Il problema dei rifiuti di Napoli non è un problema degli ultimi 17 anni..
che non parla propriamente o soltanto dei rifiuti (potrai trovare molti articoli sull'emergenza rifiuti di Napoli di 20 , 30 e più anni fa), ma più in generale dei mali cronici di Napoli.
[color=blue]Napoli dietro gli scandaliA UN MESE DALL'APPARIZIONE DEL COLERA
La città corre due pericoli opposti e altrettanto gravi
Da una parte l'indifferenza, l'ingiusto sollievo per qualche "mancia assistenziale"; dall'altra la denuncia che trova la via della rabbia popolare, della sfiducia e del fascismo - Si dice: "Non siamo degli inibiti da mettere sotto tutela" - Ma non è neanche possibile ignorare una lunga e triste catena di abusi (Dal nosiro inviato speciale)
Napoli, 22 settembre, .ìd un mese esatto dalla apparizione del colera (se è vero che il primo caso fu il 23 agosto), Napoli corre due pericoli opposti e altrettanto gravi. Da una parte l'indifferenza, l'ingiusto sollievo, quello stesso silenzio che, dopo altre sciagure naturali, colpì nel passato Gibellina e Ancona, l'Irpinia e Pozzuoli.
« Finita l'emergenza, elargita magari qualche mancia assistenziale, tutti i problemi tornano a caderci addosso », dice un dirigente sindacale napoletano.
L'altro rischio è che la denuncia e la protesta, invece, trovino la via della rabbia popolare per sfogare nella sfiducia e nel fascismo.
I disoccupati / disoccupati che assediano il Municipio da molti giorni, che circondano le auto delle autorità locali, che si schierano a Mergellina o sul lungomare, che assaltano gli uffici di collocamento e urlano contro lo Stato inadempiente e le promesse non mantenute, sono il sintomo di un male vero, ma anche il germe di un male peggiore, l'avanguardia di un esercito che potrebbe ingrossarsi sotto la spin'.a degli agitatori nià in azione.
« Napoli come Reggio? » si chiede un giovane dirigente politico di sinistra. « Non è facile, con 80 mila metalrraccanici in città ». Ma l'ottimismo dilegua facilmente camminando nei fondaci, nei quartieri dove vive la borghesia degradata, nelle cinture periferi¬ che dove lo spazio di verde individuale è stato calcolato talvolta a 10 cm per persona.
Un mese di colera, e il quaderno del cronista è colmo di episodi sconcertanti, che oscurano con la loro forza negativa anche lo sforzo dei sanitari, la compostezza popolare davanti al pericolo epidemico, la volontà di ripresa dei lavoratori di ogni settore.
« Gli scandali non sono una chiave di spiegazione » insiste Giuseppe Galasso, sino ad oggi unico dimissionario di una giunta comunale sconvolta dalla burrasca. « Non siamo degli inabili da mettere sotto tutela.
Cosa si vuole, mandare a Napoli un viceré calato dal Nord, o un prussiano? ». Gli scandali non spiegano tutto, ma altri ribattono che Napoli si difende anche non lasciando tutti gli argomenti al diavolo. E di argomenti ce ne sono, non c'è che il triste imbarazzo della scelta: denunce, proteste, rivelazioni, documenti, personaggi.
Proviamo a guardare a caso, a fare un rapido montaggio di scene e di frasi. Ecco il cardinale Ursi, che nel duomo di San Gennaro leva in alto la teca con il sangue liquefatto del santo, e predica contro « l'infezione spirituale» che ammorba Napoli. Ma Ursi è il patrono dei pescatori abusivi di Mergellina e di Santa Lucia, e sulla carta intestata della Curia era scritta quella lettera che incitava il presidente dell'Ente porto a cercare un « artifizio giuridico » per salvare le coltivazioni sospette e illegittime.
