Gheddafi ha iniziato, ma la Francia ...
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Sarkò conquista il Mediterraneo.

La Libia è per la Francia il teatro ideale per testare la propria strategia di espansione. Rimasta spiazzata dalle rivolte "morbide" in Egitto e Tunisia ora Parigi tenta di soppiantarci come partner energetico e commerciale.
DIARIO DELLA CRISI La No fly zone parte da Parigi
di FABRIZIO DELL'OREFICE
Attacco in Libia, bombardamenti a Tripoli Se i simboli hanno un senso, e certamente l’hanno avuto nel summit in stile Yalta convocato ieri da Nicolas Sarkozy all’immediata vigilia dell’intervento militare sulla Libia, non sarà sfuggito il rituale con il quale il presidente francese ha accolto i suoi invitati. Direttamente allo sportello dell’auto per David Cameron e Hillary Clinton in cima alla scalinata per tutti gli altri, Silvio Berlusconi compreso. Esattamente come nella storica foto di Yalta quando Churchill, Roosevelt e Stalin si spartirono l'Europa e il mondo a tre mesi dalla resa della Germania ed a sette da quella del Giappone, l'Eliseo immagina per sé un ruolo da dominus politico, economico e di mercato in un'area che va dal Nord Africa al Medio Oriente, Golfo Persico escluso. In pratica tutto il Mediterraneo. Favorito in questo dall'assenza geostrategica degli Stati Uniti di Barack Obama, che hanno come priorità il Pacifico e l'Asia dalla Cina all'India al Golfo, e con l'Inghilterra iperfinanziarizzata, indebitata e ormai priva di una rilevante industria nazionale. Oltre che dalle molte, moltissime occasioni sprecate dell'Italia. A cominciare proprio dalla Libia. La Francia post-gollista di Sarkò non esita a rinnegare le ortodosse difese del formalismo pacifista e della legalità internazionale della Francia egualmente post-gollista di Chirac, quando alla Casa Bianca c'era George Bush e a Downing Street Tony Blair. Anche allora si trattava di formare contro l'Iraq una coalition of willing, ma alle Nazioni Unite il ministro degli Esteri de Villepin si incaponì in un testa a testa su quale democrazia avesse più titoli e blasone, se quelle anglosassoni o quella francese. Oggi l'Eliseo fa altri calcoli e si muove in maniera libera e spregiudicata, partendo dall'assunto che al colonialismo delle cannoniere e della baionette si è sostituito quello dei caccia Rafale, e che più che gli stati si conquistano i mercati e le aziende strategiche.
E certamente il Maghreb, con i suoi 170 milioni di abitanti, un'età media di meno di 25 anni, la pressione per accedere ad internet e agli altri consumi di massa dell'Occidente, è uno dei mercati più promettenti del mondo. Altro handicap dell'Italia averlo capito solo con grave ritardo. E dire che Parigi era rimasta spiazzata dalle rivolte «morbide» in Egitto e Tunisia, che pure è una specie di sua dependance anche per le connection politiche, molto più opache di quelle che esistevano tra Roma e Tripoli. E plausibilmente ha temuto che il contagio si estendesse all'Algeria, dove la Francia ha la forza della lingua e degli interessi, ma forse non quella dell'autorità morale. La Libia si presentava dunque a Sarkozy come il teatro ideale per testare la propria strategia di espansione su tre fronti: la politica, l'economia e quindi i mercati, e l'energia. E di farlo a danno dell'Italia, il vicino debole, con il quale è in eterna concorrenza per le commesse militari (ultimo esempio, la vendita di fregate proprio al Raìs). Se avrà successo come guida della coalizione, Parigi non solo potrà ambire a rimpiazzarci come primo partner energetico e commerciale nel dopo-Gheddafi, ma anche a proporsi come riferimento per l'intera fascia maghrebina. Che dovrà essere innanzi tutto riarmata, dotata di infrastrutture e rifornita di tecnologie e prodotti di largo consumo. È una strategia di conquista diversa nelle modalità ma non negli obiettivi da quella di cui il nostro sistema economico sta facendo le spese direttamente qui in casa. Lo stop posto da Giulio Tremonti alla scalata della Lactalis alla Parmalat, un'azienda ripulita dai debiti dopo un salvataggio che è costato miliardi a risparmiatori e contribuenti italiani, è solo l'ultimo argine ed il primo, forse tardivo, intervento del governo. «Mi sto documentando, stiamo facendo shopping giuridico» ha spiegato il ministro dell'Economia «ho trovato un'interessante legge anti-opa del Canada». Intanto però lo shopping lo fanno i francesi. Pochi giorni fa si è arrivati ad un soffio dalla conquista di Edison da parte di EdF, mentre Bulgari è stata appena presa da Lvhm e Gucci è da tempo nelle mani di Pinault-Printemps-Redoute. Ma l'elenco è lunghissimo: si va dalle attenzioni di Groupama per la Premafin della famiglia Ligresti a quelle di Bolloré per le Generali. Senonché Groupama e Vincent Bolloré sono alleati ed entrambi a loro volta azionisti di Mediobanca, cioè del nocciolo radioattivo delle centrali finanziarie italiane.
La lista prosegue con l'alleanza tra EdF ed Enel nell'energia, nucleare e non, e con quella tra Areva e Ansaldo negli impianti; e tuttavia EdF come abbiamo visto non esita a tentare anche la conquista di Edison, mentre da tempo ha chiesto (e ottenuto) che l'Eni gli facesse spazio anche nel gasdotto South Stream. Nel campo energetico la strategia del colosso pubblico francese è dichiarata: coprire tutte le fonti, dal petrolio al nucleare al gas, e fare dell'Italia l' hub sul fronte sud, il proprio trampolino mediterraneo. Ma anche Gaz de France-Suez, la concorrente di EdF, non molla per ora l'Acea nonostante gli impegni a farlo. Altrettanto esplicita l'attenzione per l'Alitalia da parte di Air France-Klm. La nostra azienda doveva diventare francese a titolo semigratuito nel 2008: come disse l'allora ministro Padoa-Schioppa «non c'è un minuto da perdere, è l'unico pronto soccorso che abbiamo trovato aperto». Eppure nonostante l'intervento della cordata Colaninno voluta dal Cavaliere, Air France si è poi accomodata in corridoio con la sua quota del 25 per cento, ad attendere il paziente, possibilmente risanato sempre con denaro pubblico. È una partita entrata nella fase acuta da dieci anni, nella quale i francesi prevalgono grazie alle debolezze, alla litigiosità e spesso alle piccinerie del sistema finanziario italiano. Ma è anche una partita truccata dalle leggi protezioniste attuate dai governi di Parigi, tra cui spicca il decreto Villepin del 2005 che individua una serie di aziende strategiche dove ogni eventuale acquisizione straniera è soggetta all'ok governativo. E questo in barba alle norme comunitarie sulla concorrenza: d'altra parte è sempre derogando alle regole sugli aiuti pubblici che lo Stato francese ha aumentato fino a 660 miliardi la presenza in aziende quotate e non, ha approfittato della crisi finanziaria per ricapitalizzare le banche con il debito pubblico, ha sbarrato la strada non solo alle imprese italiane, ma anche tedesche (Siemens) e americane (Pepsi Cola). Nel frattempo da noi si assiste ad un interessante scambio di accuse tra Diego Della Valle e Cesare Geronzi sul tema se la nostra industria debba o meno fare sistema. Il nostro più diretto concorrente il sistema lo fa da sempre; e non discute: agisce. Come in Libia.
http://www.iltempo.it/interni_esteri/20 ... aneo.shtml