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MessaggioInviato: 26/05/2011, 18:35 
Quoto Hynekeniano.



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MessaggioInviato: 27/05/2011, 20:11 
Già, sporco complotto giudaico, massonico, piduista e neoilluminato.

Vi faccio una domanda: secondo voi potremo mai conquistare e colonizzare lo spazio politicamente, culturalmente, socialmente ed economicamente divisi in piccole entità pseudonazionali (ma in realtà nazionalistiche)? Cioè, possiamo davvero immaginare il nostro futuro in termini Stati (se non meno) invece che di Umanità?

Tutto ciò ovviamente a prescindere da considerazioni sulla reale efficienza dell'Unione Europea, che per me, ora neanche esiste.


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MessaggioInviato: 29/05/2011, 20:03 
Aumenta la povertà globale a causa del forte incremento dei prezzi degli alimenti


Povertà globaleI prezzi dei beni alimentari sono aumentati del 36% rispetto ad aprile 2010 e “sono ormai vicini ai picchi raggiunti nel 2008” non solo per strozzature nella produzione e nell'approvvigionamento dei mercati, ma anche per l'aumento dei prezzi dell'energia dovuto ai disordini in Medio Oriente e nel Nordafrica.

Lo ha detto Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale, presentando i lavori primaverili delle organizzazioni internazionali di Washington in programma nel fine settimana (metà aprile 2011).

Robert Zoellick Zoellick ha annunciato che 44 milioni di persone sono scivolate in uno stato di povertà assoluta (1,25 dollari al giorno di reddito) dal giugno scorso a causa dell'aumento di prezzo delle materie prime alimentari.

Se i prezzi nel settore dovessero crescere di un ulteriore 10%, altri 10 milioni di persone entrerebbero in povertà estrema e l'aumento sarebbe di 34 milioni con un aumento del 30%.

“Sono necessarie azioni più concrete nel breve termine e sono soddisfatto del fatto che la presidenza francese del G7 ha inserito la questione alimentare nell'agenda”, ha detto Zoellick, anche perché gli spazi di manovra per risolvere il problema “si stanno restringendo, basterebbe poco per entrare in una situazione di crisi alimentare a livello globale”.

http://www.ecplanet.com/node/2499


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MessaggioInviato: 04/06/2011, 19:17 
L’EUROZONA SI SGRETOLA?

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http://www.altrainformazione.it/wp/2011 ... -sgretola/

giu 1st, 2011

DI MICHAEL HUDSON
Counterpunch.org

Il rifiuto dell’Islanda di essere vessata finanziariamente è un modello per Grecia e Irlanda?
Lo scorso mese l’Islanda ha votato contro l’accettazione delle richieste britanniche e olandesi che avrebbero rimborsato le agenzie di assicurazione bancarie nazionali per aver “salvato” i propri correntisti di Icesave. È stata la seconda votazione contro quest’accordo (con un coefficiente di 3 a 2) e la convinzione degli islandesi di rimanere membri dell’eurozona è scesa al 30 per cento. Il comune sentire è che i politici europei sono intervenuti in soccorso dei banchieri e non degli interessi della società, cosa che gli islandesi pensavano fosse la strada da seguire, come già stabilito nel 1957 con la formazione della Comunità Economica Europea.

Permettendo a Gran Bretagna e Paesi Bassi di mettere a pecora l’Islanda per pagare gli errori di Gordon Brown e dei suoi colleghi olandesi, l’Europa ha messo in dubbio l’adesione dell’Islanda a causa dell’imposizione dell’austerità finanziaria e della povertà alla popolazione, tutto questo per farle pagare soldi che legalmente non doveva a nessuno. Il problema è quello di trovare un tribunale imparziale che voglia applicare le leggi esistenti per attribuire le responsabilità a chi effettivamente le ha.

La ragione per cui l’UE ha combattuto così duramente per far prendere al governo islandese la responsabilità dei debiti di Icesave è quello che i creditori chiamano “contagio”. L’Irlanda e la Grecia devono affrontare un ammontare del debito sempre più elevato. La “troika” dei creditori europei – la Banca Centrale Europea (BCE), la Commissione Europea e il FMI – ritiene che la cancellazione del debito e la tassazione progressiva per proteggere le economie interne sia una malattia contagiosa.

Come la Grecia, l’Irlanda ha chiesto un allentamento del debito per far sì che il governo non fosse obbligato a tagliare la spesa nel corso di una recessione sempre più acuta. “La stampa irlandese ha riportato che i funzionari dell’UE “hanno perso la testa” quando i negoziatori irlandesi hanno chiesto di allargare la condivisione del peso del debito. La Banca Centrale Europea teme che una mossa del genere possa provocare un contagio nei mercati del debito dell’Europa meridionale”, così ha scritto un giornalista, avvertendo che le conseguenze dello sconsiderato incameramento del debito pubblico nel bilancio dello Stato possa minacciare di far fallire l’economia.

L’Europa – in verità, le banche tedesche e olandesi– si è rifiutata di lasciare che i governi diminuissero progressivamente i debiti che si erano accollati (eccetto che per minori e meno politicamente influenti correntisti): “I commenti sono usciti subito dopo che le autorità dell’UE hanno imposto i tagli alle richieste degli investitori in Irlanda, rendendo questa una condizione obbligata per la concessione del pacchetto di prestiti pari a 85 miliardi di euro. Dublino ha imposto l’80 per cento di tagli ai creditori subordinati di Anglo Irish Bank ma non intende fare questo con i creditori privilegiati, che sono considerati intoccabili.” (Ambrose Evans-Pritchard, Daily Telegraph)

Per portare vantaggi all’Europa – almeno ai suoi banchieri – c’è un principio da seguire: i governi devono guidare le proprie economie a beneficio delle banche e dei possessori delle obbligazioni. Dovrebbe “salvare” almeno i creditori privilegiati delle banche che falliscono (si tratta dei più grossi investitori istituzionali e degli speculatori) e pagare questi debiti, pubblici e privati, vendendo le aziende e aumentando le imposte che colpiscono il lavoro. Per mettere in pareggio i propri bilanci devono tagliere i programmi di spesa, diminuire il numero dei dipendenti pubblici, gli stipendi e aumentare le tariffe dei servizi pubblici, dalla sanità all’educazione.

