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 Oggetto del messaggio: Re: Re:
MessaggioInviato: 16/11/2016, 18:17 
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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 16/11/2016, 19:17 
... èh, ma quelli sono i DEM (uguali dappertutto)! (Non gli sono bastati 70 anni di dittatura in mezzo mondo ...)
Ah, ricordo (per gli ..."sbadati") che il muro con il Messico è stato fatto da .. Clinton ... Un'aggiustatina però non guasta!



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 Oggetto del messaggio: Re: Re:
MessaggioInviato: 16/11/2016, 23:26 
Thethirdeye ha scritto:
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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 17/11/2016, 17:30 
Tutti i difetti dei perfetti Democratici

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La vittoria di Donald Trump porta con sé alcune considerazioni che il mainstream, per livore nei confronti di una sconfitta inattesa quanto dolorosa, forse si rifiuta di assumere come colpe proprie del Partito Democratico. Negli ultimi 25 anni, esclusi gli otto anni della presidenza di George W. Bush, il DNC ha governato con quattro amministrazioni la cui qualità dell’operato può essere messa in discussione sotto vari punti di vista.

La questione del muro al confine col Messico è stato uno dei punti più discussi del programma di Trump, cui è costato l’appellativo di razzista e, peggio, fascista. Si è già detto, per giunta, che la costruzione di questa barriera risale ad oltre 20 anni fa, iniziata sotto la presidenza di Bill Clinton e ultimata sotto l’amministrazione Obama, a sua volta responsabile di una politica di rimpatrio degli immigrati clandestini decisamente aggressiva. Gli Stati Uniti hanno sempre tenuto sotto controllo la porosità dei propri confini, macchiandosi dunque di numerosi atti violenti nei confronti di coloro che cercassero di attraversare il confine meridionale senza permesso. Già nel NAFTA, il trattato Nord Americano di Libero Scambio, si è regolamentato in maniera molto rigida il controllo delle migrazioni tra Messico e Stati Uniti, nell’ottemperanza di metodi sicuri e legali di regolamentazione del mercato del lavoro.

Il “populismo” del tycoon newyorkese, che è andato ad influenzare i voti dei cosiddetti WASP, i bianchi protestanti anglosassoni del cuore dell’America, è stato criticato dai democratici che hanno messo in atto diversi round di proteste in tutto il Paese contro l’elezione del candidato repubblicano. Ancora una volta il mainstream ha riproposto l’assurdità di un ragionamento che mina le basi de buonsenso e del sale della democrazia: chi sostiene che il diritto all’elettorato attivo debba subire una restrizione della base popolare a chi abbia le caratteristiche culturali e comportamentali di dubbia obbiettività va contro gli stessi principi di uguaglianza su cui si basa l’esportazione della democrazia in quei Paesi nei quali si condanna l’assenza delle libertà personali, in quanto persone fisiche e persone giuridiche.
LEGGI ANCHE: Un muro che esiste già

Già, l’esportazione della democrazia laddove le dittature hanno regnato per decenni, oggi vittima del caos in balia del terrorismo internazionale. Di esempi se ne potrebbero ricordare diversi, dall’Afghanistan nel 2001, all’Iraq nel 2003, alla Libia e alla Siria nel 2011. Questi ultimi due conflitti sono stati fortemente sponsorizzati dal Premio Nobel per la Pace 2009, Barack Obama, coadiuvato dall’allora Segretario di Stato, Hillary Clinton che, insistendo per un intervento militare occidentale nei Paesi, ha sperato di lanciare la propria carriera politica che sarebbe culminata con l’elezione della stessa, salvo l’imprevisto Trump. Queste considerazioni sono state confermate dall’inchiesta portata avanti da Julian Assange e WikiLeaks, che hanno pubblicato le decine di migliaia di mail della corrispondenza della Clinton Segretario di Stato, fortemente convinta dell’avvio di questi conflitti.

Un altro punto controverso della politica dei Democratici riguarda le questioni sociali che costituiscono ancora un allarme nell’America odierna. Il movimento Black Lives Matters nasce nel luglio del 2013 come protesta contro le disuguaglianze sociali che dilaniano il Paese, mettendo a nudo gli atti di razzismo e la disparità di giudizio ai danni dei cittadini afroamericani nel sistema giudiziario penale americano. Tutto ciò nonostante nel 2008 gli americani abbiano eletto il primo Presidente di colore della loro storia, quasi come una culminazione della conciliazione razziale in un Paese inquadrato da sempre come la terra delle libertà e dell’uguaglianza, principi intrinsechi della stessa storia americana, in quanto crogiolo di razze che da oltre duecento anni abitano il continente.

