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MessaggioInviato: 15/03/2009, 12:04 
Cita:
FoxMulder ha scritto:

Qualcuno ha detto tranquillamente che è ovvio che dopo la morte ci sia qualcosa. Ma se c'è una cosa che non è ovvia è proprio questa! Niente vieta che ci sia il nulla. C'è forse stato qualcosa prima? In base alla mia esperienza assolutamente no, la mia coscienza non è sempre esistita e di questo ne ho la prova in prima persona. Se poi continuerà dopo la vita non lo so, ma non è ovvio. [:)]


Può darsi anche che non ti ricordi....
Certo, non è ovvio che la vita eterna esista, e non mi sembra che qui qualcuno l'abbia affermato.
Non è però ovvio neanche che non esistano altre esistenze prima di questa.
Non è ovvio niente, diciamocelo...


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MessaggioInviato: 15/03/2009, 16:37 
Cita:
greenwarrior ha scritto:

Cita:
layla_87 ha scritto:

Io spero davvero che ci sia qualcosa dopo la morte... La sola idea del nulla mi terrorizza


Vai tranquilla!!!! io ne sono convinto.[;)]


lo spero!! ho letto di queste esperienze di pre morte e vorrei saperne di più perchè mi hanno incuriosito molto...


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MessaggioInviato: 15/03/2009, 17:14 
Per quanto riguarda le esperienze di pre morte dovresti chiedere a Ufologo 555, io ho vissuto un esperienza di OBE o viaggio fuori dal corpo, esperienza che mi è bastata per avere la certezza che in questa vita siamo di passaggio.


Ultima modifica di greenwarrior il 15/03/2009, 17:41, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 15/03/2009, 17:40 
Ero in un periodo di forte stess, la crisi l' ho avuto durante un capodanno con amici. Tutto è iniziato con la non accettazione di situazione che in condizioni normali sono comuni fra amici in un periodo di festa. Dopo la mia bella crisi irrefrenabile di pianto nel pieno della festa, pur essendo stato consolato dagli amici, ho deciso di tornare a casa. Sono andato a letto piuttosto in ansia, ma malgrado la mia condizione sono riuscito ad addormentarmi; Il "sogno" che credevo di aver fatto, si è rivelato, secondo me, un vero caso di OBE. La nitidezza dei particolari, delle reazioni di mia madre e del cane, mi sono stati confermati il giorno dopo da sveglio. Mi sentivo leggero, sono uscito dalla mia stanza veleggiando ad una altezza non consona ad una normale camminata, sono entrato nella stanza dei miei genitori e mia madre si è svegliata ed ha buttato l' occhio nella mia direzione senza dir niente, poi si è ricoricata. Sono uscito dall' ingresso ed ho visto abbaiare il mio cane verso l' alto dove io mi sentivo di essere, ho poi guardato il giardino e la cosa che mi ha stupito di più, era l' innaturale luminosità delle piante, sembrava di essere in una di quelle notti di Luna piena ma molto più luminosa, la differenza era però che questa luce veniva direttamente dalle piante come se fosse la loro aurea. Ho fatto un giretto senza allontanarmi troppo dopo di chè sono rientrato nella mia stanza è ho visto il buon green disteso sul letto. Mi ricordo di essere rientrato nel mio corpo e la mattina di essermi svegliato con una serenità incredibile, sembravo doppato, avevo solo certezze e nessun dubbio. Ho chiesto a mia madre se durante la notte mi avesse visto entrare nella sua stanza, la risposta è stata di no, ma si era svegliata con la netta sensazzione che ci fosse qualcuno all' interno. Mi spiace di non aver potuto chiedere conferma al cane, la sua testimonianza sarebbe stata la più credibile.

Ti ho risparmiato la fatica di leggerti tutta la discussione, ho copia incollato il mio intervento fatto nelle prime pagine della discussione.



