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 Oggetto del messaggio: L'energia gratuita che ci tengono nascosta
MessaggioInviato: 06/04/2011, 01:42 

IL MISTERO DELL’ENERGIA GRATUITA CHE CI TENGONO NASCOSTA


Marconi ideò un raggio che fermava i mezzi a motore. Mussolini lo voleva, il Vaticano lo bloccò. Da quelle ricerche altri scienziati crearono l’alternativa a petrolio e nucleare. Nel 1999 l’invenzione stava per essere messa sul mercato, ma poi tutto fu insabbiato.

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11 dicembre 2010

http://www.stampalibera.com/?p=18981

di Rino Di Stefano, da rinodistefano.com

(Il Giornale, Martedì 6 Luglio 2010)

L’energia pulita tanto auspicata dal presidente Obama dopo il disastro ambientale del Golfo del Messico forse esiste già da un pezzo, ma qualcuno la tiene nascosta per inconfessabili interessi economici. Ma non solo. Negli anni Settanta, infatti, un gruppo di scienziati italiani ne avrebbe scoperto il segreto, ma questa nuova e stupefacente tecnologia, che di fatto cambierebbe l’economia mondiale archiviando per sempre i rischi del petrolio e del nucleare, sarebbe stata volutamente occultata nella cassaforte di una misteriosa fondazione religiosa con sede nel Liechtenstein, dove si troverebbe tuttora. Sembra davvero la trama di un giallo internazionale l’incredibile storia che si nasconde dietro quella che, senza alcun dubbio, si potrebbe definire la scoperta epocale per eccellenza, e cioè la produzione di energia pulita senza alcuna emissione di radiazioni dannose. In altre parole, la realizzazione di un macchinario in grado di dissolvere la materia, intendendo con questa definizione qualunque tipo di sostanza fisica, producendo solo ed esclusivamente calore.

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UNA SCOPERTA PER CASO

Mussolini disse al giornalista Ivanoe Fossati che Marconi aveva inventato un apparecchio che emetteva un raggio in grado di bloccare qualunque motore dotato di impianto elettrico. Mussolini voleva quel raggio per usarlo in guerraCome ogni giallo che si rispetti, l’intricata vicenda che si nasconde dietro la genesi di questa scoperta è stata svelata quasi per caso. Lo ha fatto un imprenditore genovese che una decina d’anni fa si è trovato ad avere rapporti di affari con la fondazione che nasconde e gestisce il segreto di quello che, per semplicità, chiameremo “il raggio della morte”. E sì, perché la storia che stiamo per svelare nasce proprio da quello che, durante il fascismo, fu il mito per eccellenza: l’arma segreta che avrebbe rivoluzionato il corso della seconda guerra mondiale. Sembrava soltanto una fantasia, ma non lo era. In quegli anni si diceva che persino Guglielmo Marconi stesse lavorando alla realizzazione del “raggio della morte”. La cosa era solo parzialmente vera. Secondo quanto Mussolini disse al giornalista Ivanoe Fossati durante una delle sue ultime interviste, Marconi inventò un apparecchio che emetteva un raggio elettromagnetico in grado di bloccare qualunque motore dotato di impianto elettrico. Tale raggio, inoltre, mandava in corto circuito l’impianto stesso, provocandone l’incendio. Lo scienziato dette una dimostrazione, alla presenza del duce del fascismo, ad Acilia, sulla strada di Ostia, quando bloccò auto e camion che transitavano sulla strada. A Orbetello, invece, riuscì a incendiare due aerei che si trovavano ad oltre due chilometri di distanza. Tuttavia, dice sempre Mussolini, Marconi si fece prendere dagli scrupoli religiosi. Non voleva essere ricordato dai posteri come colui che aveva provocato la morte di migliaia di persone, bensì solo come l’inventore della radio. Per cui si confidò con papa Pio XI, il quale gli consigliò di distruggere il progetto della sua invenzione. Cosa che Marconi si affretto a fare, mandando in bestia Mussolini e gerarchi. Poi, forse per il troppo stress che aveva accumulato in quella disputa, nel 1937 improvvisamente venne colpito da un infarto e morì a soli 63 anni.
La fine degli anni Trenta fu comunque molto prolifica da un punto di vista scientifico. Per qualche imperscrutabile gioco del destino, pare che la fantasia e la creatività degli italiani non fu soltanto all’origine della prima bomba nucleare realizzata negli Stati Uniti da Enrico Fermi e da i suoi colleghi di via Panisperna; altri scienziati, continuando gli studi sulla scissione dell’atomo, trovarono infatti il modo di “produrre ed emettere sino a notevoli distanze anti-atomi di qualsiasi elemento esistente sul nostro pianeta che, diretti contro una massa costituita da atomi della stessa natura ma di segno opposto, la disgregano ionizzandola senza provocare alcuna reazione nucleare, ma producendo egualmente una enorme quantità di energia pulita”. Tanto per fare un esempio concreto, ionizzando un grammo di ferro si sviluppa un calore pari a 24 milioni di KWh, cioè oltre 20 miliardi di calorie, capaci di evaporare 40 milioni di litri d’acqua. Per ottenere un uguale numero di calorie, occorrerebbe bruciare 15mila barili di petrolio. Sembra quasi di leggere un racconto di fantascienza, ma è soltanto la pura e semplice realtà. Almeno quella che i documenti in possesso dell’imprenditore genovese Enrico M. Remondini dimostrano.