Il trionfo del populismo è dunque figlio di un malcontento pluridecennale che è culminato nell’elezione di un candidato che, perlomeno a parole, ha dimostrato maggiore inclinazione verso i problemi della cittadinanza, abbandonando la retorica del politichese che ha contraddistinto, ancora una volta, la campagna elettorale dei democratici. Le colpe della sconfitta, difatti, sono da attribuirsi anche e soprattutto ad una autoreferenzialità dell’establishment politico, che con pecca di narcisismo si è specchiato nella sua immagine riflessa, forse eccessivamente convinto della propria qualità e professionalità rispetto ad un uomo d’affari violento e volgare. Il terzo incomodo, Bernie Sanders, forse l’unico davvero all’altezza di ricoprire il ruolo tanto ambito, è stato anch’egli vittima del sistema della logica partitica, dal momento che la candidatura gli è stata negata proprio a causa del perverso gioco politico dei superdelegati, membri interni al Partito Democratico, che hanno fatto confluire in blocco i propri consensi verso Hillary Clinton. Ha perso la politica, non la democrazia.

http://www.occhidellaguerra.it/tutti-di ... mocratici/

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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 17/11/2016, 18:14 
Trump limita l'impiego come lobbisti ai futuri funzionari
Interdizione prima di 5 anni dalla conclusione dell'impiego governativo



Il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, ha imposto uno stretto codice che impedirà a coloro che accettino un impiego nella sua amministrazione di lavorare come lobbisti, nei cinque anni dopo che abbiano concluso il loro legame con la Casa Bianca. Lo ha fatto sapere il suo team per la transizione. La misura ha l'obiettivo di evitare i passaggi dalla Casa Bianca ai gruppi di pressione che abbondano a Washington, tra i maggiori cavalli di battaglia di Trump durante la campagna elettorale, con cui ha voluto denunciare la "corruzione" del sistema politico. "Sarà chiave per questa amministrazione che la gente che esce dal governo non possa usare questa esperienza per arricchirsi personalmente", ha dichiarato il portavoce repubblicano Sean Spicer.

Accettando le condizioni di Trump, non si potrà lavorare nei gruppi di pressione prima di cinque anni dalla conclusione dell'impiego governativo, misura che potrebbe scoraggiare alcuni dall'entrare nel team del magnate. L'attuale presidente Barack Obama impose un codice meno rigido, che impediva il divieto di usare le proprie influenze nell'agenzia governativa per cui si era lavorato, con via libera sul resto del governo. Proibiva inoltre di agire come lobbista, ma non con altri incarichi.

http://www.lapresse.it/trump-limita-l-i ... onari.html



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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 18/11/2016, 14:31 
Cita:
Unione Europea sui trampoli: gli ultimi caotici, folli, mesi di Bruxelles sono iniziati

DI FEDERICO DEZZANI

fonte: federicodezzani.altervista.org

C’è dell’isteria nella reazione con cui il presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha accolto l’elezione di Donald Trump: “Credo che perderemo due anni, è il tempo che Trump impiegherà per fare il giro del mondo che non conosce”, per poi ribadire, “non riesco a immaginare cosa accadrebbe se mettesse in pratica ciò che ha detto in campagna elettorale, campagna che peraltro ho trovato disgustosa”. Reazione scomposta ma giustificata, quella di Juncker, perché con la nomina di Trump è avvenuta una rivoluzione copernicana: dalla politica monetaria a quella estera, d’ora in avanti gli Stati Uniti non saranno più freno, bensì motore delle forze centrifughe europee. La questione non è più se la UE imploderà, ma di stabilirne con accuratezza la data del collasso.

Se la Casa Bianca incendia l’Europa delle élite
Si respira un’aria frizzante dopo le elezioni presidenziali dell’8 novembre che hanno incoronato Donald Trump: dopo otto anni di Barack Hussein Obama e la prospettiva di altri quattro sotto il giogo di Hillary Rodham Clinton, con tutte le conseguenze del caso (escalation militare con la Russia, terrorismo islamico, immigrazione selvaggia, dittatura della tecnocrazia europea, razione quotidiana di politicamente corretto, etc. etc.), la prospettiva di una presidenza “populista” è un sollievo: è aria fresca e salubre da inspirare a bocca aperta. Donald Trump ha aperto i cancelli della caserma in cui le élite avevano irregimentato l’Occidente (“Trump presidente? Un pericoloso liberi tutti per il resto del mondo” ha commentato significativamente Mario Calabresi) ed ora, come soldati in libera uscita, si può uscire per divertirsi e fare danni: saltano le regole, saltano gli schemi, saltano le gerarchie, salta persino l’abc della diplomazia.