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MessaggioInviato: 16/03/2009, 12:30 
Da: Corso fondamentale sulla fede di Karl Rahner

Che significano "sopravvivenza" ed "eternità"?
Non ci è lecito concepire l'esistenza che sorge dalla morte come un semplice "continuare a durare" in quella dispersione e in quell'apertura indeterminata, sempre determinabile in maniera nuova - e quindi propriamente vuota -, dell'esistenza temporale. Sotto questo riguardo la morte segna la fine di tutto l'uomo. Chi fa semplicemente "perdurare" il tempo al di là della morte dell' uomo, a vantaggio della sua "anima", in maniera che venga ad esserci altro tempo, cade in difficoltà insuperabili sul piano del pensiero e dell'attuazione esistentiva della vera definitività dell'uomo, la quale avviene nella morte. Chi però pensa che "con la morte tutto è finito" - perché il tempo dell'uomo realmente non continua più, perché il tempo che una volta ha avuto inizio deve pur finire una buona volta, perché in fondo un tempo snodantesi nell'infinito (dentro un vuoto fluire nel sempre diverso che annulla continuamente l'antico) sarebbe propriamente inaccettabile e peggiore di un inferno -, sta racchiuso entro lo schema rappresentativo della nostra temporalità empirica esattamente come chi fa "continuare a durare" 1' "anima". In realtà è nel tempo - quale frutto maturo di questo - che nasce l' "eternità", la quale propriamente non protrae questo tempo "oltre" il tempo vissuto della nostra vita biologica spazio-temporale, bensì elimina davvero il tempo in quanto viene slegata dal tempo, che-`temporaneamente divenne affinché nella libertà potesse attuarsi la definitività. L'eternità non è un modo del tempo puro che dura in maniera sterminatamente lunga, bensì un modo della spiritualità e della libertà portate a compimento nel tempo e di conseguenza essa va intesa solo a partire da una giusta comprensione di queste. Un tempo che per così dire non dura come avvio dello spirito e della libertà, non genera neppure alcuna eternità. Siccome però noi dobbiamo assumere dal tempo là definitività (che supera il tempo) dell'esistenza dell'uomo attuata in spirito e libertà e purtuttavia dobbiamo pensarla quasi inevitabilmente nella sua rappresentazione di durata senza fine, succede che ci smarriamo. Come nella fisica moderna dobbiamo imparare a pensare senza immaginare e, in questo senso, demitizzando, e dire: attraverso la morte avviene la definitività compiuta dell'esistenza dell'uomo maturata liberamente. Esiste ciò che è divenuto, come validità liberata di ciò che una volta era temporale, il quale divenne,come spirito e libertà ,al fine di essere. Quel che chiamiamo nostra vita non potrà dunque essere il balenio breve di un divenire in libertà e responsabilità di qualcosa che è, che è definitivo, perché è degno di essere tale?
Così che il divenire cessi quando l'essere comincia, e noi non notiamo nulla di questo perché ci troviamo ancora nel divenire?
Non possiamo davvero restringere la realtà a ciò di cui nep
pure l'uomo più stupido e superficiale ha la voglia o la possibilità di contestare l'esistenza. Esiste certamente qualcosa di più.
Come esistono apparecchi scientifici per costatare un di più di realtà nel campo del mondo materiale, così esistono delle esperienze fatte senza apparecchi ma non (senza una spiritualità sviluppata in misura superiore) le quali colgono quell'eternità che non si protrae come un perdurare temporale "oltre" la nostra vita, bensì che è immersa nel tempo della libera responsabilità come nello spazio del suo divenire nel tempo e che perviene al suo compimento nel tempo della vita il quale finisce totalmente.
Chi ha preso una decisione morale buona per la vita e per la morte, in maniera radicale e non addolcita, sì che da essa non derivi a lui assolutamente nulla all'infuori della bontà accettata di questa stessa decisione, costui ha già sperimentato quell'eternità che 'noi intendiamo qui.
-------------------------------------------------------
Da: " La speranza nell'Apocalisse ". di sergio Quinzio
VITA ETERNA?
