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MessaggioInviato: 22/02/2011, 22:11 
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Blissenobiarella ha scritto:

E le menzogne, il bluff è tutto giocato sulla falsa immagine del meridione. Kasimr, bisogna guardare in faccia la realtà anche quando la realtà ha una faccia che non ci piace [:p].


Certo,
ma prendi me ad esempio.
IO vivo in una provincia dove sei mesi l'anno fa freddo, non c'e' lavoro, ci sono un sacco di alcolizzati e la cosa peggiore è che c'e' la lega che sproloquia di cavolate ben descritte qui sopra.
Senza tenere conto di tante altre cose che non sto qui a dire.
Fosse per me, io andrei a vivere a lecce o a taranto, se ci fosse una garanzia in piu' di qui dove sto ora, di poter lavorare, magari trovare una donna, comperarmi una casetta e vivere tranquillo la fine dei miei giorni.

Allegro e spensierato in Italia.

Ma tutto cio' non è possibile, perche' la tv spazzatura (tutta, da nord a sud) ci da' l'immmagine di un sud sporco e pieno di problemi.
Invece in puglia ci sono stato, in basilicata, nel lazio, in campania. Ho visto dove le cose non funzionano e so che non sono tanto differenti da dove sono io.
Il nord ha qualcosa in piu', ma questo non ti so dire il perche', forse perche' il sud l'ho visto come terra di ferie e pur avendo molti amici, non posso dire di esserci vissuto.

Ma quello che manca al meridione, secondo me, è la voglia di cambiare sul serio. Se la lega ha successo, è perche' si fa sentire. Al sud, sinceramente sento tante parole, ma ancora il popolo non è insorto come invece succede a volte qui al nord.

Detto questo,
federalismo o no, la storia insegna che solo una volta l'italia era unita, il resto ci dice solo che era una miriade di staterelli.
Per cui ridurlo di nuovo a tante piccole isole, non credo servira' a fare molto. Ma magari chissa'...
Parlo socialmente, non di conti e soldi.



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MessaggioInviato: 22/02/2011, 22:33 
Al sud ci son vissuta fino a qualche anno fa. La mia famiglia è ancora li nella mia bellissima Lecce.
Il sud non ha voglia di cambiare? NEl sud la lotta per il cambiamento è quotidiana. Purtroppo però lo sono anche le delusioni. Ciò che ho citato qui http://www.ufoforum.it/topic.asp?whichp ... _ID=150371 sono problematiche reali, con cui il singolo cittadino non è in grado di confrontarsi direttamente anche se ce la mette tutta. Le difficoltà burocratiche nell'aprire un'impresa, le tasse altissime, l'impossibilità di trovare un lavoro, le infrastrutture inesistenti....la lotta è continua ma non basta per produrre il cambiamento.
Qui al nord, vivo in un piccolo comune nello stesso palazzo dell'ex sindaco ( una potenza della natura ^_^), quindi so le difficoltà che ci sono nel muoversi nelle aree più decentrate e meno industrializzate del settentrione. Vedo la politica del finto fare che fa i suoi danni. Imparare a riconoscerla è fondamentale ed è anche per questo che comprendere cosa è successo al sud è importantissimo.


L'Italia è una. Il sogno dell'Italia unita sotto un unico governo democratico è stato il sogno sia del sud che del nord. Questo sogno è stato realizzato probabilmente nel peggiore dei modi, ma ora l' Italia è una. Il modo per andare avanti preservando l'unità c'è ed è sicuramente la soluzione su cui a tutti converrebbe investire tempo e risorse.



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MessaggioInviato: 24/02/2011, 09:12 
L'Unità di Italia e i Conti con la Storia
http://www.anticorpi.info/2011/02/lunit ... on-la.html

Viator

L'articolo riportato di seguito non rappresenta solo l'ennesima denuncia delle circostanze 'controverse' che hanno scandito il percorso della nostra unificazione nazionale, emerse più o meno spontaneamente negli ultimi anni.

In esso la cronistoria politica - benché solo marginalmente considerata dal punto di vista delle ragioni economiche - viene integrata con efficacia da alcune osservazioni circa la parzialità della storiografia ufficiale, e da una esortazione a non lasciarsi coinvolgere eccessivamente da certi 'casi', fondati su solidi presupposti, ma passibili di facili e pericolose strumentalizzazioni.

Da parte mia - sebbene trovi che il pezzo di Burbank si ponga un passo avanti rispetto a molti altri articoli reperibili sul tema - tengo ad aggiungere che - al di là di tutto - concetti come quello di patria, bandiera, orgoglio nazionale, rappresentino di base niente altro che sovrastrutture sistemiche attraverso cui fin dalla notte dei tempi i popoli sono stati manipolati e arbitrariamente limitati in funzione del soddisfacimento di una serie di interessi particolari, economici e politici. Concetti dai connotati settaristici, in grado di solleticare i più beceri istinti umani, ed in ossequio alla cui astrattezza si sono consumate guerre estremamente concrete e sono stati scannati milioni di esseri umani, fatti di carne e sangue.

Buona lettura.

--------------------

di T. Burbank

A 150 anni dall’unità l’Italia sembra un giocattolo inceppato che si agita in modo inconcludente. Piuttosto che agitarsi furiosamente come fanno tanti è forse il caso di studiare il passato.

"Chi non conosce il proprio passato è condannato a ripeterlo" dice Santayana e la frase ha due possibili letture: la prima (la più comune) è che chi non conosce la propria storia ripeterà gli stessi errori a parità di condizioni; dopo un primo fascismo ne conoscerà una seconda versione (e magari anche una terza), senza che l'esperienza precedente consenta di resistere all'ascesa progressiva di ducetti, gerarchetti e galoppini.

Ma ancora peggiore è una seconda lettura della frase di Santayana, chi non conosce la propria storia non si rende conto di ciò che ha fatto di buono e lo distrugge senza neanche accorgersene. Allora, se si vuole crescere e diventare adulti, bisogna fare i conti con la propria storia.

Per fare i conti può convenire partire dalla favoletta con cui ci viene propinato il racconto tradizionale dell’unità d’Italia.

La storia provvidenziale (la favola del Risorgimento)
Per gli studiosi di antropologia potrebbe essere interessante analizzare il racconto convenzionale in senso provvidenziale del "Risorgimento". La visione proposta è tesa a dimostrare quanto siano stati necessari gli avvenimenti riportati.

Dopo secoli di sofferenze gli italiani erano pronti ad essere riunificati, questo era il loro destino manifesto. Per fare ciò servivano degli eroi: Garibaldi, Vittorio Emanuele, Mazzini, Cavour. Ma gli eroi presuppongono dei cattivi dall'altra parte: gli austriaci, i Borbone. Un po' meno cattivo il Papa, ma certo non poteva avere il suo stato su quella che era destinata a ridiventare capitale d'Italia.


Tutte le fiabe raccontano la stessa storia all’interno di un numero di variabili limitato e la fiaba dell’unità d’Italia non fa eccezione.

Per i dettagli conviene fare riferimento alla "Morfologia della fiaba" di Vladimir Propp [1]. E' opportuno notare che, rispetto alla fiaba standard, qui l'unità nazionale conseguita (la legittima unione tra il popolo e la patria) rimpiazza il matrimonio finale dell'eroe.

Chiaramente la storia provvidenziale che ci viene raccontata è in realtà un artefatto, realizzato per soddisfare degli interessi umani. Ma come si fabbrica un tale artefatto?

Non è poi così difficile costruire un'interpretazione provvidenziale della storia. Prima di tutto vengono gli interessi: si fa quello che conviene fare con qualsiasi tecnica, per esempio è tradizione corrompere gli alti gradi dell'esercito nemico. Grazie alla corruzione ed altri trucchi sporchi si vince. In guerra normalmente vince il peggiore, non il migliore (a parità di forze in campo). Vince il più privo di scrupoli, il disonesto, chi trama nell'ombra.

