barionu ha scritto:
mauro ha scritto:
caro barionu,
intendevi
https://www.repubblica.it/esteri/2021/0 ... 307397260/poi c'è
Dottoressa muore in incidente stradale. Anche lei aveva usato il plasma per salvare vite
https://terrarealtime.blogspot.com/2021 ... adale.htmlciao
mauro
Grazie Mauro , intendevo questo :
https://www.repubblica.it/online/cronac ... logna.htmlMa il "giallo" resta, almeno secondo le testimonianze di alcuni amici e colleghi del tecnico informatico, che parlano di lui come di persona apparsa ultimamente preoccupata, anzi lo aveva egli stesso detto in maniera esplicita, per una serie di scoperte - compreso qualcosa sul caso Ustica - che avrebbe fatto districandosi tra i tanti file di computer che aveva esaminato.
E proprio tre suoi computer, due dei quali portatili, sequestrati in casa, saranno consegnati in giornata al Racis, il raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche. Altri due computer sono stati sequestrati nella sede della Luiss Managment, dove
Landi era docente di informatica.
Non ha invece dubbi che il caso sia da leggere in maniera del tutto diversa Lorenzo Matassa, per 10 anni pm a Palermo, da quasi un anno trasferito alla procura di Firenze (ma a Palermo è ancora "applicato" per seguire alcuni processi ancora in corso), amico e collega di Landi.
"Landi? L'hanno 'suicidato' i servizi segreti, come storicamente in Italia sanno fare".
Un commento personale, visto che Matassa con le indagini sulla morte dell'esperto informatico non c'entra. Un commento e un ricordo, perché Matassa dice di aver sentito Landi ("una persona piena di vita, piena di iniziative") appena quindici giorni fa: "ero a Roma e gli ho telefonato per salutarlo", ha raccontato Matassa. "Stava benissimo, non era per nulla turbato, mi ha proposto subito di andare con lui a Guidonia a fare volo a vela, lo sport che amava di più".
ROMA - Michele Landi, il tecnico informatico trovato impiccato l'altra sera
nella sua abitazione di Montecelio di Guidonia, si è suicidato.
E' quanto emerge dai primi esami autoptici compiuti nel pomeriggio dal medico legale Antonio Grande nell'Istituto di medicina legale dell'università "La Sapienza" di Roma. Esami che avrebbero tra l'altro escluso la presenza di tracce di violenza sul corpo dell'uomo.
Intanto anche la procura di Bologna, titolare della inchiesta sull'omicidio di Marco Biagi, ha deciso di indagare sul suicidio di Michele Landi. La Procura bolognese, anche se non è titolare del fascicolo Landi, vuole vederci chiaro. Il loro dubbio, evidentemente, è che esistano legami tra le due morti. Landi, in passato consulente di parte per l'indagato Alessandro Geri nell'inchiesta sul delitto D'Antona, nei giorni scorsi aveva detto qualcosa a proposito delle modalità informatiche con cui le BR avevano rivendicato in tutta Italia l'assassinio di Biagi.
In un'intervista radiofonica il tecnico di Guidonia aveva infatti affermato che il mittente brigatista non era stato certo uno sprovveduto, perché capace di districarsi nella Rete e in grado di inviare rapidamente centinaia di e-mail di rivendicazione, ma ciò non significava che non sarebbe stato impossibile risalire alla sua identità, almeno dal punto di vista informatico. Tutt'altro.
Con un lavoro certosino, ma fatto da tecnici per i quali il computer non ha davvero segreti - sosteneva Landi - alla fine si arriverebbe al vero punto di partenza della prima e-mail di rivendicazione, quella fatta via telefonino e che aveva aperto la strada alla valanga di messaggi-volantino arrivati a centinaia e centinaia di indirizzi web.
E così non appena si è saputo della morte di Landi, ecco che è subito cominciata la ridda di ipotesi e di sospetti, visto il ruolo avuto da tecnico in una delle tante perizie seguite al delitto D'Antona e poi proprio per quella sua valutazione da esperto informatico successiva alla rivendicazione dell'omicidio Biagi. Sospetti in realtà immediatamente fugati dagli inquirenti, che hanno da subito parlato di un chiaro caso di suicidio, lasciando intendere che non esistono al momento altre ipotesi investigative. Ipotesi che ora i primi risultati dell'autopsia sembrano allontanare del tutto.