Capita così che un tecnocrate lussemburghese, tale Jean-Claude Juncker che il destino ha paracadutato sulla poltrona di presidente della Commissione Europea, insulti apertamente e ripetutamente (due volte nell’arco di una settimana), il nuovo inquilino della Casa Bianca: “ignorante, incapace, disgustoso” è il succo del pensiero di Juncker sul presidente in pectore. Reazione dell’interessato? Nessuna. Ed il silenzio di Donald Trump è più eversivo che mai: perché sprecare fiato con un tecnocrate alcolizzato che ha i mesi contati? Molto meglio un incontro a quattrocchi con Nigel Farage, l’euro-scettico d’acciaio che ha guidato e vinto la battaglia per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Capita così che il rappresentante europeo per gli Affari Esteri, Federica Mogherini, convochi una cena a Bruxelles per discutere l’inatteso esito delle elezioni americane e, anziché presentarsi 28 ministri degli Esteri, accettino l’invito solo in 22: Regno Unito, Francia, Malta, Irlanda, Lituania e Ungheria saltano l’appello. Mogherini who? Je ne connais pas Madame Mogherini.

Capita così che il premier-cazzaro Matteo Renzi tenti un’operazione “alla Badoglio”, per unirsi in extremis all’esercito vittorioso che avanza: via le bandiere dell’Unione Europea dall’ufficio della Presidenza del Consiglio e minaccia di veto sul bilancio europeo, perché, come dice il fedelissimo Sandro Gozi, “noi non siamo né nazionalisti né populisti. Noi però siamo molto stanchi delle ambiguità e delle contraddizioni europee”.

L’elezione di Donald Trump è stata in effetti uno spartiacque per l’Unione Europea: è una svolta che avrà effetti dirompenti sulle istituzioni di Bruxelles e ciò spiega la reazione scomposta della tecnocrazia brussellese, la gelida risposta riservata alla Federica Mogherini, la disperata “conversione” di Renzi al populismo montante. Con la vittoria di un candidato “anti-establishment”, la geopolitica dell’Occidente è stata completamente stravolta: Washington, da garante e sostenitrice dell’integrazione europea, si è trasformata in una “centrale dell’eversione anti-establishment”, che alimenta ed incentiva le forze centrifughe in seno al continente. La Casa Bianca è assurta a punto di riferimento per tutti quei partiti nazionalisti ed anti-sistema che lavorano per lo smembramento dell’Unione Europea e la riconquista della piena sovranità: è un concetto ben espresso sia da Mario Calabresi (il sullodato “liberi tutti”), ma ancora meglio da Lucia Annunziata nell’articolo “Nuovo Ordine Mondiale” del 9 novembre1:

“La vittoria di Trump è la prima affermazione di un movimento anti-sistema che porta un suo leader al vertice. È un voto che istituzionalizza nel punto più alto del sistema il rifiuto del sistema stesso. In questo senso il voto americano legittima e tracima le stesse istanze in movimento in vari paesi – Europa e Italia incluse. Questa legittimazione sarà la singola più importante influenza che gli Stati Uniti di Trump eserciteranno sul resto del mondo negli anni a venire.”

Stati Uniti d’America, quindi, non più come garanti dell’ordine liberale post-45, basato sui pilastri NATO-CEE/UE, bensì come potenza “anti-sistema”, che legittima i movimenti nazionalisti, ostili alla globalizzazione e alla diluizione degli Stati-Nazione in organismi sovranazionali. Nel mutato contesto, la UE è poco più che un rudere di una fase storica archiviata: fa bene Jean-Claude Juncker ad agitarsi, perché la sua poltrona di presidente della commissione europea equivale al trono francese nel 1789.