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LA TESTIMONIANZA

Lo scienziato bolognese creò il «raggio della morte», ma decise di non continuare gli studi dopo un colloquio con Papa Pio XI. Non voleva essere ricordato per aver causato morte e distruzione. Si fermò ma il suo lavoro fu portato avanti da altri“Tutto è cominciato – racconta Remondini – dal contatto che nel 1999 ho avuto con il dottor Renato Leonardi, direttore della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, con sede a Vaduz, capitale del Liechtenstein. Il mio compito era quello di stipulare contratti per lo smaltimento di rifiuti solidi tramite le Centrali Termoeletriche Polivalenti della Fondazione Internazionale Pace e Crescita. Non mi hanno detto dove queste centrali si trovassero, ma so per certo che esistono. Altrimenti non avrebbero fatto un contratto con me. In quel periodo, lavoravo con il mio collega, dottor Claudio Barbarisi. Per ogni contratto stipulato, la nostra percentuale sarebbe stata del 2 per cento. Tuttavia, per una clausola imposta dalla Fondazione stessa, il 10 per cento di questa commissione doveva essere destinata a favore di aiuti umanitari. Considerando che lo smaltimento di questi rifiuti avveniva in un modo pressoché perfetto, cioè con la ionizzazione della materia senza produzione di alcuna scoria, sembrava davvero il modo ottimale per ottenere il risultato voluto. Tuttavia, improvvisamente, e senza comunicarci il perché, la Fondazione ci fece sapere che le loro centrali non sarebbero più state operative. E fu inutile chiedere spiegazioni. Pur avendo un contratto firmato in tasca, non ci fu nulla da fare. Semplicemente chiusero i contatti”.

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Remondini ancora oggi non conosce la ragione dell’improvviso voltafaccia. Ha provato a telefonare al direttore Leonardi, che tra l’altro vive a Lugano, ma non ha mai avuto una spiegazione per quello strano comportamento. Inutili anche le ricerche per vie traverse: l’unica cosa che è riuscito a sapere è che la Fondazione è stata messa in liquidazione. Per cui è ipotizzabile che i suoi segreti adesso siano stati trasferiti ad un’altra società di cui, ovviamente, si ignora persino il nome. Ciò significa che da qualche parte sulla terra oggi c’è qualcuno che nasconde il segreto più ambito del mondo: la produzione di energia pulita ad un costo prossimo allo zero.
Nonostante questo imprevisto risvolto, in mano a Remondini sono rimasti diversi documenti strettamente riservati della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, per cui alla fine l’imprenditore si è deciso a rendere pubblico ciò che sa su questa misteriosa istituzione. Per capire i retroscena di questa tanto mirabolante quanto scientificamente sconosciuta scoperta, occorre fare un salto indietro nel tempo e cercare di ricostruire, passo dopo passo, la cronologia dell’invenzione. Ad aiutarci è la relazione tecnico-scientifica che il 25 ottobre 1997 la Fondazione Internazionale Pace e Crescita ha fatto avere soltanto agli addetti ai lavori. Ogni foglio, infatti, è chiaramente marcato con la scritta “Riproduzione Vietata”. Ma l’enormità di quanto viene rivelato in quello scritto giustifica ampiamente il non rispetto della riservatezza richiesta.
Il “raggio della morte”, infatti, pur essendo stato concepito teoricamente negli anni Trenta, avrebbe trovato la sua base scientifica soltanto tra il 1958 e il 1960. Il condizionale è d’obbligo in quanto riportiamo delle notizie scritte, ma non confermate dalla scienza ufficiale. Non sappiamo da chi era composto il gruppo di scienziati che diede vita all’esperimento: i nomi non sono elencati. Sappiamo invece che vi furono diversi tentativi di realizzare una macchina che corrispondesse al modello teorico progettato, ma soltanto nel 1973 si arrivò ad avere una strumentazione in grado di “produrre campi magnetici, gravitazionali ed elettrici interagenti, in modo da colpire qualsiasi materia, ionizzandola a distanza ed in quantità predeterminate”.

