Giovanni il NazireoVII^ Parte:continua Iniziamo ora una scansione analitica, sia testuale che del contesto storico dell’epoca, confrontando lo studio con i Vangeli canonici al fine di comprendere meglio le relazioni fra il “Giovanni” zelota del “ricordo” di Giuseppe e “Gesù”.
Abbiamo evidenziato sia
la continuità narrativa del ricordo, sia la sequenza degli eventi, a partire dal
6 d.C. con i relativi protagonisti, sia
il falso patronimico (figlio di Ghiora) introdotto per depistare la ricerca storica.
I mistici amanuensi ebbero la presunzione di datare un intero capitolo di 22 paragrafi semplicemente introducendo un falso patronimico (Ghiora), ma
sottovalutando, ingenuamente,
le diversità, evidenziate nel racconto, che distinguevano le gesta delle due coppie di attori, Giovanni e Simone, separate fra loro di una generazione.
Da rilevare che, in ipotesi, quanto appena letto si voglia interpretare come un sunto della guerra ormai al termine,
mancherebbe il finale più significativo, già avvenuto … quello più catastrofico, che lo storico ebreo addebita agli stessi Zeloti:
la distruzione del Tempio.
Giuseppe Flavio non aveva alcuno scopo, né avrebbe avuto senso, rifare il sunto di una tragedia che aveva appena finito di descrivere dettagliatamente, piuttosto,
aveva senso rievocare chi generò l’ideologia e
le gesta dei primi protagonisti, se pur lontani nel tempo, responsabili dell’olocausto finale: lo zelotismo della “quarta filosofia ebraica” ideata da Giuda il Galileo nel 6 d.C.
Nel capitolo sopra letto lo storico riferisce (par. 267) dell
“uccisione di Sommi Sacerdoti e della distruzione degli ordinamenti civili ”:
un cambio di potere nel Sinedrio e nel Governo politico militare della Giudea, ma …
perché non conclude rammentando la avvenuta, straziante, devastazione di Gerusalemme e del Tempio, facendone ricadere la colpa sugli stessi Zeloti, come ha già dichiarato più avanti?… No! Non lo può fare perché sta raccontando vicende di un’altra epoca!:
“quell’epoca”…
in cui Gerusalemme e il Tempio rimasero intatti.
Un’epoca in cui, tramite l’uccisione di Sommi Sacerdoti (potere spirituale religioso) e la distruzione degli ordinamenti civili (potere politico militare),
avvenne un vero e proprio rivolgimento al vertice delle istituzioni preposte alla guida della “patria”, Giudea, Galilea e Idumea.
Giovanni e Simone del ricordo vengono visti come
parenti (par. 266) fra loro e
fautori-promotori di gesta rivoluzionarie contro le istituzioni; mentre Giovanni di Giscala e Simone bar Ghiora
non furono né parenti, né i promotori della guerra del 66/70, ma
subentrarono dopo che altri condottieri sacerdoti si posero a capo della ribellione e del governo rivoluzionario, eliminandosi reciprocamente: Eleazar, Ananìa, Giuseppe Menahem, Anano, ecc.
Il Giovanni del 66/70 d.C. è un personaggio descritto in maniera completamente diversa:
“Un intrigante di Giscala, di nome Giovanni, figlio di Levi, il più farabutto e il più astuto fra tutti quelli famosi per tali pessime qualità…mentre fingeva mitezza era pronto ad uccidere anche solo per speranza di guadagno…” (Gue. II, 585/587); “Ormai aspirava a far da comandante e mirava a cose più grandi. Vedendo Giuseppe (lo storico parla di se stesso in terza persona , come se fosse un osservatore) che lo apprezzava per la sua energia lo persuase a fargli costruire il muro di difesa intorno alla sua città (Giscala) e in quest’occasione fece grossi profitti a spese dei ricchi; più tardi ideò un piano truffaldino: con una moneta di Tiro egli comprava quattro anfore d’olio e ne rivendeva allo stesso prezzo mezza anfora (800%) e poiché la Galilea è grande produttrice d’olio ed egli era il solo a vendere, raccolse un’immensa somma di denaro”. (Gue. II 590 e segg.).
Per questo e per aver tentato, con una grave macchinazione politica, di eliminare Giuseppe come Comandante della Galilea, senza riuscirvi, questi gli dette una severa lezione e …
“
Da allora in poi Giovanni se ne stette rinchiuso fra le mura di Giscala per paura di Giuseppe” (sempre Flavio).
