"Quelle urla disperate nel buio mentre lanciavano i bimbi in mare"http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... ef=HREC1-1I racconti dei volontari: abbiamo formato una catena umana. "Eravamo quasi arrivati in porto quando il timone è impazzito, l'urto è stato inevitabile". "Non sapevano nuotare, li abbiamo ripescati in un turbinio di mani che si tendevano"Dal nostro inviato ALESSANDRA ZINITI
LAMPEDUSA - L'ultima tragedia mancata è tutta nelle parole strozzate in gola di chi l'ha vissuta. Giuseppe Casuccio, 48 anni, appuntato scelto della Guardia di finanza: "Spostavo la barra a destra e a sinistra, ma il timone era impazzito, il barcone andava per i fatti suoi. Vedevo gli scogli avvicinarsi, non ho avuto altra scelta, ho lasciato la marcia ingranata e ho aspettato l'impatto, ma sapevo che l'elica in movimento ci avrebbe in qualche modo "ancorati" evitando che la barca si rovesciasse. Poi è successo il finimondo". Giuseppe Marotta, 30 anni, sottocapo dei sommozzatori della Guardia costiera: "Non potrò mai più dimenticare gli occhi di quei bambini, alcuni di pochi mesi, che mi venivano lanciati dal barcone. Quando li staccavano dalle braccia del padre o della madre iniziavano a gridare o a piangere dalla paura e a me venivano i brividi".
Marco Persi, tenente della Guardia di Finanza: "Abbiamo creato una catena umana d'emergenza e mano nella mano abbiamo cominciato a salvare uno ad uno i migranti sul barcone. Solo le grida dei colleghi che ci dicevano "stanno finendo, stanno finendo" ci hanno dato la forza di tirarli fuori. E quando abbiamo saputo che erano tutti vivi, tutti, è stato uno dei momenti più belli della nostra vita".
Li chiamano scogli del Cavallo Bianco, la terraferma è a poco più di dieci metri, nulla dopo un viaggio da incubo, in 500 su un barcone che navigava a pelo d'acqua. Giuseppe Casuccio, il finanziere che era al comando della barca al momento dell'incidente, ha ancora il viso stravolto dal terrore e dalla fatica quando ricostruisce le fasi drammatiche del naufragio. "Li avevamo agganciati con la motovedetta a poche miglia, io e altri due colleghi eravamo saliti a bordo per evitare il peggio e scortarli fino in porto, come facciamo quando non è possibile il trasbordo. Erano le quattro del mattino, c'era buio pesto ma ormai eravamo arrivati, sulla banchina era tutto pronto, coperte, ambulanze, the caldo, stavamo proprio per entrare in porto quando il timone è impazzito. Ho deciso cosa fare in pochi secondi, era l'unico modo per non far rovesciare l'imbarcazione, sarebbero morti tutti. Appena la barca si è inclinata, molti si sono buttati in acqua, altri li abbiamo aiutati a scendere con le cime che i miei colleghi tenevano da terra, altri li abbiamo ripescati a mare in un turbinio di mani e teste che si tendevano, di grida, urla. Il mare non era affatto buono, era forza 4-5, quasi nessuno di loro sapeva nuotare. Quando il timone non ha risposto più abbiamo avvertito quei disperati che saremmo finiti sugli scogli in modo tale che non fossero colti di sorpresa. Erano sfiniti dal viaggio, c'erano tante donne incinte e bambini anche piccolissimi".
Ancora l'appuntato Giuseppe Casuccio: "I miei colleghi, quelli della Guardia costiera, alcuni pescatori si sono tuffati in acqua formando una vera e propria catena umana. Con le cime di bordo abbiamo fatto scivolare uomini e donne dal barcone verso l'acqua. Nonostante il sangue freddo che questo mestiere ci impone avevamo una gran pausa che qualcuno scomparisse tra le onde senza che ce ne accorgessimo. Dio ci ha aiutati e li ha aiutati".
Sono stati i quattro sommozzatori della Guardia costiera l'anello centrale di quella incredibile catena umana che ha fatto sì che il naufragio questa volta non contasse neanche una vittima: "La barca - racconta Giuseppe Marotta - ha rischiato di capovolgersi più volte, ammetto di avere pensato al peggio, anche perché la risacca continuava a rimbalzarci contro gli scogli. Tutti i profughi, per la paura, si aggrappavano a noi con forza e questo ci creava problemi - spiega - però abbracciandoli e trasmettendo tranquillità la situazione è migliorata". Il suo collega Raffaele Birra si ricorda soprattutto "di una donna incinta che si teneva le mani sul grembo. Mi sentivo la responsabilità di salvare non sola una ma ben due vite".
Nella ex base Loran, qualche ora dopo, Madelin, 27 anni, nigeriana, stringe ancora forte al petto suo figlio di soli 4 mesi che credeva morto. Piange mentre racconta: "È stato terribile, pensavamo di morire. Io a un certo punto ho perso mio figlio Severin, mi hanno trascinato sugli scogli perché ingoiavo acqua. Per fortuna l'ho ritrovato dopo alcune ore. Siamo partiti quattro giorni fa dalla Libia, la barca era troppo piccola e noi eravamo in troppi. Poi non c'era niente da mangiare fin dall'inizio. E nessuno ci aveva detto che saremmo stati così tanti e che il mare sarebbe stato così brutto. È stato un incubo. Grazie Italia".
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