ragazzi vi aggiorno io sulle notizie che girano ecco a voi.
Washington risponde all'ennesima provocazione militare con una nuova esibizione muscolare, l'invio di portaerei e navi da guerra della Settima Flotta nelle acque coreane per esercitazioni congiunte con la Marina di Seul. La stessa risposta messa in campo nei mesi scorsi in seguito all'affondamento della corvetta Cheonan ad opera di un siluro nordcoreano.
Sull'onda dello sdegno per il bombardamento dell'isola di Yeonpyeong il presidente sudcoreano Lee Myung-bak aveva dichiarato ieri di ritenere necessaria una rappresaglia «per rendere Pyongyang incapace di provocarci ancora». Più prudenti le reazioni del Pentagono che tramite un portavoce aveva preso tempo «per monitorare la situazione» definendo prematuro «prendere in considerazione qualsiasi azione».
In realtà la via della rappresaglia è al tempo stesso necessaria e pericolosissima.
Necessaria perché l'assenza di risposte armate all'affondamento della Cheonan ha incoraggiato i nordcoreani a intensificare le provocazioni e perché l'intera deterrenza statunitense a difesa dei suoi alleati rischia di venir compromessa.
Pericolosissima perché il regime di Pyongyang potrebbe cedere alla tentazione di colpire Seul con missili Scud e artiglieria, armi in grado di devastare la metropoli situata a pochi chilometri dal confine per le quali sono disponibili testaste e proiettili chimici. Del resto le uniche armi credibili dell'arsenale nordcoreano sono proprio quelle di distruzione di massa poiché l'intero apparato convenzionale è composto da un gran numero di mezzi ormai obsoleti (dai tank T-55 ai jet Mig 21) e che sul campo di battaglia verrebbero spazzati in via in pochi giorni dalla tecnologia delle forze sud coreane e statunitensi.
Un gap dimostrato anche nel bombardamento dell'isola di Yeonpyeong nel quale le vecchie artiglierie nordiste hanno colpito "a casaccio" soprattutto centri abitati e obiettivi civili mentre la risposta sudcoreana è stata diretta a neutralizzare con precisione le batterie di cannoni avversari. L'incapacità nordcoreana di gestire un confronto militare sul piano convenzionale potrebbe favorire il ricordo ad armi di distruzione di massa o all'impiego terroristico della forza militare contro la metropoli sudcoreana.
Un'escalation che vedrebbe necessariamente scendere in campo le forze statunitensi (28 mila militari con 70 jet F-16 più i velivoli e i marines della Settima Flotta) e la Cina, vero arbitro della crisi coreana e unico Paese in grado di influenzare le decisioni di Pyongyang grazie alle forniture economiche, anche ad uso militare.
Finora i cinesi hanno incassato il successo di veder compromessa la deterrenza statunitense che da 60 anni difende la Corea del Sud ma un conflitto aperto, con l'afflusso di ingenti forze americane nel suo "cortile di casa", non favorirebbe gli interessi strategici di Pechino.
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