Mi è sempre piaciuto ricorrere a riferimenti di fantasy o fantascienza nei miei articoli, e questo non fa eccezione. Verso la fine de Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re, il grande J.R.R. Tolkien fa tornare Frodo nella sua terra natale, la Contea, che trova devastata dal mago corrotto Saruman. Il suo fidato compagno Sam sguaina la spada per assestare il colpo finale contro il miscredente, ma Frodo gli ferma la mano, dicendo che il mago «un tempo era un grande. Di una nobile schiatta contro la quale non dovremmo levar la mano» (Il Ritorno del Re, “Il repulisti della contea”, pag. 1079, ed. Bompiani, traduzione di Ottavio fatica, edizione ottobre 2020). Il mago, ovviamente, apparteneva agli immortali Ainur, gli spiriti di natura divina immaginati da Tolkien, sotto certi punti di vista equiparabili agli angeli. Ma la mia intenzione non è di impantanarmi nel fandom tolkeniano, quanto meditare sugli argomenti avanzati da Frodo. Potrebbe darsi che alcuni degli esseri che abbiamo associato al fenomeno UFO appartengano alla “nobile schiatta” (forse un ordine angelico o un ordine tutelare di spiriti incaricati di custodire il nostro mondo, i Veglianti se vogliamo) che meritano rispetto quando non venerazione? Gli annali dell’ufologia contengono più episodi che riguardano attacchi di questi esseri superiori contro comuni mortali che non il contrario, anche se a volte troviamo casi in cui gli umani hanno versato il primo sangue. Inevitabilmente, come disse John Keel in Disneyland of the Gods, «gli dei rispondono» alla nostra impertinenza. Assalire UFOnauti non è punibile secondo le leggi dell’Uomo. L’omicidio, ad esempio, per sua stessa definizione si applica al genere homo, anche se si potrebbe sostenere che il diritto naturale (ius naturale) dovrebbe offrire protezione agli sfortunati visitatori dallo spazio o da altre dimensioni. Inoltre, la dottrina della Metalegge circolata negli anni ‘70 sostiene che «tutte le razze intelligenti nell’universo hanno in linea di principio uguali diritti e valori». Nei casi che esamineremo di seguito, però, non c’erano avvocati a difendere tali diritti…
ACCADDE IN PERÙ
Il Dr. Anthony Choy, uno dei ricercatori più noti del Perù, ha esaminato uno di questi casi nel 2002, accaduto nella comunità di San Bartolomé, negli altopiani peruviani, in particolare nella provincia di Huarochirí, diverse ore a nord di Lima, la capitale. La pittoresca cittadina è nota per la sua varietà di alberi da frutto e per il clima eccellente, che vanta il sole quasi tutto l’anno, è ricca di foreste (il Bosque de Zarate è la più famosa) e una variegata fauna selvatica. Tutt’altro che un luogo triste e sinistro, insomma. Il caso coinvolse due testimoni, il principale dei quali era Luis “Lucho” Rojas Povis, di 51 anni, un operatore di casello autostradale che si trovava all’aperto alle due del mattino con il suo migliore amico quando entrambi avevano visto “due figure” che scendevano lungo le pendici del Cerro de la Pascua, vestite con abiti argentati. Inizialmente non avevano trovato nulla di insolito in loro, credendo che fossero alpinisti o personale ufficiale con stravaganti abiti protettivi, ma man mano che si avvicinavano si erano resi conto, con grande stupore, che le cose non erano così normali come erano sembrate. Secondo le descrizioni, le entità erano alte, snelle e con una corporatura atletica. I loro volti sembravano umani, ma avevano occhi “brillanti” e non sembravano camminare ma fluttuare. Non pronunciarono una sola parola. Stupiti oltre ogni immaginazione, Rojas e il suo amico si avvicinarono agli strani personaggi; l’amico allungò persino una mano per toccare il volto di una delle entità per verificare che fosse reale, ma questa gli schiaffeggiò via la mano. “Ehi, perché giochi col mio amico?”, disse in tono di sfida l’operatore del casello alla creatura, secondo l’intervista del Dr. Choy. Ma quello che sarebbe potuto diventare il primo “mano-a-mano” (in italiano nel testo, ndt) tra umani e non umani (dal caso del 1954 che coinvolse José Ponce e Gustavo González in Venezuela) fu interrotto dall’arrivo di un taxi la cui passeggera e l’autista stavano per diventare testimoni della bizzarra situazione. Beatriz García, di 34 anni, aveva appena preso un taxi per tornare a San Bartolomé a quell’ora tarda dalla città di Ochocica, dove quel giorno si era tenuta una