Dopo la vittoria si scrivono libri che dimostrano come ciò che è successo fosse inevitabile, nel destino della nazione, come si stesse preparando da secoli.

Si troveranno sempre con facilità intellettuali e giornalisti pronti a sostenere i vincitori.
Anche il vocabolario verrà riformato. Si introdurranno nuovi termini, come risorgimento, esportazione della democrazia e così via.
In parallelo si provvederà ad emarginare e poi distruggere chi si ostina a mostrare il punto di vista dei vinti, dai giornali fino alle cattedre universitarie. Alla lunga resterà solo il punto dei vista dei vincitori.

Per questo è rarissimo nelle opere storiche trovare dei vincitori cattivi. Per questo gli antichi romani portavano la civiltà.

Il popolo pigro
Un importante corollario della favola standard, popolata da eroi, è il popolo pigro. Adatto il concetto da Wikipedia [2].

Un filone di critica storiografica, elaborando le analisi che fece Antonio Gramsci nei suoi quaderni del carcere, che partì dalle considerazioni del meridionalista Gaetano Salvemini sulla mancata soluzione della questione contadina, legata alla irrisolta questione meridionale, ha sottolineato un’interpretazione che sostiene come nel Risorgimento italiano fosse stata assai limitata la partecipazione delle masse popolari, soprattutto contadine, agli eventi che hanno caratterizzato l'unità nazionale italiana e come il Risorgimento possa essere considerato come una rivoluzione mancata.

Per chi guardi gli avvenimenti in modo disincantato la realtà è diversa e il popolo c’è. Il popolo è quello che neutralizza la spedizione dei Pisacane, è a Bronte che reclama le terre, il popolo combatte a Pontelandolfo, partecipa al brigantaggio riuscendo a contrastare un esercito di 140.000 soldati [3] in assetto da guerra, soldati che riusciranno a vincere solo grazie a tecniche di genocidio.

Il popolo è quello costretto ad emigrare a causa della fame creata dai Savoia nel sud. Continuerà a celebrare i briganti contro gli invasori per decenni. Oltre un secolo dopo la spedizione dei mille c'erano ancora dei cantastorie che onoravano le gesta dei briganti.

Il problema è che nella interpretazione favolistica del Risorgimento, il popolo è quasi sempre dalla parte sbagliata e viene fatto diventare invisibile dai mass-media (inclusi i libri di storia). Ma se abbandoniamo la favola è facile vedere come il risorgimento sia un'operazione fatta contro il popolo italiano, a cui il popolo si è opposto fortemente, a volte anche ferocemente.

Conviene prestare attenzione al concetto di storia dei vincitori, la storia così come viene raccontata da chi ha vinto. Dalla storia dei vincitori non c'è niente da imparare. Tutto viene giustificato in termini di provvidenza o destino manifesto. Sul lato opposto, dalla storia dei perdenti si possono raccogliere molte utili informazioni. Solo che i perdenti quasi sempre sono stati azzittiti.

Per questo solitamente bisogna cercare al di fuori dei libri di storia per trovare qualche verità, un grande esempio è Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, altro esempio è Noi credevamo di Anna Banti. Per quanto riguarda la saggistica, per lungo tempo le poche cose decenti sul risorgimento sono stati i libri del grande Nicola Zitara [4] e qualcosa di Mack Smith, che non era italiano.

Lo spiegava bene Carl Schmitt (in Ex captivitate salus) come i perdenti siano costretti a scrivere la storia con estremo rigore mentre i vincitori possano permettersi tutti gli abusi.

Sono andato a riguardare la vita di Tucidide, forse il più grande storico mai vissuto, ed era uno sconfitto. Vae victis diceva Brenno ai Romani. Non è cambiato molto da quell'epoca, anche se una mitigazione viene data dalla “storia sociale”, che studia la vita quotidiana delle persone nelle varie epoche.


I Mille
Episodio chiave del Risorgimento è la Spedizione dei Mille nel 1860. Qui conviene approfondire.

La spedizione dei mille durò pochi mesi, con un migliaio di soldati iniziali e poche migliaia alla fine convenzionale della spedizione. Alla fine della spedizione buona parte dell’Italia era formalmente unificata sotto i Savoia. Restava in sostanza solo il Lazio e Roma, che avrebbe resistito una decina di anni.

L'unità d'Italia era cosa fatta, toccava fare gli italiani (per terminare correttamente la fiaba).

Solo che si sviluppò il cosiddetto "brigantaggio", il quale tenne impegnati fino a 140.000 soldati nella cosiddetta repressione, la quale durò almeno un decennio.

Sotto l’aspetto degli interessi economici in gioco, la spedizione dei Mille puntava allo zolfo, che all’epoca valeva come il petrolio di oggi. Si voleva che lo zolfo siciliano rifornisse a buon prezzo le navi inglesi. E così fu.
Per fare ciò i generali borbonici furono comprati, il Regno delle due Sicilie fu depredato, il popolo fu massacrato.

Qui ci sono molte analogie con l'invasione USA dell'Iraq (la Seconda guerra del golfo del 2003), fatta per rubare il petrolio agli iracheni. La guerra recitata durò tre mesi, dopo di che (a maggio 2003) Bush dichiarò la pace (non è colpa mia se suona male). E venne invece la guerra di sterminio contro il popolo iracheno, che dura da anni.

L'unità d'Italia realizzata dai Savoia nel 1860 ed anni successivi fu un capitolo di infamia e rapina, e nel suo complesso si configura come un vero e proprio genocidio.

Il Sud depredato e rapinato, affamato fino all’inedia, deportato nel lager di Fenestrelle [5], sottoposto alla pulizia etnica gestita dai militari piemontesi ed ideologicamente organizzata da Cesare Lombroso, si riduceva in stato miserevole. Solo una mitigazione molto parziale proveniva dall'emigrazione.

Per dirla in altre parole c'erano tre scelte per chi abitava nel sud dopo la conquista dei Savoia:
- cercare di sopravvivere in condizioni che non lo consentivano
- morire combattendo
- emigrare.

Si arriva così alla fine dell’800.
Dopo parecchi anni e parecchi massacri di genti inermi qualche forma di unità politica era stata raggiunta, ma essa era un'unità formale che poggiava su un paese spezzato e su un meridione distrutto (destrutturato, demoralizzato).

Anche se gradualmente ci fu qualche uniformazione amministrativa (va ricordata almeno la legge Casati, che introdusse la scuola pubblica in tutto il regno), l'Italia rimase un paese diviso. Il sud, terra di conquista, perse molto della sua tradizione, ma non acquistò senso dello stato.


In seguito la mitologia fascista ebbe però qualche presa in tutta Italia con i suoi simbolismi, i richiami alla antica Roma imperiale, la sua voglia di apparire.

Ma il fascismo era anche una recita tragica e mal riuscita ed in particolare fu un errore il modo in cui fece entrare l’Italia nella Seconda Guerra mondiale.

A un certo punto fu chiaro a quasi tutta la popolazione che la guerra era persa e lo show fascista stava terminando. Ma la caduta del fascismo si portava dietro la sudditanza agli USA.

Con gli accordi di Yalta l’Italia prendeva il ruolo di stato-cuscinetto, ruolo che avrebbe mantenuto per lungo tempo. Gli USA avevano ripreso concetto di stato-cuscinetto dall’Impero Romano. Gli stati cuscinetto stavano ai bordi dell’Impero e difendevano dagli imperi confinanti, godendo di una discreta autonomia rispetto al centro, purché non venisse messa in dubbio la sottomissione all’impero. [6]

Diciamo che era una libertà presidiata.

In parallelo alla storia ufficiale si svolgono quindi le strategie per tenere divisi gli italiani.

