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MessaggioInviato: 27/11/2011, 16:21 
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Thethirdeye ha scritto:

Altra domanda: COSA chiederà in cambio l'FMI all'Italia sul fronte delle garanzie?

Meditate gente, meditate....


da "effetto valanga"
http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-8d786bde-265f-412e-a52f-aa631f06b93b.html


Cita:


http://www.report.rai.it/dl/docs/1320007213673effetto_valanga_pdf.pdf

...FIDEL TOE – MINISTRO DEL LAVORO (1983-1987) BURKINA FASO
Degli economisti ci spiegarono che non è mai successo che un paese si sia sviluppato con i soldi del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Non appena vi finanziano – ci spiegarono - vi presentano le condizioni: privatizzate questo, privatizzate quello. E alla fine privatizzare vuol dire gettare tante persone sul lastrico: si tagliano posti di lavoro, crescono i prezzi e il paese decade...



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[^]The best quote ever (2013 Nonsense Award Winner):
«Way hay and up she rises, Way hay and up she rises, Way hay and up she rises, Early in the morning!»
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http://tuttiicriminidegliimmigrati.com/
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MessaggioInviato: 27/11/2011, 17:30 
Svendere l’Italia in 30 giorni: l’ultimo diktat dei cannibali
http://www.libreidee.org/2011/11/svende ... cannibali/


Un nuovo diktat della Ue impone all’Italia di mettere immediatamente a mercato le residue quote pubbliche nelle grandi società strategiche (Eni, Enel, Finmeccanica etc.). Pena sanzioni economiche. I grandi gruppi capitalistici franco-tedeschi si preparano a fare shopping in Italia. Nella giornata di ieri, c’è stato un incontro che è passato abbastanza inosservato: quello tra il commissario europeo agli affari interni, Michel Barnier, e il presidente del Consiglio, Mario Monti. L’incontro è durato oltre due ore e mezza, ma non si è parlato delle misure anticrisi per l’Italia. La “questione” infatti era un’altra.

Secondo quanto riferisce il commissario, tra le materie all’ordine del giorno c’è una «questione che Monti conosce molto bene», le golden share che lo Stato mantiene nelle grandi imprese privatizzate. In pratica le residue quote azionarie del Ministero del Tesoro sulla grandi società strategiche e che vanno “privatizzate”. Barnier è venuto a dirci che in Europa «tratteranno l’Italia in modo equo come tutti gli altri paesi», ed è stata sua la decisione di citare Roma alla Corte di giustizia Ue per i poteri di veto mantenuti dal Tesoro in Enel, Eni, Telecom Italia, Finmeccanica e Snam Rete Gas. Una nota dell’Ansa informa che ieri la Commissione Europea ha annunciato che la lettera di deferimento sarà inviata tra un mese, secondo gli accordi presi mercoledì tra Monti e il presidente della Commissione, Josè Barroso.

Monti avrebbe concordato con Barroso trenta giorni di tempo per regolarizzare la posizione dell’Italia in cambio della promessa di fare quello che gli esecutivi precedenti non hanno fatto negli ultimi dieci anni: rinunciare alla golden share che impedisce scalate ostili nelle aziende considerate strategiche. Praticamente Monti ha negoziato la resa vendendo quello che c’era rimasto al grande capitale franco-tedesco che non aspetta altro che banchettare e penetrare in Italia come ha fatto per la Grecia. «Del resto, questo è il disegno strategico del capitalismo prussiano, mangiarsi l’Europa e centralizzare il comando finanziario nelle triple A», sostiene la newsletter “Controlacrisi.org”. «Non è detto che ci riusciranno ma ci proveranno. Del resto hanno il fucile in mano, basta semplicemente pensare all’uso politico della Bce nel ricattare i paesi periferici a dismettere il patrimonio pubblico».

Non c’è però solo la Bce, anche Bruxelles dà una mano. L’Unione Europea liberista infatti giudica queste azioni privilegiate incompatibili con il mercato unico e l’Italia è già stata condannata nel marzo 2009 per questo motivo. Un nuovo verdetto negativo comporterebbe automaticamente multe salate. Nel mirino di Barnier è, in particolare, il potere di veto del Tesoro in merito all’acquisizione di titoli delle società oltre la soglia del 5% dei diritti di voto, in merito agli accordi degli azionisti (sempre sopra la quota del 5% dei diritti di voto) e in merito ad alcune decisioni delle imprese su fusioni e scissioni.