fiera. Accettando di pagare all’autista una tariffa piuttosto alta per il viaggio di ritorno, la signora García era rimasta sorpresa nel vedere «un uomo fatto di stagno o vestito di alluminio » in piedi sul bordo della strada. Era in grado di vederne solo la figura, ma non poteva dire se fosse l’entità che aveva schiaffeggiato la mano dell’uomo che aveva cercato di toccargli il volto. A quella vista ultraterrena, l’autista cominciò ad agitarsi e il suo nervosismo impedì alla donna di osservare più da vicino l’entità, anche se riuscì a notare gli occhi “brillanti”. Durante l’intervista con Anthony Choy, Beatriz stimò che la separasse dall’entità una distanza di una decina di metri; l’entità sembrava «camminare avanti e indietro, due passi avanti, due passi indietro, ma in realtà fluttuava nell’aria». Inoltre, la descrizione dell’aspetto e del vestito dell’essere fatto da Beatriz coincide con quello fatto da Rojas, compreso il caso. Alcuni liquideranno questo evento come uno dei tanti casi pittoreschi dell’America Latina (da intendersi come palesemente falsi per gli scettici), ma il movimento fluttuante dell’entità vista da Beatriz García si ritrova in molti altri casi. Ad esempio, il Dr. Frank B. Salisbury riportò questo particolare nella sua prefazione al libro Flying Saucer Occupants dei coniugi Lorenzen: «Questi esseri a volte possono camminare come persone normali, ma anche spostarsi con “movimenti che sembrano scivolare” o con un’andatura oscillante». Per quanto riguarda lo “schiaffo” con cui uno degli umanoidi di San Bartolomé avrebbe reagito all’impulso umano di toccare i suoi lineamenti, vale la pena ricordare quanto annotato dal ricercatore argentino Roberto Banchs nella sua monografia, La fenomenología humanoide en Argentina (Servicio de Investigaciones Ufologicas, agosto 1977): «Il comportamento sociale è talvolta interpretato erroneamente, confondendo così tanto le cose che qualsiasi azione da parte [degli intrusi] viene considerata ostile. È imperativo analizzare tutti i fattori fisici e psicologici prima di poter giungere a una conclusione».
LO SCONTRO PIÙ IMPARI DEL SECOLO
Jorge Anfruns ci riporta a una storia ancora più inquietante, che potrebbe essere liquidata come aneddotica, dal momento che non vengono forniti nomi o date a causa della natura delicatissima dell’evento, verificatosi «in un certo punto lungo i confini cileni, boliviani o forse peruviani, che non ho intenzione di ricordare». Un distaccamento di agenti di polizia a cavallo – unico modo per aggirare il terreno montuoso – stava procedendo lungo la gola nota come Quebrada de las Bandurrias. I cinque agenti, stanchi e assetati come le loro cavalcature, improvvisamente si accorsero che c’era qualcosa che «somigliava a una capanna d’argento» più in basso nel canyon. Il tenente responsabile pensò che si fossero imbattuti nel covo di una famigerata banda di contrabbandieri di pellicce che operava nella zona e ordinò ai suoi uomini di allontanarsi il più silenziosamente possibile. Uno dei poliziotti smontò da cavallo, raccolse un sasso e lo scagliò contro la struttura argentea, facendone uscire gli occupanti, che assunsero posizioni di difesa. A questo punto il tenente ordinò ai suoi uomini di aprire il fuoco. «Questo – continua l’autore – fu l’inizio dello scontro più impari del secolo». Ai proiettili sparati dai poliziotti venne risposto con dei raggi luminosi in grado di «perforare i bersagli e aprirli come cavolfiori ». I cavalli della pattuglia erano i bersagli più facili. Uno degli animali esplose dall’interno verso l’esterno mentre un membro della pattuglia venne abbattuto da un altro raggio, che gli aprì una ferita devastante nel petto. Essendo la ritirata l’unica alternativa, il tenente e i sopravvissuti tornarono al quartier generale, raggiungendolo due giorni dopo e consegnando un rapporto completo sulla situazione. Un team di risposta più grande e pesantemente equipaggiato andò sul posto dello scontro, senza però trovare traccia della “capanna argentata”, ma accertando che sulla sabbia c’erano effettivamente tracce di sangue di cavallo. I corpi degli agenti di polizia caduti erano spariti. Si può credere a una storia del genere? Oppure è solo un tragico scontro tra forze dell’ordine e contrabbandieri di pellicce, grottescamente colorito con elementi degni di una vecchia rivista pulp? Probabilmente non lo sapremo mai.