Tali strategie (il "Divide et impera") nella versione USA si esplicano solitamente nell’organizzazione di guerre civili, esplicite o latenti.

Se guardiamo in prospettiva la storia recente italiana, il "Divide et impera" nel secondo dopoguerra si è basato in Italia sul pericolo comunista, contrapposto a seconda dei casi ad una destra eversiva o ad un Chiesa reazionaria.

Con la caduta della monarchia nel 1948 l'Italia gradualmente si riprese.
La caduta del Fascismo ebbe degli aspetti rivoluzionari: tutta una tipologia di classe politica servile (ruffiani e yes-men) fu messa da parte e rimpiazzata da una classe politica dotata di contenuti morali. La nuova classe dirigente si era temprata nel disastro ed ebbe la statura politica e morale di fare scelte coraggiose, nell’interesse comune della popolazione prima che nell’interesse della classe politica.


Dalla caduta del fascismo nacque la Costituzione repubblicana, che in qualche modo tentava di far tesoro dell'esperienza (e degli errori) del fascismo.

Da qui cominciava uno dei periodi migliori: partiva la ricostruzione, si sviluppavano industrie nel nord e partivano poderose migrazioni interne dal sud verso il nord per alimentare di manodopera a basso costo le industrie del nord. [7]

Avvenne anche un fatto nuovo, la povertà del sud diventava un problema.

Al Nord era molto utile avere mano d'opera a basso prezzo proveniente dal Sud, ma ad un certo punto ci si rese conto che il sud sarebbe stato un paradiso per le industrie del nord se gli abitanti fossero stati dei bravi consumatori. In altre parole, si voleva una nazione di consumatori omogenea.

Disgraziatamente gli abitanti del sud non potevano spendere abbastanza per gli appetiti delle aziende del Nord. Questo era un problema. A questo problema fu trovato il nome di questione meridionale.

L’unità degli italiani
L'Italia era ancora composta di genti molto diverse, ma esse cominciavano a capirsi, grazie agli scambi migratori.
Negli anni '60 arrivò in tutta Italia la RAI (intesa come TV). E qui tutti cominciarono a capire l'italiano della RAI, a vedere Carosello, Lascia o raddoppia, Canzonissima, Sanremo e le partite della nazionale di calcio.

La RAI-TV cambiò la vita quotidiana delle persone e gradualmente assimilò al consumismo tutti gli italiani, fece sognare a tutti gli stessi simboli del cosiddetto benessere, li omologò sugli stessi miti e valori. In una decina di anni l'Italia diventava una nazione e l'unità d'Italia, quella sostanziale, del popolo che condivide sentimenti, emozioni, valori, era cosa fatta. Gli italiani si sentivano “a casa propria” più o meno da tutte le parti.


Gli eroi di questa unità, coloro che avevano fatto l'Italia e anche gli italiani, erano molti. Si chiamavano Claudio Villa, Raffaella Carrà, Pippo Baudo, Mike Bongiorno, Gianni Morandi, e poi Burgnich, Facchetti, Zoff e tanti altri. [8] [9]

L'operazione della RAI aveva formato un diffuso sentire nazionale. Tutti gli italiani si sentivano fratelli, almeno in occasione dei mondiali di calcio.

Il paese era praticamente unificato, la RAI aveva fatto ciò che a Cavour non era riuscito (né gli interessava in realtà): creare un insieme di consumatori abbastanza omogeneo.

Nel frattempo il lavorio nascosto dell’Impero continuava. Il ’68 aveva sconvolto molti luoghi comuni. In quel periodo si erano creati degli strati sociali portatori di novità, che non da tutti erano visti favorevolmente.

L'economia italiana era cresciuta rapidamente ed il miglioramento del tenore di vita era percettibile. La mortalità infantile si era fortemente ridotta. La popolazione cresceva e all’interno di essa la classe media si era ampliata. L'analfabetismo era praticamente scomparso.

Con circa un secolo di ritardo rispetto ai tempi ufficiali, l'Italia cominciava ad essere una nazione, con una lingua diffusamente parlata (o almeno capita) dalla Sicilia fino alle Alpi. La Rai TV era riuscita, oltre che a diffondere una lingua nazionale, a creare una certa attenzione verso i simboli nazionali, almeno in occasione di mondiali di calcio, olimpiadi e fenomeni analoghi.

In quegli anni si stava anche formando una crescita culturale, spesso egemonizzata dalla sinistra, con effetti ad essa favorevoli in occasione delle consultazioni elettorali. La continua crescita del Partito Comunista Italiano sicuramente non era vista di buon occhio negli USA, che valutarono il passaggio a forme d'intervento più incisive, rispetto al precedente finanziamento della sinistra non comunista.[10]

Da qui nascevano gli opposti estremismi e la strategia della tensione.

Iniziava così il kolossal degli anni di piombo, quando interi settori della società si muovevano come gruppi di marionette pilotate dai burattinai.

Definirei quegli anni come gli anni del golpe, un colpo di stato progressivo con cui fu tolto agli italiani quel poco di sovranità che avevano.


In un turbinoso spettacolo di massa, un sanguinoso kolossal recitato nelle strade e nei palazzi, si fece in modo che il potere restasse nelle mani di chi non aveva più titolo a detenere quel potere. Il risultato finale di un golpe al rallentatore durato dieci anni, fu che alla fine degli anni ‘70 chi stava al potere riuscì miracolosamente a mantenerlo. [11]

Non necessariamente un golpe deve essere rivoluzionario, anzi di solito è conservatore.

Con tecniche analoghe a quelle di un prestigiatore si può dare la sensazione di un turbine di cambiamenti, mentre in realtà cambia ben poco, anzi il potere vero si rafforza.

Insomma, per la sinistra fu una sconfitta epocale, mentre la DC di Andreotti e Cossiga rimase in piedi.

La fase strategica della tensione “destra contro sinistra” durò per tutti gli anni '70.

Negli anni ’80 però questa strategia era logora, non produceva più effetti.

Probabilmente era la fine degli anni '80 quando i padroni dell'Italia si resero conto che la strategia della tensione, il dividere gli italiani in destra e sinistra, sostenendo tutte e due le parti in modo che si combattessero come i capponi di Renzo, cominciava a fare acqua.

Il divide et impera aveva bisogno di nuove strade. Il tentativo di frammentare gli italiani su basi religiose non poteva funzionare, da millenni il papato unificava il popolo sotto la stessa religione.

L'altra strada era lavorare sulle etnie, ma l'Italia, da secoli paese di bastardi, era un tale miscuglio etnico che identificare razze era impossibile. Si poteva però lavorare sulla divisione nord-sud. Il paese era unificato da qualche decennio, l'operazione della RAI aveva formato un sentimento nazionale diffuso. Ma era qualcosa di recente. Si poteva disfare.

Nell’89 cadeva il Muro di Berlino e dalla caduta del comunismo e dalla frammentazione della Jugoslavia un’Italia unita, baluardo contro il comunismo, non era più necessaria. Il pericolo comunista ad est non c’era più. Adesso l’Impero USA si allargava ad est e l’Italia cuscinetto non serviva più.


L'avvio della dissoluzione dello stato italiano andava fatto a nord, dove c'erano già un certo numero di partitini razzisti e localisti che erano convinti di pagare troppe tasse verso il centro. Andavano aiutati.

Quando il più grosso di questi partiti andò in fallimento per una gestione economica alquanto traballante, arrivarono aiuti a pioggia, praticamente incondizionati. Anche se qualcuno fece capire che gli articoli di Libero contro gli USA dovevano smettere. E così fu.

Come ben spiegava Theodore Shackley nel suo "The third option" (La terza opzione), bisognava però avere due parti in conflitto tra di loro per mantenere il potere e fare business sul conflitto. Il contrasto del nord contro "Roma ladrona" non era sufficiente, bisognava prepararne uno più sostanzioso.