La questione delle golden share è particolarmente calda nel momento in cui sul tavolo del governo sembrano esserci nuove privatizzazioni. L’ondata riguarderebbe le municipalizzate, con la progressiva uscita del pubblico dai servizi locali, stavolta senza la scialuppa delle azioni privilegiate. La definitiva cannibalizzazione dell’Italia ad opera dei grandi gruppi capitalisti franco-tedeschi inizierà a breve e non faranno prigionieri. A meno che…….

(Stefano Porcari, “Privatizzazioni: Monti si arrende alla Commissione Europea”, dal blog “Contropiano” del 24 novembre 2011).



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MessaggioInviato: 27/11/2011, 18:24 
A meno che.............. Suggerimenti?



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MessaggioInviato: 27/11/2011, 21:09 
La Cina è ormai una fabbrica di automi

Anche la Cina sente la crisi. L’Europa e gli Usa che non crescono più portano il Grande Produttore ad avere gli stessi problemi dell’Occidente: fabbriche in chiusura, manodopera in migrazione. E allora, racconta Giampaolo Visetti su Repubblica, la soluzione è una:

Così la Cina tenta la carta della migrazione interna, strappando altra manodopera alle campagne. E soprattutto della tecnologia: robot al posto degli uomini, per fare i lavori più pesanti ed evitare un’escalation di rivendicazioni. Come farà la Foxconn, gigante hi-tech colpita da una raffica di suicidi di operai sconvolti da ritmi di lavoro insostenibili. L’incubo delle autorità di Pechino è l’esodo di massa degli stabilimenti costieri verso le sottosviluppate regioni dell’Ovest. Una concorrenza interna insostenibile: sgravi fiscali, sconti sui terreni e salari al limite della soglia di povertà garantiscono alle imprese risparmi fino al 20%. In dieci anni nel Guangdong i salari sono saliti del 94%, più 28% dall’anno scorso: impossibile reggere la rimonta dei nuovi distretti del Sudest asiatico, Bangladesh, Vietnam, Cambogia e Indonesia in testa. Per non finire come Taiwan e Giappone, a cui proprio il Guangdong decimò il sistema industriale con la legge della delocalizzazione votata ai massimi ribassi, per riempire i capannoni si punta alla migrazione interna.

Una guerra tra poveri, innescata dallo stesso governo cinese per «raccogliere i frutti dai rami più bassi» nelle aree depresse della nazione:

2164 euro all’anno la paga di un operaio nel Guangdong, 1640 nello Hunan, addirittura 1530 nello Henan, meno di 130 euro al mese. Margini di guadagno sempre più bassi: l’Occidente non assorbe più merce, l’inflazione cinese cresce, l’ambiente distrutto presenta il conto, i consumi interni non sostituiscono il calo dell’export e le banche iniziano a chiudere i crediti. La seconda potenza economica del pianeta redistribuisce così le sue forze, la produzione emigra cinquecento chilometri verso ovest e il tentativo di ammorbidire il raffreddamento economico (Pil a più 9,2 nel 2012, rispetto al più 9,4 di quest’anno) solleva un’ondata di sommosse senza precedenti. I produttori abbandonano il Guangdong e gli operai si ribellano. Sommosse incontenibili da settimane, culminate ieri a Lufeng con la rivolta di migliaia di persone, scese per le strade scandendo slogan contro la «dittatura» e contro la «corruzione » dei funzionari. Le rivolte, con feriti e centinaia di arresti, sconvolgono però anche le multinazionali straniere, impegnate a dismettere gli investimenti nei distretti orientali per riaprire dove i risparmi superano il 40%.

Niente sindacati, milioni di ex contadini disoccupati disposti a tutto, aree a volontà:

I colossi però sono già oltre e puntano sull’addio definitivo agli operai. Il caso-simbolo è la Foxconn, l’impresa più grande del mondo, oltre un milione di dipendenti solo in Cina. A Shenzhen assembla la maggior parte dei prodotti hi-tech che stanno cambiando l’umanità, per conto di marchi come Apple, Nokia e Cisco. Sconvolta da un’ondata di suicidi, 18 in pochi mesi nel 2010, ha annunciato ieri che entro il 2012 produrrà 300 mila robot, destinati a diventare un milione entro il 2014. La grande fuga delle industrie dal Guangdong rischia così di chiudere per sempre l’era della manodopera, per aprire quella del lavoro totalmente meccanizzato. Gou Tai-ming, presidente del colosso con base a Taiwan, ha assicurato che per ora i robot non ruberanno il lavoro agli operai, limitandosi a svolgere mansioni pericolose, operazioni di precisione e operazioni che espongono agli effetti di sostanza tossiche. «È chiaro però — ha dichiarato — che l’aumento del costo del lavoro mette sotto pressione l’industria cinese, costretta a trovare presto soluzioni». Questione di tempo. Foxconn, da alcuni mesi, sperimenta già 10 mila robot alla catena di montaggio e da agosto ha delocalizzato i prodotti di punta nelle nuove fabbriche di Zhengzhou, nello Henan, e a Chengdu. «I robot non si suicidano — ha commentato Lin Xinqi, direttore del dipartimento risorse umane della Renmin University of China — non rivendicano diritti e se gli ordini calano basta spegnerli». È l’ultima frontiera del miracolo cinese: addio Guangdong e addio operai, scocca l’ora dei robot di Chongqing.