Per capire come l’elezione alla Casa Bianca di un “populista” dia lo slancio finale alla dissoluzione della UE, bisogna ricordarne brevemente le origini. Il processo di federazione del continente è foraggiato e supervisionato sin dal 1945 (in realtà, fin dal primo dopoguerra attraverso figure del calibro di Richard Coudenhove-Kalergi) dall’élite finanziaria che vive tra la City londinese e Wall Street: progressista, liberista, mondialista, quest’oligarchia sogna gli Stati Uniti d’Europa, così da ancorare saldamente il continente all’Atlantico, dissolvere le Nazioni e contenere/isolare la Russia, grande potenza terrestre storicamente temuta dall’impero marittimo, prima inglese e poi angloamericano.

Collassata l’URSS (1991), l’oligarchia atlantica preme l’acceleratore, introducendo la moneta unica che, come disse già nel 1998 Milton Friedman, “è il frutto di una impostazione non realistica, di una spinta elitaria di chi vuole usare la moneta unica per arrivare all’unione politica”. Di fronte al conclamato fallimento del progetto (databile 2013, in coincidenza della prima introduzione del “bail-in” nella crisi cipriota), le élite euro-atlantiche non hanno migliore idea che resuscitare la Guerra Fredda (unita alla strategia della tensione targata ISIS), così da sedare le spinte centrifughe in seno alla UE e riproporne l’originale funzione anti-russa. Non c’è alcun dubbio che l’elezione di Hillary Clinton avrebbe portato alle estreme conseguenze la strategia, incendiando i confini orientali dell’Europa.

Donald Trump è estraneo all’establishment liberal e pro-Unione Europea che si era raccolto dietro Hillary Clinton: è l’establishment, per fare qualche nome, del New York Times, del Financial Times, dell’Economist, del TIME, del Bilderberg, del Council on Foreign Relations, di Soros, dei Rothschild, degli Agnelli-Elkann, etc. etc. In quanto “nazionalista” e fautore di una politica protezionistica ed isolazionista, Trump è ostile a qualsiasi organismo “massonico-mondialista” sponsorizzato dalle élite, che si chiami Unione Europea od ONU (si ricordino i pesanti attacchi piovuti contro Trump dalla Nazioni Unite durante la campagna elettorale2). Per Trump, vale la definizione sopracitata dell’euro: la moneta unica “è il frutto di una impostazione non realistica, di una spinta elitaria di chi vuole usare la moneta unica per arrivare all’unione politica”.

Accantonati i progetti di una federazione del continente, svanita l’esigenza di sedare le forze centrifughe con la “rinata minaccia russa”, la necessita di fomentare la tensione tra Occidente e Russia si dissolve, come, a maggior ragione, il bisogno di alimentare pericolosissime guerra per procura in Siria o Ucraina: se Trump ignora i tecnocrati di Bruxelles, si affretta però a telefonare a Vladimir Putin, concordando un incontro appena insediato alla Casa Bianca. Lo sconcerto nell’establishement euro-atlantico, dal ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen, al segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, è grande: c’è il timore che i due presidenti trovino un accordo sopra le loro teste, condannando la NATO alla fine del vaso di coccio tra due vasi di ferro, gli Stati Uniti “nazionalisti ed isolazionisti” e la dinamica Russia di Vladimir Putin.

È questo uno scenario che non vale solo per la NATO, ma anche per il suo risvolto politico ed economico, l’Unione Europea. Se la Casa Bianca fomenta i “nazionalismi” europei, se nello studio ovale siede un “populista” che legittima i movimenti anti-establishment, anti-euro ed anti-immigrazione, se Washington è interessata ad un accordo di ampio respiro con Mosca e a riconoscerle una sfera d’influenza in Europa, ci può ancora essere un futuro per l’Unione Europea? La risposta è no e, come sempre capita, i primi ad accorgersi del mutato contesto politico sono gli Stati alla periferia del sistema: non ci riferiamo soltanto all‘Ungheria del nazionalista Viktor Orban che ha esultato per la vittoria di Trump, ma anche e soprattutto alla Bulgaria ed alla Moldavia, i cui elettori hanno ritenuto più opportuno alle consultazioni del 13 novembre sostenere i candidati filo-russi, invertendo così il processo di espansione della UE/NATO culminato nel febbraio 2014 col golpe che depose Viktor Yanukovich.

Il grande deflusso è quindi ufficialmente partito.