"Come la protologia biblica non può essere un resoconto degli avvenimenti delle origini, così l'escatologia biblica non è una prognosi degli avvenimenti della fine. E come i racconti biblici dell'opera creatrice di Dio vennero desunti dall'ambiente di allora, così i racconti biblici dell'opera finale di Dio si ispirano all'apocalittica contemporanea". Su questo "principio", che si legge verso la fine del suo libro tradotto da Mondadori, Hans Kung fonda le argomentazioni con le quali affronta il tema decisivo della "vita eterna" che ci è promessa in Gesù Cristo. Il punto interrogativo del titolo, Vita eterna?, è retorico: Kung crede infatti nella promessa, e non ha dubbi nemmeno sul fatto che si possa dar conto razionalmente della plausibilità di ciò che la fede ha di più sconcertante per orecchie moderne.
Come nelle opere che insieme con questa costituiscono una trilogia, Dio esiste? e Essere cristiani, la preoccupazione del celebre, e sospettato di eterodossia, teologo svizzero è apologetica. Ma è apologetica in una prospettiva in senso lato ecumenica: Kung vuol mostrare la credibilità della fede non com'è formulata nel dogma cattolico, ma piuttosto in quanto è comune alle diverse chiese cristiane, e che Kung ritiene accettabile, se tradotto in un linguaggio opportuno , da menti modernamente formate. Dunque, la sua linea non puo essere che mediana, il suo percorso si snoda come del resto quello di tanti altri teologi oggi attraverso i testi biblici e la tradizione religiosa, ma anche attraverso le conoscenze e le esperienze dell'uomo contemporaneo.
Ciò che è mediato - lontano, per esempio, sia dai rigori dell'ortodossia post-tridentina che dalle devastanti letture della "teologia radicale" - difficilmente suscita una decisa avversione, ma la sua accettabilità finisce per dipendere dalla vaghezza dei contenuti.
Che cosa vuol dire che le affermazioni scritturali, e in particolare quelle di Gesù, circa gli "avvenimenti della fine" sono state desunte, come già i racconti della Genesi sulla creazione, dall'ambiente circostante? Kung non è disposto a ignorare che Gesù e gli apostoli condividevano con gli apocalittici del loro tempo la convinzione, giudicata mitica, di una prossima fine del mondo. Ma che cosa dunque è oggetto di fede, al di sotto dei rivestimenti mitici? Quale teologo ci dirà che cosa è verità rivelata da Dio, e che cosa è passiva assunzione di superstiziose credenze di tempi remoti?
Gli argomenti di Kung possono risultare più o meno convincenti, ma nel loro insieme a quale logica obbediscono, qual è il loro criterio di verità? Kung assume come ovvio che il criterio debba essere quello della convenienza razionale. Il suo postulato fondamentale, qua e là espresso ma mai esplicitato nelle sue ragioni, è evoluzionistico: poiché l'evoluzione ha portato l'uomo a un più alto grado di conoscenza, si tratta di selezionare le affermazioni bibliche circa ciò che ci attende dopo la morte e circa il futuro del mondo in base alla loro ragionevolezza, attenendosi fin dove si può ai risultati della scienza e, in caso di indecidibilità, aprendosi fiduciosamente a quanto è sentito come positivo.
Un'impostazione del genere non tiene conto di troppe cose. Intanto - sebbene fra i tanti venga citato anche il nome di Popper - non tiene conto dell'attuale consapevolezza epistemologica dell'opinabilità di qualunque affermazione scientifica, e quindi anche di una concezione evoluzionistica. Ma, soprattutto, Kung non dubita che la sua, e del resto oggi comune, interpretazione dei "nuovissimi" coincida esattamente con ciò che credevano Gesù e i cristiani delle primissime generazioni, depurato dalle sovrapposizioni mitiche. Pur argomentando in base al fatto che le generazioni cristiane che ci hanno preceduto sovrapposero al messaggio autentico concezioni derivate dalla loro epoca e quindi caduche, non sembra sfiorato dal sospetto che mende equivalenti possano affliggere anche le sue affermazioni.
Chiederei volentieri a Kung se, nell'ipotesi che altri millenni attendano il cristianesimo, un analogo processo di reinterpretazione dei testi continuerebbe ad assicurare indefinitivamente la sostanziale identità con le origini. A me sembra evidente che si sia già abbondantemente perduta. La resurrezione di Gesù in cui crede Kung "non è un atto spaziotemporale", ma appartiene alla "dimensione, totalmente diversa, dell'eterno, descritta in un linguaggio figurato": è ancora la resurrezione alla quale pensava Tommaso, che voleva mettere le dita nelle piaghe di Gesù, o Pietro e Giovanni, con i quali il Risorto mangiò pane e pesci arrostiti?