http://www.ecplanet.com/node/2847


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MessaggioInviato: 28/11/2011, 07:57 
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Blissenobiarella ha scritto:

Più che altro la logica porta a pensare che l'evoluzione di quello che stiamo vedendo accadere sarà questa...
E pensare che questo possa non essere stato pianificato in anticipo è azzardato.

D'altra parte se è l'unificazione dell'Europa il fine ultimo di questo processo, tale scopo non sarebbe stato raggiungibile in altro modo. Quale governo e quale popolo rinuncerebbe alla sovranità sui territori che occupa se non messo alla strette? E' la shock economy (http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=11314), si usano le crisi, create all'occorrenza, per soggiogare le genti...In passato si unificavano gli imperi conducendo guerre di conquista mettendo le terre a ferro e fuoco, oggi si conquistano riducendole sul lastrico.
ma ben venga, almeno così avremmo uno stato enorme che potrebbe tenere a bada russia e usa, oltre che naturalmente (si spera) toglerci da sto pasticcio


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MessaggioInviato: 28/11/2011, 08:00 
Patti e piani segreti tra i potenti del mondo
Francia e Germania vanno alla revisione dei trattati europei tramite accordi bilaterali. Il New York Times: "Le grandi banche mondiali preparano piani d'emergenza in previsione del crollo dell'euro"

di Francesco Piccioni - 27.11.2011

Due notizie estreme nella stessa giornata. Per fortuna la seconda è indirettamente una risposta alla prima, così che gli effetti - come altre volte avvenuto - non si possono sommare.
La prima è arrivata dagli Stati uniti e aveva un «non so che» di terrificante: le 100 più grandi banche del mondo si stanno preparando a uno scenario in cui l'euro crolla. Riportata dal New York Times, non da uno dei tanti siti affetti da catastrofismo congenito, era peraltro la conferma di numerose voci che arrivano anche a noi dal mondo finanziario: «Asia e Usa stanno vendendo tutto quel che hanno denominato in euro». Titoli di stato dei Piigs, certo, ma anche azioni e bond societari.
Nei dettagli: Merrill Lynch, Nomura, Barclays, hanno diramato in settimana un fitta serie di report che prefigurano la necessità di approntare «piani di emergenza». La stessa Barclays ha condotto un sondaggio tra i propri clienti più importanti, da cui emerge la convinzione diffusa che almeno un paese (la Grecia, naturalmente) sarà obbligato ad uscire dalla moneta unica. Negli Usa le autorità hanno invitato le grandi banche basate negli States, a partire da Citigroup, a ridurre l'esposizione verso la zona euro. Fino alla nota «di colore»: il colosso tedesco del turismo Tui ha inviato alle catene alberghiere elleniche la richiesta di rinegoziare i contratti denominandoli in dracme (la moneta nazionale da tempo scomparsa), in modo da ridurre eventuali perdite dovute a un default greco.
L'analisi del Nyt sembrava poggiare su basi abbastanza solide: Standard&Poor's ha abbassato il rating del Belgio ad «AA» per i problemi di riduzione del debito (in assenza di un governo vero e proprio da un anno e mezzo); i bond di Portogallo e Ungheria sono stati invece declassati a «spazzatura» e, problema ben più rilevante, la «tripla A» francese sta rischiando ogni giorno più seriamente. Ma si evidenziava anche un diverso atteggiamento tra istituti europei ed extraeuropei. I secondi «si preparano» a qualsiasi evenienza, mentre all'interno del continente ci si muove come se la cornisce monetaria non possa assolutamente cambiare. Del resta, spiegava in serata l'economista Giacomo Vaciago, «dall'euro esci comprando dollari, yen, sterline». Movimenti di cui non si vedono grandi riscontri.
Quasi in risposta a questi allarmi un po' scomposti - che avrebbero potuto avere pesanti conseguenze sui mercati domattina - la tedesca Bild online rivelava l'esistenza di un «piano segreto franco-tedesco» per imporre rapidamente modifiche ai trattati europei, tali da permettere di sanzionare duramente i paesi «cicala». Indiscrezione di fatto confermata poche ore dopo dal portavoce del governo di Berlino.
In pratica, nel vertice europeo del 9 dicembre Merkel e Sarkozy presenteranno proposte comuni difficilmente rifiutabili. La modifica dei trattati, infatti, avverrà tramite accordi bilaterali tra diversi paesi - come del resto è avvenuto quando è stata creata l'area Schengen - che hanno già parametri economici abbastanza simili (loro due più Olanda, Lussemburgo, Austria e Finlandia). Mentre per tutti gli altri la porta resterebbe aperta per «aderire» in tempi successivi e solo accettando condizioni molto dure; controllo comune dei bilanci di ogni paese, perdita di sovranità in caso di sforamento, sanzioni e tagli automatici (peraltro già operativi da dicembre).
Il vantaggio di questa procedura sta tutto nella sua rapidità: niente lunghe discussioni «a 17», ma politica del fatto compiuto con un patto tra i «virtuosi». Bypassata completamente la Commissione, tra l'altro, e quindi rimossi anche i dissensi con Durao Barroso, sostanzialmente privato di poteri effettivi.
Si potrebbe obiettare che questo piano non è poi così innovativo (introduce di fatto un'eurozona di serie A e una più periferica, con molti problemi irrisolti), né a prova di default di paesi comunque importanti. Ma allo stato - dopo due anni passati a imporre alle «cicale» (Grecia e Portogallo in primis) politiche di rigore che ne hanno aggravato il debito distruggendo al tempo stesso la loro capacità produttiva - non sembra ci siano idee migliori per «tranquillizzare i mercati».
Nel frattempo, però, si scopre che i «virtuosi» hanno guadagnato molto dai problemi delle «cicale». Solo la Germania, infatti, ha risparmiato almeno 20 miliardi per gli interessi sui propri titoli di stato grazie alla fuga dei capitali dai bond a rischio verso quelli tedeschi. Anche la piccola Olanda ha fatto altrettanto, evitando di sborsare 7,5 miliardi. Ma è un gioco che non può andare avanti ancora a lungo. La forza economica e finanziaria della Germania (e dei« virtuosi») è stata esaltata dalla moneta comune. Lasciarla crollare, magari per garantire la rielezione a Frau Merkel, non sembra un colpo di genio...
http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/5940/