Ecco la bambina malata gravemente al « Gesù e Maria », che deve aspettare sette ore prima che una ambulanza la venga a raccogliere per portarla in un altro ospedale, e infine vi giunge morta. E il direttore di quell'ospedale che si difende raccontando che ha gli ammalati sdraiati anche nei corridoi, le cimici nei letti, e deve rispedire a casa i nuovi arrivati. Cozze abusive Ecco il medico provincial~ sotto accusa, che intanto rivela come fu minacciato e sconfitto quando tentò di abolire i campi abusivi di frutti di mare: barricate sulle rive, inutili sparatorie sui galleggianti, lettere di pressione e di ricatto. Ed ecco il presidente dell'Ente porto che racconta come la motove letta della Capitaneria, comandata addirittura da un generale, non riusci neppure ad entrare nel porto di San*n Lucia sbarrato dai pescatori ammutinati, e fu poi definitivamente fermata da una lettera del prefetto di allora. Ma subito dopo ecco gli accusatori dello stesso presidente del porto rivelare che la famiglia di sua moglie vive da anni coltivando frutti di mare nelle acque fetide del golfo. Sullo sfondo, una folla di ufficiali sanitari che tacciono o acconsentono, di benevole pressioni, di favori ricambiati, di demagogia. E poi le siringhe comprate alla borsa nera, la battaglia fra clientele per l'assegnazione di pochi posti di dipendente comunale, l'ultimo episodio delle società di comodo per guadagnare l'appalto della lotta ai iopi o della distruzione dei rifiuti...
Gli scandali non sono una spiegazione, ma ignorarli è impossibile. Forse è più giusto risalire agli scandali più vasti, quelli che è più difficile denunciare? E allora ecco altre scene, in un montaggio casuale. Una ((tangenziale» che costa 100 miliardi e serve ben poco, mentre Napoli ha solo mezzo migliaio di mezzi pubblici galleggianti in un mare di 700.000 auto private, a loro volta controllate da poco più di mille agenti, di cui quasi la metà rimane a casa ogni giorno. Una legge speciale che servi solo all'amministrazione Lauro per piantare qualche albero in piazza Municipio, ch2 da allora in poi ha visto i suoi fondi giustamente bloccati sia dalla svalutazione sia dal Consiglio superiore dei Lavori Pubblici. Un piano regolatore d'antegverra, sul quale gli abusi portano i nomi degli autori come le vette alpine: la « Variante Lauro », la « Variante Correrà »; l'ex sindaco democristiano Fernando Clemente che fa acquistare al Comune aree espropriate a prezzi assurdi; le mappe comunali trafugate e poi falsificate per consentire le speculazioni. Forse gli scandali non spiegano nulla, certamente non servono a nulla. Come nei drammi post-pirandelliani, le colpe salgono, si fanno aeree, diventano impalpabili. Di chi è la responsabilità davanti allo «scandalo delle cifre», ai dati su Napoli tante volte ripetuti?
La criminalità che aumenta di un venti per cento all'anno, l'affollamento che è quasi di due persone per ambiente, la disoccupazione che colpisce un napoletano su quattro... E a che giova ripetere dei grandi potentati cittadini, le famiglie che amministrano città e regione come un feudo personale, e scavalcano gli organismi elettivi? Nel copione di questa inquieta fine d'estate napoletana dovrebbe trovare nuovamente posto una foto di gruppo della famiglia Gava; magari ambientata sullo sfondo del Banco di Napoli, che tira le redini della vita economica cittadina e che controlla un giornale, la maggiore testata meridionale, che in questi giorni dedicava solo poche righe, in seconda pagina di cronaca, alla crisi comunale. Ma questi non sono scandali, sono elementi del panorama cittadino come la collina del Vomero o il Maschio Angioino.
Pretendiamo forse di scoprire Napoli? Trasformismo e clientele sono concetti che si trovano ormai anche nei «baedeker» turìstici, idee sepolte nei manoscritti di Guido Dorso a pochi chilometri da qui, ad Avellino. Ed ecco allora il dilemma dei democratici napoletani, che li condanna spesso ad essere inascoltati o li costringe all'emigrazione. Abbandonare la denuncia, o alzare la voce con il timore che venga raccolta da orecchie sbagliate? Come difendere le istituzioni se sono gestite così male, come gettar via l'acqua e non il bambino che vi fa il bagno? Come distruggere l'economia sottoproletaria senza abbandonare i più umili alla loro sorte? Come chiedere interventi straordinari senza danneggiare le autonomie locali? Stato e Regioni Qualcuno ha voluto anche vedere nella vicenda del colera l'occasione di un confronto tra Roma e la periferia, fra Stato e Regioni. Informazioni tardive, competenze non ancora definite, riforme insabbiate. Nel suo grande ufficio di piazza S. Carlo, il prefetto Domenico Amari ha il piglio del combattente: ripete volentieri che viene da una zona di mafia e racconta di quando fuggì dalla prigionia nazista calandosi da una finestra ad Alassio. Per lui, naturalmente, il ruolo del prefetto è insostituibile. «Le Regioni trasformano tutto in politica — dice —.