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IL VIA DAL GOVERNO ANDREOTTI

Durante un suo governo, all'inizio degli anni '70, fu stato dato il via libera alla sperimentazione del «raggio». Gli studi furono affidati a Ezio Clementel, il quale scoprì che l'apparecchio sprigionava una quantità enorme di energiaFu a quel punto che il governo italiano cominciò ad interessarsi ufficialmente a quegli esperimenti. E infatti l’allora governo Andreotti, prima di passare la mano a Mariano Rumor nel luglio del ’73, incaricò il professor Ezio Clementel, allora presidente del Comitato per l’energia nucleare (CNEN), di analizzare gli effetti e la natura di quei campi magnetici a fascio. Clementel, trentino originario di Fai e titolare della cattedra di Fisica nucleare alla facoltà di Scienze dell’Università di Bologna, a quel tempo aveva 55 anni ed era uno dei più noti scienziati del panorama nazionale e internazionale. La sua responsabilità, in quella circostanza, era grande. Doveva infatti verificare se quel diabolico raggio avesse realmente la capacità di distruggere la materia ionizzandola in un’esplosione di calore. Anche perché non ci voleva molto a capire che, qualora l’esperimento fosse riuscito, si poteva fare a meno dell’energia nucleare e inaugurare una nuova stagione energetica non soltanto per l’Italia, ma per il mondo intero. Tanto per fare un esempio, questa tecnologia avrebbe permesso la realizzazione di nuovi e potentissimi motori a razzo che avrebbero letteralmente rivoluzionato la corsa allo spazio, permettendo la costruzione di gigantesche astronavi interplanetarie.
Il professor Clementel ordinò quindi quattro prove di particolare complessità. La prima consisteva nel porre una lastra di plexiglas a 20 metri dall’uscita del fascio di raggi, collocare una lastra di acciaio inox a mezzo metro dietro la lastra di plexiglass e chiedere di perforare la lastra d’acciaio senza danneggiare quella di plexiglass. La seconda prova consisteva nel ripetere il primo esperimento, chiedendo però di perforare la lastra di plexiglass senza alterare la lastra d’acciaio. Il terzo esame era ancora più difficile: bisognava porre una serie di lastre d’acciaio a 10, 20 e 40 metri dall’uscita del fascio di raggi, chiedendo di bucare le lastre a partire dall’ultima, cioè quella posta a 40 metri. Nella quarta e ultima prova si doveva sistemare una pesante lastra di alluminio a 50 metri dall’uscita del fascio di raggi, chiedendo che venisse tagliata parallelamente al lato maggiore.
Ebbene, tutte e quattro le prove ebbero esito positivo e il professor Clementel, considerando che la durata dell’impulso dei raggi era minore di 0,1 secondi, valutò la potenza, ipotizzando la vaporizzazione del metallo, a 40.000 KW e la densità di potenza pari a 4.000 KW per centimetro quadrato. In realtà, venne spiegato a sperimentazione compiuta, l’impulso dei raggi aveva avuto la durata di un nano secondo e poteva ionizzare a distanza “forma e quantità predeterminate di qualsiasi materia”.
Tra l’altro all’esperimento aveva assistito anche il professor Piero Pasolini, illustre fisico e amico di un’altra celebrità scientifica qual è il professor Antonino Zichichi. In una sua relazione, Pasolini parlò di “campi magnetici, gravitazionali ed elettrici interagenti che sviluppano atomi di antimateria proiettati e focalizzati in zone di spazio ben determinate anche al di là di schemi di materiali vari, che essendo fuori fuoco si manifestano perfettamente trasparenti e del tutto indenni”.
In pratica, ma qui entriamo in una spiegazione scientifica un po’ più complessa, gli scienziati italiani che avevano realizzato quel macchinario, sarebbero riusciti ad applicare la teoria di Einstein sul campo unificato, e cioè identificare la matrice profonda ed unica di tutti i campi di interazione, da quello forte (nucleare) a quello gravitazionale. Altri fisici in tutto il mondo ci avevano provato, ma senza alcun risultato. Gli italiani, a quanto pare, c’erano riusciti.