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MessaggioInviato: 28/11/2011, 09:32 
http://affaritaliani.libero.it/economia ... 81111.html

Allarme Moody's su Eurozona: A rischio tutti Paesi Ue


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MessaggioInviato: 28/11/2011, 13:05 
Patto Parigi-Roma-Berlino Occasione o fregatura?L'Italia è al centro della lotta per la sopravvivenza dell'euro. Accordo con Merkel e Sarkozy: soluzione o bidone?
E
' in corso la lotta per la sopravvivenza della moneta unica euoropea, che culminerà il prossimo vertice europeo dell'8 e 9 dicembre. Al centro dei giochi c'è l'Italia, chiusa tra i fuochi di Francia e Germania. Tra vertici e attriti Parigi, Berlino e Roma stanno lavorando per creare una nuova "unione della stabilità" al fine di rafforzare la disciplina di bilacio nell'eurozona. "Non sarà un patto a tre ma un patto per una nuova governance con veri regolatori e vere sanzioni,che dia veramente fiducia ai mercati (...) per un 'Europa molto più solida e con meccanismi di regolamentazioni virtuosi" ha garantito ieri la ministra del Bilancio francese, Valérie Pécresse. Eppure sono molti gli eventi negli ultimi tempi che fanno pensare ad una Francia ed una Germania che pensano solo ai propri interessi a discapito dell'Italia e degli altri paesi dell'Eurozona. Rimane dunque il dubbio se questo patto Parigi-Berlino-Roma sia una vera occasione per il nostro Paese o in realtà sia l'ennesima fregatura. Leggi di seguito l'articolo di Franco Bechis.

Tè, pasticcini e qualche sorriso in più del passato, ma alla fine anche la missione diplomatica di Mario Monti ospitato a salotto dalla cancelliera Angela Merkel e dal presidente francese Nicolas Sarkozy non ha modificato di una virgola la realtà: l’Italia resta fuori dalla cabina di comando della Unione europea. Con uno sgarbo senza precedenti, rimandato Monti alle sue faccende nazionali, Sarkozy e la Merkel avrebbero siglato una misteriosa intesa per modificare i trattati europei. Ne ha riferito ieri la Bild on line, trovando pure conferma ufficiale da un portavoce del governo tedesco che ha solo cercato di minimizzare la portata dell’intesa.