Lo stesso vale per la resurrezione dei morti, che per Kung implica "identica realtà personale, al di là di ogni sottolineatura di una nuova corporeità ", "il significato permanente della propria vita e del proprio destino", mentre secondo le antiche confessioni di fede era la restituzione della carne nella quale siamo vissuti, intesa " eodem modo et eodem sensu ".
"Gesù, per quanto riguarda l'inferno, ha condiviso in larga misura le concezioni apocalittiche dei suoi contemporanei", e per tanti secoli si è continuato a credere nel terribile destino degli empi; ma per Kung "le asserzioni neotestamentarie sull'inferno non vogliono offrire informazioni su un aldilà", bensì "mettere sotto gli occhi, proprio per l'aldilà, l'incondizionata serietà dell'esigenza di Dio e l'urgenza della conversione qui e ora". Analoghe soluzioni sono proposte per quanto riguarda la fine del mondo come giudizio universale.
Se Gesù è "rimasto sostanzialmente legato al quadro di comprensione, estraneo alla nostra mentalità, di un'attesa prossima, e all'orizzonte dell'apocalittica ", possiamo scrollarci tutto questo dalle spalle dicendo semplicemente che "il quadro di comprensione apocalittico è stato superato dall'evoluzione storica"? Vedo tutta la gravità del problema, dal momento che ciò che Gesù attendeva vicinissimo dopo duemila anni non è venuto, ma l'onestà e il coraggio non ci obbligano, anziché tentare sottili e improbabili riletture, a fronteggiare la tragica realtà di una fede da sempre difficile, ma oggi addirittura non più credibile?
Allo stesso modo, per i discepoli sarebbe stata una falsa via quella di eludere docetisticamente, o con ricorso a ipotesi come la morte apparente, la sconfitta sulla croce del Messia loro Signore venuto per salvarli: la vera fede passava proprio, paradossalmente, attraverso lo scandalo più intollerabile, l'orrore supremo della morte del perfetto giusto abbandonato da Dio.
Come insegna il padre dei credenti Abramo, il quale contro ogni speranza credette che Dio gli avrebbe dato un figlio nella sua vecchiaia dalla vecchia e sterile Sara, la ragionevolezza non è la via alla fede. Vanamente sì va alla ricerca, nelle summe dei teologi di oggi come in quelle dei teologi di ieri, di qualcosa di "pienamente razionale". La fede alla quale eventualmente si pervenisse per questa via sarebbe tutta appoggiata al mondo, nòn avrebbe la rischiosa forza di spezzarne la logica. Meglio abbandonarla, allora, per diventare forse capaci di úna domanda nuda e senza stampelle.
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Da Dies irae di Piero stefani
Il seme
Il Simbolo niceno-costantinopolitano (il Credo recitato nel corso della messa cattolica) impiega formule sempre precedute dal verbo credere. Ciò avviene per le proposizioni riferite a Dio Padre, a Gesù Cristo, allo Spirito Santo, alla Chiesa; tuttavia quando si parla della resurrezione e del mondo futuro, all'improvviso si cambia verbo, non si afferma più di credervi, bensì di attenderle: "aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà". La fede si riveste qui di speranza. Aspettare la resurrezione è l'unico modo di credere in essa. Come dice Paolo si è salvi nella speranza, ma l'oggetto di quest' ultima non lo si vede, perciò si può attenderlo. soltanto Facendo appello alla propria capacità di sopportazione (ypomone) (cfr.Rm.8, 24-25).
Questa impossibilità di vedere l'oggetto ,della speranza getta una grande-ombra sulla capacità di proporre immagini di quanto si dispiegherà oltre la fine, di conseguenza, sulla possibilità di dire qualcosa in relazione alla gloria dei corpi risorti. Ogni confronto con la resùrrezione dei morti che subordini l'accettazione di questa speranza alla riflessione sul "come" essa avverra, conduce quasi inevitabilmente al suo abbandono. Troppo penosamente scarsi si rivelano infatti i tentativi di dire qualcosa di non metaforico su quello status che occhio umano mai non vide.
Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, afferma che se non c'è resurrezione "vana è la nostra predicazione e vana la vostra fede" (lCor 15, 14); il nodo cruciale per lui è la validità della fede e della predicazione, non già il prolungamento all'infinito dell'esistenza umana. "Se abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita" afferma l'Apostolo "siamo da compiangere più di tutti gli uomini" (1Cor 15, 19). Ciò avviene non già perché il "se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo" (1Cor 15, 32) sia una risposta antropologicamente vacua, come se nella natura umana fosse insita una insopprimibile sete di immortalità estesa anche al corpo. Di fronte all'inesorabile indebolirsi delle forze del corpo, all'appannarsi della vista, all'indurirsi dell'udito, all'illanguidirsi delle capacità fisiche e psichiche, la risposta che la "natura" instilla nel cuore dell'uomo è, da sempre, soprattutto quella di voler morire e riposare in pace, non di vedersi di nuovo restituito un corpo che ora ci fa tanto patire. La resurrezione dei morti non corrisponde a nessuna necessità di ordine antropologico di continuare à sussistere essa e instillata nell'animo dei credenti solo da un annuncio che viene dal "di fuori".
Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto [...] Vi ho trasmesso dunque anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa [Pietro] e quindi ai Dodici [...] Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto [...] Ora se si predica che Cristo è resuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste resurrezione dei morti? Se non esiste resurrezione dei morti neanche Cristo è resuscitato! Ma se Cristo non è resuscitato allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede [...] (1Cor 15, 12-17).
E difficile sperare in qualche cosa che nessuno ha mai scorto; ecco allora che il discorso di Paolo prevede l'appello ai testimoni, coloro i cui occhi hanno veduto e la cui parola è chiamata a rendere presente agli altri quello di cui questi ultimi mai hanno avuto esperienza ("apparve a Cefa e quindi ai Dodici"). Ma questa apparizione presentata come "primizia" non comporta alcuna descrizione di quel corpo risorto. Se così si potesse dire, si trattò di apparizioni aniconiche. Esse, in definitiva, sono solo il riferimento indispensabile perché vi sia l'annuncio. La speranza si fonda su un aver visto che è pura attestazione senza descrizione. Per quanto si fondi sulle manifestazioni del Risorto, la speranza è indirizzata a quanto non si vede. Eppure, nella seconda parte di quéstò stesso capitolo della prima lettera ai Corinti, Paolo volendo replicare a obiezioni di avversari a noi ignoti, si lascia trascinare in faticosi tentativi di rispondere a domande
"Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?" (1Cor 15, 35). Il problema del "come" culmina evidentemente in quello di stabilire in che modo possa esserci a un tempo continuità e discontinuità tra il corpo mortale e quello glorioso. La metafora a cui Paolo si aggrappa è quella dei seme; essa, però, come è facile comprendere, è più consona ad indicare una morte e una dissoluzione avvenute in vista di una rinascita (se il chicco non muore non produce frutto /Cfr. Gv 12, 23) che il sàlto gùàlitativó tra quanto si dissolve nella terra e quanto spunterà dal suolo.
Ma qualcuno dirà: "Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?". Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore; e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano per esempio o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo. Non ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella di pesci. Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpi terrestri [...] Così anche la resurrezione dei morti; si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso si semina debole e risorge pieno di forza, si semina un corpo animale, risotgeun corpo spirituale [...]. Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità. Ecco vi annuncio un mistero: non tutti certo moriremo, ma tutti saremo trasformati. In un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba: suonerà l'ultima tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati (1Cor 15, 35-52).
Qui, preme porre in rilievo sia il ricorso all'"immagine uditiva" della tromba , sia la repentinità del cambiamento
("in un batter d'occhio"); questi due riferimenti riscattano il discórso paolino da una specie di "naturalismo" un po' goffo che si stava insinuando nell'argomentazione. L'artificialità dello strumento musicale e la velocità somma con cui avviene il mutamento, pongono in secondo piano l'immagine della seminagione condannata a trasmettere un senso di omogeneità e di lentezza del cambiamento. Lasciato cadere l'esempio del seme, si propongono figure volte a indicare una improvvisa trasformazione suscitata dal di fuori che porta in una condizione tutta diversa dalla precedente, eppure ad essa misteriosamente collegata.