A questo scopo bisognava lavorare anche al sud, per spingere l'orgoglio meridionale contro l'arroganza del nord.


Furono acquisite un certo numero di piccole case editrici, che cominciarono a pubblicare libri di notevole qualità, ma sempre orientate a vedere il nemico nel nord e mai nelle banche, o nel mercato, o in paesi esteri.

E si arriva così ai giorni nostri.

Pian piano si è formata una "coscienza meridionale". E' costata molti soldi ma comincia a produrre effetti.

Siamo quasi pronti per la frammentazione dell'Italia, sullo stile di quanto già fatto in Jugoslavia. Senza nemmeno scomodare la religione.

***

Ma adesso bisogna fare i conti con la nostra storia, la storia d’Italia. In questi giorni, che dovrebbero celebrare i 150 anni di unità nazionale, si susseguono polemiche sulle origini di tale unità, tra i suoi sostenitori, che ne parlano come di un evento storico realizzato da grandi uomini, e tra i suoi detrattori, che evidenziano la ricchezza delle culture preesistenti all'unità e la pochezza dei cosiddetti "eroi".

Nel loro complesso, i discorsi di una parte e dell'altra mi appaiono costituire una trappola, un meccanismo che spinge a scegliere una delle due parti ed a sostenere le sue ragioni, a schierarsi con una fazione invece che a ragionare.

Perché chi si schiera trascura un fatto sostanziale, che circa un secolo dopo le date ufficiali, oltre all'Italia (fittizia) furono fatti gli italiani, sui valori della Costituzione e su quelli del consumismo della RAI (mantenendo sempre sul fondo i valori cattolici, o forse più correttamente la loro variante democristiana). Chi volesse criticare l'Unità d'Italia da qui dovrebbe partire, e non dai vari Garibaldi, Mazzini, Cavour.

Si potrebbe discutere se uno stato nazionale basato su Pippo Baudo e Mike Bongiorno sia qualcosa di tutto sommato apprezzabile o qualcosa da distruggere ad ogni costo. Io sarei per la prima.

Per l'Italia dei Savoia ho più che altro che disprezzo, eppure tocca riconoscere che, anche grazie all’unità politica realizzata dai Savoia, alla fine l’unità della nazione era stata raggiunta.

Però, se insistiamo a discutere tra garibaldini ed antigaribaldini i conti con la nostra storia non li faremo mai e non diventeremo mai un popolo adulto.

Perché, oggi come ieri, qualcuno ha interesse a dividere gli italiani e li vuole frammentare per dominarli, anzi portarli al pascolo come un gregge di pecore.

Oggi probabilmente è peggio, perché la finzione dello Stato italiano non serve più all’Impero.


Truman Burbank (trumanb.blogspot.com/)

Articolo pubblicato sul sito Come Don Chishotte
Link diretto all'articolo:
http://www.comedonchisciotte.org/site/m ... e&sid=7986

21.02.2011

***

NOTE

[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Schema_di_Propp

[2] Dalla voce “Risorgimento”

[3] Qui, come nel seguito, ci sono analogie tra la spedizione dei Mille e la guerra degli USA contro l’Iraq iniziata nel 2003. Il numero di soldati nella fase di repressione è molto vicino.

[4] Fondamentale è di Zitara L'Unità d'Italia: nascita di una colonia, 1971, Jaca Book

[5] http://it.wikipedia.org/wiki/Forte_di_Fenestrelle

[6] Su questo punto mi segnalano “La grande Strategia dell'Impero Romano” di Luttwak, che però non ho letto.

[7] Cfr. "Il proletariato esterno" di Zitara e il film " Trevico-Torino - Viaggio nel Fiat-Nam ".

(8) Ricordare Henri Pirenne per la sua analisi sociologica applicata alla storia (Maometto e Carlo Magno): invece che papi ed imperatori ci sono classi sociali, commerci, monete, cibi quotidiani. La data ufficiale dell’inizio del Medioevo o dell’unificazione d’Italia può essere una convenzione opinabile, ma l’approccio sociale alla storia fa scuola. I cambiamenti epocali nella vita delle persone sono ciò che fa la loro storia, non i potenti seduti su un trono.

[9] Sul contrasto stridente tra la storia ufficiale, la storia dei potenti, e la storia come vita quotidiana delle persone c’è chiaramente anche “La Storia” di Elsa Morante con il suo Useppe.

[10] Vedi Frances Stonor Saunders, La Guerra Fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti, Fazi, Roma, 2004

[11] La chiave di lettura degli anni di piombo è il sequestro Dozier. Qui si vede che le Brigate Rosse erano effettivamente un’organizzazione militare capace di azioni clamorose, ma che tali azioni venivano rapidamente neutralizzate quando non erano funzionali al potere e le coperture all’interno di servizi segreti ed istituzioni saltavano.


http://www.anticorpi.info/2011/02/lunit ... on-la.html



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ITalia come la Jugoslavia. Stato cuscinetto che adesso puo' andare bellamente a farsi benedire.

Incredibile. Ma quasi ci credo. [:(] [:(]



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http://www.laltrosud.it/OriginidellaSec ... fault.aspx


SOTTO LA SUPERFICIE

Alle origini della secessione italiana


di Antonio Gentile

Correva l’anno 1989, poco dopo la caduta del Muro di Berlino, quando il gotha dell’oligarchia mondiale, il “Club degli Eletti”, presieduto da Filippo d’Edimburgo, affidò all’industriale olandese Alfred Heineken un progetto di scomposizione degli Stati nazionali europei. In tale progetto, elaborato in collaborazione con elementi del Sis (servizio segreto britannico), Heineken suddivideva l’Europa in 75 ministati in base a criteri demografici. Paesi come Olanda, Belgio, Italia, Germania, Yugoslavia, Francia, in questo disegno, cessano di esistere. Gli Stati vengono sostituiti da territori con un numero di abitanti varianti dai cinque ai dieci milioni e, l’Italia, viene a sua volta divisa in otto piccoli stati. Questo progetto prevedeva situazioni geopolitiche che puntualmente si sarebbero determinate negli anni successivi. Con la Slovenia integrata nel Noricum ex austriaco - molto simile al progetto in discussione nel 2008 di “Euroregione” tra Carinzia, Friuli, Venezia Giulia e Slovenia. Con Serbia, Croazia, Macedonia, Bosnia Erzegovina indipendenti. Con il Belgio - e siamo a giorni nostri - verso una drammatica secessione, divisa tra Fiandre e Vallonia che si contendono duramente la circoscrizione Bruxelles - Hal-Vilvoorde.

Il Nord Italia, in questo nuovo ordine, avrebbe dovuto far parte del gruppo dei piccoli stati europei dell’Europa centrale e il Sud, senza alternative, spedito verso il terzo mondo africano.

Uno dei massimi fautori della frammentazione dell’Europa in piccole realtà geopolitiche, sotto le spinte secessioniste, fu certamente il nazionalista russo Vladimir Zhirinovskij. Quest’ultimo, come si è potuto appurare dalle indagini della Magistratura e dei Carabinieri, avviò un giro d’affari con il leader nazionalista sloveno Nicholas Oman che incontrava in presenza di altri esponenti del suo partito e della stessa Duma.
Oman, tra l’altro, come ci rivelarono gli accertamenti della Digos di Arezzo, è stato un frequentatore di Villa Vanda, nota residenza di Licio Gelli, capo della Loggia P2.
Tra i maggiori sponsorizzatori di Zhirinovskij e del suo progetto ritroviamo il colonnello Gheddafi. Secondo gli investigatori ci fu, probabilmente, un enorme transito di valuta libica per sostenere l’attività destabilizzatrice in Europa. Gheddafi avrebbe concesso sostegno ”a gruppi (politici) a carattere secessionista e indipendentista che operavano nel nostro Paese”.
Dalle indagini della Procura di Torre Annunziata sono emersi “numerosi riscontri che legavano alcune parti del movimento di Bossi proprio con i nazionalisti sloveni“, legati a quelli russi e finanziati coi “dinari” libici. Sempre secondo i Carabinieri l’uomo cerniera tra Lega Nord, Zhirinovskij, Oman, Gheddafi, sarebbe stato l’ex colonnello del KGB Alexander Kuzin.
Dunque, i nazionalisti sloveni sono stati indicati tra i principali sostenitori dei movimenti indipendentisti del Nord-Est italiano, creando rapporti privilegiati con esponenti politici confluiti poi nella Lega di Bossi e, secondo Francesco Elmo, molti elementi dimostrerebbero l’esistenza di finanziamenti di Slovenia e Croazia ai movimenti più irriducibili.