Regole di ferro - Secondo le indiscrezioni l’idea della coppia franco-tedesca, spesso ribattezzata «Merkozy», è quella di sottoscrivere bilateralmente un nuovo Trattato di stabilità europea, a cui potranno essere via via aggiunte le firme degli altri paesi dell’Eurozona. Per l’adesione sarebbero previste condizioni di finanza pubblica assai più gravose di quelle dei trattati precedenti con poteri sanzionatori affidati alla commissione europea in caso di non rispetto. In cambio di queste regole rigide che fin dall’inizio separerebbero l’area dell’euro in due serie, la A dei paesi virtuosi, e la B dei paesi in difficoltà di bilancio, la Germania rimuoverebbe contemporaneamente il suo veto all’emissione di Eurobond da parte della Bce, pur continuando a vietare alla banca centrale europea un ruolo di prestatore di ultima istanza che la avvicinerebbe al modello della Federal Reserve. Secondo la Bild il piano Merkozy sarà presentato all’Eurogruppo fra l’8 e il 9 di dicembre prossimo, mutuerebbe la tecnica del Trattato di Schengen (cui aderirono i vari paesi un po’ alla volta), con l’obiettivo di entrata in vigore almeno nella versione bilaterale già dal mese di gennaio 2012. L’idea della Merkel è in fondo semplice: utilizzare con il parametro del nuovo Trattato la forza d’assedio dei mercati per rendere più virtuosi gli altri paesi dell’area dell’euro, che oggi sono messi spalle al muro dalla speculazione. Secondo la cancelliera tedesca la crisi di questi ultimi due anni ha mostrato che quando la speculazione morde davvero, i paesi (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e anche Italia), iniziano a mettersi in riga davvero. Il rischio però è che passata la bufera si torni alla finanza pubblica precedente.

Virtuosi per forza - Con il nuovo trattato a due velocità la Merkel vorrebbe sfruttare la speculazione come guerra continua alla scarsa virtuosità di chi governa gli altri paesi dell’area dell’Euro. Il contemporaneo sì agli Eurobond servirebbe come ancora di salvataggio al momento buono per evitare il default di un singolo paese e di conseguenza dell’intera area dell’Euro. Il piano Merkel peraltro è assai rischioso, perché la velocità della speculazione e dei mercati è mille volte superiore alla capacità di intervento dell’Unione europea e perfino della sua banca centrale. Ma è chiaro che un piano così è destinato a spogliare del tutto della propria autonomia di governo tutti i paesi dell’area Euro salvo appunto Germania e Francia. E non è detto che la diarchia poi possa funzionare a meraviglia: la virtuosità di Sarkozy non è esattamente da manuale, come prova il recente attacco ai titoli di Stato francesi che ne ha fatto schizzare il tasso di interesse verso l’alto. Di fronte alla diarchia al terzo paese fondatore della Ue, l’Italia, non resta che una strada da battere, per quanto impervia sia. Più che pasticcini con la Merkel, il premier italiano Monti dovrebbe prepararsi a bere casse di champagne in compagnia di Sarkozy e cercare di mettere sul piatto argomenti convincenti per spezzare o quanto meno ritardare il più possibile il matrimonio franco-tedesco.

Rompere l’asse - In Francia e Germania il 2012 è un anno elettorale, e non è detto che sia Merkozy a rappresentare quei due paesi. Non è semplice provare a separare quell’asse che ha come sola fragilità un’intesa non meravigliosa fra i due protagonisti. Però è la sola carta che può giocarsi l’Italia di Monti, che potrebbe a buon diritto intestarsi la guida della possibile serie B dell’euro. Riuscire a spezzare l’asse franco-tedesco, magari facendo ventilare alla Francia la leadership di una diversa Europa, è l’unica strada possibile per tentare di rovesciare la situazione e mettere alle corde la Germania. Perché i tedeschi hanno un evidente punto debole: il mercato naturale delle loro merci è quello europeo. Se si relegasse la Germania solitaria (fosse anche con qualche suo paese satellite) nell’area A dell’euro, sarebbe come condannarla a una sorta di supermarco che ne metterebbe in grave crisi le esportazioni e la bilancia dei pagamenti. È un’ipotesi difficile da perseguire, ma che sembra essere intuita in questi mesi dai mercati.