Il programma di austerità (il “salvataggio finanziario”) è arrivato a un punto critico proprio un anno fa quando nel maggio del 2010 fu proposto alla Grecia un pacchetto di salvataggio per 110 miliardi di euro. Insoddisfatta della lentezza con cui si era mossa per sfregiare la propria economia, la BCE ha suggerito alla Grecia di iniziare a privatizzare un valore di 50 miliardi di euro entro il 2015. Le prime svendite dovevano essere quelle delle più importanti infrastrutture turistiche e quelle delle presenze del governo nel monopolio delle scommesse (OPAP), del settore postale, dei porti di Atene e di Salonicco, della Compagnia di Fornitura dei servizi di Fognatura e Acqua Potabile di Salonicco e del monopolio dei telefoni. Jean-Claude Juncker, Primo Ministro del Lussemburgo e direttore del gruppo dei ministri delle Finanze dell’Eurozona, ha avvertito che, solo nel caso in cui la Grecia acconsenta alla vendita dei suoi beni (“per consolidare il suo bilancio”), l’UE acconsentirà ad allungare le scadenze dei prestiti concessi per “salvarla” dal default.

Il problema è che la privatizzazione e la tassazione regressiva alza il costo della vita e quello per fare gli affari. Tutto ciò rende l’economia meno competitiva e di conseguenza meno solvibile nel pagare i debiti che stanno accumulando gli interessi, portando così nella direzione di un default ancora più marcato.

La risposta da manuale della finanza, quella di chiedere continuamente dazio, è una condotta predatoria. I paesi del Terzo Mondo hanno già pagato sulla loro pelle, con una progressione partita dagli anni ’70, le conseguenze distruttive dei programmi di austerity del FMI. L’Europa sta adesso ripetendo lo stesso schema.

Il potere finanziario vuole fare quello che le conquiste militari hanno ottenuto nel passato. Nel pretendere di rendere le economie più “competitive”, il vero obbiettivo è sotto gli occhi di tutti: racimolare abbastanza denaro per far sì che i possessori delle obbligazioni (e quindi, gli elettori) non siano obbligati ad affrontare il fatto che molti debiti non siano rimborsabili a meno che non si renda l’economia totalmente dipendente dal debito, da una regressione dell’imposizione fiscale e dal peso delle privatizzazione dei beni pubblici per essere competitivi. I tagli alla spesa e la regressione dell’imposizione fiscale assottigliano nel lungo termine il capitale per gli investimenti e la produttività. Queste economie sono guidate come le aziende che sono rilevate dagli speculatori dei leverage del debito, che tagliano e esternalizzano la forza lavoro per ottenere fondi sufficienti per pagare i propri creditori, che arraffano il possibile e poi scappano. La componente tattica di questo attacco finanziario non è più lo schieramento aperto delle forze come avveniva in passato, ma qualcosa di meno impegnativo perché le sue vittime si sottomettono volontariamente.

Ma ora le vittime designate della finanza predatoria stanno vendendo cara la pelle. Ma gli attaccanti non stanno perdendo uomini e eserciti, ma sono i bilanci ad essere messi in pericolo, e di conseguenza le loro reti di solvibilità. Quando i sindacati greci – specialmente nelle imprese pubbliche che sono state privatizzate -, il Partito Socialista al governo e altri partiti minori hanno rigettato questi sacrifici, i funzionari dell’Eurozona hanno richiesto che il progetto finanziario venisse posto in essere da tutti i partiti politici per fissare “un accordo di tutto lo schieramento per una qualsiasi ipotesi di salvataggio.” In altre parole, la Grecia deve rispondere all’ondata di scioperi e di proteste di piazza con la sospensione dell’attività dei partiti e della democrazia economica. “Il governo e l’opposizione devono dichiarare congiuntamente che si impegnano nel rispetto degli accordi di riforma con l’UE”, ha spiegato il signor Juncker a Der Spiegel.

Criticando il ritardo del Primo Ministro, George Papandreou, nella vendita dei beni dello Stato, i leader finanziari europei hanno proposto l’istituzione di un’agenzia nazionale per le privatizzazioni che agisca da intermediario per trasferire gli incassi derivati da queste vendite ai creditori stranieri e per diminuire il debito pubblico, e di impegnare i propri beni per essere come collaterali nel caso di un default dei pagamenti verso i possessori dei titoli di Stato. Nel suggerire che il governo “stili un’agenda per privatizzare i beni pubblici sulla riga della Treuhandanstalt tedesca che ha venduto le imprese della Germania Est negli anni ‘90”, il signor Juncker ha pensato che “la Grecia potrebbe ottenere dalle privatizzazioni più dei 50 miliardi di euro stimati” (Evans-Pritchard).

I banchieri europei stanno puntando lo sguardo sulle vendite di circa 400 miliardi di dollari di asset della Grecia, sufficienti per azzerare i debiti del governo. Se i pagamenti non verranno effettuati, la BCE ha minacciato di non accettare le obbligazioni del governo greco come garanzie. Questo impedirebbe alle banche greche di continuare nella propria attività, distruggendo il sistema finanziario e paralizzando l’economia. Questa minaccia è stata fatta per approvare “democraticamente” le privatizzazioni, seguite poi dalla disgregazione dell’unità sindacale e dall’abbassamento dei salari (“svalutazione interna”). “Jan Kees de Jager, il ministro delle Finanze olandese, ha proposto che tutti gli ulteriori prestiti alla Grecia debbono essere concessi con accordi sui collaterali, per mezzo dei quali le nazioni europee prestatrici possono rilevare gli asset della Grecia nel caso di un default.” (Peter Spiegel, Financial Times).
Il problema è che il default è in fondo inevitabile per il fatto che il governo è stato messo in un angolo a causa delle deregolamentazioni del settore bancario e per i tagli alle tasse di proprietà e alla progressività del sistema fiscale. Il default diventerà sempre più pressante anche nel caso in cui la BCE stacchi la spina.

La BCE impedisce ai governi di finanziare la propria spesa
L’introduzione dell’euro nel 1999 ha esplicitamente vietato alla BCE e alle banche centrali di finanziare i deficit interni. Questo significa che nessuna nazione ha una banca centrale che sia in grado di fare quello per cui sono state create le analoghe banche di Gran Bretagna e degli Stati Uniti: monetizzare il credito alle banche. Il settore pubblico è ormai dipendente dalle banche commerciali e dai possessori delle obbligazioni. Per questi ultimi si tratta di una manna, perché si sono annullati tre secoli di tentativi per creare un’economia finanziariamente ed economicamente mista con la privatizzazione del monopolio della creazione della moneta. Gli investimenti di capitale nei monopoli di Stato sono ora venduti agli speculatori: nel credito, il vincitore è quello che promette di pagare la maggior parte degli interessi ai banchieri per assorbire la “tassa all’ingresso” (“rendita finanziaria”) nel sistema.

La politica è diventata finanziarizzata mentre le economie sono state privatizzate. La strategia finale era quella di togliere la progettualità dell’economia dalle mani dei rappresentanti eletti delle democrazie per centralizzarle in quelle dei manager della finanza. Ciò che Benito Mussolini definiva “corporativismo” negli anni ’20 (per dargli una definizione educata) è stato ora raggiunto dalle più grande banche e istituzioni finanziarie europee, con l’eufemismo dell’“economia del libero mercato”.

