[color=blue]Le equazioni pericolose di Savianodi Luca Mastrantonio
MONTAGGIO. All’autore di “Gomorra” non si deve chiedere tanto conto dei dettagli di finzione presenti nella sua narrazione, ibrida tra letteratura e giornalismo. Ma di come, soprattutto in onda, rischia di trarre da essi conclusioni sbagliate. Come nel caso del filosofo e, prima di lui, di Sciascia.http://www.ilriformista.it/stories/Prima%20pagina/360151/Se non si ragiona laicamente sull’ultima polemica savianesca, si spreca un’occasione unica per mettere a fuoco il problema etico dello stile. Questione centrale, in una narrazione egemonica e politica come quella televisiva. Dove la formula ibrida, tra realtà e finzione, potente e instabile già nel libro “Gomorra” può deflagrare, facendo vittime collaterali. Ma più della fondatezza di una finzione narrativa, conta l’uso che se ne fa.
Saviano, con Croce sbaglia il montaggio. Dice: Croce si salva grazie a una mazzetta suggeritagli dal padre, per salvarsi nel dopo sisma, come oggi all’Aquila. «Un equazione semplice», dice. Semplice, forse, sbagliata sicuro, come la premessa. Sbagliata era anche l’equazione per cui Sciascia infangò Borsellino come oggi fanno i berlusconiani coi pm. Ne deriverebbe uno Sciascia berlusconiano. Equazioni pericolose. E fangose.
Alla responsabilità dello stile, la forma con cui agisce il pensiero, ha dedicato una importante analisi Antonio Pascale nel saggio introduttivo a Il corpo e il sangue d’Italia (minimumfax, 2006), dove sottolineava la necessità della fedeltà alla realtà se si fanno reportage sulla camorra, stigmatizzando alcune licenze creative di Saviano: in particolare, il cellulare fatto squillare sulla bara di una seduttiva Annalisa Durante, ragazza vittima della malavita (il cellulare era spento, raccontano amiche e testimoni, i vestiti di lei non erano provocanti).
Anche Alessandro Dal Lago - che però aveva intenti critici verso il personaggio Saviano - ha messo in discussione alcuni eccessi creativi, in Eroi di carta (manifestolibri, 2010), riprendendo la scena iniziale di Gomorra, con i corpi dei cinesi congelati che cadono dai container. Fatto senza riscontri reali.
Ma è lecito inventarsi i dettagli? Sì in un romanzo, no in un reportage. Gomorra è un ibrido, e queste sono pagliuzze, ovviamente, rispetto alle travi in cemento messe a nudo dal marchingeno narrativo di Saviano. Pascale, per quieto vivere, non è più tornato sull’argomento. Da Lago, si è concentrato sull’egotismo mediatico la sua critica a Saviano. Questo, a sinistra, La destra, invece - quella berlusconiana - si è scatenata con accuse violente e spesso gratuite: Saviano copia, confeziona bufale. Poi: ce l’ha con Berlusconi, fa il martire.
Questa volta è diverso: la garbata ma ferma lettera della nipote di Benedetto Croce, che smentisce quanto scritto più volte da Saviano e detto a Vieni via con me davanti a milioni di telespettatori, offre il destro a una riflessione serena, sgombrando il campo dal pregiudizio per cui chi critica Saviano lo fa per invidia. O per partito editoriale preso. Marta Herling ha semplicemente difeso l’onore del nonno, il nostro grande filosofo del 900, la guida morale oltre che filosofica della cultura moderna italiana. L’episodio era una pagliuzza, ma Saviano l’ha usato come trave.
Il problema questa volta è politico come politico è, in termini cinematografici - stile prediletto da Saviano assieme all’autofiction -, ogni montaggio. Strumento che impone associazioni mentali attraverso le immagini (e la musica, quando c’è), al cinema come su carta, in tv come alla radio. Con effetti diversi e, in certi contesti, devastanti se fuorvianti (come sa bene Antonio Tabucchi ritratto in una puntata di Porta a Porta come istigatore di odio).