Contropiede - Sembra questa la spiegazione di un attacco all’area dell’Euro che non ha precedenti, accompagnata però da una quotazione della moneta ancora forte e relativamente stabile rispetto al dollaro. Come se l’Euro oggi rappresentasse più l’area del Marco che l’Eurozona piena di ferite. Insomma, se è chiaro che la Germania sta cercando di mettere ko l’Italia, a Monti non resta che una sola possibilità: il contropiede. Per mettere fuori dall’Euro proprio i tedeschi.

http://www.libero-news.it/news/878952/P ... atura.html


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MessaggioInviato: 28/11/2011, 14:10 
Io non ho più parole per commentare lo schifo che leggo in questi giorni. Sono tornato a scrivere su questo forum auspicando una sola cosa, e oggi me lo auguro ancora di più.

UNA PUNIZIONE DIVINA CHE RIPULISCA IL MONDO DA QUESTA FECCIA E CHE SALVI I PURI DI SPIRITO.

... sperando sempre che ci sia un "dio" ..... [8]


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MessaggioInviato: 28/11/2011, 14:11 
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Cita:
DeMultaNocte ha scritto:

Io non ho più parole per commentare lo schifo che leggo in questi giorni. Sono tornato a scrivere su questo forum auspicando una sola cosa, e oggi me lo auguro ancora di più.

UNA PUNIZIONE DIVINA CHE RIPULISCA IL MONDO DA QUESTA FECCIA E CHE SALVI I PURI DI SPIRITO.

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speriamo.supponendo ke la speranza e' sempre l'ultima a morire......e regga pure allo sforzo ke l'attende [;)]


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MessaggioInviato: 28/11/2011, 17:05 
io non sono un puro di spirito [8)] però voglio essere salvato ugualmente perchè sono meglio sicuramente di questi [:o)]


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Cita:
Thethirdeye ha scritto:

Washington, 27-11-2011

Il Fondo monetario internazionale avrebbe pronto un piano di salvataggio per l'Italia da 600 miliardi di euro che darebbe al governo Monti 12-18 mesi di tempo per varare le riforme necessarie alleviandolo dalla necessità di rifinanziamento del debito.

http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=158997





E' una cifra molto grande. Se ce la prestassero penso proprio che non la ripagheremo mai; per non parlare degli interessi che dovremo pagare per un prestito così grande e che si andrebbero ad aggiungere a quanto già dobbiamo pagare. Mi sembra una spirale senza fine, onestamente.
Non per fare il pessimista a tutti i costi, ma mi sembra decisamente premeditato. Tramite un prestito così grande, che sono convinto sanno già non potrà essere ripagato, ci ricatteranno ancora più agevolmente in futuro; prima o poi il grande e ricco patrimonio immobiliare pubblico italiano, ricco di storia e anche d'arte, in molti casi, finirà in mano a chi ci ha prestato tutti questi soldi. Creati dal nulla. A me non sembra affatto normale, mi sembra un modo per mettere le mani sulle ricchezze reali del paese, quelle sì solide e concrete e quindi appetibili, per quanto non immense, ma comunque reali.


Ultima modifica di quisquis il 28/11/2011, 17:39, modificato 1 volta in totale.


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LE BANCHE SI PREPARANO
ALL’EVENTUALITÀ DELLA FINE DELL’EURO


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nov 28th, 2011

DI LIZ ALDERMAN
New York Times

http://www.altrainformazione.it/wp/2011 ... -delleuro/

Per il coro sempre più fitto degli osservatori timorosi di una prossima fine dell’eurozona, la Cancelliera Angela Merkel ha un duro rimprovero: “Non avverrà mai.”

Ma alcune banche non ne sono così certe, specialmente quando la crisi del debito sovrano ha minacciato di ingabbiare anche la stessa Germania questa settimana, quando gli investitori hanno cominciato a interrogarsi sulla statura di questa nazione per ricoprire il ruolo di pilastro dell’Europa.
Venerdì Standard & Poor’s ha abbassato il rating del Belgio da AA a AA+, riportando che non sarà in grado di tagliare l’accumulo del suo debito a breve. Questa settimana le agenzie di rating hanno avvisato che la Francia potrebbe perdere la tripla A se la crisi aumentasse. Giovedì le agenzie hanno abbassato quelli di Portogallo e Ungheria a junk.

Mentre i dirigenti europei ancora affermano che non c’è alcun bisogno di fissare un Piano B, alcune delle maggiori banche mondiale, e dei suoi supervisori, lo stanno già facendo.

“Non possiamo, e non saremo, noncuranti di questo”, ha detto questa settimana Andrew Bailey, un regolare della Financial Services Authority britannica: “Non dobbiamo ignorare l’eventualità di un’uscita disordinata di alcune nazioni dall’eurozona.”