Intanto, nei primi anni ‘90, i progenitori del “cosiddetto “partito del Sud Italia“, muovevano i primi passi. In Sicilia e nel Mezzogiorno nascevano una molteplicità di “leghe” e “leghine” tutte ispirate alla Lega bossiana.
Si chiamavano “Sicilia libera”, “Calabria libera” e così via. Il loro obiettivo era l’indipendenza e la secessione dal resto dell’Italia. Secondo un’indagine della Procura di Palermo, guidata all’epoca da Giancarlo Caselli, dietro questi movimenti politici vi erano mafia e ‘ndrangheta, P2 e neofascismo.
Tra il 1991 e1992, alla vigilia delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, Totò Riina decise di mettersi in proprio e di scendere in politica, mentre contemporaneamente Licio Gelli (dichiarazioni del cg Marino Pulito) chiedeva il suo appoggio per un progetto consimile: la creazione di un partito denominato “Lega Meridionale” da contrapporre alla Lega Nord.
Secondo Leonardo Messina ci furono diversi incontri di capi mafiosi per realizzare ”un progetto politico finalizzato alla creazione di uno stato indipendente del Sud, all’interno di una separazione dell’Italia in tre stati… In tal modo Cosa Nostra si sarebbe fatta stato. Il progetto era stato concepito dalla massoneria”.
Messina parla anche di una “Lega Sud” che doveva essere la risposta alla Lega Nord, specificando anche che “il vero artefice era Gianfranco Miglio” dietro il quale vi erano Gelli e Andreotti”. Lo stesso Miglio ammise, poi, l’incontro con Andreotti.
L’inchiesta rivela anche che questi movimenti sudisti “stabilirono rapporti con la Lega Nord” favoriti dal fatto che, soprattutto alle origini, vi erano importanti personaggi “legati alla massoneria” nel partito di Bossi. In quel periodo ci fu un proliferare di leghe meridionali, sponsorizzate da Gelli, dall’ex esponente di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie, con “l’appoggio fornito da Umberto Bossi alle loro iniziative anche con la diretta partecipazione ad alcune manifestazioni…”.

La Lega Nord nasceva nel novembre 1989 federando i movimenti leghisti, tutti costituiti successivamente alla Lega Lombarda di Bossi (1983) con l’eccezione della Liga Veneta (1980). Oltre alla formazione lombarda aderiranno altri movimenti: Piemont Autonomista, Union Ligure, Liga Veneta, Lega Trieste, Lega Friuli, Lega Emiliano-Romagnola, Alleanza Toscana. Quest’ultima, che diventa poi Lega Toscana, era un movimento legato al mondo massonico e “contaminato” da soggetti appartenenti alla destra eversiva. Anche nella Liga Veneta era consistente la componente legata all’eversione nera che penetrerà anche nell’esperienza delle leghe meridionali. In particolare, tra i personaggi più rappresentativi, ricordiamo Franco Rocchetta, Stefano Meningacci - legale di Stefano Delle Chiaie - e vero tramite tra il movimento veneto e il leghismo centro-meridionale.
Nel 1992 si determina un’importante trasformazione della strategia leghista grazie al contributo di Gianfranco Miglio che diviene l’ideologo della Lega.
Il Professore considera non più adeguato il neoregionalismo, perché il contesto regionale è troppo ristretto e non ha potere contrattuale accettabile nel conflitto con lo Stato. E così le leghe regionali confluiscono nella Lega Nord e si comincia ad ipotizzare uno Stato federale articolato in macro-regioni: Nord, Centro, Sud. Si propone una vera e propria secessione con “la Repubblica del Nord, l’unico rimedio per tagliare il nodo della partitocrazia centralista, corrotta e mafiosa”. Dice Miglio: “io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cosa è la mafia? Potere spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”.
Nell’Aprile del 1990, per iniziativa di Cesare Costa, iniziava l’attività della Lega Centro e della Lega Sud cui facevano riferimento numerose leghe regionali.
Dunque, il progetto politico della Lega Nord, Gelli (P2), Delle Chiaie (estremismo nero), era quello di riprodurre nel Meridione lo stesso processo di formazione della Lega.
“La Lega delle Leghe del gruppo gelliano non si presentava come movimento antagonista alla Lega di Bossi ma ne condivideva il programma e l’ideologia, presentandosi come l’attore politico in grado di pilotare al Sud il programma di divisione dell’Italia in macroregioni”. Il progetto finale era, quindi, quello di creare entità separate con ordinamenti di stati autonomi in una Italia federata, attratta al Nord sotto l’influenza dell’Europa del Nord e al Sud sotto l’influenza dei paesi del Nord Africa (Libia).
Tale progetto faceva e fa, tuttora, gola alle organizzazioni criminali. La frammentazione del Paese in stati federali avrebbe consegnato il Sud all’egemonia del “sistema criminale”, e ciò anche grazie “alla regionalizzazione del voto e all’introduzione del sistema uninominale che esaltavano le potenzialità di condizionamento delle votazioni da parte delle lobbies criminali“. Grazie, poi, al cg Tullio Cannella è stato possibile ricostruire la genesi del movimento “Sicilia Libera” che sarebbe nata per iniziativa di Leoluca Bagarella con lo scopo di fondare un soggetto politico nuovo, controllato direttamente da Cosa Nostra e inserito in un progetto più ampio che collegava il movimento siciliano con altre formazioni autonomiste-secessioniste meridionali. Il fine era la separazione della Sicilia dal resto d’Italia al fine di tutelare meglio gli interessi dell’Organizzazione “pervenire alla realizzazione di piccoli stati, dotati di autonomia, riuniti in uno stato federale…”.

La Democrazia Cristiana dopo il crollo del Comunismo aveva voltato le spalle alla Mafia, la quale aveva, a quel punto, scelto la via binaria dell’attacco militare (con le stragi) e la contemporanea formazione di leghe del Sud. L’obbiettivo era la conquista dello Stato. “Un meccanismo non molto diverso dalle istanze separatiste avanzate dall’Eta nei Paesi Baschi e dall’Ira nell’Irlanda del Nord, anche se con ideali molto diversi dai loro“. Secondo le inchieste, già alla fine degli anni ‘80, questa convergenza di poteri forti - cupola dei Corleonesi, Massoneria e intelligence deviata, poteri internazionali, estremismo nero - avevano ideato un piano di ricostruzione dell’Italia, dopo il crollo dei vecchi partiti, divisa in federazioni regionali e che avrebbe dovuto consegnare il Mezzogiorno nelle mani dell’Antistato, ormai diventato “Sistema” e inserito in un contesto apparentemente democratico. Un progetto politico in cui, come sempre, Cosa Nostra rimane nell’ombra. Saranno infatti Bossi con la Lega Nord, Berlusconi con il suo piano politico piduista e i poteri economici, a liquidare lo stato.