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MessaggioInviato: 17/03/2009, 00:22 
DA “STO ALLA PORTA “ di Carlo Maria Martini

Il Dio che ha fatto suoi il tempo e la morte, ha dato a noi la sua vita, nel tempo e per l'eternità. La Pasqua del Signore rivela la solidarietà del Dio vivente alla nostra condizione di abitatori del tempo, e insieme ci dà la garanzia di essere chiamati a divenire gli abitatori dell'eternítà. Nella risurrezione di Cristo ci è promessa la vita, cosi come nella sua morte ci era assicurata la vicinanza fedele di Dio al dolore e alla morte. La Pasqua è l’evento divino nel quale ci è rivelata e promessa la destinazione del tempo al suo felice compimento nella comunione in Dio. Lo spazio temporale che sta tra la ascensione e il ritorno di Cristo nella gloria appare così come un estendersi del mistero pasquale all’intera vicenda umana; nella sofferenza e nella morte, che ancora caratterizzano la nostra storia, si fa presente la sofferenza della croce, perché la vita del risorto sia pregustata da chi con Cristo percorre il suo esodo pasquale. L'intera vita del cristiano è un pellegrinaggio di morte e risurrezione continua, vissute con Cristo e in Cristo nello spirito, portando anzi Cristo in noi, "speranza della gloria".