L’INSABBIAMENTO

In un Paese normale (ma tutti sappiamo che il nostro non lo è) una simile scoperta sarebbe stata subito messa a frutto. Non ci vuole molta fantasia per capire le implicazioni industriali ed economiche che avrebbe portato. Anche perché, quella che a prima vista poteva sembrare un’arma di incredibile potenza, nell’uso civile poteva trasformarsi nel motore termico di una centrale che, a costi bassissimi, poteva produrre infinite quantità di energia elettrica.
Perché, dunque, questa scoperta non è stata rivelata e utilizzata? La ragione non viene spiegata. Tutto quello che sappiamo è che i governi dell’epoca imposero il segreto sulla sperimentazione e che nessuno, almeno ufficialmente, ne venne a conoscenza. Del resto nel 1979 il professor Clementel morì prematuramente e si portò nella tomba il segreto dei suoi esperimenti. Ma anche dietro Clementel si nasconde una vicenda piuttosto strana e misteriosa. Pare, infatti, che le sue idee non piacessero ai governanti dell’epoca. Non si sa esattamente quale fosse la materia del contendere, ma alla luce della straordinaria scoperta che aveva verificato, è facile immaginarlo. Forse lo scienziato voleva rendere pubblica la notizia, mentre i politici non ne volevano sapere. Chissà? Ebbene, qualcuno trovò il sistema per togliersi di torno quello scomodo presidente del CNEN. Infatti venne accertato che la firma di Clementel appariva su registri di esame all’Università di Trento, della quale all’epoca era il rettore, in una data in cui egli era in missione altrove. Sembrava quasi un errore, una svista. Ma gli costò il carcere, la carriera e infine la salute. Lo scienziato capì l’antifona, e non disse mai più nulla su quel “raggio della morte” che gli era costato così tanto caro. A Clementel è dedicato il Centro Ricerche Energia dell’ENEA a Bologna.
C’è comunque da dire che già negli anni Ottanta qualcosa venne fuori riguardo un ipotetico “raggio della morte”. Il primo a parlarne fu il giudice Carlo Palermo che dedicò centinaia di pagine al misterioso congegno, affermando che fu alla base di un intricato traffico d’armi. La storia coinvolse un ex colonnello del Sifar e del Sid, Massimo Pugliese, ma anche esponenti del governo americano (allora presieduto da Gerald Ford), i parlamentari Flaminio Piccoli (Dc) e Loris Fortuna (Psi), nonché una misteriosa società con sede proprio nel Liechtenstein, la Traspraesa. La vicenda durò dal 1973 al 1979, quando improvvisamente calò una cortina di silenzio su tutto quanto.