Il linguaggio si adatta per riflettere la trasformazione politica ed economica (la resa?) in atto. L’”indipendenza” delle banche centrali è stata dipinta come un “segno della democrazia”, non come una vittoria delle oligarchie finanziarie. Il compito della retorica è quello di sviare l’attenzione dal fatto che l’obbiettivo del settore finanziario non è quello di rendere “liberi” i mercati ma quello di affidarne il controllo nelle mani dei dirigenti della finanza, la cui logica è quella di soggiogare l’economia all’austerità e persino alla recessione, di svendere le aziende e i terreni pubblici, di far tollerare l’emigrazione e di ridurre il tenore di vita mentre si realizza una sempre maggiore concentrazione della ricchezza nella vetta della piramide economica. L’idea è quella di tagliare il numero dei dipendenti pubblici e gli stipendi dei settore pubblico, per poi abbassare anche le richieste del settore privato, mentre si tagliano i servizi sociali.

La contraddizione interna (come direbbero i marxisti) è che la massa del peso degli interessi deve sempre crescere, interessi che vengono poi reinvestiti per ottenerne altri. Questa è la “magia” o il “miracolo” degli interessi composti. Il problema è che il pagamento degli interessi sposta il denaro al di fuori del flusso circolare tra la produzione e il consumo. La legge di Say dice che le somme versate dai produttori (ai dipendenti o ai fornitori di beni materiali) devono essere spesi, in aggregato, per comprare quello che il lavoro o il capitale tangibile produce. Altrimenti c’è una saturazione del mercato e gli affari si riducono, con la rete del debito del settore finanziario che fa la parte del leone.

Il sistema finanziario si intromette in questo flusso circolare. Le quote spese per pagare i creditori non vengono impiegate nei beni e nei servizi; sono reinvestite in nuovi prestiti, o in azioni e obbligazioni (che sono beni finanziari o diritti di proprietà a carico dell’economia) o per aumentare la “scommessa” (il “toto-capitalismo” dei derivati), il carry trade internazionale (ossia l’arbitraggio tra i tassi di cambio e i tassi d’interesse) e altre pratiche finanziarie che sono indipendenti dall’economia della produzione e del consumo. Così, mentre gli asset finanziari accumulano interessi – sostenuti dalla nuova creazione di credito dalle tastiere dei computer delle banche commerciali e delle banche centrali– il rastrellamento finanziario dall’economia “reale” aumenta.

L’idea di rimborsare i debiti senza tener conto dei costi sociali si affida su modelli matematici complessi come quelli usati dai fisici per progettare i reattori nucleari. Ma hanno comunque dei vizi di forma abbastanza semplici da essere compresi anche da uno studente di matematica delle superiori: si dà per scontato che le economie possano sostenere i debiti che crescono esponenzialmente a un tasso più alto di quanto aumentino la produzione o le esportazioni. Solo ignorando la capacità di pagare – creando un surplus economico che va oltre il punto di equilibrio – si può credere il leverage del debito possa produrre abbastanza profitti “di bilancio” finanziari per pagare le banche, i fondi pensioni e altre istituzioni finanziarie che riciclano i propri interessi in nuovi prestiti. Ci si attende che l’ingegneria finanziaria faccia da guida alla società post-industriale per fare i soldi dai soldi (o piuttosto dal credito) alzando continuamente i prezzi dei beni immobiliari, delle azioni e delle obbligazioni.

Sembra molto più semplice rispetto all’ottenere profitti da investimenti tangibili per produrre e commerciare beni e servizi, perché le banche possono innescare un’inflazione delle quotazioni degli asset con la semplice creazione elettronica del credito dalle tastiere dei propri computer. Fino al 2008 molte famiglie in tutto il mondo hanno visto crescere il prezzo delle proprie case molto più di quanto avrebbero mai guadagnato in una vita di lavoro. Tutto ciò taglia fuori il complesso ciclo M-C-M (usare il capitale per produrre beni da vendere con un profitto) in un ciclo M-M (comprare immobili o beni già realizzati, o azioni e obbligazioni già emesse, e aspettare che le banche centrali spingano in alto i prezzi abbassando i tassi d’interesse e detassando i capitali per permettere agli investitori facoltosi di aumentare la loro richiesta di garanzie finanziarie o di assicurazioni sulle proprietà).

Il problema è che il credito corrisponde a un debito, e i debiti vanno pagati con gli interessi. E quando un’economia paga gli interessi, meno denaro rimane per essere speso in beni e servizi. E così il mercato si stringe e le vendite calano, i profitti precipitano e ci sono meno soldi per pagare interessi e dividendi. La disoccupazione si diffonde, gli affitti diminuiscono, i mutuatari non sono in grado di pagare le rate e il settore immobiliare deve affrontare la discesa dei prezzi.

Quando i prezzi dei beni vanno in picchiata, i debiti rimangono ancora al loro posto. Quando le bolle dell’economia diventano un incubo, i politici portano le (spesso fraudolente) perdite delle banche private nelle pagine del bilancio dello Stato. Tutto ciò sta dividendo i politici e minaccia la frantumazione dell’Eurozona.

Lo scioglimento dell’Eurozona?
Ai paesi del Terzo Mondo, dagli anni ’60 fino agli anni ’90, fu suggerito di svalutare la propria moneta per ridurre il potere d’acquisto dei lavoratori, per poi provocare importazioni di cibo, della benzina e di altri beni di consumo. Ma i membri dell’Eurozona sono imprigionati dall’euro, avendo solo l’opzione della “svalutazione interna”, l’abbassamento degli stipendi per indirizzare i pagamenti verso i creditori che sono in cima alla piramide economica europea.

La Lettonia è spesso citata come un modello di successo. Il suo governo ha tagliato la disoccupazione e gli stipendi nel settore pubblico sono scesi del 30 per cento tra il 2009 e il 2010. I salari del settore privato hanno seguito questo declino. Tutto ciò è stato plaudito come una “storia di successo” e come un’ “accettazione della realtà”. E ora il governo ha approvato un “emendamento alla legge di bilancio” per attuare una tassazione fissa sul lavoro (circa il 59 per cento – ndt: da varie fonti risulta essere il 25 -, con solo l’1 per cento di tassazione sugli immobili). L’ex candidato neoliberista alla presidenza degli USA, Steve Forbes, lo considera sicuramente un paradiso economico.

“Salvare l’euro” è un eufemismo per il salvataggio da parte del governo del ceto finanziario, e con esso viene salvata una dinamica del debito che è vicina alla sua fine, indipendentemente da cosa verrà fatto do. Lo scopo è quello di preservare il valore dei debiti di Germania, dei Paesi Bassi, della Francia e delle istituzioni finanziarie (ora consorziate nei fondi predatori). Non ci saranno tagli per loro. Il prezzo dovrà essere pagato dal lavoro e dall’industria.