Questa settimana le banche – tra cui Merrill Lynch, Barclays Capital e Nomura – hanno pubblicato una serie di resoconti che analizzano la possibilità di una rottura dell’eurozona. “La crisi finanziaria dell’eurozona è entrata in una fase ancora più pericolosa”, hanno scritto venerdì gli analisti di Nomura. Se la Banca Centrale Europea non dovesse fare quello in cui i politici hanno fallito, “una rottura dell’euro sarebbe, non tanto possibile, quanto probabile”, ha affermato la banca.

Le maggiori istituzioni finanziarie britanniche, come la Royal Bank of Scotland, stanno elaborando piani per l’eventualità che l’impensabile diventi realtà, hanno affermato i supervisori della banca questo giovedì. I regolatori degli Stati Uniti hanno spinto le banca americane come Citigroup e altre a ridurre l’esposizione sull’eurozona. In Asia le autorità di Hong Kong hanno incrementato il controllo dell’esposizione internazionale delle banche locali e straniere alla luce della crisi europea.

Ma le banche nelle grandi nazioni dell’eurozona che solo di recente sono state infettate dalla crisi sembrano non essere granché agitate.

Le banche in Francia e Italia in particolare non stanno creando piani di salvataggio, dicono in banchieri, per la semplice ragione che hanno concluso che è impossibile una frattura dell’euro. Anche se banche come BNP Paribas, Société Générale, UniCredit e altre hanno recentemente scaricato debito sovrano europeo per decine di miliardi di euro, si è convinti che non sia necessario fare di più.

“Mentre negli Stati Uniti c’è chiaramente l’idea che l’Europa possa subire una rottura, noi crediamo che invece debba rimanere così com’è”, ha detto un banchiere francese, riassumendo le convinzioni delle banche francesi. “Nessuno sta dicendo, ‘Abbiamo bisogno di una soluzione di ripiego’”, ha detto il banchiere, che non era autorizzato a parlare in pubblico.

Quando Intesa Sanpaolo, la seconda banca italiana, ha valutato nello scorso marzo le differenti contingenze in preparazione del suo piano strategico per il 2011-13, nessuna di queste si basava sulla possibile frattura dell’euro, e “anche se la situazione si è evoluta, non abbiamo ritenuto di dover considerare questa possibilità”, ha detto Andrea Beltratti, direttore del consiglio di amministrazione della banca.

Beltratti ha detto che le banche sarebbero il primo campanello di allarme dei guai in caso di maggiori pressioni sull’euro, e che Intesa Sanpaolo è stata “molto attenta” per quanto riguarda liquidità e capitale. Nella scorsa primavera, la banca ha innalzato il capitale di cinque miliardi di euro, uno dei maggiori incrementi in tutta l’Europa.

Beltratti ha affermato che l’Italia, come l’Unione Europea, può adottare una serie di iniziative politiche per tenere lontana la rottura dell’euro. “Ero sicuramente più fiducioso alcuni mesi fa, ma sono ancora ottimista”, ha detto.

Questa settimana i dirigenti europei hanno riferito di essere più determinati che mai a tenere in vita la moneta unica, specialmente in vista delle elezioni in Francia il prossimo anno e in Germania nel 2013. A conferma, la Merkel ha detto che avrebbe raddoppiato gli sforzi per spingere l’unione verso una maggiore unità fiscale e politica.

Questo compito ora sembra leggermente più semplice per il fatto che la crisi ha sfrattato i leader deboli dai paesi inguaiati dell’eurozona come Italia e Spagna. Ma è ancora una strada in salita, visto che la signora Merkel anche questa settimana ha continuato a opporsi alla creazione di obbligazioni sostenute dall’eurozona.

Politicamente, persino l’ipotesi dell’allontanamento della Grecia è sempre più considerato un anatema. Malgrado le aspettative che la Grecia – e le banche che le hanno prestato fondi – possano ricevere salvataggi dai contribuenti europei fino a nove anni, i funzionari temono che questa fuoriuscita possa aprire un vaso di Pandora degli orrori come una seconda Lehman, o addirittura l’uscita di altri paesi dalla moneta unica.

L’unione monetaria dell’Europa fu formata più di un decennio fa e comprende 17 membri dell’Unione Europea, creando un potente blocco economico con l’obbiettivo di cementare la stabilità in tutto il continente. Dette il via ad anni di prosperità per i suoi membri, specialmente per la Germania, mentre i tassi di interesse calavano e i soldi affluivano nell’unione, fino a quando, tre anni fa, la bancarotta di Lehman Brothers fece piombare i mercati globali del credito nel caos e la crisi finanziaria si ravvivò con il quasi default della Grecia nello scorso anno. La creazione dell’eurozona comporta una serie infinita di contratti e di beni interdipendenti, ma nessun meccanismo per l’abbandono di un paese.