ATTENTI AI NANI
Da quando Gordon Creighton e Charles Bowen della Flying Saucer Review hanno cominciato a interessarsene, l’apparentemente inesauribile casistica argentina di UFO ed eventi ad alta stranezza è diventata oggetto di timore e meraviglia in tutto il mondo. L’Argentina, il sesto paese più grande del mondo, vanta una popolazione di soli 30 milioni di abitanti, un quinto dei quali raggruppati nelle comunità attorno a Buenos Aires. A ovest si trovano le Ande; il nord e l’est sono dominati dalle pianure e dalle praterie della Pampa, e il sud è occupato dall’arido altopiano della Patagonia. Neanche a dirlo, la maggior parte dei casi di UFO argentini si è verificata nelle zone più remote e solitarie. Durante l’UFO flap del 1965 (uno dei più grandi mai accaduti nell’emisfero australe), Rialto Flores, un investigatore delle ormai defunte organizzazioni CODOVNI argentine, andò a Corrientes per intervistare Carlos Souriou, all’epoca un liceale e involontario protagonista di uno dei più terrificanti eventi ad alta stranezza mai registrati in quel paese. Una notte del febbraio 1965, Soriou e suo fratello maggiore andarono a caccia di armadilli accompagnati dai contadini della tenuta del padre. Al ritorno, notarono figure piccole e insolite in agguato nel campo, col favore dell’oscurità. Secondo Soriou, le figure non erano più alte di tre piedi, il che aveva portato uno dei contadini a dire al fratello di Soriou: «Sono nenorottoli, patroncito. Abbattiamoli con i machete!». Tirando fuori la sua arma, il contadino stava per passare ai fatti quando accadde l’imprevisto: il suo braccio rimase paralizzato mentre stava per sferrare il primo colpo, e i “nanerottoli” aumentarono di dimensioni fino a raggiungere un’altezza ben superiore ai due metri. Il fratello di Soriou sparò col suo fucile automatico calibro 22, ma nessun proiettile uscì dalla canna. Sostituì i proiettili, ma ancora una volta dalla canna del fucile non uscì niente. Indifesi contro quelle entità sconosciute, i cacciatori fuggirono verso un fienile vicino e vi si rinchiusero, ma la struttura in legno avrebbe offerto ben poca protezione: fasci di luce si riversarono nel bosco, illuminando l’interno della stalla. Souriou era nel panico e i compagni dovettero coprirlo con scatole e coperte da sella per impedirgli di vedere la luce ultraterrena che filtrava dalle fessure. Dopo un po’ il bagliore cessò, portando i braccianti a credere che il peggio fosse passato e che le “creature” se ne fossero andate. Così, il fratello maggiore decise coraggiosamente di avventurarsi fuori nella notte per far partire un camioncino parcheggiato nelle vicinanze, in modo da andare a chiedere aiuto, ma a metà della sua sortita venne sorpreso dalle entità, sbucate dal nulla. Spinto dall’adrenalina, l’uomo corse di nuovo verso il fienile, dove però i braccianti si rifiutarono di aprire la porta per timore che le “creature” potessero entrare. Le urla del fratello di Souriou li spinsero in fine ad aprire la porta, bontà loro, proprio quando una delle “creature” lo afferrò, circondandogli la vita con le braccia. L’uomo però riuscì a liberarsi e a rifugiarsi nel fienile. Molte ore dopo, il terrorizzato gruppetto di cacciatori riuscì a raggiungere il camioncino, andando in un altro campo di proprietà della famiglia Souriou senza subire attacchi dalle entità. In seguito, molti dei braccianti si rifiutarono di tornare al campo dell’evento e uno di essi venne persino licenziato dalla sua posizione perché troppo terrorizzato. Durante la sua conversazione con Rialto Flores, il giovane Souriou disse di credere che le gigantesche presenze potessero essere state sedute quando il suo gruppo le aveva incontrate, il che spiegherebbe come mai avessero avuto l’impressione che fossero dei “nanerottoli”. Il testimone era assolutamente terrorizzato dall’accaduto e fu irremovibile nel sostenere che mai era stato visto un veicolo o un UFO nella zona. L’appendice che aveva circondato suo fratello non era di tipo umanoide, ma sembrava essere fatta di capelli o qualcosa di simile.