Per quanto detto finora, appare evidente perché il progetto secessionista della Lega Nord, incredibilmente, non ha trovato ostacoli. Il tutto è avvenuto con la complicità dei partiti di governo e d’opposizione - persino il PD propone una sua propria versione nordista e federata, così come è avvenuto in Belgio -, con la scarsa attenzione dei media, con il silenzio dei sindacati, con l’appoggio dei poteri economici ed imprenditoriali, con settori del mondo cattolico, con la regia di forze internazionali. E, purtroppo, anche con il fiancheggiamento di formazioni politiche d’ispirazione meridionalista. “Fai arrabbiare i Meridionali - dicono i leghisti - e questi faranno il nostro gioco”. Il “federalismo fiscale padano“, poi, segnerà inesorabilmente la fine dell’esperienza unitaria nazionale.
Molti degli attori principali di quella drammatica stagione stragista ed eversiva , sono ancora presenti e si accingono a terminare la loro missione. Un “golpe”, quello degli anni’90, che ha fatto tremare le strutture “sensibili” dello Stato e che si è potuto dilatare nel tempo, fino ai giorni nostri, soltanto grazie alla discesa in campo di una “nascente forza politica” che recepiva in tempi brevi quelle istanze “particolari”.
Una lunga stria di sangue, di morti ammazzati e suicidati, di minacce, di depistaggi, di omissioni ha contrassegnato l’evolversi di questa strategia sovvertitrice.

E in tutta questa convergenza di interessi sotterranei il Sud paga un prezzo pesantissimo. Espulso progressivamente dall’ Italia che conta e da quella “kerneuropa” sempre più evidente, il Mezzogiorno italiano precipita irreversibilmente nella “ghettizzazione terzomondista”, governato sempre più da processi di “privatizzazione territoriale” e condannato all’anarchia della “sopravvivenza quotidiana”.
Menti sottili, forze superiori, hanno guidato questo processo di ridefinizione territoriale nel quale la Lega di Bossi è solo uno strumento rozzo e dirompente. Una attenta ed occulta regia, che trova la sua sede ideale nei Paesi di riferimento degli “Illuminati”, guida la metamorfosi politico-istituzionale

Per i tanti amici, movimenti politici, associazioni culturali meridionaliste, dunque, un momento di riflessione. Rivendicare l’indipendenza, la secessione vista da Sud, l’orgoglio autonomista, il distacco dalle altre comunità, senza avere in tempi brevi piena autonomia economica, libertà d’azione dalle organizzazioni criminali, una nuova e credibile classe politica, fa solo il gioco di quelle forze oscure che abbiamo citato sinora, e che hanno tutto l’interesse che il Sud sia abbandonato al proprio destino.
Il Mezzogiorno ha bisogno di una moderna forza politica e culturale che lo rappresenti con dignità e competenza nelle istituzioni nazionali e internazionali, tutelando con determinazione i propri interessi di comunità e rimanendo saldamente ancorato all’Europa. A tal proposito, ricordiamo l’inquietante articolo “Redrawing the map” comparso sul britannico “The Economist”, che, in un riassetto della carta geografica europea, prefigura per il Meridione d’Italia, separato dal resto d’Europa, un stato chiamato “Bordello”, sinonimo di “casino”, in inglese racket. Cioè mafia.
Certamente i Meridionali non devono cadere nella trappola della “secessione condivisa”, della “contrapposizione decostruttiva”, dell’incomprensione reciproca. Bisogna mantenere i nervi saldi e respingere ogni strategia d’isolamento. Soprattutto, i partiti del Sud non devono lasciarsi strumentalizzare da persone e forze legate ad interessi esterni, che si sono infiltrate in queste realtà politiche con lo scopo di portare il Mezzogiorno fuori dall’Europa e verso il baratro economico-sociale, favorendo un nuovo ordine territoriale.

http://www.laltrosud.it/OriginidellaSec ... fault.aspx



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MessaggioInviato: 25/02/2011, 10:05 
Dieci milioni per insegnare federalismo
pubblicata da INFORMAZIONE LIBERA il giorno venerdì 25 febbraio 2011 alle ore 9.30

I soldi agli atenei (uno del Nord e uno del Sud) saranno assegnati dal Ministero senza una gara pubblica



Riforme e costi Fondi per formare i dirigenti degli enti locali in due università



ROMA - Ai disfattisti accaniti contro la riforma dell’università di Mariastella Gelmini dev’essere sfuggito. E come a loro, dev’essere sfuggito anche a chi si lamenta che il federalismo fiscale rischia di essere un guazzabuglio difficile da capire per gli stessi amministratori locali. Ebbene, mentre la Cgil denunciava che le università italiane si vedranno ridurre quest’anno i fondi statali di 839 milioni e i poveri ricercatori restavano quasi all’asciutto, proprio nella riforma Gelmini è spuntato un finanziamento nuovo di zecca: due milioni l’anno per cinque anni. Totale, dieci milioni. Da destinare a uno scopo decisamente particolare: spiegare ai dirigenti degli enti locali i segreti del nostro futuro federalista. Ci credereste?



Quei soldi, c’è scritto nell’articolo 28, servono al ministro per «concedere contributi per il finanziamento di iniziative di studio, ricerca e formazione sviluppate da università » in collaborazione «con le regioni e gli enti locali». Tutto ciò in vista «delle nuove responsabilità connesse all’applicazione del federalismo fiscale». Atenei, beninteso, non soltanto pubblici: potranno avere i quattrini pure quelli privati, nonché «fondazioni tra università ed enti locali anche appositamente costituite». E qui viene il bello. Perché dopo aver stabilito questo principio, la legge dice che non ci potranno essere più di due beneficiari, uno dei quali «avente sede nelle aree dell’obiettivo uno». Cioè nelle regioni meridionali ancora considerate sottosviluppate dall’Unione europea. Insomma, una norma fatta apposta per distribuire un po’ di soldi a una università del Nord e a uno del Sud. Le loro identità? La riforma Gelmini dice che a individuarle ci penserà il ministero. Quanto al modo che verrà seguito, è del tutto misterioso. L’articolo che istituisce il fondo prevede che «con decreto del ministero, da emanarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge », cioè prima del 29 maggio prossimo, «sono stabiliti i criteri e le modalità di attuazione delle presenti disposizioni». Aggiungendo però che sempre con il medesimo decreto «sono altresì individuati i soggetti destinatari». Perciò, se abbiamo capito bene, il 29 maggio sapremo quali saranno i due soggetti pubblici o privati scelti da Mariastella Gelmini, e perché. Senza una gara, né un concorso pubblico. Fatto piuttosto singolare, visto che al Fondo per la formazione e l’aggiornamento della dirigenza» possono accedere anche istituzioni private. A meno che, circostanza assai probabile, non si sappia già a chi devono andare i soldi.

Perché poi le università prescelte devono essere proprio due, di cui una al Sud? Forse che per un amministratore di Agrigento è più facile raggiungere, poniamo, Bari, anziché Roma? E per un sindaco friulano è più agevole recarsi in una città del Nord, come magari Torino, invece che nella capitale? Dove peraltro lo Stato già possiede proprie strutture create appositamente (e appositamente finanziate) per formare gli amministratori? Non esiste forse una meravigliosa scuola superiore di pubblica amministrazione, che peraltro ha sedi anche a Caserta, Acireale, Reggio Calabria e Bologna? E non disponiamo perfino di una magnifica scuola superiore di economia e finanza, la ex Ezio Vanoni, in teoria la struttura più idonea per dare lezioni di federalismo fiscale? Perché chi deve istruire gli amministratori locali su quella riforma, se non chi l’ha fatta? La verità è che questa storia emana un odore molto simile a quello della vecchia vicenda della Scuola superiore della magistratura, che Roberto Castelli aveva dislocato, oltre che a Bergamo e Latina, pure a Catanzaro: sede che il successore del ministro leghista, Clemente Mastella aveva poi dirottato nella sua Benevento. Odore, dunque, decisamente politico. Anche bipartisan, come vedremo.