Vígilare è accettare il continuo morire e risorgere quale legge della vita cristiana; le condizioni della vigilanza evangelica non sono dunque la stasi o la nostalgia, bensì la perenne novità di vita e l'alleanza celebrata sempre nuovamente col Signore Gesù che è venuto e che viene.

Nella luce dell'evento pasquale si coglie allora il pieno significato cristiano della morte fisica, ultima vicenda visibile della nostra esistenza. La morte è evento pasquale, segnato contemporaneamente dall'abbandono e dalla comunione col Crocefisso risorto. Come Gesù abbandonato sulla croce, ogni morente sperimenta la solitudine dell'istante supremo e la lacerazione dolorosa; si muore soli' tuttavia, come Gesù, chi muore in Dio si sa accolto dalle braccia del Padre che, nello Spirito, colma l'abisso della distanza e fa nascere l’eterna comunione della vita. Perciò, per la grande tradizione cristiana la morte è dies natalis, giorno della nascita in Dio, dell'uscire dal grembo oscuro della Trinità creatrice e redentrice, per contemplare svelatamente il volto di dio, in unione col figlio, nel vincolo dello Spirito Santo.


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MessaggioInviato: 17/03/2009, 00:40 
Davanti a te, faccia a faccia

Giorno dopo giorno, o Signore della mia vita,
starò davanti a te,
faccia a faccia!

A mani giunte, sarò davanti a te, Signore
di tutti i mondi,
faccia a faccia!

In questo mondo che è tuo, fra le fatiche, i tumulti, le lotte
la folla abitata, io mi terrò davanti a te,
faccia a faccia!

E quando la mia opera in questo mondo sarà finita,
o Re dei re, solo e nel silenzio,
starò davanti a te,
faccia a faccia!

Rabindranatb Tagore


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MessaggioInviato: 17/03/2009, 12:30 
Cita:
greenwarrior ha scritto:

Per quanto riguarda le esperienze di pre morte dovresti chiedere a Ufologo 555, io ho vissuto un esperienza di OBE o viaggio fuori dal corpo, esperienza che mi è bastata per avere la certezza che in questa vita siamo di passaggio.


Si infatti volevo mandargli un messaggio privato per chiedergli delle cose ma il sito mi dice che ancora non posso mandargli i messaggi... Per quanto riguarda la tua esperienza ti ringrazio, ho comunque letto tutto il post e le vostre esperienze.


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MessaggioInviato: 22/03/2009, 11:16 
Quando ero un adolescente si parlava spesso di fenomeni di "pre-morte" e i libri di Moody erano molto diffusi, molta gente li aveva letti. Furono una lettura importante per me.
Mi colpiva soprattutto che molti "redivivi" affermavano che non c'era nessun motivo per pensare che nessuna religione è superiore alle altre, e che i principi morali delle religioni non sono i più importanti.
Affermavano a chiare lettere che solo due cose importavano nella vita: l'amore per gli altri e la conoscenza delle cose, di TUTTE le cose.
Il principio dell'amore, senz'altro, è già contenuto nel Cristianesimo, ma inquinato da altre imposizioni morali, come per esempio quelle sessuali, ma anche altre, che invece sembrerebbe, dalle testimonianze di pre-morte, che non abbiano nessuna importanza per la vita eterna.
Il principio della conoscenza come obbligo morale invece non è contenuto in nessuna religione, e sembra un comandamento del tutto nuovo. Probabilmente prima non era adottabile, perché in un mondo di analfabeti non era propagandabile, ma in un mondo scientifico, dove la comunicazione e i mass media la fanno da padroni, il discorso cambia parecchio!
Un'altra cosa che mi ha colpito, è che i protagonisti dei casi di pre-morti non hanno incontrato chi si aspettavano di vedere, anche se non hanno incontrato nessuno che li ha smentiti nella loro fede!
Essi hanno dichiarato di aver incontrato "un essere di Luce" che pervadeva ogni cosa, e che ognuno poi ha interpretato secondo la propria tradizione religiosa, oppure di aver incontrato molti "Esseri Luminosi" o "Signori del Tempo e dello Spazio", senza però definirli come Angeli, o Santi, o Dei.
Con dubbi e contrasti interiori, il messaggio che ho ricevuto da ragazzo leggendo quei libri (io personalmente penso che fu la volontà divina, comunque volete chiamarla, che me li fece leggere, poiché ero molto infelice della mia vita, e mi ponevo molti interrogativi sul senso della vita) alla fine è cresciuto, e ora sono convinto che non è la religione che conta, ma l'etica spirituale che scaturisce da questi messaggi.
Se l'uomo attuale non si preoccupasse di dare un nome e un volto allo Spirito Divino, ma piuttosto volesse vivere solo secondo i principi di Amore e Conoscenza, senza alcuna discriminazione di razza, religione, etnìa, cultura, sesso od orientamento sessuale o ideologia politica, allora potremmo realizzare una civiltà davvero illuminata, umana e felice.