Dall’inizio dell’eurocrisi abbiamo assistito ad una Casa Bianca che si è fatta garante dell’integrità della moneta unica e della UE: è stata la FED nel settembre 2011 a concedere prestiti d’emergenza alle banche europee, è stato il FMI a studiare le ricette d’austerità per “risollevare” l’europeriferia, sono stati i servizi atlantici a fornire la lista Falciani con cui si è ricattato George Papadreou pronto a lasciare l’euro, è stata Washington che ha insistito affinché la Grecia restasse nell’eurozona, è stata l’amministrazione democratica a stigmatizzare gli squilibri prodotti dall’export tedesco, è stata sempre la Casa Bianca a caldeggiare la vittoria del “sì” al referendum costituzionale italiano per scongiurare un effetto domino sull’eurozona.

Ora, con l’elezione di Donald Trump, tutto è cambiato: alla Casa Bianca siede un un “populista” incendiario che lavora per la deflagrazione dell’Europa. In un contesto, per di più, dove incombe il rialzo dei tassi della FED, con tutte le (drammatiche) conseguenze del caso.

Continua qui: http://federicodezzani.altervista.org/unione-europea-sui-trampoli-gli-ultimi-caotici-folli-mesi-bruxelles-iniziati/



Più che una analisi pare un auspicio, tra l'altro condivisibile :)



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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 18/11/2016, 21:09 
Roberto Quaglia: L'Occidente si è trumpato il cervello?
Il nuovo Jolly di Roberto Quaglia. "Fra una criminale elegante e un buzzurro maschilista i benpensanti preferiscono la criminale elegante. Meglio una guerra nucleare quasi certa che il trionfo del cattivo gusto."

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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 20/11/2016, 19:08 
IL PROGRAMMA DI GOVERNO DI DONALD TRUMP IN 16 PUNTI

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Poichè durante la campagna elettorale ci siamo occupati dell'elastico delle mutande di Trump e del marito di Hillary, ritengo di fare cosa buona elencando in sintesi programma di governo di Donald Trump, grazie al contributo della newsletter di Giovanni Palladino da cui ho attinto.

1) metterà un termine al numero di volte in cui un parlamentare può essere eletto. ( richiede un emendamento costituzionale). L'assenza di questo limite ha trasformato il Senato in una casta di bramini inamovibili. Ad esempio John Mc Cain siede in senato da sedici anni e precedentemente ha soggiornato alla Camera dei rappresentanti per diciassette anni. In tutto 33 anni. E' ora che vada a casa.

2)Blocco delle assunzioni dei dipendenti pubblici con l'eccezione di militari, poliziotti e operatori sanitari.

3) Istituirà il divieto per cinque anni per i dipendenti della Casa Bianca di impiegarsi come lobbisti alla fine del periodo di servizio pubblico. Divieto a vita per essere al servizio di stati esteri.

4) Divieto ai lobbisti di stati esteri di fare donazioni per scopi elettorali negli Stati Uniti.

5) Rinegoziare ( o ritirarsi) dal trattato NAFTA che unisce USA, Messico e Canada. Parimenti, annunziare il ritiro dalla Transpacific Partnership ( Australia, Brunei, Canada, GIappone, Malòesia, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti e Vietnam).

6) Cancellare tutti gli stanziamenti dati - o da dare- all'ONU per i programmi di cambiamento climatico e dirigere quei fondi sulla rete idrica e le strutture ambientali degli Stati Uniti

7) Togliere tutte le restrizioni che limitano l'estrazione delle riserve energetiche americane e dare il via a progetti infrastrutturali quali l'oleodotto Keystone ( dal Canada al Texas) bloccato da Obama per ragioni ecologiche.

8) Abolire tutti gli " atti esecutivi" presidenziali incostituzionali emanati dalla presidenza Obama. Molti riguardano atti di guerra decisi senza l'avallo del Congresso.

9) Cancellare ogni finanziamento federale alle città ( grandi comuni) che vietano alla polizia locale di collaborarre coi federali per la repressione della immigrazione clandestina. ( ad esempio non richiedendo i documenti alle persone interpellate).

10) Iniziare le procedure per la nomina del Giudice della Corte suprema mancante dopo la morte di Antony Scalia.defunto di recente. Ma ha anche dichiarato che ha " un elenco di venti giudici che difenderanno la costituzione". Minaccia cioè un conflitto costituzionale ai giudici progressisti..

11) Espellere i due milioni di immigrati illegali che hanno commesso reati. Cancellare i visti di ingresso negli USA ai paesi che non si riprendono indietro questi immigrati. Sospendere l'immigrazione dalle aree del mondo in conflitto o dove c'è terrorismo.