Imperscrutabile, infine, è il legame fra il ministero dell’Università e il federalismo fiscale. A meno che la riforma Gelmini non sia stata soltanto un pretesto. Lo ha sospettato, senza peli sulla lingua, Pierfelice Zazzera. Quando il 23 novembre del 2010 l’emendamento istitutivo di questo fondo per la formazione, recapitato all’improvviso in aula dalla commissione Cultura della Camera presieduta dall’azzurra Valentina Aprea, è stato messo ai voti, il deputato dipietrista ha fatto mettere a verbale: «In un momento in cui non si trova la copertura dei soldi previsti per i ricercatori, si trovano comunque due milioni per fare corsi sul federalismo fiscale. Mi sa tanto di lottizzazione politica dei finanziamenti o di qualche marchetta ». Sfogo inutile. L’articolo che fa spendere dieci milioni per questa curiosa iniziativa è passato con una maggioranza schiacciante grazie anche ai voti del Partito democratico, che pure ha bombardato la riforma Gelmini. È successo pochi giorni prima della clamorosa bocciatura rifilata invece all’emendamento presentato da Bruno Tabacci e Marco Calgaro che puntava a dirottare appena 20 milioni di euro dai lauti rimborsi elettorali destinati alle casse dei partiti alle buste paga dei ricercatori universitari. Anche in questo caso, con un aiutino dal centrosinistra.



Sergio Rizzo





http://www.corriere.it/politica/11_febb ... 003f.shtml



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MessaggioInviato: 02/03/2011, 12:24 
Governo blinda federalismo con fiducia, ira opposizioni
''Meglio non fidarsi'', ammette il senatur Umberto Bossi

02 marzo, 10:35

CALDEROLI, NESSUNA NUOVA TASSA CON DECRETO COMUNI - "Nessuna ulteriore imposizione viene introdotta per effetto del decreto" sul federalismo comunale. Lo ha detto il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli parlando in Aula alla Camera. Calderoli ha sottolineato come, invece, la riforma "riduce le imposte" e ha citato in questo senso l'esempio della cedolare secca sugli affitti con aliquote più basse (19 e 21%) rispetto a quella attuale relativa agli scaglioni Irpef. "Il federalismo è fatto per unire, non per dividere"., ha ribadito il ministro della Semplificazione.

Continua>>>
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 32302.html



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MessaggioInviato: 04/03/2011, 21:00 
Federalismo municipale, commercianti e artigiani lo bocciano: «Per noi più tasse»
http://corrieredelveneto.corriere.it/

Cauti anche gli industriali. Categorie in rivolta contro la tassa di soggiorno e l’Imu: per ogni immobile si pagheranno in media 108 euro in più.


VENEZIA — Il federalismo municipale non piace alle imprese del Veneto. Il che, c’è da credere, non farà felice la Lega Nord, che sulla riforma ha il copyright e proprio qui, tra le partite Iva, vanta la sua roccaforte. Tant’è, all’indomani del voto alla Camera, dai commercianti agli artigiani, passando per gli albergatori, è tutto un lamentarsi per le nuove tasse che, si teme, potrebbero frenare la già lenta ripartenza della locomotiva Nord Est. Con l’unica eccezione degli industriali, guardinghi ma non ancora del tutto demoralizzati.
Picchia duro Massimo Zanon, presidente di Confcommercio: «L’effetto immediato del federalismo municipale sarà solo l’introduzione di nuove tasse, che per i nostri settori si tradurrà nell’aumento dell’imposta legata all’Imu e nella reintroduzione della tassa di soggiorno. Del federalismo abbiamo bisogno tutti ma con il federalismo questo provvedimento, per ora, c’entra ben poco. Non vedo tagli significativi agli sprechi, mentre chi paga le tasse ne pagherà ancora di più. Non siamo più le galline dalle uova d’oro». Stando alle stime della Confcommercio, il passaggio dall’Ici all’Imu (fissata all’aliquota base del 7,6 per mille) comporterà una spesa maggiore per le imprese pari a 812 milioni di euro, con un aumento medio in Veneto del 16,6% (Ufficio studi Cgia), pari a 108 euro di media per ciascuna unità immobiliare. Per il presidente di Confartigianato Veneto, Claudio Miotto, «questo decreto non è un inno alla responsabilità e al momento si vedono più svantaggi che vantaggi, visto che i Comuni vedono aumentare i costi e ridurre le entrate» mentre il suo luogotenente a Treviso, Mario Pozza, affonda la lama: «E’ l’ennesimo macigno sulla testa di chi tenta di agguantare la ripresa che ancora non c’è, ancor più inaccettabile alla luce dei tagli fatti dalla Regione. Lo scenario internazionale sta precipitando, con conseguenze che si annunciano gravi, se non lo sono già come nel caso del prezzo del petrolio, mentre la politica nazionale è in empasse, con un governo debole ed una debole opposizione».
La galassia dell’artigianato è quella più critica nei confronti della riforma (per Oreste Parisato, leader Cna, si tratta di «un provvedimento con molte ombre, perché dal federalismo ci aspettavamo più equilibrio nel rapporto tra gettito erariale e spesa pubblica, di certo non che aumentasse ulteriormente la pressione fiscale») ma anche nel mondo del turismo non si sta facendo festa. E sul banco degli imputati, dopo l’Imu, sale la tassa di soggiorno: «I nostri alberghi praticheranno l’esercizio del culto - ironizza il presidente di Confturismo, Marco Michielli - D’altronde nella camera d’albergo o in roulotte ciascuno può pregare il dio in cui crede e non si capisce perché solo le strutture extralberghiere e le foresterie legate alle organizzazioni di culto che svolgono attività ricettiva a tutti gli effetti vengano esentate da un’imposta che torna a gravare sulle attività laiche, con effetti devastanti sulle famiglie in vacanza in Italia oltre che sull’immagine del nostro Paese all’estero. E’ un federalismo irriconoscibile rispetto ai (buoni) propositi iniziali, non trovo la corrispondenza tra le promesse e fatti».
Meno drastica Confindustria, che con il leader dei «piccoli» Luca Cielo invita ad aspettare prima di pronunciare sentenze inappellabili: «Il federalismo municipale è un capitolo con contenuti ancora da decifrare compiutamente nelle conseguenze e tuttavia rappresenta un tassello di un disegno più ampio, che nel suo complesso potrà essere positivo. Il Paese ha bisogno di competitività e di liberare risorse economiche e sociali e un’organizzazione federale può essere uno strumento positivo per esprimere la vitalità presente nei territori e nei sistemi economici regionali. Purché non si dia lettura arretrata che ci porterebbe ad un’organizzazione fondata su Comuni, Province, Regioni, Stato senza gerarchia e baricentro decisionale ».



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Cita:
Blissenobiarella ha scritto:

Federalismo municipale, commercianti e artigiani lo bocciano: «Per noi più tasse»
http://corrieredelveneto.corriere.it/

Cauti anche gli industriali. Categorie in rivolta contro la tassa di soggiorno e l’Imu: per ogni immobile si pagheranno in media 108 euro in più.