Ma leggiamo il brano in questione dall’edizione Feltrinelli: Benedetto Croce, scrive Saviano, «vide suo padre ondeggiare e subito sprofondare sul pavimento. Svenne e rimase sepolto fino al collo nelle macerie. Per molte ore il padre gli parlò, prima di spegnersi. Gli disse: “Offri centomila lire a chi tisalva”. Benedetto Croce sarà l’unico superstite della sua famiglia massacrata dal terremoto”. L’equazione è semplice: mazzette allora per il terremoto a Ischia, mazzette oggi in quel dell’Aquila. La storia si ripete. E si ripetono i mali del Mezzogiorno. E via inventando».
Come ha ricostruito Giancristiano Desiderio sul Corriere del Mezzogiorno di ieri, il brano può essere ispirato dalla nota di un redattore di un sito web,
http://cronologia.leonardo.it/storia/a1883b.htm (a sua volta ripreso da un’intervista a Croce di Ugo Pirro su Oggi nel 195)0: «Si racconta che con gran senso pratico dicesse al figlio “offri centomila lire a chi ti salva”».
Ma l’errore vero di Saviano non è aver preso quell’aneddoto, senza citarlo, da un sito. Non ha mai rivendicato la proprietà dell’episodio, usa un generico «si racconta». Non è grave nemmeno il non aver
soppesato la cifra, per l’epoca davvero spropositata. Grave è stabilire, come ha fatto Saviano in tv e nel libro Feltrinelli, «l’equazione semplice: mazzette allora per il terremoto a Ischia, mazzette oggi in quel dell’Aquila. La storia si ripete».
Un omaggio a Giambattista Vico, forse, un modo per raccontare la mentalità “gattoparda” che Saviano contesta. Ma di fatto è una scelta stilistica, di montaggio ed enfasi, irresponsabile - al di là della clamorosa smentita delle biografie ufficiali su Croce, come ricordato dalla nipote - che asseconda la geometrica potenzia del mezzo televisivo: dove la verità deve funzionare e se è clamorosa funziona meglio (anche se non è una finta verità, una finzione). Saviano, infatti, riportava l’aneddoto (falso) anche in un articolo di Repubblica del 14 aprile 2009, sempre sul terremoto dell’Aquila e gli sciacalli. Ma senza quell’equazione che, più che semplice, è semplicemente sbagliata.
Omaggio vichiano a parte, con Croce, Saviano ha involontariamente riprodotto il meccanismo che ha denunciato in tv: quella «macchina del fango» che punta a dimostrare che tutti sono sporchi, lo sporco dunque non esiste. Livellando tutto. Persino Croce usò una mazzetta...
Qualcosa del tutto simile, sempre nella trasmissione Vieni via con me, era capitato con Leonardo Sciascia: per amor di paradosso, una delle figure retoriche preferite da Saviano, l’autore di Gomorra, parlando della macchina del fango contro Paolo Borsellino, citava il celebre articolo I professionisti del’antimafia dello scrittore siciliano: persino lui, diceva, è caduto nel meccanismo del fango... Il quale, visivamente e dunque oggettivamente, veniva equiparato, anche con il gioco degli articoli apparsi sul maxischermo, alle campagne berlusconiane contro Boffo, Fini e gli altri nemici di Silvio.
In realtà, hanno ricordato grandi siciliani, da Matteo Collura ad Emanuele Macaluso, il comitato antimafia che diede a Sciascia del «quacquaracquà» mise in moto una macchina del fango.
Ora Saviano è quasi davanti a un bivio. Da scrittore di romanzi realistici, o reportage romanzati, con la messa cantata in tv rischia di produrre equazioni davvero pericolose. Sembra privilegiare la tv, si parla di un ritorno con Fazio, più che del nuovo libro. Ma se vuole fare il tele-narratore civile, come Marco Paolini, deve documentarsi meglio, inventare meno o controllare la macchina del montaggio, anche a costo di suscitare meno clamore.
Se vuole fare lo scrittore, invece, può scrivere - e raccontare - quello che vuole, ispirandosi a fatti reali o verosimili, ma senza quel piglio da profeta che dice verità rivelata.
Può, ovviamente, fare entrambe le cose, quello che vuole, quando vuole. Ma oltre il merito di aprire gli occhi e risvegliare le coscienze, deve accettare la responsabilità civile di inquinare le menti se non controlla le fonti.[/color]