Le autorità di governo sono quelle che hanno più da perdere. Mentre il demanio pubblico è suddiviso e venduto per pagare i creditori, le politiche economiche sono state tolte dalle mani delle persone democraticamente elette e messe nella mani della BCE, della Commissione Europea e del FMI.

Il tasso di disoccupazione in Spagna è del 20 per cento, appena più di quello dei paesi baltici, ma è il doppio tra i neo-laureati. Ma, come sembra che abbia detto William Nassau sr. dopo che gli era stato riferito che un milione di irlandesi erano morti per la carestia delle patate: “Non è abbastanza!”

Ci potrà mai essere qualcosa che sia abbastanza, un qualcosa che funzioni un po’ più a lungo del breve termine? Quello che ora “aiuta la Grecia a rimanere solvibile” consiste nell’evitare di tassare il valore (i ricchi non stanno pagando) e nel far arretrare gli stipendi mentre si aumentano le imposte sul reddito e il governo (i “contribuenti”, ossia i lavoratori) svendono il territorio e le imprese pubbliche per “salvare” le banche straniere e i possessori di obbligazioni mentre si abbatte la spesa sociale, i sussidi alle industrie e gli investimenti in infrastrutture pubbliche.

Un mio coetaneo amico greco mi ha detto che la sua pensione privata (di una compagnia informatica) era stata tagliata dal governo. Quando suo figlio è andato a riscuotere l’assegno di disoccupazione, era stato ridotto alla metà, perché si pensa che i genitori abbiano comunque il denaro per aiutarlo. Il prezzo della casa che hanno acquistato pochi anni fa è precipitato. Mi hanno detto che non hanno intenzione di rimanere nell’euro più di quanto abbiano dimostrato gli elettori danesi nel voto del mese scorso.

Gli scioperi proseguono. La rabbia cresce. Quando il prossimo direttore del FMI, Christine Lagarde, era ancora ministro del Commercio, suggerì che “la Francia doveva aggiornare il suo metodo di lavoro. I sindacati e gli altri ministri erano riluttanti, e così la signora è ritornata sui suoi passi, dicendo che aveva solo espresso un’opinione personale.” Quest’opinione sta per diventare una politica ufficiale, con il FMI che fa la parte del “poliziotto buono” contro la BCE che fa “il poliziotto cattivo”.


Io credo che la gente debba comprendere che le dinamiche in gioco rendono vani tutti questi tentativi. I creditori sanno a che partita si sta giocando. Tutto quello che possono fare è arraffare il più possibile, fino a quando sarà possibile, pagandosi lauti bonus che non possono essere intercettati dai pubblici ministeri, e correre nelle proprie collocazioni bancarie offshore.

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Fonte: http://counterpunch.org/hudson05272011.html

Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE



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MessaggioInviato: 06/06/2011, 00:48 
Cambiamenti climatici colpiranno Africa e India (?), rischio carestie anche in Cina e Sud America (?)
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Mappa delle aree tropicali a rischio carestie nei prossimi decenni a causa dei cambiamenti climatici


Un nuovo studio ha trovato che i cambiamenti climatici colpiranno nei prossimi anni aree che già soffrono di problemi alimentari cronici e popolazioni altamente vulnerabili, soprattutto in Africa e in Asia meridionale, ma potenzialmente anche in Cina e in America latina, dove in meno di 40 anni, la prospettiva di stagioni di racolto più corte e clima più caldo e secco potrebbero mettere in pericolo centinaia di milioni di persone già oggi sotto la soglia della povertà. E tutto questo potrà solo peggiorare con l’aumento della popolazione mondiale.

Lo studio, chiamato “Mapping Hotspots of Climate Change and Food Insecurity in the Global Tropics” (Mappa dei punti caldi del cambiamento climatico e problemi alimentari nei Tropici), è stato prodotto dal programma di ricerca sui cambiamenti climatici, l’agricoltura e la sicurezza alimentare (CCAFS) del CGIAR. Il problema urgente da affrontare ora, dicono i ricercatori, è capire come i cambiamenti climatici agiranno su persone e luoghi gravemente minacciati.



I ricercatori hanno individuato le aree di vulnerabilità esaminando una varietà di modelli climatici e di produzione agricola, creando una serie di mappe dettagliate. Una mostra le regioni del mondo che sono a rischio, trovandosi in “soglie di clima” in cui le temperature troppo calde per alcuni prodotti agricoli come il mais o i fagioli, nel corso dei prossimi 40 anni potrebbero mettere a rischio grosse aree geografiche. Un’altra indica le aree che possono essere sensibili ai cambiamenti del clima perché, in generale, hanno ampie zone destinate a coltivazioni e allevamento. E, infine, gli scienziati hanno prodotto le mappe delle regioni con una lunga storia di insicurezza alimentare.

“Quando si mettono queste mappe insieme, riusciamo a individuare i luoghi in tutto il mondo in cui l’arrivo di condizioni climatiche di stress potrebbero essere particolarmente disastroso”, ha detto Polly Ericksen, senior scientist presso il CGIAR International Livestock Research Institute (ILRI) a Nairobi, in Kenya e autore dello studio. “Si tratta di settori fortemente esposti ai cambiamenti climatici, dove la sopravvivenza è fortemente legata alla sorte del raccolto regionale e delle rese del bestiame, e dove i problemi alimentari cronici indicano che gli agricoltori stanno già lottando e non hanno la capacità di adeguarsi ai nuovi modelli meteorologici”.

“Questa è una combinazione molto preoccupante”, ha aggiunto.

Per esempio, in gran parte dell’Asia meridionale, tra cui quasi tutta l’India, e parti dell’Africa sub-sahariana, soprattutto occidentale – ci sono 369 milioni di persone a rischio di insicurezza alimentare. Un cambiamento della resa agricola globale in queste aree di solo il 5% nei prossimi 40 anni potrebbe influenzare significativamente la disponibilità di cibo in aree dove già grosse fasce di popolazione vivono al limite dell’autosufficienza alimentare.

Oggi, ci sono 56 milioni di persone che soffrono di insicurezza alimentare in alcune parti dell’Africa occidentale, l’India e la Cina. Entro la metà degli anni 2050, prevedono gli esperti, le temperature massime giornaliere durante il periodo fertile potrebbe superare i 30 gradi. Questa è circa la massima temperatura che possono tollerare i fagioli, mentre il mais e il riso possono soffrire quando le temperature superano questo livello. Ad esempio, in uno studio dell’anno scorso su Nature è emerso che anche con quantità ottimali di pioggia, le rese del mais africano potrebbe diminuire di un punto percentuale per ogni giorno trascorso al di sopra 30 ºC.

