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MessaggioInviato: 11/05/2013, 18:14 
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zakmck ha scritto:
Spendete due ore del vostro tempo e non perdetevi questa intervista.


Grazie zak... lo vedrò quanto prima..... [;)]



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

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MessaggioInviato: 11/05/2013, 22:08 
Dati macro truccati, finanze pubbliche "fuori controllo", stime su crescita pil di appena +3%. Soros: rischio fuga banche, crisi alla Lehman.

ROMA (WSI) - Il consiglio statale della Cina ha detto che aprira' le frontiere per accogliere nuovi flussi di capitale. Al momento ci sono limiti molto rigidi per le compagnie europee o americane che volessero, ad esempio, convertire euro o dollari in yuan per costruire una fabbrica o avviare una start-up. Stesso discorso vale per un cittadino cinese che voglia convertire yuan in euro per investire nel mercato azionario tedesco. Il piano verra' svelato quest'anno e benche' nessuno vi stia prestando attenzione rischia di essere la storia economica piu' importante.

Guardando all'enigma Cina, poi, economisti e analisti di tutto il mondo tentano di fare il punto della situazione, cercando di capire in primis se il boom economico degli ultimi anni continuerà ancora, e se la fase di rallentamento confermata dagli ultimi dati macro abbia un valore solo episodico.

"China may not overtake America this century after all", ovvero la Cina potrebbe non superare gli Stati Uniti e diventare la prima economia del mondo, scrive la penna di Ambrose Evans-Pritchard, editorialista del Telegraph. Aumentano infatti i dubbi sulla sostenibilità di un miracolo che è durato per ben 30 anni, e che ora sarebbe, se non al capolinea, vicino a esso.

La "gara" tra i due potenti del mondo potrebbe dunque riconfermare al podio, per l'ennesima volta, la congiuntura americana.

Le domande, poi, non mancano: i numeri che sono stati sfornati finora sulla crescita del pil cinese, sono stati sempre attendibili? L'interrogativo è più che lecito, soprattutto dopo che il premier Li Keqiang ha rivelato che per misurare la crescita Pechino utilizza l'utilizzo dell'elettricità, i cargo che transitano nelle ferrovie e i prestiti bancari; certo, i dati relativi all'elettricità vengono utilizzati anche da qualche analista, ma in questo caso il premier avrebbe ordinato alle società di utility di gonfiare i dati.

Lo stesso Lim si è posto inoltre l'obiettivo di frenare la crescita cinese a un limite pari al 7% per il prossimo anno, rallentando anche il ritmo eccessivo degli investimenti - che rappresentano il 49% del Pil, record mondiale - prima che si verifichi un eventuale scoppio della bolla speculativa temuto dal mondo intero.

Contraddizioni, dunque, nella Cina moderna, che forse non cresce ai ritmi riportati, ma che comunque avanza a un tasso pericoloso, che metterebbe a rischio l'economia globale. Che dire poi dell'ammissione di uno stesso funzionario, che ha detto che le finanze pubbliche dei governi locali sono "fuori controllo"?

Ecco che i pilastri su cui si regge Pechino appaiono sempre più fragili. E vengono di conseguenza snocciolati numeri che rendono meno probabile, almeno nel corso di questo secolo, il superamento degli Stati Uniti da parte della Cina.

Lo stesso China's Development Research Council (DRC) ritiene che entro il 2020 il ritmo di crescita della Cina scenderà al 6%, se non a un valore più basso. Il Conference Board degli Stati Uniti va oltre e prevede un timido +3,7% nel periodo compreso tra il 2019 e il 2025.

Michael Pettis, dell'Università di Pechino, ritiene che nel prossimo decennio il pil rallenterà fino a un target compreso tra il 3% e il 4%. In tutti questi casi, l'economia cinese potrebbe dunque espandersi a un tasso poi non così superiore a quello dell'America, per cui si prevede un aumento del 3%.

I recenti numeri sono già eloquenti: lo scorso anno, il pil Usa si è attestato a $15.700 miliardi, contro gli $8.000 della Cina, tenendo in considerazione il tasso di cambio su base nominale, che viene considerato il metodo più credibile per la comparazione di due economie.

"La prossima volta che vi troverete in Cina e sentirete che starete soffocando respirando l'aria del paese, ricordatevi che tutto quanto è responsabile di quell'inquinamento viene considerato positivo in termini di Pil (a Pechino). Ma se effettuate gli aggiustamenti tenendo conto del degrado ambientale e degli investimenti eccessivi in opere che non saranno mai utilizzate, dovrete conteggiare una flessione dell'economia del 30-50%", ha detto Clyde Prestowitz, economista americano.

L'agenzia di rating Fitch ha già rivisto al ribasso la valutazione sul debito, avvertendo che i credito sono balzati dal 125% al 200% del pil negli ultimi quattro anni, a fronte di una finanza fantasma che ha permesso alle banche di operare senza controlli.

George Soros ha già avvertito che in Cina si potrebbe verificare una "fuga" dal sistema bancario di una portata simile al crack di Lehman Brothers.
.

http://www.wallstreetitalia.com/article ... -cina.aspx


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MessaggioInviato: 12/05/2013, 22:36 
Brusco risveglio

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E’ difficile non vedere l’ombra livida della Consunzione negli eventi tumultuosi di questi ultimi tempi, tempi finali. Un disastro succede ad un altro, come scosse elettriche che percorrono il corpo del mostro creato dal Dottor Frankenstein. L’umanità è, infatti, un corpo disarticolato che sussulta appena di fronte alle disgrazie. Solo in questa reazione effimera e piattamente emotiva, palpita una larva di vitalità. Non sorprende allora che i soliti noti si ingegnino per scuotere di continuo un’opinione pubblica ridotta quasi ad un cadavere.