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rigrazio per l'interesse dimostrato alla domanda da me posta:"cosa ci aspetta dopo la morte", sicuramente l'energia che rappresenta tutta la nostra vita ha memorie che non si possono disperdere, e quindi un mare calmo aspetta tutti noi come ogni altra memoria che si viene a creare in questa grande giostra da noi chiamata universo.


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MessaggioInviato: 29/03/2009, 13:43 
Cita:
nuages47 ha scritto:

rigrazio per l'interesse dimostrato alla domanda da me posta:"cosa ci aspetta dopo la morte", sicuramente l'energia che rappresenta tutta la nostra vita ha memorie che non si possono disperdere, e quindi un mare calmo aspetta tutti noi come ogni altra memoria che si viene a creare in questa grande giostra da noi chiamata universo.


Ti consiglio di leggere "Le profezie di Celestino", personalmente l' ho trovato illuminante. Ne hanno fatto anche un film.[:D]



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Cita:
Il principio della conoscenza come obbligo morale invece non è contenuto in nessuna religione, e sembra un comandamento del tutto nuovo.


Non è così, non è qualcosa di nuovo ma di molto atico: "il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza …(Osea 4:6)"
Inoltre nella lingua ebraica il termine conoscere è lo stesso che serve anche per amore inteso in senso totale.
E allora perché Adamo ed Eva furono puniti per aver mangiato dall'albero della conoscenza? (ormai mi faccio le domande mi dò anche le risposte [:p]) Perché avevano separato la conoscenza dalla vita (l'albero della vita) e perché volevano decidere loro ciò che è bene e ciò che è male. Ma è più probabile che Dio sapeva che nel momento in cui gli aveva chiesto di non mangiare di quell'albero avrebbero avuto il desiderio di mangiarne. Funziona così anche con i bambini, no? Ma la conoscenza ha un prezzo, avrebbero dovuto camminare con le loro gambe e fare tutto il percorso, senza scorciatoie.



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Giovanni 8:32 conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».
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MessaggioInviato: 29/03/2009, 23:27 
Quando io parlo di conoscenza, intendo conoscenza a 360°, non la conoscenza delle scritture o la conoscenza dei principi etici. Infatti le Scritture sono assolutamente indifferenti al valore della conoscenza delle cose. Per esse, conta solo la conoscenza delle cose religiose, non di tutto ciò che esiste.
Ogni religione ha sempre considerato irrilevante per l'elevazione spirituale dell'uomo il suo conoscere il mondo, la gente, i popoli, i fenomeni della natura, la storia....
Né d'altra parte potrebbe essere altrimenti, dato che più una persona conosce e sa, e più è difficile abbindolarla con comandamenti e dogmi religiosi.
I preti non sanno che farsene di persone colte, ed è un fatto che l'integralismo religioso arretra di fronte al diffondersi della cultura e con il diminuire dell'analfabetismo.
La libera conoscenza è un valore della modernità, legato al pensiero liberale e democratico. Prima era un valore solo per pochi intellettuali e filosofi.


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MessaggioInviato: 19/04/2009, 12:21 
Riguardo le NDE, mi piacerebbe parlare del caso di Dannion Brinkley. Io lo trovo molto interessante e degno di studio, indipendentemente che uno ci creda o meno, è oggettivamente un caso molto singolare.
Voi cosa ne pensate? Lo conoscete?


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MessaggioInviato: 20/04/2009, 12:58 
Cita:
Enkidu ha scritto:


Se l'uomo attuale non si preoccupasse di dare un nome e un volto allo Spirito Divino, ma piuttosto volesse vivere solo secondo i principi di Amore e Conoscenza, senza alcuna discriminazione di razza, religione, etnìa, cultura, sesso od orientamento sessuale o ideologia politica, allora potremmo realizzare una civiltà davvero illuminata, umana e felice.


Come non quotare? Indipendentemente dal proprio credo e dalla propria educazione, questi sono valori che dovrebbero essere universarli.


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