E poi c’è il problema del commercio dei prodotti agricoli di prima necessità. “Il commercio internazionale delle materie prime agricole assumerà ancor più importanza mano a mano che il cambiamento climatico metterà alla prova i limiti dell’attuale sistema di agricoltura autarchica a cui molti Paesi fanno ricorso”, ha affermato Bruce Campbell, direttore del CCAFS. “Abbiamo già visto con i picchi dei prezzi alimentari del 2008 e del 2010 che la sicurezza alimentare è un fenomeno internazionale e il cambiamento climatico quasi certamente accentuerà tale interdipendenza”.

Ericksen ed i suoi colleghi fanno notare che le aree da monitorare si estendono al di là di quelle che oggi si trovano più a rischio. Per esempio, in molte parti dell’America Latina, la sicurezza alimentare non è oggi un problema, ma vi è motivo di preoccupazione perché milioni di persone sono fortemente dipendenti dalle produzioni agricole locali per soddisfare le loro esigenze alimentari e potrebbero finire nel mirino del cambiamento climatico.

I ricercatori hanno scoperto, per esempio, che entro il 2050, le condizioni di crescita delle produzioni agricole dovrebbero scendere sotto i 120 giorni per ogni stagione nelle regioni ad allevamento intensivo nel nord-est del Brasile e in Messico. Almeno 120 giorni sono considerati un periodo critico non solo per la maturazione del mais e di numerose altre colture alimentari di base, ma anche per la vegetazione necessaria all’alimentazione del bestiame.

“L’evidenza suggerisce che molte regioni del mondo, soprattutto ai tropici, potrebbero essere gravemente colpite entro il 2050 in termini di produzione agricola e la capacità di bestiame. La finestra di opportunità per sviluppare soluzioni innovative che possano effettivamente superare queste sfide è limitato”, ha detto Philip Thornton, del CCAFS e coautore della ricerca. “Gli sforzi di adattamento sono necessari ora, se vogliamo evitare che venga a mancare la sicurezza alimentare per centinaia di milioni di persone tra pochi decenni.”

http://www.altrogiornale.org/news.php?extend.6989


Ultima modifica di vimana131 il 06/06/2011, 00:49, modificato 1 volta in totale.

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Alert da Roubini: 2013, l’anno della "tempesta perfetta"

di: WSI Pubblicato il 13 giugno 2011| Ora 07:30

http://www.wallstreetitalia.com/article ... etta-.aspx

New York - I problemi fiscali negli Stati Uniti, il rallentamento della crescita economica cinese, il fardello del debito in Europa e l’economia stagnante del Giappone, potrebbero convergere e portare la "tempesta perfetta" nel 2013, secondo il professore della New York University, Nouriel Roubini, l'economista che predisse con largo anticipo e assoluta precisione la Grande Recessione del 2008-2009.

C’è una possibilità di uno a tre che questi fattori si combinino per impattare duramente la crescita, ha detto Roubini, riporta Bloomberg. Gli altri due possibili sviluppi sono: una crescita anemica ma ok, o uno scenario ottimista, in cui l’economia continuerà inalterata il suo percorso di sviluppo.

"Ci sono già tanti elementi di fragilità", ha detto. "Il debito pubblico e quello privato stanno aumentando velocemente e questi problemi potrebbero esplodere già dal 2013". L’alto tasso di disoccupazione, l’aumento dei tassi di interesse, dei prezzi degli alimentari e degli energetici e l’alterazione della supply chain giapponese a causa del terremoto, rischiano di bloccare la ripresa.

Sin dall’inizio di maggio i titoli azionari globali hanno perso più di $3,3 trilioni e secondo Roubini i mercati azionari entro la metà del 2012 inizieranno a calare per una convergenza del rischio verso il 2013.

Preoccupante la situazione del debito negli Stati Uniti, con i tassi di interesse che potrebbero registrare, come in Europa, un forte aumento legato alla possibilità di default, visto che il mercato è sempre più nervoso. Ecco perché ora assume maggiore importanza risolvere il problema del deficit, prima di una "rivolta" del mercato dei bond.

Poco rassicurante la situazione in Europa, con Roubini che consiglia una ristrutturazione del debito della Grecia, dell’Irlanda e del Portogallo. Rimandare il problema equivale a peggiorare la situazione, che potrebbe sfociare sempre in una ristrutturazione, ma con interventi più disordinati e che faranno più male all’economia.

Ma nemmeno la Cina sarebbe immune ai problemi. La crescita sproporzionata degli investimenti non porterebbe che a un ritorno del capitale minore e dunque la possibilità di un brusco rallentamento della crescita.


Leggere anche:

Il verdetto di Roubini: Cina, una crescita sbilanciata e non sostenibile
http://www.wallstreetitalia.com/article ... ge=1109388

Roubini: rischio di double dip con i prezzi del petrolio a $140
http://www.wallstreetitalia.com/article ... ge=1092563

Portogallo e Spagna in lista d'attesa per i salvataggi, parola di Roubini
http://www.wallstreetitalia.com/article ... ge=1045642

Roubini: l'immobiliare fa paura, snobbate i dati
http://www.wallstreetitalia.com/article ... ge=1034282



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MessaggioInviato: 14/06/2011, 09:18 
spero che il mondo finisca presto non se ne puo' piu'


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La Federal Reserve USA ammette di non possedere oro

La notizia è di quelle importanti, anche se nei media ufficiali non troveremo traccia. Alvarez Scott, avvocato della Federal Reserve, il banco centrale degli Stati Uniti, lo scroso primo giugno, in un dibattito con il congressista republicano Ron Paul, ha ammesso che la Federal Reserve non possiede oro ed ha spiegato che l’oro ascritto al bilancio del Banco Centrale USA si riferisce a certificati in oro del 1934. Vedasi il video del dibattito in cui l'avvocato Alvarez Scott afferma che la FED non possiede oro dal 1934.
Nel 1934, la legge sulle riserve in oro, obbligò la Federal Reserve, il banco centrale USA a consegnare tutto il suo oro al Ministero del Tesoro, ottenendo in cambio certificati in oro, equivalenti al valore dell’oro consegnato a prezzo del 1934; tale valore è stato rivalutato negli anni successivi, ma attualmente è fermo dal 1973 a 42,22 dollari l’oncia.



A parte la possibilità per la FED di demandare il Tesoro, significa che il dollaro emesso dalla FED dal 1934 in poi non è mai stato supportato dall’oro. Ossia, il valore reale del dollaro è da considerarsi decisamente inferiore a quello che tutti credono proprio perchè non ha nessun supporto in oro.

Il dollaro negli ultimi quarant’anni è stato stampato in quantità enormemente superiore al supporto in oro che si credeva in possesso alla FED; adesso si scopre che la FED non possiede alcun oro, quindi il dollaro è supportatato da un bel niente! Conclusione: vale ancora meno di quanto si potesse immaginare.