E’ difficile non constatare che gli avvenimenti, orchestrati [2] da menti sopraffine, ci indirizzano verso un’unica meta, anzi baratro. Non credo sia una coincidenza se, da quando è stato eletto il nuovo califfo di Roma, la situazione è ulteriormente precipitata. Dietro le prediche sciroppose di Francesco e la smanacciante gestualità, si nasconde un furbastro. Com’era facile prevedere, di là dall’immagine di una Chiesa “buona”, la solfa è la solita: Roma continua a prostituteggiare con i potenti del mondo, come prima, più di prima. Quanti sacerdoti e prelati hanno denunciato o denunciano il marchio dell’Apocalisse, il microprocessore sottocutaneo, la geoingegneria assassina [3], i micidiali vaccini, gli organismi transgenici, il signoraggio bancario, i crimini della N.A.T.O. e dell’O.N.U. etc.? Un paio, forse. Perché così pochi? Non tanto per insipienza, ma poiché il Vaticano è l’anima nera della cospirazione globale. Non sarà quel pacioccone del nuovo pontefice a cambiare le cose.

Finalmente l’ingenuo ottimismo di chi pensava che il peggio accadesse solo agli altri, in Africa, in Asia o anche un po’ più vicino, in Grecia, comincia a sgretolarsi. Ormai anche molti cittadini comuni cominciano a subodorare aria di recessione con annessi e connessi. Purtroppo pochi hanno compreso che la sequenza dei ferali fatti non è tanto frutto del caso né del sistema capitalista e neppure della volontà di dominio economico per opera dei Fulminati, ma un preciso itinerario tracciato da chi intende distruggere quasi l’intero pianeta per edificare sulle sue rovine un unico stato mondiale di tipo tecnocratico. Per questo motivo ogni ricetta per promuovere la ripresa economica, ogni misura per riportare il benessere e la pace sociale vanno nella direzione diametralmente opposta. Anche qui non è incapacità, ma un’azione deliberata volta a devastare il più possibile ed in breve tempo.

Nulla sfugge alla smania annientatrice degli infami globalizzatori: ha ragione Enrico Galoppini a stigmatizzare l’adozione dei testi digitali dall’anno scolastico 2014-2015. Nell’editoriale Le follie della scuola moderna: il libro elettronico obbligatorio dal 2014-2015 [4], 2013, svolge intelligenti riflessioni. Tuttavia nella mostruosa idea di sostituire ai volumi cartacei le opere digitali non si manifestano solo la demente idolatria dell’informatica, l’efficientismo, il culto fanatico della modernità, in quanto la smaterializzazione dei documenti è il cavallo di battaglia delle élites. Una volta incenerito l’ultimo foglio ed annichilita l’ultima memoria storica, sarà imposto un sistema informatico globale di cui ogni suddito sarà una protesi staccabile in qualsiasi momento.

La lavagna interattiva elettronica, l’iPad, il testo virtuale… non sono la tomba sulla cultura scolastica, poiché la cultura è quasi sempre stata estranea a licei ed università. Nel passato, la scuola “seria” era tempio dell’erudizione. Ne uscivano diplomati che sapevano a memoria ampi passi di classici greci e latini, interi canti della “Commedia”: tutto ciò non era cultura, bensì nozionismo. I diplomati di un tempo in genere imparavano a scrivere in discreto italiano ed a destreggiarsi con i rudimenti dell’aritmetica: rispetto agli standard odierni non è poco, ma neppure il non plus ultra. Solo per un concorso propizio di circostanze o per serendipità ogni tanto il sistema educativo partoriva un intellettuale o uno scienziato vero.

L’università italiana una volta sfornava per lo più critici letterari, filologi, giurisperiti, storiografi… sui cui tomi siamo piombati in un sonno profondo, quando frequentavamo le superiori. Oggi, visto che le conoscenze umanistiche sono reputate inutili, gli atenei fabbricano soprattutto “specialisti” e tecnici impiegati nei settori strategici (biotecnologia, nanotecnologia, industria bellica, industria farmaceutica, informatica, bionica, robotica… ). Quelli tonti, dopo che hanno conseguito la laurea in una materia scientifica, vengono sbattuti con un calcio nel deretano ad operare come negazionisti [5] affinché abbindolino i grulli. Molti, ahinoi, abboccano all’amo. Frastornati e vuoti si bevono tutte le bugie della propaganda: seguitano a votare, ad accalorarsi con i finti dibattiti televisivi, ad indignarsi, divertendosi, con “Cozza nel paese delle meraviglie”. Costoro continuano a credere ciecamente nei mantra dei media ufficiali e ad ignorare la realtà al punto che, quando troveranno i supermercati vuoti e le banche chiuse, penseranno di essere su “Candid camera”…

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MessaggioInviato: 12/05/2013, 23:16 
Questo spiega molte cose...

Libero mercato transatlantico o Stato sovranazionale?

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Negli Stati Uniti il presidente Obama, durante il suo discorso sullo stato dell’Unione pronunciato l’11 marzo scorso, ha annunciato ufficialmente l’inizio delle trattative per la formazione di un grande mercato transatlantico. Il commissario europeo per il commercio, Karel De Gucht, ha dichiarato che il beneficio previsto per l’Unione Europea è valutato in 100 miliardi di euro ogni anno.

L’accordo prevede l’eliminazione delle barriere al commercio: le barriere doganali, le cosiddette “barriere tecniche” e le barriere non tariffarie che riguardano beni, servizi, guadagni e investimenti, oltre che la liberalizzazione dei mercati pubblici e della materia dei diritti di proprietà intellettuale.
Presentato come piano di rilancio dell’economia che permetterebbe di uscire dalla crisi attuale, il progetto, in fase di preparazione da 15 anni è piuttosto il risultato di una scelta strategica degli Stati Uniti: il passaggio da un mercato mondiale non più vantaggioso – basato su un sistema di scambi multilaterali – ad un’organizzazione bilaterale USA-UE.

A testimonianza di ciò basti pensare al blocco dei negoziati dell’OMC nel round di Doha da parte dei rappresentanti americani, e alla scelta degli USA a favore di negoziazioni bilaterali; l’accelerazione data dagli Stati Uniti alla chiusura delle negoziazioni ha permesso di concludere accordi regionali al di fuori dell’osservatorio dell’OMC.