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Erano comunque anni difficili. L’Italia navigava nel caos. Gli attentati delle Brigate Rosse erano all’ordine del giorno, la società civile soffocava nel marasma, i servizi segreti di mezzo mondo operavano sul nostro territorio nazionale come se fosse una loro riserva di caccia. Il 16 marzo 1978 i brigatisti arrivarono al punto di rapire il Presidente del Consiglio Nazionale della Dc, Aldo Moro, uccidendo i cinque poliziotti della scorta in un indimenticabile attentato in via Fani, a Roma. E tutti ci ricordiamo come andò a finire. Tre anni dopo, il 13 maggio 1981, il terrorista turco Mehmet Alì Agca in piazza San Pietro ferì a colpi di pistola Giovanni Paolo II.
E’ in questo contesto, che il “raggio della morte” scomparve dalla scena. Del resto, ammesso che la scoperta avesse avuto una consistenza reale, chi sarebbe stato in grado di gestire e controllare gli effetti di una rivoluzione industriale e finanziaria che di fatto avrebbe cambiato il mondo? Non ci vuole molto, infatti, ad immaginare quanti interessi quell’invenzione avrebbe danneggiato se soltanto fosse stata resa pubblica. In pratica, tutte le multinazionali operanti nel campo del petrolio e dell’energia nucleare avrebbero dovuto chiudere i battenti o trasformare da un giorno all’altro la loro produzione. Sarebbe veramente impossibile ipotizzare una cifra per quantificare il disastro economico che la nuova scoperta italiana avrebbe portato.
Ma queste sono solo ipotesi. Ciò che invece risulta riguarda la decisione presa dagli autori della scoperta. Infatti, dopo anni di traversie e inutili tentativi per far riconoscere ufficialmente la loro invenzione, probabilmente temendo per la loro vita e per il futuro della loro strumentazione, questi scienziati consegnarono il frutto del loro lavoro alla Fondazione Internazionale Pace e Crescita, che l’11 aprile 1996 venne costituita apposta, verosimilmente con il diretto appoggio logistico-finanziario del Vaticano, a Vaduz, ben al di fuori dei confini italiani. In quel momento il capitale sociale era di appena 30mila franchi svizzeri (circa 20mila Euro). “Sembra anche a noi – si legge nella relazione introduttiva alle attività della Fondazione – che sia meglio costruire anziché distruggere, non importa quanto possa essere difficile, anche se per farlo occorrono molto più coraggio e pazienza, assai più fantasia e sacrificio”.
A prescindere dal fatto che non si trova traccia ufficiale di questa fantomatica Fondazione, se non la notizia (in tedesco) che il primo luglio del 2002 è stata messa in liquidazione, parrebbe che a suo tempo l’organizzazione fosse stata costituita in primo luogo per evitare che un’invenzione di quella portata fosse utilizzata solo per fini militari. Del resto anche i missili balistici (con quello che costano) diventerebbero ben poca cosa se gli eserciti potessero disporre di un macchinario che, per distruggere un obiettivo strategico, necessiterebbe soltanto di un sistema di puntamento d’arma.
Secondo voci non confermate, la decisione degli scienziati italiani sarebbe maturata dopo una serie di minacce che avevano ricevuto negli ambienti della capitale. Ad un certo punto si parla pure di un attentato con una bomba, sempre a Roma. Si dice che, per evitare ulteriori brutte sorprese, quegli scienziati si appellarono direttamente a Papa Giovanni Paolo II e la macchina che produce il “raggio della morte” venisse nascosta per qualche tempo in Vaticano. Da qui la decisione di istituire la fondazione e di far emigrare tutti i protagonisti della vicenda nel più tranquillo Liechtenstein. In queste circostanze, forse non fu un caso che proprio il 30 marzo 1979 il Papa ricevette in Vaticano il Consiglio di Presidenza della Società Europea di Fisica, riconoscendo, per la prima volta nella storia della Chiesa, in Galileo Galilei (1564-1642) lo scopritore della Logica del Creato. Comunque sia, da quel momento in poi, la parola d’ordine è stata mantenere il silenzio assoluto.

LE MACCHINE DEL FUTURO

Qualcosa, però, nel tempo è cambiata. Lo prova il fatto che la Fondazione Internazionale Pace e Crescita non si sarebbe limitata a proteggere gli scienziati cristiani in fuga, ma nel periodo tra il 1996 e il 1999 avrebbe proceduto a realizzare per conto suo diverse complesse apparecchiature che sfruttano il principio del “raggio della morte”. Secondo la loro documentazione, infatti, è stata prodotta una serie di macchinari della linea Zavbo pronti ad essere adibiti per più scopi. L’elenco comprende le SRSU/TEP (smaltimento dei rifiuti solidi urbani), SRLO/TEP (smaltimento dei rifiuti liquidi organici), SRTP/TEP (smaltimento dei rifiuti tossici), SRRZ/TEP (smaltimento delle scorie radioattive), RCC (compattazione rocce instabili), RCZ (distruzione rocce pericolose), RCG (scavo gallerie nella roccia), CLS (attuazione leghe speciali), CEN (produzione energia pulita).
A quest’ultimo riguardo, nella documentazione fornita da Remondini si trovano anche i piani per costruire centrali termoelettriche per produrre energia elettrica a bassissimo costo, smaltendo rifiuti. C’è tutto, dalle dimensioni all’ampiezza del terreno necessario, come si costruisce la torre di ionizzazione e quante persone devono lavorare (53 unità) nella struttura. Un’ìntera centrale si può fare in 18 mesi e potrà smaltire fino a 500 metri cubi di rifiuti al giorno, producendo energia elettrica con due turbine Ansaldo . C’è anche un quadro economico (in milioni di dollari americani) per calcolare i costi di costruzione. Nel 1999 si prevedeva che una centrale di questo tipo sarebbe costata 100milioni di dollari. Una peculiarità di queste centrali è che il loro aspetto è assolutamente fuorviante. Infatti, sempre guardando i loro progetti, si nota che all’esterno appaiono soltanto come un paio di basse palazzine per uffici, circondate da un ampio giardino con alberi e fiori. La torre di ionizzazione, dove avviene il processo termico, è infatti completamente interrata per una profondità di 15 metri. In pratica, un pozzo di spesso cemento armato completamente occultato alla vista. In altre parole, queste centrali potrebbero essere ovunque e nessuno ne saprebbe niente.
Da notare che, secondo le ricerche compiute dalla International Company Profile di Londra, una società del Wilmington Group Pic, leader nel mondo per le informazioni sul credito e quotata alla Borsa di Londra, la Fondazione Internazionale Pace e Crescita, fin dal giorno della sua registrazione a Vaduz, non ha mai compiuto alcun tipo di operazione finanziaria nel Liechtenstein, né si conosce alcun dettaglio del suo stato patrimoniale o finanziario, in quanto la legge di quel Paese non prevede che le Fondazioni presentino pubblicamente i propri bilanci o i nomi dei propri fondatori. Si conosce l’indirizzo della sede legale, ma si ignora quale sia stato quello della sede operativa e il tipo di attività che la Fondazione ha svolto al di fuori dei confini del Liechtenstein. Ovviamente mistero assoluto su quanto sia accaduto dopo il primo luglio del 2002 quando, per chissà quali ragioni, ma tutto lascia supporre che la sicurezza non sia stata estranea alla decisione, la Fondazione ufficialmente ha chiuso i battenti.
Ancora più strabiliante è l’elenco dei clienti, o presunti tali, fornito a Remondini. In tutto 24 nomi tra i quali spiccano i maggiori gruppi siderurgici europei, le amministrazioni di due Regioni italiane e persino due governi: uno europeo e uno africano. Da notare che, in una lettera inviata dalla Fondazione a Remondini, si parla di proseguire con i contatti all’estero, ma non sul territorio nazionale “a causa delle problematiche in Italia”. Ma di quali “problematiche” si parla? E, soprattutto, com’è che una scoperta di questo tipo viene utilizzata quasi sottobanco per realizzare cose egregie (pensiamo soltanto alla produzione di energia elettrica e allo smaltimento di scorie radioattive), mentre ufficialmente non se ne sa niente di niente?