VENEZIA — Il federalismo municipale non piace alle imprese del Veneto. Il che, c’è da credere, non farà felice la Lega Nord, che sulla riforma ha il copyright e proprio qui, tra le partite Iva, vanta la sua roccaforte. Tant’è, all’indomani del voto alla Camera, dai commercianti agli artigiani, passando per gli albergatori, è tutto un lamentarsi per le nuove tasse che, si teme, potrebbero frenare la già lenta ripartenza della locomotiva Nord Est. Con l’unica eccezione degli industriali, guardinghi ma non ancora del tutto demoralizzati.
Picchia duro Massimo Zanon, presidente di Confcommercio: «L’effetto immediato del federalismo municipale sarà solo l’introduzione di nuove tasse, che per i nostri settori si tradurrà nell’aumento dell’imposta legata all’Imu e nella reintroduzione della tassa di soggiorno. Del federalismo abbiamo bisogno tutti ma con il federalismo questo provvedimento, per ora, c’entra ben poco. Non vedo tagli significativi agli sprechi, mentre chi paga le tasse ne pagherà ancora di più. Non siamo più le galline dalle uova d’oro». Stando alle stime della Confcommercio, il passaggio dall’Ici all’Imu (fissata all’aliquota base del 7,6 per mille) comporterà una spesa maggiore per le imprese pari a 812 milioni di euro, con un aumento medio in Veneto del 16,6% (Ufficio studi Cgia), pari a 108 euro di media per ciascuna unità immobiliare. Per il presidente di Confartigianato Veneto, Claudio Miotto, «questo decreto non è un inno alla responsabilità e al momento si vedono più svantaggi che vantaggi, visto che i Comuni vedono aumentare i costi e ridurre le entrate» mentre il suo luogotenente a Treviso, Mario Pozza, affonda la lama: «E’ l’ennesimo macigno sulla testa di chi tenta di agguantare la ripresa che ancora non c’è, ancor più inaccettabile alla luce dei tagli fatti dalla Regione. Lo scenario internazionale sta precipitando, con conseguenze che si annunciano gravi, se non lo sono già come nel caso del prezzo del petrolio, mentre la politica nazionale è in empasse, con un governo debole ed una debole opposizione».
La galassia dell’artigianato è quella più critica nei confronti della riforma (per Oreste Parisato, leader Cna, si tratta di «un provvedimento con molte ombre, perché dal federalismo ci aspettavamo più equilibrio nel rapporto tra gettito erariale e spesa pubblica, di certo non che aumentasse ulteriormente la pressione fiscale») ma anche nel mondo del turismo non si sta facendo festa. E sul banco degli imputati, dopo l’Imu, sale la tassa di soggiorno: «I nostri alberghi praticheranno l’esercizio del culto - ironizza il presidente di Confturismo, Marco Michielli - D’altronde nella camera d’albergo o in roulotte ciascuno può pregare il dio in cui crede e non si capisce perché solo le strutture extralberghiere e le foresterie legate alle organizzazioni di culto che svolgono attività ricettiva a tutti gli effetti vengano esentate da un’imposta che torna a gravare sulle attività laiche, con effetti devastanti sulle famiglie in vacanza in Italia oltre che sull’immagine del nostro Paese all’estero. E’ un federalismo irriconoscibile rispetto ai (buoni) propositi iniziali, non trovo la corrispondenza tra le promesse e fatti».
Meno drastica Confindustria, che con il leader dei «piccoli» Luca Cielo invita ad aspettare prima di pronunciare sentenze inappellabili: «Il federalismo municipale è un capitolo con contenuti ancora da decifrare compiutamente nelle conseguenze e tuttavia rappresenta un tassello di un disegno più ampio, che nel suo complesso potrà essere positivo. Il Paese ha bisogno di competitività e di liberare risorse economiche e sociali e un’organizzazione federale può essere uno strumento positivo per esprimere la vitalità presente nei territori e nei sistemi economici regionali. Purché non si dia lettura arretrata che ci porterebbe ad un’organizzazione fondata su Comuni, Province, Regioni, Stato senza gerarchia e baricentro decisionale ».


Come già detto e ribadito in più occasioni, il momento più sbagliato per proporre/imporre il Federalismo...... è proprio questo. All'apice della crisi [xx(]



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MessaggioInviato: 09/03/2011, 09:15 
Allora, mi giungono proprio in questi giorni alcune notizie interessanti e che riguardano alcuni comuni bresciani, tutti a guida pdl-lega.

Come sapete la corsa della "riforma federalista" vogle al termine. Per la verità, non si è ancora del tutto conclusa ma alcuni effetti curiosi li sta già dispiegando. Soprattutto in tema di addizionale IRPEF. Beh, in questi tre comunelli, i componenti delle rispettive giunte si stanno scannando sul dilema se inserire (aumentare per chi l'ha già) l'addizionale IRPEF oppure no.

Lol ... la situazione è identica in tutte e tre le municipalità: gli assessori in forza pdl insistono per farlo giacché, in caso contrario, NON RIESCONO A CHIUDERE I BILANCI, mentre gli assessori leghisti non ci pensano proprio a sputtanarsi con il loro elettorato (ma questo, ovviamente, comporta il rischio del commissariamento ... in alternativa la soppressione dei servizi erogati).

Insomma, se non viene prima la fine del mondo, ci sarà comunque da morire ... dal ridere [:o)]


Ultima modifica di eSQueL il 09/03/2011, 09:27, modificato 1 volta in totale.


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http://affaritaliani.libero.it/politica ... 80311.html
Questa è forte!,una guerra di Seccessione!.


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MessaggioInviato: 09/03/2011, 13:59 
Grazie all'unità d'Italia e a una secolare classe politica di matrice meridionale ecco il grande contributo del meridione al nord.[:o)]

Dna: "Enorme potere della ndrangheta. ha colonizzato tutta la Lombardia"
http://www.libero-news.it/news/686339/Dna___Enorme_potere_della__ndrangheta__ha_colonizzato_tutta_la_Lombardia_.html



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«Way hay and up she rises, Way hay and up she rises, Way hay and up she rises, Early in the morning!»
© Anonymous/The Irish Rovers
http://tuttiicriminidegliimmigrati.com/
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Galattico
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MessaggioInviato: 09/03/2011, 14:05 
Cita:
rmnd ha scritto:

Grazie all'unità d'Italia e a una secolare classe politica di matrice meridionale ecco il grande contributo del meridione al nord. [:o)]

Dna: "Enorme potere della ndrangheta. ha colonizzato tutta la Lombardia"
http://www.libero-news.it/news/686339/Dna___Enorme_potere_della__ndrangheta__ha_colonizzato_tutta_la_Lombardia_.html




Scusa ma.... quelli del nord, tanto gajardi, astuti ed intelligenti,
si sono fatti coglionare in codesto modo? Incredibile..... [:o)]

Ma come mai, quando Saviano ha detto quel che ha detto,
tutti i settentrinali si sono risentiti, come se avesse detto
una bestialità? Non trovi strana anche questa ennesima
incongruenza [;)]



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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Rettiloide
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MessaggioInviato: 09/03/2011, 14:14 
Cita:
Thethirdeye ha scritto:

Cita:
rmnd ha scritto:

Grazie all'unità d'Italia e a una secolare classe politica di matrice meridionale ecco il grande contributo del meridione al nord. [:o)]

Dna: "Enorme potere della ndrangheta. ha colonizzato tutta la Lombardia"
http://www.libero-news.it/news/686339/Dna___Enorme_potere_della__ndrangheta__ha_colonizzato_tutta_la_Lombardia_.html




Scusa ma.... quelli del nord, tanto gajardi, astuti ed intelligenti,
si sono fatti coglionare in codesto modo? Incredibile..... [:o)]

Ma come mai, quando Saviano ha detto quel che ha detto,
tutti i settentrinali si sono risentiti, come se avesse detto
una bestialità? Non trovi strana anche questa ennesima
incongruenza [;)]


No, è che non se ne sono accorti ... occupati com'erano a progettare il federalismo! Anche tu, TTE, insomma!!



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Cita:
rmnd ha scritto:

Grazie all'unità d'Italia e a una secolare classe politica di matrice meridionale ecco il grande contributo del meridione al nord. [:o)]


Eh? Ma se ha suonato e cantato sempre e soltanto la classe settentrionale.. [:D]
Gli unici a cui puoi dare la colpa sono i tuoi antenati.



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