UN INCIDENTE IN BRASILE
Nel marzo 1969, la pubblicazione francese sugli UFO Phénomènes Spatiaux riportò una storia interessante riguardo a un incidente tra un cittadino brasiliano e degli UFOnauti avvenuto il 13 agosto 1967 nello stato di Goias, vicino a Pilar de Goias. Ignacio De Souza, un uomo sposato sulla quarantina e padre di diversi figli, era amministratore di una piantagione locale e non aveva mai sentito parlare di dischi volanti o di uomini dallo spazio. La vita era già abbastanza difficile in quell’ambiente tropicale perché potesse occuparsi di queste cose. Quella fatidica sera, Ignacio e sua moglie stavano tornando a casa quando videro un oggetto «somigliante a un piatto capovolto» sospeso in aria e dalle dimensione di trentacinque metri circa. Più allarmante delle dimensioni dell’oggetto misterioso era il fatto che a terra ci fossero tre esseri, in piedi tra il veicolo dei De Souza e la loro casa. La rivista francese cita Ignacio dicendo che non era spaventato dalle tre figure, che erano calve e sembravano abbastanza umane. L’uomo pensò che potessero essere dei visitatori, ma restò spiazzato dal loro “strano aeroplano”. Inoltre, i “visitatori” sembravano correre e saltare come bambini, un fatto che trovò a dir poco inquietante. Quando gli esseri notarono l’auto, la indicarono come a dire “andiamo a prenderla” e iniziarono a correre. Quindi Ignacio disse a sua moglie di correre in casa mentre lui prendeva la sua fidata carabina, aprendo il fuoco contro il più vicino dei tre esseri, ma dall’oggetto partì un raggio di energia che lo colpì al petto. La signora De Souza raccolse la carabina, pronta a resistere, ma le tre strane figure erano ormai tornate di corsa sul loro “aeroplano”, che iniziò a decollare verticalmente emettendo un ronzio, come uno sciame di api (un suono comunemente associato a questi oggetti). Ignacio De Souza spiegò di aver mirato alla testa, colpendo il suo obiettivo. («Non potevo sbagliare – aggiunse. Sono un tiratore scelto»). L’uomo aveva anche notato che gli strani intrusi sembravano nudi, anche se sua moglie disse che probabilmente indossavano una tuta estremamente aderente giallo chiaro, che ricordava le “Venusiane” segnalate nel nord della Spagna negli anni ‘50. De Souza venne ricoverato in ospedale riportando intorpidimento e formicolio e il personale dell’ospedale gli consigliò di non parlare così apertamente dell’evento. Un medico riscontrò un’ustione di 15 centimetri tra la spalla e il torace. Ignacio De Souza morì nell’ottobre 1967 di leucemia, probabilmente causata dall’esposizione a quel raggio mortale.