Interpellato sul futuro della scoperta da Remondini, il professor Nereo Bolognani, eminenza grigia della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, ha detto che “verrà resa nota quando Dio vorrà”. Sarà pure, ma di solito non è poi così facile conoscere in anticipo le decisioni del Padreterno. Neppure con la santa e illustre mediazione del Vaticano.



Quale giornalista professionista che si è occupato di questa incredibile storia, mi sento in dovere di pubblicare alcuni documenti che possano provare al lettore l’attendibilità delle notizie che ho esposto. Si tratta della relazione tecnica di cui sono venuto in possesso. Una relazione, sia ben chiaro, che non dimostra affatto la realtà di quanto la Fondazione Internazionale Pace e Crescita asserisce nella sua documentazione, ma soltanto l’esistenza dei contenuti citati nell’articolo. E’ chiaro, infatti, che la reale consistenza dei fatti dovrebbe essere verificata dai fisici e certamente non da un giornalista la cui responsabilità resta quella di informare nel modo più serio e professionale possibile.

RELAZIONE TECNICO-SCIENTIFICA DELLA FONDAZIONE INTERNAZIONALE PACE E CRESCITA [PDF, 4,62 MB]
http://www.rinodistefano.com/docs/Relaz ... escita.pdf

RELAZIONE ILLUSTRATIVA DELLA FONDAZIONE
INTERNAZIONALE PACE E CRESCITA [PDF, 13,5 MB]

http://www.rinodistefano.com/docs/Relaz ... escita.pdf

IL CONTRATTO DI E. M. REMONDINI [PDF, 1,24 MB]
http://www.rinodistefano.com/docs/Contr ... ondini.pdf



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MessaggioInviato: 06/04/2011, 08:44 
[:0]
veramente sbalorditivo!!! Come al solito ci sono in ballo interessi economici per continuare a renderci schiavi delle fonti fossili -.-


Ultima modifica di cagliari79 il 06/04/2011, 08:51, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 15/06/2014, 19:56 
Diventa un film l’inchiesta de “Il Giornale” sull’energia nascosta

di

Rino Di Stefano

In un documentario per la Radiotelevisione Svizzera (RSI)
l’incredibile storia della macchina che annichilirebbe
la materia producendo enormi quantità di calore a costo zero