In sostanza il dollaro, la moneta USA, nel 1944 era diventata la unica moneta utilizzata negli scambi internazionali in virtù del fatto che con gli accordi di Bretton Woods era diventata l’unica moneta convertibile in oro. Tutti i paesi del mondo per potere operare a livello internazionale si sono riempiti di dollari credendo che fosse supportato dall’oro. Il 15 agosto del 1971 gli USA decretano l’inconvertibilità dell’oro, però di fatto il dollaro non era mai stato convertibile dato che la Federal reserve non possedeva oro e non lo possiede físicamente dal 1934, come ha ammesso oggi!

Il dollaro anche dopo il 1971 continua ad essere usato come moneta internazionale grazie al fatto che il petrolio, il prodotto più importante, è scambiato in dollari, ma di fatto il dollaro è una moneta sopravvalutata e quando crollerà, cosa sempre più prossima ormai, trascinerà nel baratro gli USA e tutto l’occidente (Vedasi nostro articolo “Dominique Strauss-Kahn, il Fondo Monetario Internazionale, il ruolo egemonico degli Stati Uniti ed il destino di milioni di esseri umani”).

La notizia odierna della conferma ufficale che la FED non possiede oro fisico dal 1934 non fa altro che confermare che il valore del dollaro, praticamente non sopportato da un bel niente, è sopravvalutato ed è destinato a svalutarsi.

Se a ciò, aggiungiamo le voci sempre più diffuse, secondo le quali le riserve in oro degli USA, che dovrebbero ammontare a 8.133,5 tonnellate di proprietà del Tesoro e stivate a Fort Knox, sarebbero state in gran parte vendute in passato e sostituite da oro falso, ovvero tungsteno ricoperto da un leggero strato di oro (vedasi, ad esempio l’articolo di Dan Eden “Fake gold bars! What's next?”) si comprende che la fine del dollaro ed il declino degli USA è molto più vicino di quanto si possa credere.

http://www.nexusedizioni.it/apri/Argome ... edere-oro/


Ultima modifica di vimana131 il 19/06/2011, 19:57, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 23/06/2011, 18:48 
USA - È successo a Gastonia, in North Carolina
Ruba in banca 1 dollaro per farsi curare
in prigione, ma sarà presto rilasciato
Poi ha tranquillamente aspettato gli agenti seduto sul sofà. Protagonista un uomo di 59 anni

NEW YORK - Un uomo di 59 anni senza lavoro e bisognoso di cure mediche ha deciso di mettere a segno una rapina in banca da 1 dollaro pur di finire in prigione e usufruire, così, dell'infermeria. È successo a Gastonia, in North Carolina, il 9 giugno scorso, ma la Abc ne ha dato notizia solo adesso.

IL RACCONTO - Richard James Verrone si è presentato allo sportello della filiale locale della Rbc e, fingendosi armato, ha consegnato all'impiegata questo biglietto: «Dammi un dollaro. Sono armato». Dopo che l'impiegata, più incuriosita che spaventata, ha eseguito l'ordine, l'uomo nel ritirare il denaro le ha detto, indicando un divano: «Ora chiama la polizia, io mi siedo lì». Gli agenti sono arrivati pochi minuti dopo e lo hanno trovato tranquillamente seduto sul sofà. L'uomo, che in realtà non era armato, è stato arrestato ed è stato temporaneamente messo in cella. Ma dovrebbe essere rilasciato al massimo entro il 28 giugno. Sperava di restarci più a lungo perché - come lui stesso ha detto ad alcuni giornalisti - i malori di cui soffre necessitano di almeno un anno di cure

http://www.corriere.it/esteri/11_giugno ... 9138.shtml

Sogno americano? [xx(]


Ultima modifica di vimana131 il 23/06/2011, 18:49, modificato 1 volta in totale.

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Trichet: allarme rosso per stabilità finanziaria Ue

di: WSI Pubblicato il 23 giugno 2011 - Ore 16:04

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http://www.wallstreetitalia.com/article ... ia-ue.aspx

New York - Il banchiere centrale europeo vede segnali di rischio per la stabilita' finanziaria dell'area euro, un allarme che e' diventato rosso ora che la crisi del debito sovrano che minaccia di infettare le banche.

"Se devo dare un giudizio personale direi "si e' rosso", ha detto ieri a Francoforte Jean-Claude Trichet al termine di un incontro dei membri del board del rischio sistemico europeo, facendo riferimento alla tabella per monitorare i rischi che rappresenta la crisi del debito sovrano.

Il messaggio lanciato dal CdA e' che "la relazione che intercorre tra i problemi del debito e le banche e' la piu' grave minaccia alla stabilita' finanziaria dell'Unione Europea".

bt problems and banks "is the most
serious threat to financial stability in the European Union."

Trichet, che presiede il board dell'ERSB, ha pronunciato tali parole mentre i leader dell'Europa si sono incontrati a Bruxelles per discutere delle misure da intraprendere per scongiurare un crack del debito greco, prparando un secondo piano di aiuti.

L'Ue sta cercando in tutti i modi di evitare che si ripeta una crisi finanziaraia come quella che ha portato al crack di Lehman Brothers nel 2008 e che ha costretto i governi del Vecchio Continente a mettere da parte oltre 5 mila miliardi di dollari per sostenere i bilanci delle banche.



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Rivolte e sommosse in Grecia.
Gli economisti prevedono l’Apocalisse


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giu 23rd, 2011

di Paul Joseph Watson
Prison Planet.com

Traduzione e adattamento a cura di Francesco Torre per Altrainformazione.

Mentre le proteste continuano ad Atene, molti economisti avvertono che l’Europa e il resto del mondo potrebbero dover affrontare un’Apocalisse economica se la Grecia rifiutasse la seconda tranche di aiuti e andasse in default.

Video da RT (in lingua inglese).

http://www.youtube.com/v/whH8xpTOidk?ve ... 20name=%22

Gli operatori finanziari prevedono un effetto Lehman mentre i mercati cominciano a mostrare segni di indebolimento per il protrarsi della crisi Greca.

Un ex-dirigente del Tesoro Britannico, interpellato da Bloomberg News, ha dichiarato: "I mercati sono passati dalla semplice valutazione di un eventuale default della Grecia alla previsione di uno scenario fuori controllo e ad un’ipotesi di contagio che danneggerebbe altre economie europee quali Portogallo, Spagna, Italia e Belgio".

Attualmente sono molte le nazioni e le banche che hanno acquistato buona parte del debito Greco, ciò significa che un default innescherebbe una reazione a catena in tutta Europa.

Secondo un rapporto della Banca Dei Regolamenti Internazionali, le banche Spagnole detengono 600 milioni in obbligazioni Greche, le banche italiane 2,6 miliardi, le banche inglesi 3,2 miliardi, le banche francesi 19,8 miliardi e le banche tedesche 26,3 miliardi.

