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Thethirdeye ha scritto:
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Unione Europea sui trampoli: gli ultimi caotici, folli, mesi di Bruxelles sono iniziati
DI FEDERICO DEZZANI
fonte: federicodezzani.altervista.org
C’è dell’isteria nella reazione con cui il presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha accolto l’elezione di Donald Trump: “Credo che perderemo due anni, è il tempo che Trump impiegherà per fare il giro del mondo che non conosce”, per poi ribadire, “non riesco a immaginare cosa accadrebbe se mettesse in pratica ciò che ha detto in campagna elettorale, campagna che peraltro ho trovato disgustosa”. Reazione scomposta ma giustificata, quella di Juncker, perché con la nomina di Trump è avvenuta una rivoluzione copernicana: dalla politica monetaria a quella estera, d’ora in avanti gli Stati Uniti non saranno più freno, bensì motore delle forze centrifughe europee. La questione non è più se la UE imploderà, ma di stabilirne con accuratezza la data del collasso.
Se la Casa Bianca incendia l’Europa delle élite
Si respira un’aria frizzante dopo le elezioni presidenziali dell’8 novembre che hanno incoronato Donald Trump: dopo otto anni di Barack Hussein Obama e la prospettiva di altri quattro sotto il giogo di Hillary Rodham Clinton, con tutte le conseguenze del caso (escalation militare con la Russia, terrorismo islamico, immigrazione selvaggia, dittatura della tecnocrazia europea, razione quotidiana di politicamente corretto, etc. etc.), la prospettiva di una presidenza “populista” è un sollievo: è aria fresca e salubre da inspirare a bocca aperta. Donald Trump ha aperto i cancelli della caserma in cui le élite avevano irregimentato l’Occidente (“Trump presidente? Un pericoloso liberi tutti per il resto del mondo” ha commentato significativamente Mario Calabresi) ed ora, come soldati in libera uscita, si può uscire per divertirsi e fare danni: saltano le regole, saltano gli schemi, saltano le gerarchie, salta persino l’abc della diplomazia.
Capita così che un tecnocrate lussemburghese, tale Jean-Claude Juncker che il destino ha paracadutato sulla poltrona di presidente della Commissione Europea, insulti apertamente e ripetutamente (due volte nell’arco di una settimana), il nuovo inquilino della Casa Bianca: “ignorante, incapace, disgustoso” è il succo del pensiero di Juncker sul presidente in pectore. Reazione dell’interessato? Nessuna. Ed il silenzio di Donald Trump è più eversivo che mai: perché sprecare fiato con un tecnocrate alcolizzato che ha i mesi contati? Molto meglio un incontro a quattrocchi con Nigel Farage, l’euro-scettico d’acciaio che ha guidato e vinto la battaglia per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Capita così che il rappresentante europeo per gli Affari Esteri, Federica Mogherini, convochi una cena a Bruxelles per discutere l’inatteso esito delle elezioni americane e, anziché presentarsi 28 ministri degli Esteri, accettino l’invito solo in 22: Regno Unito, Francia, Malta, Irlanda, Lituania e Ungheria saltano l’appello. Mogherini who? Je ne connais pas Madame Mogherini.
Capita così che il premier-cazzaro Matteo Renzi tenti un’operazione “alla Badoglio”, per unirsi in extremis all’esercito vittorioso che avanza: via le bandiere dell’Unione Europea dall’ufficio della Presidenza del Consiglio e minaccia di veto sul bilancio europeo, perché, come dice il fedelissimo Sandro Gozi, “noi non siamo né nazionalisti né populisti. Noi però siamo molto stanchi delle ambiguità e delle contraddizioni europee”.