L’UOMO CHE UCCISE UN GRIGIO
Nell’estate del 2015, sulle pagine del quotidiano argentino Nuevo Diario, della città di Santiago del Estero, apparve una notizia interessante riguardante un certo Alberto Tavernise, un uomo che aveva sparato e ucciso uno dei cosiddetti alieni grigi, e poi era stato addotto, magari per vendetta. Tavernise, di 59 anni, abitava a Luan Toro, un villaggio della provincia di La Pampa. Durante una battuta di caccia notò che c’era del movimento intorno a uno dei capanni di caccia, per poi ritrovarsi circondato da cinque creature ultraterrene che descrisse come grigie e con quattro dita alle mani e ai piedi. «… Si resero conto che li avevo visti - era il 9 agosto – e cinque di essi vennero verso di me. Ero circondato. Due di loro si trovavano sotto lo stand di caccia e quando cominciai a sparare mi addormentarono. Quando mi svegliai, non c’erano più». In seguito ci sarebbero stati ripetuti incontri. «Un giorno andai a cercarli – raccontò al giornale - . Ci fu uno scontro e io sparai contro quello che chiamavo Lo Scout, perché andava sempre avanti. Quando mi avvicinai al corpo vidi che non c’era sangue nella ferita, e altri tre mi vennero addosso. Tornai sul posto pochi minuti dopo, e il corpo non c’era più, poiché era stato portato via da un’astronave ». In un pulp anni ‘50, il protagonista umano avrebbe soffiato via il fumo dalla pistolam dicendo qualcosa del tipo “che questo vi sia di lezione”. La realtà, nel 21° secolo, invece, è molto diversa, e le entità tornarono a cercarlo. «Vennero a casa mia e mi rapirono - raccontò Tavernise -. Passai tre giorni a letto, dormendo con gli occhi aperti e con un mal di testa che durò quasi due mesi. Dovetti andare dal dottore, fare degli esami, andare da un neurologo per fare un EEG, fe armi vedere da un oculista, e alcuni disturbi agli occhi non sono mai passati. Ho problemi agli occhi da quel giorno».
L’EROISMO DI UN PILOTA
In una società profondamente influenzata da Star Wars, Battlestar Galactica e Top Gun, le imprese dei piloti di caccia sono state super esaltate, e forse a ragione. Sfrecciare nei cieli con un equipaggiamento multimilionario mentre si schiva il fuoco nemico non è roba da poco. Luke Skywalker e il suo XWing avrebbero ben poco da temere, tuttavia, da Oscar Santa Marina e dal suo caccia bombardiere Sukhoi SU-22, il quale è passato alle cronache ufologiche per aver aperto il fuoco contro un oggetto volante non identificato. È l’11 aprile 1980 quando la base aeronautica del Perù a La Joya (Arequipa) rileva uno strano oggetto in avvicinamento. Credendo che si tratti di un velivolo da ricognizione del vicino Cile, che all’epoca aveva un rapporto tutt’altro che amichevole col Perù, il comandante della base ordina a un cacciabombardiere SU- 22, di fabbricazione sovietica, di intercettare l’intruso e abbatterlo. Così il tenente Oscar Santa Maria decolla a tutta velocità, diretto verso il velivolo sconosciuto, ormai distante cinque chilometri. Nel momento in cui l’oggetto entra nel mirino, il pilota gli scatena contro un inferno di proiettili, senza però sortire alcun effetto apparente. L’oggetto vola via in verticale e il caccia peruviano va all’inseguimento, infrangendo la barriera del suono pur di non perderlo di vista. Stranamente però, dell’oggetto non c’è alcuna conferma radar. La distanza tra il caccia e l’UFO man mano si riduce e a un certo punto l’oggetto fa qualcosa di impossibile, fermandosi improvvisamente nell’aria e il Sukhoi lo sorvola a un’altezza di trentaseimila piedi. Forse il Cile aveva acquistato una tecnologia avanzata da una potenza straniera, di gran lunga superiore alle capacità del cacciabombardiere di fabbricazione russa? Questa domanda deve sicuramente aver attraversato la mente del pilota quando l’oggetto si era improvvisamente alzato di quota, fermandosi nuovamente e facendo deviare il caccia per evitare una collisione. Ora si trovavano a sessantaduemila piedi sopra il deserto peruviano, con solo un centinaio di colpi rimasti e il carburante a livelli critici. A questo punto Santa Maria interrompe l’inseguimento, consapevole che si stava avvicinando alla massima altezza operativa permessa dal suo aereo e non è da escludersi che avesse sentito parlare del tragico destino di Thomas Mantell, che aveva perso la vita in un inseguimento simile. Torna dunque a La Joya - ormai a ottocento chilometri di distanza - mentre l’oggetto continuava a salire, svanendo nell’oscurità dello spazio. Il tenente Santa María descrisse così l’oggetto che aveva inseguito: «Aveva una cupola azzurra, che sembrava una lampadina divisa a metà, con un’ampia base di metallo che faceva brillare tutto. Quando mi sono avvicinato e l’ho visto completamente, mi sono accorto che mancava di ugelli, ali, finestre, antenne... La sua superficie era molto liscia sia sopra che sotto».