Giovanni di Giscala era un trafficante speculatore, un impostore senza particolare carisma o ideologia integralista, un semplice opportunista faccendiere.
“A Giscala le cose stavano così: Giovanni figlio di Levi, vedendo che alcuni cittadini erano esaltati alla idea della ribellione ai Romani, si adoperava per calmarli e pretendeva rimanessero fedeli (a Roma). Tuttavia, nonostante il suo impegno appassionato, non vi riuscì” (Bio. 43-44).
Diversamente dal “Giovanni” rievocato nel ricordo, Giovanni di Giscala era un capobanda ambizioso ma
non antiromano e soprattutto non condivideva gli ideali di quella corrente politica religiosa che invocava un rivolgimento della società giudaica, basato sull’eliminazione della schiavitù, al fine di rendere gli uomini liberi e senza padroni che, dall’epoca del censimento in poi, innescò una guerra civile per eliminare chiunque si fosse opposto o tirato indietro nella lotta contro gli invasori pagani.
Mentre i due lontani protagonisti del “ricordo”,
Giovanni e Simone,
condividevano lo stesso ideale, al contrario, i due successivi, del 66-70 d.C., vengono illustrati dallo storico ebreo con due personalità e
due ideologie, totalmente
diverse fra loro: Giovanni, figlio di Levi, era un opportunista; mentre,
il vero Simone figlio di Ghiora, un’idealista che postulava la rivoluzione sociale ed economica finalizzata all’abolizione della schiavitù,
“promettendo libertà agli schiavi e premi ai liberi”. (Gue. IV, 508),
uguale a quella di Giuda il Galileo e dei suoi figli.
In un paese, la cui economia era fondata sull’agricoltura e la pastorizia, quale “premio” poteva essere dato ad uno schiavo liberato se non terra e bestiame confiscati ai ricchi proprietari di poderi, filo romani? Gli Zeloti sicari, con la guerriglia innescata dall’epoca del censimento, ne sabotavano le rendite dando fuoco alle loro ville e depredandone i prodotti.
Una guerra civile, iniziatasi a “quell’epoca”, il 6 d.C..
Giovanni figlio di Levi,
inizialmente filo romano, dopo la sconfitta dei legionari del Legato di Siria, Cestio Gallo, si posizionò in una delle fazioni ribelli… rimanendo, poi, intrappolato dalle legioni romane a Giscala, da dove riuscì a fuggire alla volta di Gerusalemme.
A Roma, nel 68 d.C., dopo la morte di Nerone, a causa della lotta per il potere e la conseguente guerra civile, le operazioni militari dei Romani in Palestina furono sospese e Giovanni di Giscala, illudendosi, come tutti i Giudei, che la guerra tra le fazioni politiche dell’Impero portasse alla sua distruzione, puntò, senza riuscirci, alla conquista del potere a Gerusalemme
contro Simone figlio di Ghiora e
contro gli Zeloti.
“Durante la festa degli Azzimi (Pasqua), il 14 del mese di Xantico (fine Marzo 70 d.C.), Giovanni di Giscala attaccò gli Zeloti nel Tempio e li sconfisse” (Gue. V, 98/105) obbligando una parte di loro a sottomettersi e passare nella sua fazione.
Vespasiano si è limitato ad imprigionarlo a vita, senza sottoporlo alla pena capitale,
perché si batté contro Simone figlio di Ghiora. Questi era il vero, pericoloso, capo: un nazionalista religioso
proclamato “Salvatore” dal Sinedrio e dal popolo (Gue. IV, 508/575).
Fu considerato tale sino alla fine, quando, come un “Messia” sconfitto, venne trovato dai Romani, nascosto nei cunicoli della città, con ancora indosso la “Veste Sacra”. Verrà poi decapitato a Roma, nel 71 d.C.; invece …
Giovanni di Giscala: no!:
fu solo imprigionato a vita.
Diversamente,
il Giovanni del ricordo:
“subì la giusta punizione, e tutti i castighi che mai possono colpire un uomo si abbatterono su di lui fino all’ultimo istante di vita, facendolo morire fra i più atroci tormenti d’ogni sorta”.Nel capitolo sopra letto i falsari religiosi non compresero o sottovalutarono la cronologia degli avvenimenti descritti che
iniziavano dal 6 d.C. e continuavano, in successione,
da “quell’epoca” in poi. Invitiamo i lettori a rileggere, dall’inizio, il racconto, un paragrafo dopo l’altro, saltando i commenti e le note, per verificare se si incontra una sola discontinuità cronologica.