Gli altri paesi dell’euro-zona detengono obbligazioni per un ammontare complessivo di circa 15,7 miliardi.

Le banche americane detengono 1,8 miliardi di debito Greco, le banche giapponesi 500 milioni.

Negli ultimi due giorni l’euro ha ceduto più del 2% sul biglietto verde, nonostante quest’ultimo sia già ampiamente svalutato.

Se da una parte il valore delle azioni diminuisce in tutto il mondo, dall’altra parte i costi di assicurazione sul rischio delle obbligazioni private sono ai massimi da gennaio.

Esiste una probabilità del 78% che la Grecia non ripagherà il suo debito.

Standard & Poor’s ha tagliato drasticamente il rating di quattro delle maggiori banche Greche, mentre Moody’s annuncia che ridurrà il rating di BNP Paribas e di altre due grosse banche francesi a causa della loro esposizione verso Atene.

Appare sempre più probabile un congelamento dei mercati ai livelli del 2008 (quando la Lehman fallì) che si ripercuoterebbe negativamente e globalmente sul mercato valutario, azionario e dei derivati.

Il primo ministro Greco, George Papandreou, insegue l’approvazione di misure di austerità che consisterebbero in tagli sulla spesa pubblica e la (s)vendita dei beni dello stato per un totale di 78 miliardi di euro (110 miliardi di dollari).

L’unione europea e il fondo monetario internazionale hanno annunciato che questo programma deve essere varato entro la fine del mese come condizione per sbloccare gli "aiuti".

Se la mozione non dovesse passare, "Si aprirebbe uno scenario apocalittico, che porterebbe a un default e ad un conseguente contagio", afferma Charles Diebel, responsabile investimenti per Lloyds di Londra.

Ai Greci (schiacciati tra il collasso della loro economia e la vendita selvaggia di ogni cosa che abbia valore nel loro paese) si sono trovati costretti a scendere in piazza e protestare.

Il centro di Atene è diventato zona di guerra; i manifestanti, con indosso le maschere antigas, provocano violentemente la polizia che risponde sparando gas lacrimogeni sui cortei pacifici.

I video seguenti (in lingua inglese) sono tratti da RT, e testimoniano il caos del momento.

http://www.youtube.com/v/2bK9EIsRrFc?ve ... am%20name=


Articolo originale a questo indirizzo:
http://www.prisonplanet.com/is-this-it- ... 80%99.html



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dove si prende il primo aereo per l'Isola di Pasqua? tra i Moai, il nulla, senza preoccupazioni... parto subito se qualcuno mi indica la via


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MessaggioInviato: 25/06/2011, 22:52 
Questa è da leggere attentamente..... [:D]




DEFAULT PER GRECIA E STATI UNITI

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- DI YURI GAVRILECHKO – Strategic Culture -

http://informarexresistere.fr/2011/06/2 ... ati-uniti/

Nella metà di giugno Alan Greenspan, l’ex direttore della Federal Reserve, ha detto che il default della Grecia è “quasi certo” e potrebbe contribuire a portare l’economia degli Stati Uniti in depressione. La forte dichiarazione di Greenspan sulla Grecia potrebbe essere una “cortina di fumo” per preparare la comunità globale al default degli USA

Intanto, qualche dato fondamentale.

Il 14 giugno la Commissione Europea ha fallito nel giungere a una conclusione definitiva sulla situazione greca per trovare il mondo di risolvere il problema del suo debito. Si ci aspetta che il Parlamento greco approvi il programma per la riduzione dei costi di bilancio.

Il 16 giugno gli Stati Uniti hanno raggiunto un altro massimo per il tetto del debito pari a 14,3 trilioni di dollari, fissato dal Congresso nel 2010. L’amministrazione USA ha alcune settimane a disposizione per evitare il default, che potrebbe già avvenire il 2 agosto, se il Congresso non dovesse approvare l’innalzamento del limite di questo tetto. Alcuni esperti fanno presente che, per comprendere appieno il vero significato dell’avvertimento di Alan Greenspan, bisognerebbe tenere in considerazione queste circostanze:

- i mass media globalisti stanno ponendo una maggiore attenzione sul rumore che c’è attorno all’incremento del limite del debito degli Stati Uniti: i Repubblicani stanno spingendo l’amministrazione Obama per prendere misure efficaci per combattere il deficit e sono pronti persino a ritardare l’innalzamento del tetto del debito fino ad agosto per provocare un default tecnico del debito del governo degli Stati Uniti;

- il 17 giugno l’agenzia di rating Moody’s ha avvertito che, se la decisione dell’aumento del tetto del debito non verrà presa entro la metà di luglio, ciò porterebbe a un abbassamento del rating USA e se il tetto non venisse alzato per il 15 agosto questo significherebbe un ulteriore abbassamento del rating USA fino a R.D., che significa default limitato;

- presumibilmente, l’affermazione di Alan Greenspan è un tentativo per avvicinare l’opinione pubblica all’eventualità, e poi all’inevitabilità, del default limitato per gli Stati Uniti, di cui verrà addossata la colpa al “disastro greco”. Un default negli Stati Uniti, anche se limitato, sarebbe una conseguenza sproporzionata ai problemi della Grecia, che non dovrebbero influenzare gli USA: gli asset lordi delle banche americane e dei broker emessi dalla Grecia ammontano a soli 32,7 miliardi di dollari e gli asset netti sono ancora inferiori.

Un default in Grecia avvantaggerebbe molto gli USA. Non solo per coloro che vogliono innalzare il tetto del debito per la 63esima volta, ma anche perché renderebbe possibile spostare il peso della stretta deflazionistica sulle spalle degli europei.

Il default negli USA è una preparazione per l’iperinflazione?

Dall’altro lato, le passività del settore non finanziario dei paesi sviluppati si stanno avvicinando al limite naturale; ad esempio, negli Stati Uniti e nel Canada i debiti hanno raggiunto il 68% del valore totale accumulato dalla nazione, in Giappone il 64%, in Gran Bretagna il 59%, eccetera. Questo è il motivo per cui è inevitabile che verranno depennati: sia attraverso una spaventosa “stretta” deflazionistica o con l’iperinflazione. Dopo tutto, ancora non ci sono le condizioni per l’iperinflazione: i collaterali sui prestiti in dollari (che sono stati approvati negli ultimi dieci anni) non sono stati ancora consolidati. L’iperinflazione diventa possibile solo dopo l’intera catena dei default dei debitori che hanno preso i dollari in prestito.