L’elezione di Donald Trump è stata in effetti uno spartiacque per l’Unione Europea: è una svolta che avrà effetti dirompenti sulle istituzioni di Bruxelles e ciò spiega la reazione scomposta della tecnocrazia brussellese, la gelida risposta riservata alla Federica Mogherini, la disperata “conversione” di Renzi al populismo montante. Con la vittoria di un candidato “anti-establishment”, la geopolitica dell’Occidente è stata completamente stravolta: Washington, da garante e sostenitrice dell’integrazione europea, si è trasformata in una “centrale dell’eversione anti-establishment”, che alimenta ed incentiva le forze centrifughe in seno al continente. La Casa Bianca è assurta a punto di riferimento per tutti quei partiti nazionalisti ed anti-sistema che lavorano per lo smembramento dell’Unione Europea e la riconquista della piena sovranità: è un concetto ben espresso sia da Mario Calabresi (il sullodato “liberi tutti”), ma ancora meglio da Lucia Annunziata nell’articolo “Nuovo Ordine Mondiale” del 9 novembre1:
“La vittoria di Trump è la prima affermazione di un movimento anti-sistema che porta un suo leader al vertice. È un voto che istituzionalizza nel punto più alto del sistema il rifiuto del sistema stesso. In questo senso il voto americano legittima e tracima le stesse istanze in movimento in vari paesi – Europa e Italia incluse. Questa legittimazione sarà la singola più importante influenza che gli Stati Uniti di Trump eserciteranno sul resto del mondo negli anni a venire.”
Stati Uniti d’America, quindi, non più come garanti dell’ordine liberale post-45, basato sui pilastri NATO-CEE/UE, bensì come potenza “anti-sistema”, che legittima i movimenti nazionalisti, ostili alla globalizzazione e alla diluizione degli Stati-Nazione in organismi sovranazionali. Nel mutato contesto, la UE è poco più che un rudere di una fase storica archiviata: fa bene Jean-Claude Juncker ad agitarsi, perché la sua poltrona di presidente della commissione europea equivale al trono francese nel 1789.
Per capire come l’elezione alla Casa Bianca di un “populista” dia lo slancio finale alla dissoluzione della UE, bisogna ricordarne brevemente le origini. Il processo di federazione del continente è foraggiato e supervisionato sin dal 1945 (in realtà, fin dal primo dopoguerra attraverso figure del calibro di Richard Coudenhove-Kalergi) dall’élite finanziaria che vive tra la City londinese e Wall Street: progressista, liberista, mondialista, quest’oligarchia sogna gli Stati Uniti d’Europa, così da ancorare saldamente il continente all’Atlantico, dissolvere le Nazioni e contenere/isolare la Russia, grande potenza terrestre storicamente temuta dall’impero marittimo, prima inglese e poi angloamericano.
Collassata l’URSS (1991), l’oligarchia atlantica preme l’acceleratore, introducendo la moneta unica che, come disse già nel 1998 Milton Friedman, “è il frutto di una impostazione non realistica, di una spinta elitaria di chi vuole usare la moneta unica per arrivare all’unione politica”. Di fronte al conclamato fallimento del progetto (databile 2013, in coincidenza della prima introduzione del “bail-in” nella crisi cipriota), le élite euro-atlantiche non hanno migliore idea che resuscitare la Guerra Fredda (unita alla strategia della tensione targata ISIS), così da sedare le spinte centrifughe in seno alla UE e riproporne l’originale funzione anti-russa. Non c’è alcun dubbio che l’elezione di Hillary Clinton avrebbe portato alle estreme conseguenze la strategia, incendiando i confini orientali dell’Europa.
Donald Trump è estraneo all’establishment liberal e pro-Unione Europea che si era raccolto dietro Hillary Clinton: è l’establishment, per fare qualche nome, del New York Times, del Financial Times, dell’Economist, del TIME, del Bilderberg, del Council on Foreign Relations, di Soros, dei Rothschild, degli Agnelli-Elkann, etc. etc. In quanto “nazionalista” e fautore di una politica protezionistica ed isolazionista, Trump è ostile a qualsiasi organismo “massonico-mondialista” sponsorizzato dalle élite, che si chiami Unione Europea od ONU (si ricordino i pesanti attacchi piovuti contro Trump dalla Nazioni Unite durante la campagna elettorale2). Per Trump, vale la definizione sopracitata dell’euro: la moneta unica “è il frutto di una impostazione non realistica, di una spinta elitaria di chi vuole usare la moneta unica per arrivare all’unione politica”.
