. Sono in Cina da 45 anni e lì realizziamo il 95% delle produzioni. Questo vale anche per i grandi gruppi americani perché Pechino è diventata la grande fabbrica mondiale del giocattolo”, dice Preziosi che lancia un appello al governo.
«Ci vuole un piano di reshoring dell’industria, dobbiamo riportare in Italia le produzioni, ne sono convinti tutti gli imprenditori. Potremmo creare più occupazione, fare altri investimenti. Ma è necessario avere il consenso del governo, con strumenti di supporto che riguardano contribuzione e tassazione. Ne ho già parlato con esponenti della politica. È un capitolo chiave nella ripartenza, in una fase in cui si sta investendo, anche grazie all’Europa. Vorrei attenzione sul prodotto italiano fatto nel Paese, la carta vincente sui mercati globali».
La Cina è stata un “Eldorado per le aziende”, con costi del lavoro bassi, efficienza, certezza sugli ordini che hanno convinto a delocalizzare. «Se non lo faceva l’Italia, l’avrebbero fatto Francia, Germania e Stati Uniti. Chi realizzava prodotti con plastica e metallo si rivolgeva alla Cina. Ma così abbiamo abdicato alla sua supremazia. Abbiamo fornito alla sua industria i frutti della nostra ricerca, i prototipi, il design, il saper fare tecnologico, il made in Italy a fronte di manodopera a buon mercato. È stata un’arma a doppio taglio. Entro breve tempo il costo del lavoro smetterà di essere competitivo. Il presidente Xi Jinping ha già promesso che i salari cresceranno. A marzo avevamo già incassato un aumento del 10-15% del costo delle produzioni chiesto da cinesi per l’aumento del prezzo delle materie prime. Ora il colpo finale».
I rincari arrivano peraltro in una fase delicata per Giochi Preziosi che ha appena varato un piano di investimenti di 25 milioni per inaugurare in Italia 40 negozi, tra nuove aperture e acquisizioni. Altri impegni sono anche su Milano dove inaugurerà a ottobre i primi due flagship store a insegna Giochi Preziosi, in Piazza Duomo e in Corso Buenos Aires, più un nuovo negozio Giocheria in corso Vercelli a gennaio– con un ulteriore investimento di dieci milioni - che si aggiungerà agli altri 450 negozi in franchising della Penisola, dove ha nel tempo comprato anche la Trudi, in Spagna. «Abbiamo subìto gli effetti di un 2020 durissimo – racconta –, chiuso con ricavi in calo a 430 milioni, dai 700 milioni dell’ano precedente, margini dimezzati e 34 milioni di perdite. Però abbiamo rilanciato per tornare a crescere. Vogliamo quotarci». Preziosi è anche il presidente e l’imprenditore del Genoa. E ragiona da patron di una squadra di calcio, peraltro in serie A. «Cedere club come l’Inter a investitori cinesi non ha giovato all’Italia. Quando le nostre squadre hanno bisogno di risorse Pechino non sembra rispondere».
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