Ma il "giallo" resta, almeno secondo le testimonianze di alcuni amici e colleghi del tecnico informatico, che parlano di lui come di persona apparsa ultimamente preoccupata, anzi lo aveva egli stesso detto in maniera esplicita, per una serie di scoperte - compreso qualcosa sul caso Ustica - che avrebbe fatto districandosi tra i tanti file di computer che aveva esaminato. E proprio tre suoi computer, due dei quali portatili, sequestrati in casa, saranno consegnati in giornata al Racis, il raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche. Altri due computer sono stati sequestrati nella sede della Luiss Managment, dove Landi era docente di informatica.
Non ha invece dubbi che il caso sia da leggere in maniera del tutto diversa Lorenzo Matassa, per 10 anni pm a Palermo, da quasi un anno trasferito alla procura di Firenze (ma a Palermo è ancora "applicato" per seguire alcuni processi ancora in corso), amico e collega di Landi. "Landi? L'hanno 'suicidato' i servizi segreti, come storicamente in Italia sanno fare". Un commento personale, visto che Matassa con le indagini sulla morte dell'esperto informatico non c'entra. Un commento e un ricordo, perché Matassa dice di aver sentito Landi ("una persona piena di vita, piena di iniziative") appena quindici giorni fa: "ero a Roma e gli ho telefonato per salutarlo", ha raccontato Matassa. "Stava benissimo, non era per nulla turbato, mi ha proposto subito di andare con lui a Guidonia a fare volo a vela, lo sport che amava di più".
Matassa e Landi avevano lavorato insieme, tra il '95 e il '97, per accertamenti tecnologici relativi all'inchiesta su una società che ha informatizzato i servizi comunali di Palermo, e in altre analoghe indagini su irregolarità commesse attraverso l'informatica. "In Italia - ha aggiunto il pm - paese delle stragi impunite, il paese delle stragi di Stato, l'esperto di computer che stava lavorando senza incarico ufficiale alla rivendicazione via Internet dell'omicidio di Marco Biagi, non si è tolto la vita ma è stato 'suicidato' dai servizi segreti". Come figura chiave nel gruppo ristretto di tecnici che elaborò il database in dotazione alla Procura antimafia del capoluogo siciliano, "Landi - ha concluso Matassa - è il terzo consulente che muore in circostanze misteriose". Accuse che, dopo i primi risulati dell'esame autoptico, sembrerebbero destinate a rientare.
(6 aprile 2002)
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L'incredibile testimonianza del colonnello sull'oscura morte di David RossiDavid Rossi
Era la sera del 6 marzo 2013, a Siena. Da poco era stato scoperto il corpo di David Rossi, capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena. Il cadavere era a terra, sul selciato, in un vicolo, in corrispondenza della finestra della stanza del suo ufficio. Era precipitato alle 19.43. Un suicidio, hanno detto - dopo due inchieste - gli inquirenti. “Può essere un omicidio”, ha risposto la famiglia, facendo notare che forse non era stato fatto tutto quello che si poteva per capire di più su quella sera. Otto anni e mezzo dopo emergono nuovi dettagli su come operarono gli inquirenti nelle ore immediatamente successive alla morte. Li ha svelati il colonnello dei Carabinieri Pasquale Aglieco, all’epoca comandante provinciale di Siena, in un’audizione fiume davanti alla Commissione d’inchiesta istituita alla Camera sul caso.
Fino a ieri sera si sapeva che Aglieco - mai ascoltato dai pm - era uno dei primi ad essere arrivato nel luogo dove era stato trovato il corpo perché aveva seguito una pattuglia che stava andando sul posto. Non aveva, però, mai detto di essere salito nella stanza di Rossi, insieme ad altri esponenti delle forze dell’ordine. La sua audizione si concentra su cosa accadde in quella camera, nella quale Rossi presumibilmente era stato fino a poco tempo prima di morire.
Incalzato dall’onorevole Luca Migliorino, deputato dei 5 stelle che vive a Siena e conosce molto bene il caso, Aglieco spiega che, sapendo che non avrebbe fatto lui le indagini, si attivò solo per le prime disposizioni, fino all’arrivo dei pm. Fino a quando, cioè, sulla scena non arriva, tra gli altri, Antonino Nastasi (che ora lavora a Firenze e ha lavorato di recente l’inchiesta su Matteo Renzi). Ora, la scientifica sul posto arriva alle 00.40 circa. In questo lasso di tempo cosa hanno fatto gli inquirenti?