Ma, mentre la crisi sopraggiunge nel ricco nord dell’Europa, le banche hanno incrementato la preparazione per qualsiasi esito. Ad esempio, anche se è legalmente, finanziariamente e politicamente complicato per la Grecia uscire dall’eurozona, alcune banche stanno comunque annotando come gli euro si possono convertire nelle dracme, come possono essere eseguiti i contratti e se un tale evento possa causare un grippaggio dei mercati globali del credito.

La Royal Bank of Scotland è una delle più grandi banche che stanno testando la sua capacità di affrontare una rottura dell’euro. “Facciamo molti stress test su quello che potrebbe succedere se l’euro si dovesse frantumare o se alcune cose dovessero verificarsi, come l’espulsione di alcune nazioni dall’euro”, ha detto Bruce van Saun, direttore della finanza della RBS. Ma, ha aggiunto: “Non vogliono farla sembrare più grave di quanto lo sia.”

Alcune imprese stanno prendendo precauzioni simili. Il gigantesco operatore turistico tedesco TUI ha di recente fatto sensazione in Grecia, dopo aver inviato lettere agli albergatori greci chiedendo che i contratti vengano rinegoziati in dracme per proteggersi dalle perdite se la Grecia dovesse uscire dall’euro.

TUI ha preso questa iniziativa pochi giorni dopo che la Cancelliera Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy avevano riconosciuto, nel corso di una riunione dei leader del G-20 tenuta all’inizio di questo mese a Cannes, che la Grecia avrebbe potuto lasciare l’unione monetaria. Giovedì la banca centrale greca ha avvisato che se la nazione non riuscirà a migliorare rapidamente le sue finanze, la domanda sarà “se il paese debba rimanere o meno nell’area euro”.

In un sondaggio pubblicato mercoledì su circa 1.000 dei suoi clienti, Barclays Capital ha detto che circa la metà si aspettano che almeno uno dei paesi esca dall’eurozona; il 35 per cento che la rottura sia limitata alla Grecia, e uno su 20 si aspetta l’uscita di tutti i paesi periferici entro il prossimo anno.

Alcune banche stanno ora guardando ben oltre i confini del proprio paese. Venerdì Merrill Lynch è stata l’ultima a emettere un report in cui si analizza cosa accadrebbe se alcuni paesi dovessero lasciare l’eurozona e ritornare alle loro vecchie monete. Se Spagna, Italia, Portogallo e Francia dovessero oggi ripartire a stampare le loro divise, queste probabilmente si indebolirebbero contro il dollaro, riflettendo la relativa debolezza delle loro economie, è il calcolo di Merrill Lynch.

Le monete delle economie più forti di Germania, Paesi Bassi e Irlanda probabilmente si rafforzerebbero sul dollaro, secondo l’analisi.

In Asia le banche e i regolatori osservano la situazione con sempre maggiore allarme. Norman Chan, il direttore esecutivo della Hong Kong Monetary Authority, ha affermato mercoledì che i regolatori hanno incrementato la sorveglianza sull’esposizione delle banche con l’Europa.

Questi stanno lavorando con i manager delle banche sugli stress test per determinare come la stabilità finanziaria delle banche possa essere colpita da un maggiore dissesto finanziario in Europa, ha detto un banchiere di Hong Kong che vuole rimanere anonimo.

Il pericolo principale di una rottura dell’euro breakup – afferma Stephen Jen, collaboratore di gestione con la SLJ Macro Partners di Londra, è il “rischio della ridenominazione”, l’effetto imprevedibile che la rottura dell’euro avrà sui titoli finanziari mentre le nuove monete cercano il proprio livello sul mercato e i valori dei contratti stipulati in euro vengono rivalutati.

La maggior parte delle persone spera che questo non accadrà. “Ricordate quando Lehman andò in bancarotta, nessuno poteva anticipare cosa sarebbe successo dopo”, ha affermato il banchiere francese che non era autorizzato a parlare in pubblico. “E quella era una compagnia, non una nazione. Se un paese lasciasse l’euro, moltiplicate l’effetto Lehman per 10”, ha detto.


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Fonte: Banks Build Contingency for Breakup of the Euro

Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE



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Se ci prestano al (diciamo) 5%, sarebbe fantastico. Ora come ora, stiamo lo stesso chiedendo prestiti, coi btp, ma al 7-8%


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