12) Semplificazione fiscale mirata alla classe media riducendo gli scaglioni da 7 a 3. Una famiglia media con due figli avrà uno sconto fiscale del 35%. Le imprese scenderanno dal 35% al 17 e varerà un condono per i capitali dall'estero tassato al 10%.

13) Lavori sulle infrastrutture REVENUE NEUTRAL ossia lo stato non preleverà tasse da questi lavori realizzati con partnership pubblico-private per le quali conta mobilitare mille miliardi in dieci anni.

14) Lavorare col Congresso ( a maggioranza repubblicano ormai ndr) per rendere deducibili tutte le spese sanitarie per bambini e anziani , creando libretti di risparmio sanitari( con contributo statale per i meno abbienti) e abolendo completamente l'Obamacare. Piano di incentivi alle imprese che creano asili nido infantili in azienda.

15) Legge per contrastare l'immigrazione illegale. Due anni di prigione per rientro di un illegale, portati a cinque se l'infrazione è compiuta da una persona già condannata per altri reati.

16) Trovare una intesa con la Russia che calmi la situazione di tensione internazionale. Vuole inoltre una riforma della N.A.T.O.
per costringere gli alleati ad aumentare i propri stanziamenti sulla Difesa. ( il metodo migliore è far pagare per le truppe stanziate sui territori dei paesi alleati o ritirarle del tutto ndr)..

Questi i provvedimenti principali che gli dovrebbero permettere di sostenere il programma di aiuti aai reduci di guerra - ormai numerosi e spesso in miseria- e contrastare con successo le politiche monetarie cinesi che sono la causa prima della delocalizzazione delle imprese che hanno impoverito la classe media e quella operaia americane ( assieme alla delocalizazione in Canada e in Messico e Singapore e Corea).

Adesso avete capito perché la buttavano in caciara .......

http://www.jedanews.it/blog/cronaca/est ... ald-trump/

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 Oggetto del messaggio: Re:
MessaggioInviato: 18/12/2016, 01:34 
Cita:

Usa: +33% morti overdose ultimi 5 anni
Centro prevenzione malattie, in vetta eroina e antidolorifici

(ANSA-AP) - CONCORD, 17 DIC - Le morti per overdose negli Stati Uniti sono aumentate del 33% negli ultimi cinque anni, con picchi di quasi il 200% in alcuni stati: e' quanto emerge dalle statistiche dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Centers for Disease Control and Prevention, CDC).
Secondo i dati, 30 stati hanno registrato aumenti delle morti per overdose legate all'abuso di eroina e antidolorifici prescritti dai medici: tra questi, nello stato del New Hampshire l'aumento e' stato del 191%, mentre nel North Dakota, nel Massachusetts, nel Connecticut e nel Maine gli incrementi hanno superato il 100%.
L'anno scorso oltre 52.000 persone sono morte di overdose negli Stati Uniti: di queste circa due terzi erano legate all'uso di antidolorifici prescritti dai medici o droghe illegali. Le morti per overdose oppioidi sintetici sono aumentate del 73% a 9.580.


http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/n ... a726a.html


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MessaggioInviato: 18/12/2016, 11:57 
un popolo di depressi, schizofrenici e drogati. sono così da sempre


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MessaggioInviato: 18/12/2016, 12:40 
Beh? Visto che ci si lamenta sempre di una presunta "sovrappopolazione" allora io dico, ben venga la vecchia cara selezione naturale.
Avanti così. [:264]


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Stellare
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MessaggioInviato: 18/12/2016, 13:03 
Questo popolo,i loro governanti vogliono selezionare noi invece. [xx(]


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MessaggioInviato: 18/12/2016, 16:51 
(Non ti preoccupare, noi ci SELEZIONIAMO da soli ..... "Falsi profughi"= Ricambio generazionale! Tutti fatti con lo ..."stampino") [;)]



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MessaggioInviato: 22/12/2016, 17:31 
Una politica suicida

Perché l’Europa obamiana ha perso il Medio Oriente e ora paga l’effetto boomerang

21 Dicembre 2016

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L’Occidente euro-americano, escluso dall’incontro di Mosca tra russi, turchi e iraniani sulla Siria, ha perso il Medio Oriente: l’Europa è andata dietro a Obama nella disastrosa politica delle arab spring (noi abbiamo addirittura bombardato la Libia), e si è anche intestardita nell'idea di smembrare la Siria. L’obiettivo delle primavere arabe era distruggere gli stati nazionali arabi e creare un grande impero neo-ottomano sotto l’egida della NATO. Alla Turchia di Erdogan il progetto piaceva. Però, dopo il colpo di stato di Al Sisi, che ha eliminato la Fratellanza musulmana (l’Italia di Renzi e Gentiloni ha addirittura rotto le relazioni con l’Egitto), la Turchia si è trovata isolata; ha quindi puntato con Obama e Hollande sulla caduta di Assad e ha lasciato passare i foreign fighters (“combattenti stranieri”) europei che andavano in Siria.

