Da "Il Fatto Quotidiano" del 18 maggio 2010
L’uomo che sapeva troppo poco
di Marco Travaglio
Ora basta, c’è un limite a tutto. Basta accanirsi
sul corpicino di Claudio Scajola. Passi che
qualcuno gli paghi la casa a sua insaputa. Passi
che l’Alitalia gli organizzi un volo speciale
Roma-Imperia a sua insaputa per aviotrasportarlo su e
giù. Passi che qualche giornalista gli senta dare – a sua
insaputa, si capisce – del rompicoglioni a Marco Biagi
appena morto. Ma che la sua signora, allontanandosi
da casa di soppiatto con la scusa della santa messa,
rilasci un’intervista a Repubblica a sua insaputa, questo
è troppo. Poi dice che uno grida al complotto. Con
tutto quel che ha da fare per smascherare il tipaccio
che gli ha girato 900 mila euro in 80 assegni senza
dirgli niente, il povero Sciaboletta ha dovuto
prendere carta e penna per dissociarsi dall’“inter vista
asseritamente resa da mia moglie” e far sapere “di
non condividerne il contenuto” perché “non è
assolutamente vero che io abbia deciso di non
presentarmi dai pm di Perugia per non ‘c re a re
problemi ai veri colpevoli’ o a ‘persone molto più
coinvolte di me’”. Qualcuno potrebbe pensare che la
signora abbia voluto lanciare un messaggio alle
“persone molto più coinvolte di mio marito” p e rch é
stiano accorte. O interrogarsi sull’identità dei “molto
più coinvolti” e su come lui, parlando coi pm,
potrebbe “creare problemi”. O addirittura sospettare
un gioco delle parti: lei lancia la pietra e lui nasconde
la mano, tanto ormai il messaggio è giunto a
destinazione.
Noi però ci dissociamo da questi malpensanti, anche
perché abbiamo letto l’ordinanza-sentenza del
giudice istruttore di Milano che nel 1989 lo
prosciolse dall’accusa di tentata concussione per lo
scandalo dei casinò, che l’aveva portato in carcere
per 72 giorni nel dicembre 1983.
Il 20 maggio Scajola, allora sindaco Dc di Imperia,
aveva accompagnato a Bourg Saint Pierre in Svizzera
il sindaco socialista di Sanremo, Osvaldo Vento, per
incontrare Giorgio Borletti che con la società
Flowers Paradise voleva aggiudicarsi la gestione del
casinò. All’appalto ambiva un’altra ditta, la Sit di
Michele Merlo, legata al clan Santapaola, ma era stata
esclusa. Problema: la Sit aveva già versato tangenti
per 500 milioni di lire a vari politici e amministratori
sanremesi, i quali provvidero così a restituirle.
Tutti tranne uno, l’assessore Enzo Ligato, che non ne
voleva sapere. Di qui, secondo l’accusa, la missione
elvetica della coppia Vento-Scajola: “Incontravano il
Borletti e gli richiedevano, per aggiudicare l’appalto
alla sua società, il versamento di Lire 50 milioni, a
loro dire destinati a rifondere Merlo del denaro
sborsato per corrompere l’assessore Ligato… senza
peraltro riuscire nel loro intento… per il fermo
rifiuto opposto dal Borletti”.
Il povero Scajola sostenne di non aver mai chiesto né
udito Vento chiedere mazzette: lui aveva
accompagnato il collega solo perché la Dc l’ave va
incaricato di seguire la querelle del casinò e
pretendere garanzie da Borletti sulla “ge s t i o n e
imparziale” e sull’“or ganigramma” della casa da
gioco, onde evitare che diventasse un feudo del Psi. I
giudici alla fine gli credettero: fu Vento, nel
colloquio a tre, a parlare di mazzette a Borletti,
anche se è “fondatamente ipotizzabile una certa
reticenza dello Scajola nell’ammettere di aver udito
discorsi di questo tipo”.
Dunque fu prosciolto perché Vento se l’era portato
appresso “come elemento indiretto di pressione su
Borletti” e lui s’era trovato “inconsape volmente
c o i nvo l t o ”, “inconsapevole delle intenzioni del suo
accompa gnatore”.
Ecco, Scajola è fatto così: non s’accorge mai di nulla,
nemmeno di quel che accade sotto i suoi occhi (e
orecchi) e nelle sue tasche. È come il palo della
banda dell’Ortica cantato da Jannacci:
“Lui era fisso
che scrutava nella notte, l'ha vist na gota ma ‘n
cumpens l’ha sentu nient, perché vederci non
vedeva un’autobotte, però sentirci ghe sentiva ‘n
acident… Ed è arrabbiato con la banda dell’Or tica,
perché lui dice: ‘Non si fa così a rubar! Ma come, a
me mi lascian qui di fuori e loro chissà quand’è che
vengon su’…”.
Così Scajola: sono trent’anni che vive a sua insaputa.
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