Quando Nastasi entra nella stanza di Rossi, racconta Aglieco, si siede sulla sedia del manager. Prova ad accendere il pc, tocca il mouse. Il militare precisa che alcune cose vengono fatte “con un pennino”, per non toccare direttamente gli oggetti. E tenta di tranquillizzare i deputati che, stupiti, che gli chiedono se così non si fosse rischiato comunque di compromettere la scena in attesa della scientifica. Il dubbio, in effetti, viene a qualsiasi profano.
Non è tutto. Nella stanza di Rossi c’era un cestino della spazzatura. Conteneva dei fazzolettini, sette, con tracce di sangue e dei bigliettini accartocciati, sui quali c’erano dei messaggi d’addio. Bene, questo cestino - è sempre il racconto di Aglieco - è stato preso e svuotato sulla scrivania di Rossi, dove ovviamente c’erano anche altri oggetti. Fatta questa operazione, il contenuto è stato reinserito nel cestino. Chi conosce bene questa storia fa notare che quegli oggetti erano considerati molto importanti per ricostruire l’ultima giornata di Rossi. Da ieri sera, però, si sa che sono stati spostati, toccati, rimessi nel cestino in un ordine che difficilmente poteva essere quello che avevano in precedenza. E che quindi, se davvero le cose sono andate così, quelli che potevano essere elementi importantissimi sono stati scombussolati.
Ancora una volta, non è tutto. Dopo 4 ore e 50 minuti di audizione Migliorino riprende la parola. E chiede ad Aglieco del telefonino di Rossi, che era rimasto in quella stanza. Il militare ricorda nettamente che squillò due volte. La prima volta dall’altro capo del telefono c’era il giornalista Tommaso Strambi. Non ricevette risposte. Aglieco precisa che, poiché ha ascoltato l’audizione del giornalista, i suoi ricordi potrebbero essere inquinati. Il telefono, però, squillò di nuovo: “Ricordo perfettamente la telefonata di Daniela Santanché”, dice. La parlamentare, nel 2017, aveva raccontato di aver telefonato a Rossi quella sera, ma di non aver ricevuto risposta. Dai tabulati, però, risulta una chiamata di 38 secondi. “Mi sembra di ricordare che a rispondere fu il dottor Nastasi”, dice Aglieco, che precisa di non aver sentito le parole del magistrato. “Gli avrà detto solo ’sono il pm”, ipotizza. A quel punto Migliorino gli chiede se una cosa del genere sia normale. Prendere in mano il cellulare di una persona sulla cui morte potrebbero essere fatte delle indagini, infatti, è un gesto che pare singolare. Rispondere al telefono che squilla ancora di più. Aglieco esita, forse un po’ in difficoltà: “Francamente non lo so, perché non è previsto da nessuna parte né sì né no. Se sia opportuno forse...”.
Di questa circostanza non esistono relazioni. Perché? Il motivo, per il militare, è molto semplice: “Il pm è signore e padrone della scena del crimine”. Il sottotesto è che non c’era bisogno di fare relazioni, perché avrebbe dovuto indirizzarle solo a se stesso.
L’audizione di Aglieco era aperta e può essere ascoltata qui. Altre in precedenza sono state secretate e quindi non possiamo sapere se qualcun altro abbia riferito circostanze simili. Quel che è certo è che questo racconto mette in luce una serie di gesti - quantomeno irrituali - che hanno potuto rendere più difficile l’accertamento di un delitto. In pratica la scena potrebbe essere stata inquinata, anche in maniera grossolana, ben prima dell’arrivo della scientifica, e nessuno lo aveva ammesso.
Quelle elencate non sono le uniche cose che non tornano in questa lunga e complessa storia - è stato fatto notare che il corpo di Rossi era precipitato in una posizione forse incompatibile con un suicidio, che alcune ferite non sono state analizzate a fondo, una perizia ha ipotizzato che l’orologio, trovato accanto al cadavere, non fosse al polso durante la caduta - ma essendo le più fresche tornano a far riflettere su un caso da molti considerato non ancora risolto. “Sarà difficile per Aglieco ora dimostrare sia tutto vero perché ovviamente lo smentiranno. Ma certo é piuttosto inquietante: dopo otto anni”, ha scritto su Twitter il giornalista Davide Vecchi, direttore dei Corrieri dell’Umbria, Siena, Arezzo, Rieti, Viterbo, che ha seguito bene negli anni la vicenda.
La commissione d’inchiesta, intanto, ha disposto “una perizia collegiale affidata a tre medici legali che affiancheranno i carabinieri del Ris nelle indagini sulla morte”. Perché il caso non è ancora chiuso.