Erdogan è un animale politico tutt’altro che stupido e guarda in primo luogo agli interessi del proprio Paese. Non diversamente da Netanyahu, che chiarì subito che, in caso di disintegrazione della Siria, Israele avrebbe messo in sicurezza il Golan. La Turchia però ha il problema del terrorismo curdo e non vuole uno stato curdo ai propri confini, come invece avrebbe voluto Obama. Per questo Erdogan ha iniziato ad avere qualche dubbio. Quando è stato abbattuto il jet russo, Putin ha rotto tutti i rapporti con Erdogan.

Putin, però, ha alle spalle la tradizione militare russa zarista e sovietica. Sa costruire una coalizione e, a quanto si dice, l'estate scorsa avvertì Erdogan del colpo di stato militare in Turchia. In ogni caso, mentre gli Stati Uniti e gli Stati europei attesero molto tempo prima di esprimere qualche forma di solidarietà a quello che è pur sempre uno Stato membro della NATO (la Turchia), la Russia tese subito la mano ad Ankara, insieme alla Gran Bretagna, riallacciando i rapporti diplomatici tra i due paesi, fino all’impegno militare turco in Siria.

La Turchia è stata essenziale per l’evacuazione di Aleppo est e come ha subito scritto il giornale israeliano Haaretz è un wishful thinking occidentale sperare in una crisi dell’alleanza tra russi e turchi per l’uccisione dell’ambasciatore russo ad Ankara. La Turchia combatte contro ISIS anche a Mosul insieme alla coalizione a guida Usa. Come ha scritto Federico Fubini sul Corriere, dopo l’attentato di Berlino e a poche ore dall’uccisione ad Ankara dell’ambasciatore Andrei Karlov, l’Occidente, escluso dai negoziati di Mosca sulla Siria, dovrebbe almeno riconoscere i propri errori e combattere ISIS.

Ma i giornali italiani, mentre si stracciavano le vesti per Aleppo riconquistata dai siriani, si sorprendevano per Palmira ripresa da Isis, un fatto determinato dalla sospensione dei combattimenti a Mosul e Raqqa da parte della coalizione a guida Usa. E uno degli ultimi colpi di coda di Obama. Visto che Trump è deciso ad allearsi con Putin e a chiudere la partita in Siria e Ucraina, gli Stati europei dovranno decidere se combattere o no contro ISIS, tanto più che i foreign fighters partiti dall’Europa per sostenere lo Stato Islamico in Iraq e Siria, sono tornati e continueranno a tornare in Europa e le vittime saranno i cittadini europei.

La politica estera americana cambierà radicalmente con Trump. Secondo Obama, il presidente Putin si stava impantanando in Siria, ma i bombardamenti russi in Siria, al contrario, hanno avuto l'effetto desiderato, e i foreign fighters ora tornano nei Paesi europei che gli avevano permesso di andare a combattere contro Assad al fianco di Al Nusra, filiale siriana di Al Qaeda, e dei jihadisti.

E’ noto che le indagini sugli attentati in Francia del 9 gennaio 2015 a Charlie Hebdo e all’Hyper Kosher sono state sigillate come “segreto di stato”. La “verità” su Charlie Hebdo e il supermercato ebraico è un segreto di stato francese: in altri termini coinvolge i servizi segreti. E’ strano che i servizi segreti europei non abbiano mai notato tanti cittadini di origine araba partire per la Siria o l’Iraq, anche se adesso ci si affanna a parlare di "profiling" dei combattenti stranieri. Dalla Germania, secondo Patrick Cockburn, sono partiti 820 foreign fighters.

L’Europa ha importato immigrati da ogni continente e ha lasciato partire foreign fighters in Medio Oriente, mentre Obama faceva le sue guerre "from behind".