Nel mercato unico al quale l’UE vuole dare il via, il 60% degli scambi commerciali potrà avvenire sulla base di negoziazioni bilaterali, al posto degli attuali accordi multilaterali. In questa zona “franca” lasciata libera dall’UE, i prodotti statunitensi avrebbero, di fatto, un vantaggio competitivo sul mercato mondiale,

La liberalizzazione totale degli scambi avrà effetti diversi sui due mercati: se negli stati Uniti si registrano i segni di una, se pur debole, ripresa della crescita industriale, l’Europa è appena agli inizi di una fase di calo della produzione che ci si ostina a chiamare “crisi della moneta unica”

L’apertura del mercato statunitense potrà giovare solo alla Germania, e da qui il ruolo centrale di Berlino per il raggiungimento dell’accordo.

La contrazione della domanda dei paesi dell’UE verrebbe controbilanciata dai nuovi sbocchi che si aprirebbero nel mercato USA: lo spazio europeo, costruito dagli Usa attorno alla Germania, viene consegnato da Berlino nelle mani degli USA, e si può ben comprendere il ruolo di perno della Germania nella trasformazione della zona Euro da Unione Monetaria a libero mercato degli Stati Uniti.

Il rifiuto di ristrutturare il debito della Grecia e le posizioni di punta contro la “frode fiscale” hanno favorito lo spostamento di grandi capitali nella zona del dollaro americano e rafforzato la posizione centrale del biglietto verde.

Il processo che conduce all’apertura del grande mercato transatlantico va oltre la liberalizzazione degli scambi: il perno di questa costruzione politica è il nuovo ruolo di egemonia degli Stati Uniti nei confronti dei paesi della zona dell’euro: le parti si sono, infatti, impegnate a creare, entro il 2014, una “zona di cooperazione” in materia di libertà, sicurezza e giustizia”. La zona di libero scambio è in realtà una zona di libero controllo degli U.S.A. sul continente Europeo, già dall’inizio delle negoziazioni.

Il processo che conduce all’instaurazione di questo grande mercato unificato è l’opposto del metodo comunitario. Se il mercato comune europeo è nato, come struttura economica basata sulla liberalizzazione degli scambi, il grande mercato transatlantico realizza un’unione politica; una risoluzione del Parlamento europeo del 25 aprile 2007 anticipa già la creazione di un’assemblea transatlantica.

Nelle profonde divergenze tra Europa e gli Usa, in materia di protezione dei dati personali sarà, di fatto, il diritto americano ad imporsi e le procedure europee dovranno adeguarsi. L’affare Swift è emblematico: nonostante la flagrante violazione del diritto comunitario sulla tutela dei dati finanziari, la condivisione di questi non è mai stata messa in discussione. Al contrario, l’UE e gli USA hanno firmato accordi per legittimarla.

Il Parlamento europeo ha infine approvato, nel luglio del 2010, un sistema permanente che permette alle autorità americane di accedere ai dati finanziari dei cittadini dell’Unione. Tuttavia, l’accordo non prevede l’accesso delle autorità europee alle transazioni bancarie e traduce in questo modo l’asimmetria esistente tra i due “partner”. (1)

Nodo centrale del grande mercato transatlantico è il trasferimento del trattamento dei dati personali al settore privato. Si tratta di eliminare ogni ostacolo legale alla diffusione delle informazioni per garantire costi più bassi possibili: soprattutto è necessario garantire la redditività in un mercato dominato dagli Stati Uniti: basti pensare a Google, Facebook, Apple ed Amazon.

La ridefinizione della normativa europea sulla tutela della privacy è un passo verso la trasformazione della disciplina del trattamento dei dati personali in un’ottica puramente aziendale.

Allo stesso modo, la sovranità esercitata dalle autorità statunitensi sugli stati membri dell’UE gettale basi di nuovi rapporti di proprietà e di scambio e sancisce la fine del diritto sulla propria persona. La materia viene smembrata : l’usufrutto appartiene all’individuo, gli attributi della personalità, i dati personali, appartengono al potere pubblico, e alle aziende multinazionali.

http://www.imolaoggi.it/?p=49999



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MessaggioInviato: 13/05/2013, 20:37 
E questa non è una guerra? E questi non sono crimini di guerra? E non ci vorrebbe una Norimberga?



Se lo faceva la NATO almeno erano più chiari.

Ho scritto che la distruzione del sud Europa da parte del piano cosiddetto ‘Economicidio Eurozona’ voluto soprattutto dalla Germania, per il profitto delle sue industrie e della finanza internazionale, è a tutti gli effetti una guerra d’aggressione. Ho scritto che il tribunale di Norimberga stabilì che la guerra d’aggressione sarà il crimine supremo per sempre. Quindi i responsabili di questo crimine andrebbero processati e impiccati. Ho da tempo fatto tutti i nomi.

Ora un'osservazione. La NATO da oltre 20 anni si è specializzata in una cosa: bombardare con motivi pretestuosi un Paese di s****ti, distruggerlo, e poi mandarci le aziende degli stessi fabbricanti delle bombe a far profitti per ricostruirlo. (es: Serbia, Kosovo, Iraq, Afghanistan ecc.) Notate che lo stesso ha fatto la Troika di Fondo Monetario, Commissione UE e BCE. Hanno distrutto la Grecia, e ora le aziende della Troika, che sono gli speculatori degli Hedge Funds, entrano in azione per ricostruire e lucrare come folli. Nel frattempo ci vanno di mezzo decine di migliaia di morti anzitempo e generazioni di bambini dannati, centinaia di migliaia di aziende ecc.

E’ esattamente come nelle guerre NATO:

NATO = Troika

Bombe NATO = Austerità Troika per devastare l’economia di Atene + l’azione degli Hedge Funds, i quali scommettevano contro il debito Greco e così facendo creavano proprio quello stesso panico che dannava il debito greco.

