Il conflitto. di Paolo Becchi.
Le trattative per la formazione del nuovo Governo si stanno volgendo a partire da una tensione fondamentale tra due differenti strategie per uscire dalla “crisi” politica. Questa tensione, questo conflitto non è quello che oppone Bersani a Grillo, o il Pd al Pdl. Il vero conflitto di questi giorni è quello tra il Presidente della Repubblica e il leader del Pd. L’obiettivo di Bersani era quella di ottenere da subito un incarico di Governo, di modo da poter giurare nelle mani del Capo dello Stato e successivamente presentarsi alle Camere per il voto di fiducia. Napolitano, per contro, ha imposto a Bersani un pre-incarico (o un mandato esplorativo), costringendo pertanto il leader del Pd a ripresentarsi al Quirinale con l’assicurazione di una raggiunta maggioranza parlamentare a favore del suo Governo. È su questo punto che si chiariscono le due opposte strategie. Bersani punta ancora ad ottenere l’incarico di Governo. All’esito delle consultazioni, tuttavia, non potrà garantire alcuna maggioranza. Del resto Bersani, ha sempre saputo, fin dall’inizio delle consultazioni, che non vi sarebbe stato alcun accordo con il Pdl né con il MoVimento, tanto che in questi giorni, in realtà, non ha condotto alcuna trattativa, ma semplicemente ripetuto in continuazione la propria linea (e, per il resto, si è incontrato con il Cardinal Bagnasco e le “parti sociali”: Confindustria, Confabi, Ania, Abi, Anci, Cia, Copagri etc.). Il Segretario del Pd tenterà, allora, di convincere Napolitano a conferirgli un incarico di Governo “al buio”, per giocarsi la fiducia il giorno stesso della presentazione del nuovo Governo alle Camere, nel tentativo di incontrare defezioni in almeno alcuni senatori del MoVimento e, forse, del Pdl.
In realtà, lo scopo di Bersani verrebbe raggiunto anche nel caso in cui, una volta formato il Governo, non dovesse ricevere la fiducia. Il Pd è perfettamente consapevole, infatti, che entro i prossimi 8 mesi si dovrà ritornare alle urne. Il suo scopo, allora, è quello di sostituire, attraverso il giuramento nelle mani del Capo dello Stato, l’attuale Governo Monti dimissionario, di modo che – in caso di eventuale mancata fiducia – sarebbe a quel punto il Governo Bersani ad entrare “in prorogatio” di fatto, ed a gestire l’ordinaria amministrazione e gli affari correnti del Paese nel periodo che intercorrerà fino alla nomina del nuovo Governo dopo le prossime consultazioni elettorali. La Costituzione, infatti, prevede che il nuovo governo entri formalmente in carica con il giuramento nelle mani del capo dello stato e la firma del decreto presidenziale di accettazione delle dimissioni del governo precedente. Soltanto da quel momento decorrono 10 giorni per presentarsi in parlamento per il voto di fiducia. Se il nuovo Governo si dimette prima dei 10 giorni o se non gli viene votata la fiducia, a quel punto è lui a entrare in prorogatio di fatto, fino a nomina e giuramento di altro governo. Questo meccanismo consentirebbe, pertanto, a Bersani di rivestire comunque la carica di Presidente del Consiglio – anche senza la fiducia – durante le prossime elezioni, con tutti i vantaggi che ne conseguono sul piano politico.
È su questo punto che alla posizione di Bersani si contrappone quella di Napolitano. Il Capo dello Stato non ha voluto affidare un incarico al leader Pd ma, dopo l’incontro al Quirinale, ha per primo parlato in conferenza stampa per ribadire la sua posizione: «esigenza di larghe intese tra gli opposti schieramenti su scelte di interesse generale». Napolitano, in realtà, ha espresso un duro giudizio contro la linea di Bersani e del Pd: il Capo dello Stato chiede, infatti, un Governo che possa assicurarsi la fiducia da parte delle Camere. Napolitano potrebbe, allora, non accettare il “gioco d’azzardo” di Bersani. Potrebbe volere l’assicurazione che vi sia una sicura maggioranza parlamentare disposta a votare la fiducia. Assicurazione che Bersani non potrà dare. È allora possibile che Napolitano “forzi” nuovamente il sistema. Potrebbe, cioè, decidere – in assenza delle garanzie che ha richiesto al leader Pd – di formare nuovamente (come accadde con Monti) un Governo del Presidente, in grado di ottenere la maggioranza alle Camere. Un Governo, cioè, legittimato direttamente dalla sua autorità costituzionale, il quale – a differenza del Governo Monti – punti questa volta su politiche non di austerità, ma di crescita. Napolitano potrebbe, pertanto, cercare un nuovo Presidente del Consiglio che, per quanto politicamente orientato a sinistra, sia estraneo alla dirigenza del Pd. Questo potrebbe essere l’ultimo atto del suo Settennato: un nuovo Governo del Presidente, una rivendicazione di quei poteri e di quelle prerogative del Capo dello Stato che, in questi sette anni, Napolitano è riuscito ad ampliare e consolidare sfruttando la debolezza e la crisi dei partiti.
È questo il vero conflitto di questi giorni: quello tra il Capo dello Stato ed il leader del Pd. Quello tra due soluzioni politiche opposte, che difficilmente riusciranno a trovare un compromesso: un Governo Pd già disposto ad entrare in prorogatio da dimissionario o un Governo del Presidente che trovi una maggioranza parlamentare trasversale, come era accaduto con l’esperienza Monti. Sono queste le due ipotesi in conflitto, ed è tra esse che, oggi, si assisterà al finale di partita.
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