L’ennesimo richiamo al censimento di Quirino, ribadendo
“quell’epoca”, si riferisce ad un lasso di tempo collocato
fra il 6 e il 36 d.C.: quella fu
“l’epoca” in cui
i Giudei, per 30 anni, dovettero sottostare all’odioso tributo dovuto direttamente a Roma.
“Un Galileo di nome Giuda spinse gli abitanti alla ribellione, colmandoli di ingiurie se avessero continuato a pagare il tributo ai romani e ad avere, oltre Dio, padroni mortali. Questi era un Dottore (della Legge) che fondò una sua setta particolare …” (Gue. II, 118).
Come abbiamo visto all’inizio dello studio nei passi letti in “Antichità Giudaiche” e in “La Guerra Giudaica”,
l’esazione avvenne fra i continui moti degli Zeloti che osarono opporsi al pagamento del “tributo a Cesare”, e
si protrasse fino al 36 d.C. quando,
un altro Legato di Siria, Lucio Vitellio…
“ accolto con sommi onori, rilasciò in perpetuo agli abitanti di Gerusalemme tutte le tasse sulla vendita dei prodotti agricoli” (Ant. XVIII, 90).
La Giudea era un paese quasi totalmente ad economia rurale e le tasse sui prodotti agricoli costituivano, di gran lunga, la maggiore entrata per l’erario imperiale pertanto,
se Roma vi rinunciò, significa che avvenne qualcosa di veramente grave, allora, come vedremo più avanti.
Il “tributo dovuto a Cesare” è ripreso nei Vangeli in modo superficiale e ridicolo.
Chi riportò questo particolare - esistenziale per la popolazione nella realtà giudaica di “quell’epoca” - non voleva fare apparire “Gesù” contro la tassazione di Roma,
per non identificarlo con gli Zeloti … fino al punto di fargli pronunciare la famosa frase
“date a Cesare quel che è di Cesare”.
Se questo fosse accaduto, nella realtà di allora, qualche “sicario” lo avrebbe eliminato, assieme al Pubblicano Apostolo Matteo, senza dargli il tempo di… “risorgere” …
I Giudei odiavano quel tributo, come tutti i popoli sottomessi, ma con un motivo in più e non secondario: quello religioso. Una tassazione che rappresentava la sottomissione della loro divinità a quella pagana: la terra, promessa da Dio al popolo eletto e conquistata col sangue degli antichi padri era, di fatto, una terra occupata, come perduta, da riconquistare; ecco perché lo storico ricorda molte volte il “censimento”
e lo fa sempre collegandolo a Giuda il Galileo ed ai suoi figli …sino all’ultimo suo discendente: Lazzaro.
Nell’epoca successiva al censimento, durante i 30 anni di tassazione,
le gesta dei fratelli Giovanni e Simone, per le modalità drammatiche narrate, erano ascrivibili solo a loro in quanto derivate da un’ideologia estremista religiosa che
considerava nemici anche i parenti che non condividevano quel tipo di lotta.
Essi, come risulta dal “ricordo”,
non furono mai in guerra fra loro e soltanto loro potevano essere i veri autori degli avvenimenti narrati.
Al contrario, le fazioni di cui erano capi i successivi
Giovanni di Giscala e Simone bar Ghiora, durante la guerra giudaica del 66 d.C.,
si massacrarono fra loro ma ... non “si mostrarono spietati verso i parenti prossimi ”.
Episodi criminosi di questa gravità, contro i propri parenti, a carico dei veri Giovanni di Giscala e Simone figlio di Ghiora, lo storico li avrebbe certamente raccontati nella cronaca particolareggiata della guerra “in diretta”; né ci ha descritto, scandalizzato (per lui, ebreo, era una idea fissa), che la mensa di Giovanni di Giscala, al contrario del
Giovanni del ricordo, non (par. 264)
“era imbandita con cibi proibiti ed egli aveva abbandonato le tradizionali regole di purità” (lavarsi le mani prima di toccare cibo)
accusa di empietà fatta al “Giovanni” richiamato alla memoria.