Ricostruzione NATO e lucro aziende NATO = Ora gli Hedge Funds stanno usando proprio i capitali guadagnati dell’Economicidio della Grecia per ricapitalizzare le banche greche distrutte, cioè per ricostruirle comprandogli le loro azioni al super ribasso. Ci guadagneranno una fortuna immane, perché gli accordi prevedono che le azioni acquistate dagli Hedge hanno un super-bonus attaccato, che farà sì che, cito un insider di Londra, “… questa sia una scommessa con rischi limitatissimi, perché già il fatto che noi Hedge Funds compreremo queste azioni causerà una loro rivalutazione di prezzo, e se questa raggiunge il 50%, noi incassasseremo un profitto del 400%, grazie ai super-bouns”.

Indovinate che pagherà il conto.

Crimini contro l’umanità

http://paolobarnard.info/intervento_mos ... php?id=647


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MessaggioInviato: 17/05/2013, 02:00 
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Banche conformi alla Sharia

Turchia, la finanza si fa islamica
Non conoscono la crisi e gestiscono sempre più danaro a livello internazionale. La Turchia si appresta a farne la punta di diamante del suo sistema, mentre la finanza occidentale segna il passo b

La Turchia si prepara a fare delle banche islamiche la punta di diamante del suo sistema finanziario, con l'obiettivo di triplicare la presenza di istituzioni conformi alla sharia entro il 2023. Questo intento e' emerso chiaramente in occasione del meeting annuale dell'Unione delle Participation Bank, come vengono definite tecnicamente le banche che non applicano interessi al denaro prestato, in conformita' a un principio della dottrina islamica.

Nel corso dell'incontro, il vice premier Ali Babacan, responsabile dell'Economia, ha spiegato che il governo si prepara a fornire nuove licenze bancarie, destinate in particolare alla participation bank. Due sono gli istituti di questo genere che si affacceranno a breve termine sul mercato turco e internazionale. Saranno lanciati da altrettante banche a partecipazione statale, vale a dire Ziraat Bank e Halkbank, e si aggiungeranno alle quattro banche islamiche che gia' operano sul mercato turco: Bank Asya, Turkiye Finans, Albaraka Turk e Kuveyt Turk. "Queste due nuove banche - ha spiegato Babacan - contribuiranno alla crescita del settore delle participation bank, che al momento ha pochi operatori in Turchia". Le quattro banche gia' attive in questo settore coprono il 5,3% del mercato, una percentuale che rispetto al 2011 ha conosciuto una crescita del 29%, per un patrimonio complessivo di 56,1 miliardi di lire turche, pari a quasi 24 miliardi di euro. Nello stesso anno, i capitali raccolti dai quattro istituti islamici e' salito del 18%, fino a 39,9 miliardi di lire (oltre 17 miliardi di euro).

L'obiettivo dichiarato del governo turco, da oltre un decennio in mano al filo-islamico Partito della Giustizia e dello Sviluppo, e' quello di creare un sistema bancario piu' inclusivo, che sfrutti i vantaggi della finanza islamica a vantaggio di un accesso al credito anche per chi gode di minori mezzi. Ma in molti vedono nella strategia un tentativo di applicare anche al mondo della finanza quel modello islamico che sempre piu' influenza la societa' turca. In un decennio, infatti, il governo di Recep Tayyip Erdogan ha adottato misure poco gradite ai sostenitori della laicita' dello stato, da quelle contro il consumo di alcool a quelle a favore del velo islamico per le donne. "Oltre 600 istituzioni finanziarie islamiche operano nel mondo - ha spiegato Babacan nel suo intervento - e controllano un mercato da mille miliardi. Una cifra che puo' sembrare enorme, ma che costituisce appena l'1% dell'intero settore finanziario. Le participation bank devono invece avere una presenza piu' forte, in modo da migliare l'accesso al settore da parte della gente e permettere al sistema di essere piu' inclusivo, come prevede anche l'agenda del G20". Nel 2011, secondo dati dell'Unione delle Participation Bank, mentre l'intero settore bancario turco conosceva un crollo dei guadagni del 10%, le banche islamiche sono state le uniche a registrare una crescita e sono arrivate a dare lavoro a 13.857 persone. Il Tesoro turco ha anche cominciato a emettere sukuk, vale a dire bond conformi alla sharia, con i quali si punta ad aggredire anche il mercato internazionale, sempre piu' interessato alla finanza turca. Cosi', se i sukuk destinati al mercato interno saranno emessi in lire, quelli destinati al mercato internazionale saranno in valuta estera.

Banche fedeli al Corano
La principale differenza tra queste banche e quelle occidentali, consiste nel fatto che non possono guadagnare sugli interessi (riba) e sulla speculazione (gharar). Infatti il Sacro Corano considera gli interessi una forma di usura e non consente che il denaro, restando fermo, possa generare altro denaro. Così ad esempio, anziché concedere un mutuo ad una persona che voglia comprare un immobile, riscuotendo in cambio un interesse sulla somma prestata, la banca islamica acquista direttamente la casa, per poi cederla in affitto al cliente, il quale si impegna a versare la somma corrispondente in più rate. Una volta terminato di pagare le rate, questi diventerà il proprietario dell'immobile. Inoltre la finanza islamica si differenzia da quella tradizionale occidentale per l'importanza attribuita al carattere sociale dell'investimento. Così ad esempio sono proibiti gli investimenti, oltre che nei settori delle armi o della droga, anche nei settori delle bevande alcoliche, della carne di maiale, delle riviste scandalistiche e in tutti gli altri settori in cui vigono i divieti dettati dalla legge coranica.


http://www.televideo.rai.it/televideo/p ... a%20Sharia


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MessaggioInviato: 17/05/2013, 12:53 
Tra sofferenze, recessione e stress test, lo stato patrimoniale diventa sempre più debole. Mancano all'appello miliardi di euro. In vista regole più rigide per i prestiti.

