Articolo del 14 luglio 2000 Il giudice ha deciso:
"Baby I dovrà morire"
dal nostro inviato ANTONIO POLITO
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LONDRA - Il piccolo "I" deve morire. Lo ha deciso un giudice, credendo di interpretare la volontà divina. Imponendo un'inflessibile eutanasia da tribunale, che non ha nulla a che fare con la pietà di un padre o di un amico, incapace di assistere alla sofferenza del proprio caro.
Anzi, respingendo l'appello dei genitori che disperatamente, appassionatamente, irrazionalmente, vogliono che tutto sia fatto, proprio tutto, proprio fino all'ultimo momento, per salvare il loro bambino.
"Baby I" ha diciannove mesi. E' nato prematuro, affetto da una grave e irreversibile malattie dei polmoni, da anomalie cerebrali, venuto a una luce destinata a durare poco. Per i primi otto mesi della sua disgraziata esistenza non ha mai lasciato il lettino di un ospedale, tra tubi, respiratori artificiali, aghi, siringhe. Gli altri undici mesi, almeno, li ha vissuti a casa, nella stanzetta che genitori "amorevoli e capaci", come riconosce nella sua sentenza il giudice, gli avevano preparato durante i giorni felici dell'attesa. "Baby I" ha bisogno di una provvista di ossigeno di 24 ore sempre a disposizione, ha bisogno di esperti infermieri, ha bisogno spesso di essere trasportato d'urgenza in un ospedale per essere riportato in vita da una macchina respiratoria. Ha bisogno di prepararsi alla morte, che i medici sono sicuri interverrà presto, questione di settimane.
Per questo, perché la medicina sa che è condannato, e presume che la sua vita attuale non sia vera vita, l'ospedale ha deciso che è meglio che muoia subito: si rifiuta di fornire altre rianimazioni, giudicate inutili. Si rifiuta di impegnare risorse e medici in una vita persa, mentre potrebbe salvarne altre ancora in bilico. Il papà e la mamma di "I" si sono ribellati, con la più naturale delle argomentazioni: "Conosciamo nostro figlio meglio di chiunque altro, e non vogliamo certo infliggergli altre inutili sofferenze. Ma pensiamo che spetti a noi il potere della decisione finale, la scelta di continuare oppure no ad aiutarlo con le macchine ogni volta che una crisi sta per portarselo via".
Di questi tempi, l'eutanasia è più popolare dell'anti-eutanasia. Ma mentre ascoltiamo con rispetto le ragioni di una minoranza che preferisce l'eutanasia alla sofferenza dei propri cari, la voce di questi due genitori ci ricorda che la maggioranza degli esseri umani, testardamente, si attacca alla vita delle persone che ama con una disperata speranza.
Così, il caso cuore contro ragione, amore contro portafoglio, pietà contro cinismo, è finito davanti a un giudice di Sua Maestà. E Mr. Justice Cazalet ha emesso il verdetto: "Con tutta la comprensione per i genitori, non è nell'interesse del bambino che la sua vita sia artificialmente prolungata. L'ospedale è tenuto a fornire tutte le cure che possano alleviare la sua sofferenza, ma non deve tentare di rianimarlo in una crisi perché ciò gli procurerebbe solo altro e inutile dolore. Rimarrebbe comunque totalmente dipendente e incapace di nutrirsi o di comunicare per quel poco di vita che gli rimarrà".
Pollice verso. La spada della Giustizia ha tagliato di netto questo nodo di sentimenti. E ha stabilito un precedente. Le associazioni che si battono contro l'eutanasia sono in rivolta: "E' una decisione irresponsabile che deve essere immediatamente riformata, per proteggere tutti quei pazienti vulnerabili le cui vite sono sempre più a rischio, lasciati morire da dottori che poi si appellano al codice di segretezza della professione medica". Si sa, perché lo hanno ammesso medici e infermieri, che negli ospedali inglesi la pratica di accelerare la morte di pazienti senza speranza è diffusa, per esempio interrompendo l'alimentazione intravenosa. Si sa che i trust, i consigli di amministrazione, devono risparmiare letti, cure e medicine, fare i conti con le penurie del servizio sanitario nazionale, per salvare altri malati. Si sa anche che è una scelta razionale, che non lo fanno per crudeltà, ma perché quello è il loro crudele mestiere: portare la contabilità della vita e della morte. Tutto ciò si sa, ma si dimentica subito di fronte a una storia come quella di "baby I", di fronte alla sua ostinata resistenza, di fronte al fatto che ancora qualche giorno fa gli è passata la febbre, è tornato a casa, ha avuto un piccolo e magari illusorio miglioramento, che mostra di cominciare a capire alcune parole, che è capace di manifestare il piacere e il dolore. In una parola: che è un essere umano.
Non è solo la ingenua fiducia dei genitori nella volontà del Creatore o in quella del Fato a farci sentire la forza del loro argomento: "Tutti sappiamo che ci sono molti casi disperati che finiscono misteriosamente meglio di quanto le prognosi mediche avevano predetto". Non è solo questo. Perché anche se "Baby I" fosse davvero condannato, se anche morisse domani, lui e i suoi genitori avrebbero ugualmente diritto alle poche ore di intimità rimaste loro. Avebbero diritto anche a un'illusione, se è questo che vogliono. Possibile che una società straricca e benestante non possa permettersi di pagare il prezzo di questa breve, intensa, dolorosa storia d'amore?
(14 luglio 2000)
http://www.repubblica.it/online/mondo/f ... /baby.htmlPer questa qua sotto non c'e` ancora la notizia completa sul web, ma solo un'anticipo dalla redazioneIl caso Tribunale contro i genitori E fa morire il bimbo malato
Un tribunale inglese ha autorizzato i medici a staccare la spina a un bimbo gravemente malato
contro la volontà dei genitori. I sanitari hanno applicato subito la sentenza e il bambino di nove mesi, affetto da un grave disturbo metabolico, è morto.
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=33800222-3-2009
Cosa ho letto piu` indietro nei post? Il diritto di morire?? Bull****!