È più probabile che nel futuro immediato l’economia globale debba far fronte a una nuova “stretta” deflazionistica. Per via del termine, fissato in giugno, dei programmi di alleggerimento quantitativo QE1 e QE2 che hanno immesso denaro dal Federal Reserve System (FRS) nell’economia degli USA, e del ritiro da parte della Banca Centrale Europea (BCE) dei programmi d’aiuto finanziari e del progetto di il tasso di sconto, una volta arrivati al 30 giugno il deficit dei dollari avrà inizio, le banche abbasseranno i limiti una con l’altra, perché nessuna saprà quanto forte sarà la dipendenza del proprio contraente dai crediti dalla riscossione incerta collegati ai paesi PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna). Come risultato, almeno nel breve termine e forse anche nel medio, i prezzi delle materie prime diminuiranno. Una dinamica simile è già evidente, le materie prime stanno diventando meno care: negli ultimi tre giorni il prezzo del petrolio ha perso 10 dollari al barile. Ciò rende improbabile l’iperinflazione in questo contesto. La stagflazione è il massimo di quello che potrebbe accadere, ma è più probabile che il mondo debba affrontare un nuovo shock deflazionistico, che verrà “estinto” con l’aiuto dell’emissione di moneta. Un altro programma di quantitative easing (QE3) è possibile.

Al momento le quotazioni delle azioni e gli indici sono in calo e i diversi incidenti artificiali come le “epidemie dovute ai cetrioli” nell’Unione Europea le faranno diminuire ancora di più. Cosa può servire come motivazione aggiuntiva per il FRS e la BCE per implementare il QE3? Prima di tutto questo potrebbe causare una bancarotta di un altro gruppo di banche sovraccaricate non solo di titoli “tossici”, ma anche di altre titoli di stato non garantiti. Se le banche fallissero, si avvierebbe una nuova crisi. Una nuova immissione di denaro nell’economia potrebbe prevenire questo scenario.

Oro al tungsteno per la Cina, ossia la crisi globale della fiducia

All’inizio dei giugno i mass media si sono focalizzati sullo scandalo della vendita dei lingotti d’oro falsi alla Cina (1). Una volta ordinato il lotto, il governo cinese si è premunito di controllare la finezza dell’oro e il peso dei lingotti. Le barre erano false. Il lotto conteneva barre di tungsteno coperte con una fine patina d’oro. Questi lingotti “d’oro” erano stati prodotti negli Stati Uniti e sono stati conservati a Fort Knox per molti anni. Il governo cinese ha avviato un’indagine e ha rilasciato una dichiarazione in cui fa riferimento alle macchinazioni del governo degli Stati Uniti. I numeri di registrazione del lotto dimostravano che i lingotti furono ricevuti dall’FRS durante la presidenza Clinton. In quel periodo furono prodotte da 1,3 a 1,5 milioni di barre di tungsteno, del peso di 400 once ciascuna, in seguito all’ordinativo dei banchieri dell’FRS. 640,000 di queste barre di tungsteno furono ricoperte d’oro e spedite a Fort Knox dove sono state conservate fino ad ora. In base ai risultati dell’indagine, le rimanenti barre di tungsteno furono anch’esse ricoperte d’oro e vendute nel mercato internazionale. Non solo le riserve d’oro degli Stati Uniti hanno ricevuto oro patacca, ma anche il mercato globale è stato truffato dai banchieri dell’FRS. Il prezzo della “truffa dell’oro di Clinton” è di circa 600 miliardi di dollari.

Un ulteriore avvenimento che mi rammenta quella truffa è il recente scandalo sessuale dell’ex direttore del FMI, Dominique Strauss-Kahn. L’ex direttore del FMI face una dichiarazione pubblica in cui rivelò l’informazione che gli Stati Uniti non avevano riserve d’oro. Questa potrebbe essere una delle ragioni dietro lo scandalo.

Strauss-Kahn era sempre più preoccupato dalla mancanza delle riserve d’oro dopo che gli Stati Uniti avevano ritardato la “spedizione” di 191,3 tonnellate d’oro per il FMI, che ne aveva bisogno come alternativa alle riserve composte dalle divise. Durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, Strauss-Kahn ha ricevuto conferma dai funzionari della CIA che la riserva d’oro era scomparsa.


La pubblicazione della conversazione tra il parlamentare Ron Paul e il rappresentante del FRS Scott Alvarez all’inizio di giugno dà conferma a quest’informazione. In questo dialogo hanno detto che il FRS non ha più oro per sostenere il dollaro (2).

La diffusa opinione che il FRS possieda oro non è vera. Le riserve del FRS sono stimate in 11,1 miliardi di dollari, ma questo dato potrebbe decisamente salire se il Ministero delle Finanze rivalutasse il suo oro e introducesse la pratica nella rivalutazione del valore facciale prevista dalla legge. Infatti il valore del dollaro è molto più basso e il FRS non ha molte possibilità per usare i suoi asset.

L’unica cosa che potrebbe prevenire il collasso del sistema è la fiducia del mercato. Quando questa sparisce, scomparirà anche qualsiasi altra cosa. Se la decisione fosse quella di avviare uno scenario iperinflattivo non sarebbe necessario applicare alcuno strumento finanziario.

Nella situazione odierna sarebbe già abbastanza lanciare una campagna informativa nei mass media per creare il panico. Per i funzionari del FRS, del FMI e della BCE sarebbe già abbastanza evitare di commentare la cosa.

Strategicamente, non fa alcuna differenza se il default della Grecia sia possibile nel futuro immediato o se fosse posticipato grazie all’immissione di decine di miliardi di euro nell’economia nazionale dall’estero. Il risultato sarebbe lo stesso in entrambi i casi: prima uno shock deflazionistico e poi l’iperinflazione. Per questa ragione, se la Grecia ricevesse un aiuto economico dall’estero gli Stati Uniti avrebbero più tempo per preparare lo scenario fissato dell’iperinflazione del dollaro.


______________________________________________

Note:

(1) http://perevodika.ru/articles/18828.html


(2) http://hvylya.org/news/digest/11075-v-f ... -goda.html

*******************************************


Fonte: http://www.strategic-culture.org/news/2 ... he-us.html


Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

http://www.comedonchisciotte.org/site// ... e&sid=8513



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Certo che vendere tungsteno per oro è da comiche. "Vai, vai, tanto figurati se controllano: prendi la bomboletta del Natale scorso e colora"... Che poi la Cina è pure uno dei più grandi produttori mondiali di (maotse)tungsteno... Devo cercarmela bene 'sta notizia perchè è così assurda, ma così assurda che deve per forza essere vera.

Chissà, comunque, Marx come se la ride: "L'avevo detto, io, l'avevo detto che sarebbe finita così!" Come dire, un fantasma si aggira per l'Europa (e il mondo), il fantasma del capitalismo...


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Cita:
sezione 9 ha scritto:
Devo cercarmela bene 'sta notizia perchè è così assurda, ma così assurda che deve per forza essere vera.


E' vera è vera...... [:o)]



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