NEW YORK (WSI) - Il peggioramento della recessione e gli stress test più rigidi definiti da Basilea 3 potrebbero mettere nei guai le banche italiane di medie dimensioni, che rischiano di trovarsi a corto di miliardi di euro.

E’ quanto conclude un’analisi di Reuters, secondo cui il peggioramento delle casse degli istituti di credito italiani più piccoli potrebbe mettere l’Italia nella situazione di dover chiedere nuova liquidità mentre allo stesso tempo si prospetta una revisione sulle regole per la concessione dei prestiti.

Anche in vista degli stress test europei, che dovrebbero avvenire in concomitanza, o poco prima che la Banca centrale europea (BCE), il prossimo anno, assumerà la diretta supervisione di banche della zona euro, gli istituti più piccoli sono sotto pressione per rafforzare i loro bilanci dopo che Bankitalia ha verificato la presenza di prestiti che non rispettano le regole patrimoniali più severe definite da Basilea 3. Negli ultimi mesi, le sofferenze sono saliti al tasso annuo del 20%.

Tra gli istituti di credito che si ritrovano in questa situazione, Banca Carige che, con l’obiettivo di rafforzare il capitale, sta raccogliendo 800 milioni di euro, circa due terzi del suo valore di mercato, vendendo asset. Con un core tier del 6,7%, la capacità della banca genovese di assorbire perdite è tra le più basse nel settore.

http://www.lescienze.it/news/2013/05/16 ... e-1656388/

...urge un ritorno alla sovranita'monetaria.................[}:)]


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MessaggioInviato: 17/05/2013, 21:40 
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L'ultima dell'Ue: no a oliere da tavola

A Bruxelles è scontro sulle classiche ampolline usate da bar e ristoranti


BRUXELLES - In principio furono la curvatura del cetriolo e la lunghezza delle banane. Ora che l'Ue è in bilico fra la sterzata verso gli Stati Uniti d'Europa ipotizzata a Bruxelles e il dissolvimento sognato a Londra, si apre un nuovo capitolo dello scontro tra nord e sud del continente. Che si divide sulle oliere e sull'olio d'oliva, simbolo gastro-economico dell'Europa mediterranea.

A far scattare la polemica, il regolamento che dal primo gennaio potrebbe far sparire dalle tavole dei ristoranti, ma anche dai banconi dei bar e delle mense, la classica accoppiata di ampolline olio-aceto. Se si vorrà offrire un olio d'oliva "chic", lo si potrà fare solo portando in tavola la bottiglia originale, che dovrà essere "monouso". Ovvero, essere chiusa con un sistema che impedisca il riempimento con un olio diverso da quello originale.

Pensato a protezione del consumatore dalle frodi (facile immaginare il ristoratore che compra una bottiglia di olio extra-vergine da 30 euro a litro, con cui spacciare un prodotto da "discount" a 3 euro...), il regolamento ha suscitato l'interesse della tedesca Süddeutsche Zeitung di oggi.

Cui ha fatto seguito un fuoco di fila di domande tra il provocatorio e l'ironico ai portavoce della Commissione europea nel consueto briefing di mezzogiorno. Argomenti contro il provvedimento: il possibile costo ecologico in termini di riciclo dei contenitori usati, gli sprechi di prodotto, l'impossibilità di tenere sotto controllo i milioni di ristoranti e bar disseminati nel territorio dell'Ue. Più in generale, dalla lobby del nord-europa è arrivata l'accusa a Bruxelles di aver voluto favorire i produttori del sud, che ne trarrebbero indebiti vantaggi.

Dietro le quinte del provvedimento, una spaccatura già emersa tra i ministri dell'agricoltura. Perché a favore del provvedimento, voluto dall'Italia assieme agli altre tre grandi produttori dell'oro verde (Spagna, Portogallo e Grecia), a febbraio si schierarono i 15 del Sudeuropa. Contro, i 12 del Nord capeggiati dalla Germania.

Oggi i portavoce dell'esecutivo hanno ricordato che il provvedimento, adottato dalla Commissione in assenza di una maggioranza netta, "è stato chiesto dai paesi produttori" e "da molte associazioni di consumatori", che da anni hanno denunciato le tante frodi sulla vera origine degli oli venduti magari come italiani ed extra-vergine quando invece sono di qualità ben diversa e prodotti con olive di incerta origine.

17.05.2013 - 19:41

Red. Online

Source: CdT.ch - Mondo - L'ultima dell'Ue: no a oliere da tavola



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Dai su siamo in mano a dei folli...

Crolla tutto e questi discutono di queste cose?

Allora bisogna sperare veramente ad un tracollo dell'europa...

Dietro a questa trovata c'è secondo me la volontà nell'imporre l'aumento dei consumi,ma come si fa a chiedere ad un ristorante di aprire una bottiglia d'olio ad ogni tavolo...

Un totale spreco visto che al massino ne usi un filo per condire l'insalata o poco altro.


Ultima modifica di Ronin77 il 17/05/2013, 23:03, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 20/05/2013, 14:01 
Strana e intorpidita atmosfera di maggio. Lo spread dorme, e gli allarmi non suonano. Ma nessuno è davvero tranquillo. Finché il 22 settembre in Germania si vota…

Strana e intorpidita atmosfera di maggio. Il grande spauracchio dello spread sembra assopito, abbastanza da non far suonare gli allarmi. Eppure nessuno è veramente tranquillo. Le banche non erogano quasi nulla, il senso di strozzamento dell’economia c’è ancora, e gli annunci di Beppe Grillo sul crollo che ci aspetta in autunno prendono consistenza. Sull’autunno si concentrano tante ansie. Quello che inizierà il 22 settembre non sarà il solito autunno. Quel giorno il popolo tedesco voterà.
Dopo di allora, chiarita la direzione che prenderà la Germania, la crisi si scongelerà pienamente in tutta Europa.