Accantonati i progetti di una federazione del continente, svanita l’esigenza di sedare le forze centrifughe con la “rinata minaccia russa”, la necessita di fomentare la tensione tra Occidente e Russia si dissolve, come, a maggior ragione, il bisogno di alimentare pericolosissime guerra per procura in Siria o Ucraina: se Trump ignora i tecnocrati di Bruxelles, si affretta però a telefonare a Vladimir Putin, concordando un incontro appena insediato alla Casa Bianca. Lo sconcerto nell’establishement euro-atlantico, dal ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen, al segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, è grande: c’è il timore che i due presidenti trovino un accordo sopra le loro teste, condannando la NATO alla fine del vaso di coccio tra due vasi di ferro, gli Stati Uniti “nazionalisti ed isolazionisti” e la dinamica Russia di Vladimir Putin.
È questo uno scenario che non vale solo per la NATO, ma anche per il suo risvolto politico ed economico, l’Unione Europea. Se la Casa Bianca fomenta i “nazionalismi” europei, se nello studio ovale siede un “populista” che legittima i movimenti anti-establishment, anti-euro ed anti-immigrazione, se Washington è interessata ad un accordo di ampio respiro con Mosca e a riconoscerle una sfera d’influenza in Europa, ci può ancora essere un futuro per l’Unione Europea? La risposta è no e, come sempre capita, i primi ad accorgersi del mutato contesto politico sono gli Stati alla periferia del sistema: non ci riferiamo soltanto all‘Ungheria del nazionalista Viktor Orban che ha esultato per la vittoria di Trump, ma anche e soprattutto alla Bulgaria ed alla Moldavia, i cui elettori hanno ritenuto più opportuno alle consultazioni del 13 novembre sostenere i candidati filo-russi, invertendo così il processo di espansione della UE/NATO culminato nel febbraio 2014 col golpe che depose Viktor Yanukovich.
Il grande deflusso è quindi ufficialmente partito.
Dall’inizio dell’eurocrisi abbiamo assistito ad una Casa Bianca che si è fatta garante dell’integrità della moneta unica e della UE: è stata la FED nel settembre 2011 a concedere prestiti d’emergenza alle banche europee, è stato il FMI a studiare le ricette d’austerità per “risollevare” l’europeriferia, sono stati i servizi atlantici a fornire la lista Falciani con cui si è ricattato George Papadreou pronto a lasciare l’euro, è stata Washington che ha insistito affinché la Grecia restasse nell’eurozona, è stata l’amministrazione democratica a stigmatizzare gli squilibri prodotti dall’export tedesco, è stata sempre la Casa Bianca a caldeggiare la vittoria del “sì” al referendum costituzionale italiano per scongiurare un effetto domino sull’eurozona.
Ora, con l’elezione di Donald Trump, tutto è cambiato: alla Casa Bianca siede un un “populista” incendiario che lavora per la deflagrazione dell’Europa. In un contesto, per di più, dove incombe il rialzo dei tassi della FED, con tutte le (drammatiche) conseguenze del caso.
Continua qui: http://federicodezzani.altervista.org/unione-europea-sui-trampoli-gli-ultimi-caotici-folli-mesi-bruxelles-iniziati/
18/11/2016, 21:09
20/11/2016, 19:08
18/12/2016, 01:34
Usa: +33% morti overdose ultimi 5 anni
Centro prevenzione malattie, in vetta eroina e antidolorifici
(ANSA-AP) - CONCORD, 17 DIC - Le morti per overdose negli Stati Uniti sono aumentate del 33% negli ultimi cinque anni, con picchi di quasi il 200% in alcuni stati: e' quanto emerge dalle statistiche dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Centers for Disease Control and Prevention, CDC).
Secondo i dati, 30 stati hanno registrato aumenti delle morti per overdose legate all'abuso di eroina e antidolorifici prescritti dai medici: tra questi, nello stato del New Hampshire l'aumento e' stato del 191%, mentre nel North Dakota, nel Massachusetts, nel Connecticut e nel Maine gli incrementi hanno superato il 100%.