ACCHIAPPA L’ALIENO
Il caso di José Ponce è stato descritto in molta letteratura ufologica sin dagli anni ‘60 e il sito web di UFO Alternativa OVNI (http://www.alternativaovni. com.ar) ha raccolto una così grande quantità di informazioni a riguardo che qui mi limiterò a tradurre la loro introduzione: Il 29 novembre 1954, tra le 2:00 e le 2:30 del mattino, Gustavo González, un uomo d’affari cubano di 25 anni residente in Venezuela, e il suo assistente venezuelano José Ponce, erano a bordo del furgone di Gustavo, diretti all’“Industria Nacional de Embutidos CA” o lo stabilimento di lavorazione della carne “Schelper”, per prendere prodotti da vendere al mercato all’alba. Mentre percorrevano la via Buena Vista si accorsero, con loro stupore, che la strada era illuminata come se fosse mezzogiorno. Uscirono dunque dal furgone per vedere cosa stesse succedendo, ma José tornò indietro di corsa dopo aver visto una strana entità che gli si avvicinava. Pochi secondi dopo, anche Gustavo vide la creatura e, superato un attimo di incertezza, cercò di catturarla per portarla sul furgone. Il piccolo alieno, però, era piuttosto forte e riuscì a sfuggire alla sua presa. Gustavo cadde sul marciapiede, ma riuscì a rialzarsi rapidamente. Secondo Gustavo, l’entità pesava circa 50 chilogrammi. Mentre seguiva il piccolo alieno, l’uomo notò qualcosa di ancora più sorprendente: altri due piccoli esseri gli si stavano avvicinando e uno gli puntò contro una “torcia elettrica” - a quanto pare erano venuti per aiutare il loro compagno. Accecato dalla luce e incapace di vedere cosa stesse succedendo per alcuni secondi, Gustavo afferrò il suo coltello da boy scout e quando fu di nuovo in grado di vedere, si accorse che il piccolo alieno stava andando verso di lui. Istintivamente, l’uomo pugnalò alla spalla la creatura, ma la pelle era dura come quella di un rinoceronte e la lama scivolò via. Quando l’extraterrestre aveva cercato di catturarlo, Gustavo si era accorto che aveva artigli affilati su ciascuna delle sue quattro dita. Nel frattempo, il suo assistente, José Ponce, uscì dal furgone e si diresse verso l’oggetto sferico quando, all’improvviso, un piccolo extraterrestre peloso emerse da destra, affrettandosi su per un ripido pendio con i pugni pieni di terra. Quando il piccolo alieno vide Ponce fece un salto di due metri, entrò nel portello e svanì all’interno dell’oggetto. Pochi secondi dopo emerse un’altra entità, armata di un lungo tubo lucido che puntò contro entrambi gli uomini, che si sentirono avvolti da una vibrazione paralizzante. In seguito videro la sfera brillante salire maestosamente e silenziosamente nel cielo notturno e svanire. Decisamente un caso degno di un film o di una serie TV. E dunque cosa ci porta a “levar la mano”, come diceva Frodo, contro l’ignoto, quando la maggior parte dei codici di condotta umani ci esorta a estendere la gentilezza verso gli estranei? La nostra risposta all’ignoto non è quasi mai in questo senso, anzi, tutto il contrario: la nostra natura animale prende il sopravvento e la risposta è la lotta o la fuga. Se vedere uno strano umano sconosciuto attiva una serie di meccanismi di difesa nella nostra mente - paura, sfiducia, sospetto di intenti dannosi -, vedere un presunto alieno o un mostro accentua questa risposta istintiva. D’altro canto, siano essi Ufonauti, strane creature angeliche o extraplanetarie, cosa dà loro il diritto di vendicarsi con forza letale contro una specie che è primitiva in senso evolutivo, o sotto la loro tutela? Alcuni apologeti degli alieni hanno sostenuto che tale risposta sia per il nostro bene, per così dire: un’esplosione laser ne salva nove, in quanto qualsiasi danno a se stessi o al loro velivolo può rappresentare un pericolo maggiore per la specie in generale che non per il soggetto dell’attacco. Posso solo immaginare le speculazioni su uno sparo, o meglio ancora un missile che colpisce il veicolo non umano innescando l’esplosione di una fonte di energia che potrebbe rendere inabitabile un continente in pochi minuti. Forse è molto più facile pensare che i nostri visitatori siano o angeli cattivi o cattivi astronauti a cui comunque non piacciamo.