È perciò importante capire quali sono la vera faccia, la vera natura, gli attori principali, i mezzi utilizzati, il disegno ultimo di coloro che stanno demolendo l’Europa, la sua identità e i suoi popoli.

Occorre che afferriamo senza indugio il senso di tutto questo, pronti a trarne le conseguenze.

Ai piani alti non sono fermi. Stanno preparando progetti operativi che proseguiranno la destabilizzazione su scala continentale. Dovremo essere pronti a elaborare politiche e progetti alternativi per impedire alla Troika (composta da Banca centrale europea, Commissione europea e Fondo monetario internazionale) di proseguire nel suo cammino dittatoriale e, contemporaneamente, lanciare un concreto messaggio di speranza a milioni di Europei già in miseria o – come nel caso dell’Italia, della Francia, e, più tardi perfino della Germania – sul procinto di esserlo.


Molti obietteranno: anche la Germania? La Germania no. E invece sì. Il suo debito pubblico supera i 2 trilioni di Euro, molte casse di risparmio di proprietà pubblica sono da tempo in bancarotta tecnica, la Kommerzbank é sta già salvata più volte. Ma queste sono noccioline, in confronto ai numeri di un altro baratro. La Deutsche Bank, ossia il maggiore azionista della Bundesbank e della BCE, ha un record mondiale poco invidiabile: è la prima banca al mondo nella classifica esplosiva del rischio derivati (seguita dalla JPMorgan). L’istituto germanico ha in pancia oltre 55 trilioni di derivati a rischio “subprime”. Detta in un’altra maniera, sono più di 55 milioni di milioni di euro, qualcosa come 35 volte il PIL dell’Italia.


È pur vero che il rischio è compensato in parte da posizioni di copertura per 23 trilioni di Euro presso altri grandi istituti bancari. Ma in momenti di crisi acuta un’assicurazione come questa è solo teorica, perché si basa su equilibri da catena di Sant’Antonio.

«Ma niente paura», ironizza Zero Hedge, «questi quasi 56 trilioni di euro di esposizione, se tutto dovesse andare davvero malissimo, sono coperti dai bilanciatissimi volumi di 575,2 miliardi di depositi, ossia appena 100 volte di meno. Naturalmente, nel caso di Deutsche Bank sarebbe a quel punto richiesto un prelievo un pochino più aggressivo del normale, seguendo le orme di Cipro».


I numeri sono da brivido, e gli equilibri fragilissimi, retti su meccanismi di fiducia sempre più volatili. Basta che una sola maglia di questa catena truffaldina si spezzi, e tutto il sistema mondiale salta in aria. A quel punto non ci sarà nessun “Quantitative Easing” o nessuna convulsa stampa di moneta elettronica o cartacea – da parte della FED,della BCE, della Banca del Giappone o della Banca d’Inghilterra, o di una Banca d’Italia rifondata a tempo di record – che potrà salvarci nell’immediato. L’atterraggio non è morbido.


Non c’è mossa politica, anche quelle di chi come noi vuole difendersi, che possa ignorare questa spada di Damocle che pende sulla condizione, già tragica, o sul punto di esserlo, di gran parte dell’Europa.

A Bruxelles sanno benissimo che molti degli istituti finanziari dell’Eurozona navigano in pessime acque. Seguire «le orme di Cipro» è più che un’opzione sul tavolo. La “Direttiva Barnier” sulla regolamentazione dei casi di insolvenza, in corso di preparazione, prevede in ultima istanza la “confisca” – parziale o totale – dei depositi e crediti correlati.

In altre parole,una spoliazione del risparmio dei depositanti.


Naturalmente ,dopo la maxirapina di Cipro,molti cittadini di Eurolandia disertano le banche, o, se già clienti, riducono al minimo i loro depositi. Perciò lo stesso commissario europeo Michel Barnier ha anticipato un provvedimento per far sì che – lo vogliano o no – i 59 milioni di cittadini che non tengono ancora il loro denaro in banca, vadano a depositarlo.

La crisi non è più solo una questione di solvibilità, ma di fiducia nel sistema politico-istituzionale che ci governa dai tempi della rimozione del Muro di Berlino. Un sistema che aumenta via via il tasso di illegalità e illegittimità dei suoi provvedimenti.

La “Direttiva Barnier” è ancora in corso di riservata gestazione. Ma l’impianto é ormai delineato. In pratica, il “salvataggio” di una banca di Eurolandia ricadrà in buona parte sui depositanti-risparmiatori.
Le linee fondamentali della direttiva sono state preannunciate dallo stesso Barnier, durante una recente conferenza stampa. Il testo finale dovrà essere approvato dal Consiglio Europeo del 27/28 Giugno 2013. Non sono da escludere importanti sviluppi che potranno influenzare nel frattempo la stesura finale. Il 18 maggio è la data limite del superamento del tetto del debito USA, inevitabile. Come reagiranno quelle entità impropriamente definite “mercati”, ossia gli speculatori finanziari, comprese le grandi banche?


Il tema dei prelievi forzosi dal risparmio depositato in banca non si ferma qui. Il Consiglio europeo del 22 Maggio ha all’ordine del giorno una normativa di coordinamento delle politiche fiscali. Oltre alle misure di armonizzazione fiscale, è prevista la tassazione dei depositi di risparmio: ad esempio, in Francia, i depositi sul “Livret A” – sino ad ora esenti e con un tetto massimo di 25mila Euro – cadranno non solo sotto la scure invisibile dell’inflazione reale (Istat ed Eurostat non calcolano tassi attendibili), ma anche sotto la tassazione imposta ope legis dall’Unione Europea.

Se i depositi verranno confiscati, in tutto o in parte, in caso di insolvenza, e a questo si unirà la tassazione forzosa dei risparmi, queste saranno altrettante scintille che faranno esplodere la polveriera dell’Euro moneta privata.


Niente di nuovo sotto il sole quel che ne conseguirà: il ritiro in massa dai depositi bancari prima, il crollo sistemico delle banche poi, una depressione terrificante infine, dagli esiti imprevedibili.