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L’inchiesta del “Giornale” sull’energia nascosta è diventata un film. A realizzarlo è stata la Frama Films International di Lugano, per conto della RSI, la Radiotelevisione Svizzera. A dirigere il film documentario, in qualità di produttore e regista, è stato Victor Tognola, uno dei più noti professionisti svizzeri del settore cinematografico. Tognola, infatti, nel corso della sua lunga carriera ha vinto 13 Leoni al Festival Internazionale della Creatività Leoni di Cannes e ulteriori riconoscimenti al Berliner Klappe di Berlino e al Grand Award di New York.
Tognola mi ha contattato dopo aver letto i miei articoli sul “Giornale”. In quel periodo, egli stava preparando il suo documentario sullo scomparso Hannes “*****” Schmidhauser, film che successivamente presentò con successo al Festival Internazionale del Cinema di Locarno. Schmidhauser era un noto attore, nonché ex capitano della nazionale di calcio svizzera, nativo del Ticino. Infatti, parlava correntemente sia l’italiano che il tedesco. Come attore, ha lavorato anche in Italia. Ebbene, indagando sulla vita di Hannes, Tognola scoprì che, per un lungo periodo di tempo, egli era stato socio di Rolando Pelizza per attuare il programma chiamato “Scorie CH”, tramite la società “Peace-Power SA”. In pratica, questa impresa avrebbe dovuto eliminare le scorie radioattive delle centrali nucleari svizzere, uno dei maggiori problemi tecnico-ambientali della Confederazione Elvetica. Per attuare questo progetto (che persino oggi viene considerato impossibile), si doveva utilizzare la macchina di Pelizza per annichilire la materia. Il programma era considerato tanto attuabile da richiamare la presenza di noti banchieri elvetici nel consiglio di amministrazione della “Peace-Power SA”. Tutto, quindi, procedeva bene, quando improvvisamente, poteri occulti di origine sconosciuta impedirono di fatto il proseguimento dell’opera. La prematura morte di Schmidhauser mise fine una volta per tutte all’avveniristico progetto.
Ebbene, dopo aver letto i miei articoli (dove si citava il ruolo di Pelizza quale “manovratore” della fantomatica macchina), Tognola mi contattò per saperne di più. In un primo tempo voleva inserire una mia intervista nel film dedicato a Schmidhauser, poi decise di soprassedere e di dedicare un intero film documentario all’argomento. Nacque così il progetto del documentario “La macchina infinita”, un film di Victor Tognola ispirato alla mia inchiesta sul “Giornale”.
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Le riprese del film sono iniziate nell’estate del 2013. Inizialmente, pensavamo di poter contare sull’aiuto di Pelizza, affinché raccontasse in prima persona la sua incredibile storia sulla famosa macchina. Come avevo già pubblicato, Pelizza fece i suoi primi esperimenti pubblici nel 1976 per il governo italiano, allora presieduto da Giulio Andreotti, sotto il controllo del professor Ezio Clementel, presidente del CNEN e ordinario di Fisica all’Università di Bologna. Gli esperimenti, che seguirono un protocollo voluto dal professor Clementel, andarono bene. Lo stesso docente scrisse l’esito delle prove in una relazione che è giunta fino a noi. Poi, con l’ingresso dei governi americano e belga nell’operazione, la vicenda si complicò e Pelizza si diede alla macchia. La storia è lunga da raccontare, ma basti sapere che ad un certo punto Pelizza venne colpito da tre mandati di cattura internazionali (poi revocati) e accusato di aver costruito una letale arma da guerra definita dal giudice Carlo Palermo “Il raggio della morte”. Anche in quel caso Pelizza venne assolto, ma preferì emigrare per evitare di avere a che fare ulteriormente con la giustizia italiana. Da allora vive in Spagna, pur avendo la famiglia a Chiari, in provincia di Brescia. Anche se abbastanza spesso torna per brevi periodi in Italia.
Nel corso degli anni Ottanta, Pelizza venne più volte accusato dalla stampa italiana di essere un truffatore, anche se di fatto nessuno lo aveva mai denunciato per questo reato. Risulta, però, che solo un periodico, la rivista “OP” di Mino Pecorelli, un giorno raccontò nel dettaglio l’odissea di Pelizza, sostenendo che intorno a lui giravano da anni “servizi segreti, Nato, uomini politici di primo piano, costruttori, industriali, governi, diplomatici e last but not least, il Vaticano”. Nessuno, però, è mai riuscito di fatto ad accertare questi collegamenti. Almeno, non tutti…
Di certo c’è che fino ad oggi Rolando Pelizza non ha mai svelato a nessuno il mistero della sua macchina, né ha mai parlato dei contatti che ha tenuto, o tiene, con poteri occulti mai definiti.