L'anno scorso oltre 52.000 persone sono morte di overdose negli Stati Uniti: di queste circa due terzi erano legate all'uso di antidolorifici prescritti dai medici o droghe illegali. Le morti per overdose oppioidi sintetici sono aumentate del 73% a 9.580.
18/12/2016, 11:57
18/12/2016, 12:40
18/12/2016, 13:03
18/12/2016, 16:51
22/12/2016, 17:31
24/12/2016, 10:56
Onu condanna colonie Israele, storica astensione degli Usa. L’ambasciatore di Tel Aviv: “Risoluzione scandalosa”
Al voto si è arrivati dopo un braccio di ferro tra l'amministrazione Obama e il governo di Benyamin Netanyahu, che si è persino rivolto al presidente americano eletto Donald Trump per tentare di scongiurare il passaggio del testo attraverso il veto degli Usa
Storica astensione degli Stati Uniti all’Onu, grazie alla quale il Consiglio di sicurezza ha approvato una risoluzione di condanna degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Al voto si è arrivati dopo un braccio di ferro tra l’amministrazione Obama e il governo di Benyamin Netanyahu, che si è persino rivolto al presidente americano eletto Donald Trump per tentare di scongiurare il passaggio del testo attraverso il veto degli Usa. Ma così non è stato. Stavolta Barack Obama ha fatto seguire alle parole i fatti. E, dopo aver criticato più volte la politica di Israele sulle colonie nella West Bank, ha deciso di dare un segnale forte come non mai, permettendo il varo di una decisione in cui si afferma che gli insediamenti non hanno una validità legale e ostacolano il processo di pace in Medio Oriente.
L’ira di Israele – che aveva già definito “vergognosa” l’attesa mossa di Obama alla vigilia del voto – non si è fatta attendere, con l’ambasciatore presso il Palazzo di Vetro che ha parlato di “risoluzione scandalosa“. Mentre l’annuncio dell’astensione Usa da parte dell’ambasciatrice americana Samantha Power è stata accolta nella sala dei Quindici con un’ovazione: “Gli Stati Uniti – ha detto – non possono sostenere allo stesso tempo gli insediamenti israeliani e la soluzione dei due Stati, uno israeliano e uno palestinese”.
Per Obama si tratta di una piccola-grande rivincita dopo aver fallito nel favorire i negoziati tra israeliani e palestinesi, fin dal 2009 la sua priorità numero uno in politica estera. Con la decisione di dare carta bianca al Segretario di stato John Kerry la cui missione era di portare a casa una storica pace. Così non è stato, anche a causa dei gelidi rapporti tra Obama e Netanyahu che hanno fatto precipitare le relazioni tra Usa e Israele ai minimi di sempre. Neppure Donald Trump è riuscito a fermare il voto dell’Onu o a convincere la Casa Bianca a presentare il veto come in passato. A lui si è rivolto il governo israeliano quando oramai si era capita l’intenzione di Obama. Il tycoon – con un’ interferenza senza precedenti per un presidente eletto – ha provato il tutto per tutto, telefonando anche al presidente egiziano al Sisi che aveva presentato la risoluzione originaria. Una chiamata che in effetti ha portato l’Egitto a rinunciare al voto nella giornata di giovedì. Ma a distanza di poche ore sono stati altri quattro Paesi a ripresentare il testo (Malesia, Nuova Zelanda, Senegal e Venezuela). A quel punto i giochi erano fatti. La risoluzione è passata con 14 voti e l’astensione degli Usa. E dire che nel 2011 l’amministrazione Obama era invece ricorsa al veto contro una simile condanna della politica israeliana sulle colonie. Mentre ha posto il veto in Consiglio di sicurezza altre 40 volte su risoluzioni critiche verso Israele. L’unica astensione Usa che si ricordi risale all’amministrazione Bush nel 2009, quando gli Usa non posero il veto sui un testo sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. “Per quel che riguarda l’Onu, le cose andranno diversamente dopo il 20 gennaio” su Twitter Donald Trump.