Quel che resterà dell’Europa potrà soltanto ricorrere alle riserve auree e a quelle in divise straniere “solide”: fra queste, data la situazione finanziaria USA, non rientra il dollaro.

Ora come ora non dobbiamo aspettarci nulla da un governo Letta-Berlusconi ad alto tasso Bilderberg. Fin qui il governo si regge e rimane in campo con lo spread basso per consentire ad Angela Merkel di arrivare al 22 settembre, senza aggiungere altri incontrollabili guai ai già troppi disordini, al netto della capacità dei maggiordomi italiani di crearne maldestramente comunque.


Come difendersi, allora? Il tempo è scaduto, e l’opposizione deve crescere molto in fretta. Dovrà elaborare in fretta un piano B, visto che Draghi e soci non lo contemplano neppure. E far diventare quel piano materia di schieramento politico che faccia l’opposto di quel che si è fatto finora.


http://pino-cabras.blogspot.it/2013/05/ ... della.html

http://www.informarexresistere.fr/2013/ ... la-rapina/


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MessaggioInviato: 20/05/2013, 14:11 
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Atlanticus81 ha scritto:

Questo spiega molte cose...

Libero mercato transatlantico o Stato sovranazionale?

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Negli Stati Uniti il presidente Obama, durante il suo discorso sullo stato dell’Unione pronunciato l’11 marzo scorso, ha annunciato ufficialmente l’inizio delle trattative per la formazione di un grande mercato transatlantico. Il commissario europeo per il commercio, Karel De Gucht, ha dichiarato che il beneficio previsto per l’Unione Europea è valutato in 100 miliardi di euro ogni anno.

L’accordo prevede l’eliminazione delle barriere al commercio: le barriere doganali, le cosiddette “barriere tecniche” e le barriere non tariffarie che riguardano beni, servizi, guadagni e investimenti, oltre che la liberalizzazione dei mercati pubblici e della materia dei diritti di proprietà intellettuale.
Presentato come piano di rilancio dell’economia che permetterebbe di uscire dalla crisi attuale, il progetto, in fase di preparazione da 15 anni è piuttosto il risultato di una scelta strategica degli Stati Uniti: il passaggio da un mercato mondiale non più vantaggioso – basato su un sistema di scambi multilaterali – ad un’organizzazione bilaterale USA-UE.

A testimonianza di ciò basti pensare al blocco dei negoziati dell’OMC nel round di Doha da parte dei rappresentanti americani, e alla scelta degli USA a favore di negoziazioni bilaterali; l’accelerazione data dagli Stati Uniti alla chiusura delle negoziazioni ha permesso di concludere accordi regionali al di fuori dell’osservatorio dell’OMC.

Nel mercato unico al quale l’UE vuole dare il via, il 60% degli scambi commerciali potrà avvenire sulla base di negoziazioni bilaterali, al posto degli attuali accordi multilaterali. In questa zona “franca” lasciata libera dall’UE, i prodotti statunitensi avrebbero, di fatto, un vantaggio competitivo sul mercato mondiale,

La liberalizzazione totale degli scambi avrà effetti diversi sui due mercati: se negli stati Uniti si registrano i segni di una, se pur debole, ripresa della crescita industriale, l’Europa è appena agli inizi di una fase di calo della produzione che ci si ostina a chiamare “crisi della moneta unica”

L’apertura del mercato statunitense potrà giovare solo alla Germania, e da qui il ruolo centrale di Berlino per il raggiungimento dell’accordo.

La contrazione della domanda dei paesi dell’UE verrebbe controbilanciata dai nuovi sbocchi che si aprirebbero nel mercato USA: lo spazio europeo, costruito dagli Usa attorno alla Germania, viene consegnato da Berlino nelle mani degli USA, e si può ben comprendere il ruolo di perno della Germania nella trasformazione della zona Euro da Unione Monetaria a libero mercato degli Stati Uniti.

Il rifiuto di ristrutturare il debito della Grecia e le posizioni di punta contro la “frode fiscale” hanno favorito lo spostamento di grandi capitali nella zona del dollaro americano e rafforzato la posizione centrale del biglietto verde.

Il processo che conduce all’apertura del grande mercato transatlantico va oltre la liberalizzazione degli scambi: il perno di questa costruzione politica è il nuovo ruolo di egemonia degli Stati Uniti nei confronti dei paesi della zona dell’euro: le parti si sono, infatti, impegnate a creare, entro il 2014, una “zona di cooperazione” in materia di libertà, sicurezza e giustizia”. La zona di libero scambio è in realtà una zona di libero controllo degli U.S.A. sul continente Europeo, già dall’inizio delle negoziazioni.

Il processo che conduce all’instaurazione di questo grande mercato unificato è l’opposto del metodo comunitario. Se il mercato comune europeo è nato, come struttura economica basata sulla liberalizzazione degli scambi, il grande mercato transatlantico realizza un’unione politica; una risoluzione del Parlamento europeo del 25 aprile 2007 anticipa già la creazione di un’assemblea transatlantica.

Nelle profonde divergenze tra Europa e gli Usa, in materia di protezione dei dati personali sarà, di fatto, il diritto americano ad imporsi e le procedure europee dovranno adeguarsi. L’affare Swift è emblematico: nonostante la flagrante violazione del diritto comunitario sulla tutela dei dati finanziari, la condivisione di questi non è mai stata messa in discussione. Al contrario, l’UE e gli USA hanno firmato accordi per legittimarla.

Il Parlamento europeo ha infine approvato, nel luglio del 2010, un sistema permanente che permette alle autorità americane di accedere ai dati finanziari dei cittadini dell’Unione. Tuttavia, l’accordo non prevede l’accesso delle autorità europee alle transazioni bancarie e traduce in questo modo l’asimmetria esistente tra i due “partner”. (1)

Nodo centrale del grande mercato transatlantico è il trasferimento del trattamento dei dati personali al settore privato. Si tratta di eliminare ogni ostacolo legale alla diffusione delle informazioni per garantire costi più bassi possibili: soprattutto è necessario garantire la redditività in un mercato dominato dagli Stati Uniti: basti pensare a Google, Facebook, Apple ed Amazon.