Nei Vangeli è scritto:
“Egli (Gesù) rispose:[b]mangiare senza lavarsi le mani non rende un uomo immondo” [/b] (Mt 16, 20);
“Un fariseo lo invitò a pranzo. Egli (Gesù) entrò e si mise a tavola. Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo” (Lc 11, 37/38);
“Gli scribi della setta dei Farisei (lo storico Giuseppe era un fariseo)
vedendolo mangiare con i peccatori, dicevano: come mai Egli (Gesù) mangia e beve in compagnia dei peccatori?" (Mc 2, 15/16).
Per gli Ebrei, chi mangiava cibi proibiti, era considerato peccatore:
la descrizione del “Giovanni” rievocata dallo storico corrisponde a quella di “Gesù” anche nelle impronte digitali.
Dalla lettura del testo si riscontra un evidente rapporto di parentela tra la famiglia sacerdotale, di massimo rango, da cui discendeva Giuseppe Flavio, e quella di Giuda il Galileo, entrambe di
“grande potere”, infatti,
solo conoscendo a fondo i Giovanni e Simone, del ricordo, e
“le vittime cui va il dovuto compianto”, lo storico poteva affermare che erano parenti fra loro.
Lo stesso dicasi per gli altri fratelli, discendenti di Giuda, dei quali, come riportato negli altri passi delle sue opere,
conosceva oltre ai vincoli,
anche i gradi di parentela.
La conoscenza “
intima”, accompagnata ad un odio tipo “faida” che obbliga l’ebreo al
“dovuto compianto per le vittime” degli Zeloti di Gàmala, non
è informazione legata a nomi individuabili, ma
personale; un semplice sfogo emotivo letterario, tale, da non risultare in nessun documento ufficiale.
Questa consapevolezza poteva provenire solo dai suoi familiari, nemici e
“parenti prossimi” della dinastia potente, di discendenza asmonea come la sua, non rassegnata a sottomettersi ai Romani, bensì a rivendicare, come diritto, “il trono che fu di Davide”.
Il giudizio reiterato
“di grande potere” su Giuda e sui discendenti di questa stirpe di ribelli patrioti che si immolò per rivendicare il diritto al trono d’Israele, fu espresso da Giuseppe, anch’egli, appartenente ad una dinastia di discendenza asmonea, tramite madre; ma si ha la netta impressione che
gli altri siano stati molto “più potenti”.
Ancora: riportare, dopo tanto tempo, una notizia su una tavola imbandita,
dimostra, innanzitutto,
una conoscenza personale di “Giovanni” da parte dei parenti più anziani dello storico (appena prima che lui nascesse) e l’odio, trasmessogli dai suoi familiari, lo spinse a tramandare ai posteri un
particolare sui “cibi proibiti”
che avrebbe avuto valore solo se riferito ad una persona molto importante e conosciuta nell’ambiente giudaico; altrimenti, a chi avrebbe potuto interessare, fra i posteri, se un ebreo qualsiasi di nome “Giovanni”, una generazione prima della guerra giudaica (30-35 anni), mangiò cibi proibiti dalla loro religione?.
Questo passaggio sui “cibi proibiti”, a prima vista insignificante, in realtà, diventa un’ulteriore prova che “
Giovanni”, per essere stato un ebreo molto importante e conosciuto, le cui gesta “criminali”, da Zelota, meritarono di essere tramandate, a maggior ragione,
avrebbe dovuto avere un patronimico che lo identificasse, ma, come abbiamo visto…manca.
Fra i molti nomi di padri, che avremmo potuto leggere, solo uno aveva una valenza dottrinale, tale, per il Cristianesimo gesuita, che non poteva essere citato: Giuda il Galileo, il padre di
Giacomo, Giuda, Giuseppe, Simone e…Giovanni.
I copisti sapevano che i suoi figli avevano i nomi dei fratelli del “Gesù” dei Vangeli, più “Giovanni”, ma…con un “Gesù” di troppo, nell’insieme dei cinque fratelli.
Con l’evolversi degli eventi, nel tempo, gli scribi falsari dovettero depistare o eliminare, sia nella storia che nei Vangeli, le informazioni sui fratelli, figli di Giuda di Gamala, ma rimasero con…un uomo inesistente: “Gesù”… senza identificazione anagrafica, né sul padre, né sulla data di nascita e di morte, né sulle sue
gesta che furono e restano sconosciute a qualsiasi storico di quel periodo.
“Gesù” fu, è, e rimarrà…un nome: il nome più famoso della storia…grazie ai pulpiti, concessi tutt’oggi da TV di Stato e private.
http://www.vangeliestoria.eu/index.php