Ho dunque domandato a Pelizza se voleva cogliere l’occasione di questa produzione cinematografica svizzera per raccontare la sua verità, ma è stato inutile. Una trattativa c’è stata, ma non ha portato a nulla. Pelizza era nell’ombra e nell’ombra è rimasto, nonostante Tognola si dicesse più che disponibile a dargli spazio nel film. Dunque, dovevamo fare senza di lui.
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La sceneggiatura del film non è stata mai scritta. Si può dire che fosse interamente nella mente di Tognola. Prima di tutto gli serviva una location, come si dice nel gergo cinematografico, molto particolare. Voleva un antico convento, ambienti molto suggestivi dove realizzare scene di carattere monastico. Non fu facile accontentarlo. Grazie all’aiuto di un amico, Mauro Casale, storico di Torriglia e del suo territorio, saltò fuori la possibilità di girare per un paio di giorni nell’abbazia del Santuario Nostra Signora di Montebruno, in Val Trebbia. Il parroco della zona, Don Pietro Cazzulo, fu molto disponibile e ci mise a disposizione diversi locali.
Le riprese dovevano continuare con nuove scene che necessitavano di un altro tipo di sfondo, sempre di tipo religioso. Anche in questo caso, grazie all’aiuto di Enrico M. Remondini, l’imprenditore che aveva fatto iniziare la mia inchiesta per “Il Giornale” consegnandomi il materiale sulla Fondazione Internazionale Pace e Crescita, contattai Padre Eugenio Cavallari O.A.D., rettore del Santuario della Madonetta di Genova, che molto gentilmente ci concesse l’uso di alcuni locali interni.
Ma il lavoro di Tognola e dei suoi operatori non finì qui. Una mattina, alle prime luci dell’alba, ripresero il risveglio del porto di Genova, girando bellissime scene dal Belvedere di Castelletto. Splendidi l’arrivo e la partenza delle navi nel chiaroscuro della luce che, a poco a poco, scacciava il buio della notte. Si passò quindi al Porto Antico, dove il festoso ambiente del quartiere dell’Acquario venne immortalato da diverse angolature.
Fu invece più spiacevole l’episodio che riguardò la redazione del “Giornale di Genova”. Tognola avrebbe voluto girare alcune scene anche lì, visto che quella era la redazione dove avevo lavorato, ma non fu possibile. Per cause che non è stato possibile neppure accertare, la nuova proprietà (“Il Giornale” l’aveva ceduta ad imprenditori piemontesi), si rifiutò. E non ci venne spiegata neanche la ragione.
Superammo il problema grazie all’aiuto della Liguria Film Commission, la cui collaborazione è stata fattiva e indispensabile. Abbiamo potuto toccare con mano come questo ente regionale sia davvero di estrema utilità per le troupe cinematografiche che vengono a lavorare sul nostro territorio.
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Ma le esigenze professionali di Victor Tognola non si sono fermate a Genova. Ad un certo punto, aveva bisogno di girare una scena nell’entroterra. Non fu facile accontentarlo, ma ci riuscimmo. Trovai la location giusta nel caratteristico territorio di Sardigliano (AL), nei pressi dei colli tortonesi. Anche qui, grazie alla gentilezza del vice sindaco Renato Galardini, fu possibile lavorare per un’intera giornata all’aperto.
Ma la mia inchiesta da Genova era soltanto partita, poi si sviluppava lungo altri centri della penisola, con l’intervento di diversi personaggi legati alla storia. Le telecamere arrivarono dunque in Calabria, a Roma e in altri centri del Lazio, in Emilia e poi in Lombardia.
Tognola ci teneva ad avere anche l’opinione di Vittorio Feltri, cioè colui che era stato il direttore che aveva pubblicato i miei articoli. Non sapevo se Feltri avrebbe accettato, ma glielo domandai lo stesso. Fu gentilissimo e si concesse alle telecamere svizzere, esponendo il suo punto di vista su quanto era accaduto. Le riprese vennero fatte all’interno della redazione centrale milanese del “Giornale”, in via Gaetano Negri.
Il film è stato ultimato verso la fine del 2013 e adesso entrerà nella programmazione della RSI. Tognola afferma che verrà trasmesso entro l’anno, non si sa quando. Le produzioni televisive svizzere, a quanto pare, hanno i loro tempi.
L’unico dispiacere, se possiamo definirlo così, è non avere avuto Pelizza tra le persone intervistate. Il vero protagonista della “Macchina infinita” continua a restare nascosto, tenendo per sé tutti i suoi segreti. Segreti che, tutto sommato, forse sono destinati a restare tali per sempre.

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[align=right]Source: Diventa un film l’inchiesta ...” sull’energia nascosta « [/align]



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