La ridefinizione della normativa europea sulla tutela della privacy è un passo verso la trasformazione della disciplina del trattamento dei dati personali in un’ottica puramente aziendale.

Allo stesso modo, la sovranità esercitata dalle autorità statunitensi sugli stati membri dell’UE gettale basi di nuovi rapporti di proprietà e di scambio e sancisce la fine del diritto sulla propria persona. La materia viene smembrata : l’usufrutto appartiene all’individuo, gli attributi della personalità, i dati personali, appartengono al potere pubblico, e alle aziende multinazionali.

http://www.imolaoggi.it/?p=49999


Gli pulissimo solo le scarpe !!!!!!!!! [8D]



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MessaggioInviato: 21/05/2013, 09:33 
Su "RAI Storia" stanno trasmettendo "Argentina 2001 Atene 2011 - Storie dalle crisi"".

C'e' molto da imparare. La storia si ripete.

Le similitudini sono veramente impressionanti. [8)]



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MessaggioInviato: 21/05/2013, 22:54 
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zakmck ha scritto:

Su "RAI Storia" stanno trasmettendo "Argentina 2001 Atene 2011 - Storie dalle crisi"".

C'e' molto da imparare. La storia si ripete.

Le similitudini sono veramente impressionanti. [8)]




dopo argentina ed atene,a chi toccchera'?sara' necessario attendere le elezioni tedesche,poi qualkun altro andra alla gogna................... [:(!]


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MessaggioInviato: 21/05/2013, 22:58 
L'edificio residenziale gigantesco che sorgera' su Park Avenue, a Manhattan avra' 84 piani. Un monolocale costera' 3,9 milioni di dollari.


NEW YORK (WSI) - Si appresta a diventare il complesso residenziale piu' alto dell'intero emisfero occidentale - Emirati Arabi e Cina esclusi, dunque. E visti i prezzi, un'altra cosa e' ormai certa: il gigantesco e avveniristico palazzo che sta per vedere la luce a New York ospitera' solo ricconi e abbienti.

Fino a dieci anni fa, gli appartamenti di grande lusso erano confinati a Park avenue e sulla Quinta. Ora si riscontra un balzo della domanda per i condomini con vista "dall'elicottero". Un monolocale nel nuovo edificio avveniristico da 84 piani, al numero 432 di Park avenue, a Manhattan, per esempio, costa $3,9 milioni.

Ogni volta che qualcuno e' pronto a pagare $95 milioni per un appartamento da un piano solo, $44,8 milioni per un appartamento con 4 camere letto e 10 milioni per uno con due stanze da letto, sotto la superficie ribolle persino qualcosa di piu' di una semplice bolla immobiliare.

Lo spiega bene al New York Times Rafael Viñoly, l'architetto che ha disegnato il progetto della Torre all'incrocio con la 56esima strada. "Ci sono solo due mercati, quello del mega lusso e l'immobiliare sovvenzionato dallo stato".

La corsa alla costruzione di simili mostri immobiliari e' la prova dell'enorme gap esistente tra ricchi e poveri a New York City, sottolinea James Parrott, chief economist del Fiscal Policy Institute, un'organizzazione di ricerca liberale, sostenuta dai sindacati. Il reddito medio delle famiglie, infatti, e' calato dell'8% dal 2008.

"Il boom dei condomini di lusso a Manhattan, unito all'esplosione del numero di pignoramenti nel Queens e a Brooklyn, ci offre uno dei punti di vista di quanto il fenomeno della polarizzazione della ripresa si stia ingrandendo".
http://www.wallstreetitalia.com/article ... liare.aspx


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MessaggioInviato: 24/05/2013, 01:37 
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Cina, settore manifatturiero in calo. Continua l'ondata di dati negativa



Continua senza sosta l'ondata negativa di dati per la CIna. Il dragone, proprio negli ultimi mesi, sembra soffrire una crisi interna che potrebbe portare ad un hard landing veramente preoccupante. Stavolta, il dato negativo riguarda uno dei settori più importanti dell'industria cinese, il settore manifatturiero. Il purchasing managers index, dato rilevato misurando le attività del settore manifatturiero, registra dopo sette mesi un dato al di sotto della soglia 50. Il dato a 49,6 era previsto invece a 50,5, in rialzo rispetto al precedente 50,4.

Una vera e propria contrazione che molti operatori avevano previsto e che si pensa debba continuare in quanto la situazione interna della Cina non è proprio delle più rosee. Prima la distribuzione di ricchezza, poi la domanda interna e ora il settore manifatturiero, un fattore economico di seconda importanza solamente alle esportazioni (core business del paese).

Molti economisti prevedono uno stop consistente per la Cina e questi dati lo stanno dimostrando sempre più. Secondo alcuni esperti, questo dato avrebbe scaturito le forti vendite sui mercati giapponesi con il conseguente crollo dell'indice Nikkei di circa il 7%, dopo aver letteralmente bruciato i massimi storici. In realtà, il dato cinese è stato solamente un pretesto per vendere un mercato in forte ipercomprato e un crollo del 7% è più che giustificato da forti prese di profitto su livelli assolutamente alti per l'indice nipponico.

Lo stop cinese non è un evento inaspettato, anzi, molti economisti, alcuni di note banche d'affari, hanno proprio messo in dubbio la veridicità dei dati in uscita dal paese proprio per via di uno stop evidente in completa discordanza con lo status economico reale in cui grava ora il paese. Se il dato sul Pmi ha provocato (secondo alcuni) il crollo del Nikkei, allora nei prossimi mesi dobbiamo essere pronti a vedere le montagne russe sugli indici asiatici (e non solo).


http://it.ibtimes.com/articles/49226/20 ... uriero.htm


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