Qui in Campania ci sono state tre crisi in tre anni, gli assessori sono sempre riuniti in giunta per decidere se devono fare gli assessorati o i dipartimenti. E inoltre non hanno soldi. Lo Stato che dovrebbe fare, stare a guardare, ad aspettare? E poi, siamo davvero maturi per un sistema di autonomie come le contee inglesi, o i governatorati americani?». Si ravvia i capelli bianchi: solo pochi minuti fa la sua auto è stata ammaccata da una folla di disoccupati. A Palazzo S. Lucia, il presidente della Regione, Vittorio Cascetta, ex moroteo ora doroteo, professore di storia e filosofia, si tiene la testa fra le mani, parla con un filo di voce, i giornali che ha sul tavolo chiedono le sue dimissioni, i pescatori del Pallonetto lo aspettano al portone.
Dice che i poteri della Regione sono solo un modello, un prototipo, un dìsegno teorico da confrontare con la realtà. Le malattie infettive, ad esempio, sono un problema nazionale, di dimensioni statali, che non può essere trasferito alle Regioni.
«E la vaccinazione — aggiunge — è un problema politico, potevo ignorarlo, anche se non era di mia competenza? Siamo in una fase costituente, tutto è ancora da completare, solo Cavour prese lo Statuto del Regno di Sardegna e lo trasferi al Regno d'Italia. Noi abbiamo ereditato degli uffici; se funzionavano prima funzionano anche ora, ma è vero anche il contrario. E non sono io a dire che i ministeri ci hanno trasferito competenze e funzioni, ma si sono tenuti i fondi di bilancio». Il medico provinciale intanto sale ancora le scale della prefettura per ricevere ordini, il comitato provinciale della Sanità è ancora presieduto dal prefetto, lo stesso ministro Gui ha parlato di «una zona d'imprecisione», dì un vuoto di informazione e perciò anche di potere. Ospedali e autorità sanitarie non sono più collegati con il ministero, ma non lo sono ancora abbastanza con le Regioni. E allora non ci sarebbe altra strada che la riforma sanitaria: il colera di Napoli dimostra che costa più non farla che tarla.
Ma che cosa la impedisce? La previsione di spendere mille e più miliardi (ma solo le infezioni nel Sud rischiano di costare una cifra simile in un mese) o la pressione contraria delle grandi mutue, veri imperi burocratici e assistenziali? Lasciamo il prof. Cascetta nel suo ufficio. La sua voce affranta c'insegue fino all'uscita: «Sono problemi controversi, maglie da completare, leggi ancora sperimentali...».
Tutto affonda Le Regioni sono in parte inattuate, il governo di centro-destra negò mezzi finanziari adeguati, la tutela ambientale e igienica è oggi affidata a capitani di porto, sindaci e pompieri, lepidemiologo dell'Istituto Superiore di Sanità è andato in super-pensione e non è stato sostituito. Ma non c'è scandalo, non bisogna protestare, perché altrimenti si aiuta la destra neofascista.
Basta affondare tutto insieme ai grappoli dei frutti di mare. La denuncia è distruttiva, inopportuna, occorre ripetere all'infinito che ci vogliono cantieri di lavoro e risanamenti urbani, scuole e ospedali, fabbriche e case. E intanto, a gestire i nuovi programmi (tutti ancora sepolti nelle buone intenzioni) si preparano gli uomini di sempre, quelli che governano per delega, piazzando nei posti di potere i loro clienti più fidati, personaggi fuori o al di sotto della mischia. Così nulla cambia, e dopo settimane dallo scoppio del colera e anni dalla fine del laurismo, sentiamo il Sud chiedere un «nuovo modo di vivere», mentre il Nord chiede già «un nuovo modo di lavorare».
E Napoli rimane la capitale involontaria di un regno di sfacelo ambientale, di un arcipelago di città meridionali frananti o gonfie di livore antistatale. Essere un meridionale significa ancora essere un cittadino sfortunato, immerso in un «habitat» malsano e miserabile, in attesa che dal Nord si srotolino le autostrade, s'impianti qualche fabbrica subito inaccessibile o s'invochi la salvezza di qualche chiesa barocca. Ma ormai neppure questo fa scandalo. Andrea Barbato Napoli.
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Autore: Andrea Barbato
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