Per Trump, Angela Merkel ha fatto una politica della immigrazione suicida, facendo entrare tanti stranieri nel suo Paese. Si piange per le vittime di Berlino, ma bisogna anche iniziare a domandarsi perché, se l’Islam ci odia tanto, importiamo continuamente migranti musulmani, mentre l’Europa è sull’orlo del suicidio demografico. Le guerre per procura possono diventare un boomerang sanguinoso quando si perdono. Forse è il caso di smetterla di fare entrare in Italia mille migranti al giorno e non lamentarsi se i nostri vicini chiudono le frontiere e l’Inghiterra fa Brexit.

https://www.loccidentale.it/articoli/14 ... -boomerang



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MessaggioInviato: 24/12/2016, 10:56 
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Onu condanna colonie Israele, storica astensione degli Usa. L’ambasciatore di Tel Aviv: “Risoluzione scandalosa”

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Al voto si è arrivati dopo un braccio di ferro tra l'amministrazione Obama e il governo di Benyamin Netanyahu, che si è persino rivolto al presidente americano eletto Donald Trump per tentare di scongiurare il passaggio del testo attraverso il veto degli Usa

Storica astensione degli Stati Uniti all’Onu, grazie alla quale il Consiglio di sicurezza ha approvato una risoluzione di condanna degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Al voto si è arrivati dopo un braccio di ferro tra l’amministrazione Obama e il governo di Benyamin Netanyahu, che si è persino rivolto al presidente americano eletto Donald Trump per tentare di scongiurare il passaggio del testo attraverso il veto degli Usa. Ma così non è stato. Stavolta Barack Obama ha fatto seguire alle parole i fatti. E, dopo aver criticato più volte la politica di Israele sulle colonie nella West Bank, ha deciso di dare un segnale forte come non mai, permettendo il varo di una decisione in cui si afferma che gli insediamenti non hanno una validità legale e ostacolano il processo di pace in Medio Oriente.

L’ira di Israele – che aveva già definito “vergognosa” l’attesa mossa di Obama alla vigilia del voto – non si è fatta attendere, con l’ambasciatore presso il Palazzo di Vetro che ha parlato di “risoluzione scandalosa“. Mentre l’annuncio dell’astensione Usa da parte dell’ambasciatrice americana Samantha Power è stata accolta nella sala dei Quindici con un’ovazione: “Gli Stati Uniti – ha detto – non possono sostenere allo stesso tempo gli insediamenti israeliani e la soluzione dei due Stati, uno israeliano e uno palestinese”.

Per Obama si tratta di una piccola-grande rivincita dopo aver fallito nel favorire i negoziati tra israeliani e palestinesi, fin dal 2009 la sua priorità numero uno in politica estera. Con la decisione di dare carta bianca al Segretario di stato John Kerry la cui missione era di portare a casa una storica pace. Così non è stato, anche a causa dei gelidi rapporti tra Obama e Netanyahu che hanno fatto precipitare le relazioni tra Usa e Israele ai minimi di sempre. Neppure Donald Trump è riuscito a fermare il voto dell’Onu o a convincere la Casa Bianca a presentare il veto come in passato. A lui si è rivolto il governo israeliano quando oramai si era capita l’intenzione di Obama. Il tycoon – con un’ interferenza senza precedenti per un presidente eletto – ha provato il tutto per tutto, telefonando anche al presidente egiziano al Sisi che aveva presentato la risoluzione originaria. Una chiamata che in effetti ha portato l’Egitto a rinunciare al voto nella giornata di giovedì. Ma a distanza di poche ore sono stati altri quattro Paesi a ripresentare il testo (Malesia, Nuova Zelanda, Senegal e Venezuela). A quel punto i giochi erano fatti. La risoluzione è passata con 14 voti e l’astensione degli Usa. E dire che nel 2011 l’amministrazione Obama era invece ricorsa al veto contro una simile condanna della politica israeliana sulle colonie. Mentre ha posto il veto in Consiglio di sicurezza altre 40 volte su risoluzioni critiche verso Israele. L’unica astensione Usa che si ricordi risale all’amministrazione Bush nel 2009, quando gli Usa non posero il veto sui un testo sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. “Per quel che riguarda l’Onu, le cose andranno diversamente dopo il 20 gennaio” su Twitter Donald Trump.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12 ... a/3280093/

Dopo otto anni di presidenza fallimentare, proprio alla fine, Obama assesta il colpo di coda che non ti aspetti. Niente di speciale, ma abbastanza per dirgli "chapeau".


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