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30/12/2011, 21:27

Ufologo 555 ha scritto:

Io non sono leghista; però ho molti amici del Sud, e .... [:(]


E praticano l'incesto...certo capisco [:D]

30/12/2011, 21:32

Blissenobiarella ha scritto:

Diciamo che per inventarsi che al sud c'è meno civiltà che al nord bisogna inventarsi qualunque cosa.



Ma guarda che è proprio lo studio pubblicato in quella pagina da te linkata che delinea un quadro di civiltà inversamente proporzionale alla latitudine
[;)]

http://www.orientamento.it/orientamento/6r.htm

30/12/2011, 21:46

No. lo studio che ho pubblicato inquadra degli indici di civiltà [:)]. Ma non è un monitoraggio sul territorio.

Io vivo sia al nord che al sud ( più al nord che al sud) Al sud ci sono indubbiamente problemi seri di vivibilità, ma non di inciviltà nonostante la gente abbia decisamente maggiori motivi per essere arrabbiata.

30/12/2011, 21:58

Blissenobiarella ha scritto:

Indici di civiltà


infrazione codice della strada:
se nel meridione i vigili sono di più, al nord la concentrazione di autovelox è superiore,1.5 ogni 100 mila auto. Ma è a Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna che si registra il numero più alto di multe
http://www.strisceblu.org/?tag=torino
incidenti stradali - Su un totale di 4.090 morti, 1.946 si sono verificati al nord (di cui ben 565 in Lombardia), 1.027 al centro (450 solo nel Lazio) e 1.117 al sud e isole (maglia nera alla Sicilia con 279 decessi)
http://blog.panorama.it/italia/2011/11/ ... a-lontano/
L’abitudine a guidare poco dopo aver bevuto è più frequente negli uomini e nei giovani della fascia di età 25-34 anni. Si osservano differenze statisticamente significative nel confronto interregionale, con frequenze di guida sotto l’effetto dell’alcol più alte al Nord che al Centro e al Sud
http://www.epicentro.iss.it/problemi/stradale/epid.asp


Bambini rumorosi e maleducati:
Troppo "rumorosi" i bambini italiani secondo gli albergatori Ue
I più maleducati? Romani e milanesi: troppa vivacità, urla,capricci, corse e oggetti rotti.
I bimbi "preferiti": gli svedesi

A contendersi la palma della maleducazione sono, quasi a pari «merito», i figli dei romani (19%) e dei milanesi (17%), seguiti dai pargoli dei napoletani, malgiudicati dal 14% degli intervistati, dei torinesi (13%), dei bolognesi (11%), dei baresi (10%), dei palermitani (8%) e dei calabresi (7%). Tra i più educati i fiorentini e gli umbri, che incassano appena il 3% dei giudizi negativi, seguiti dai veneziani con il 5%.
http://www3.lastampa.it/cronache/sezion ... tp/427210/


Furti scippi criminalità:
Pubblicato il dossier de Il Sole 24 Ore. Nella città ducale aumentano rapine, scippi, truffe e furti in casa: sono 21.300 reati commessi nel 2010. Nelle prime 20 posizioni troviamo 17 città settentrionali e solo 3 del Sud
http://www.vivicentro.org/home/regione- ... r-i-reati/
Nei primi sei mesi dell’anno scorso, infatti, sono stati denunciati quasi un milione e trecentomila reati, di cui circa 138mila a Milano e 116mila a Roma. Rapportando il numero di reati alla densità di popolazione, Milano, Torino e Bologna risultano le città meno sicure della penisola, poiché vi sono stati compiuti circa 30 delitti ogni mille abitanti. Nella “classifica” Roma si piazza al settimo posto; tuttavia, se a Milano la percentuale di reati commessi si è ridotta del 5% rispetto alle annate precedenti, nella capitale si riscontra un aumento del 4% delle azioni criminose.
Tra le città più sicure figurano soprattutto piccole realtà del Sud, quali Potenza e Matera; Belluno è, invece, la perla del Nord
http://www.larosanera.it/criminalita-pu ... i%E2%80%9D


Violenza:
Donne maltrattate tra le mura domestiche: il Nord Italia ha il primato della violenza
http://archiviostorico.corriere.it/1994 ... 1187.shtml


L'ultima ricerca dell'Eures, relativa al 2004, dimostra che un omicidio su quattro in Italia avviene in famiglia, tra le mura domestiche. Il 70% delle vittime sono donne, soprattutto casalinghe, uccise quasi unicamente per ragioni passionali o in seguito a liti e difficoltà in famiglia.
Gli omicidi in famiglia (187 su un totale di 710 nel 2004, con una percentuale del 26,7%) avvengono soprattutto al centro (47,6%) e al nord (38,2), mentre solo il 16% al sud. Il maggior numero di omicidi domestici avviene nel Nord Italia (83, pari al 44,4%) contro i 64 del Sud (34,2%) ed i 40 del Centro (21,4%).
In 7 casi su 10 la vittima è una donna e in 8 su 10 l'autore è un uomo. Il maggior numero di omicidi domestici avviene nel nord Italia (il 44,4%) contro il 34,2 del sud e il 21,4% del Centro. Il numero più alto di vittime si registra oltre i 64 anni e nella fascia 35-44 anni.
http://www.nondasola.it/dati/dati.htm


Bullismo, vandalismo, teppismo:
Il fenomeno sembra equamente distribuito su tutto il territorio.


Liti condominiali:
L'italia in due anche dalle liti di condominio. Nel 45% dei casi, infatti queste si registrano a Nord, mentre Centro e Sud seguono a distanza, rispettivamente con il 30 e il 25% sull'ammontaretotale delle dispute di pianerottolo. Il dato proviene dall'A.N.AMM.I., l'Associazione Nazional-Europea degli Amministratori d'immobili che, basandosi sull'attività dei suoi 13mila associati ha rilevato alcune significative differenze nella distribuzione regionale delle liti.
http://www.gestionideluca.it/liteincondominio.html

Altre analisi riportano un dato più uniforme.







si. ok, un giochino simile lo abbiamo già fatto in passato e se analizziamo le cifre in modo puntuale , una per una vedresti come si ribalta la situazione ancora una volta.

Non lo stabilisci in questo modo il grado di civiltà di un popolo. Più attendibile il metro utilizzato in quello studio da te linkato.

Comunque, intanto chiediti perchè
"se nel meridione i vigili sono di più, al nord la concentrazione di autovelox è superiore"


della serie ottimiziamo le risorse del comune assumendo più personale o automatizzando?

e poi è più efficace un vigile panzuto al bar o che si gira dall'altra parte o l'occhio impietoso di un velox?

incidenti stradali - Su un totale di 4.090 morti, 1.946 si sono verificati al nord (di cui ben 565 in Lombardia), 1.027 al centro (450 solo nel Lazio) e 1.117 al sud e isole (maglia nera alla Sicilia con 279 decessi)


Intanto la lombardia ha il doppio degli abitanti della Sicilia e una densità di arterie stradali e di flusso di veicoli/anno enormemente maggiore a quella della regione sicilia.

Quindi se non si tiene conto dell'analisi di traffico medio giornaliero o annuale quei numeri non dicono molto.
Inoltre tieni conto della presenza di stranieri

http://borgomeo.blogautore.repubblica.i ... stranieri/

Su strade e autostrade italiane gli stranieri coinvolti in incidenti gravi o mortali raggiungono almeno il 20% del totale, con punte
del 25% e oltre in alcune regioni ad alta densità di cittadini stranieri come la Lombardia


Tra gli stranieri potremmo anche metterci i milioni di meridionali che hanno occupato la Lombardia [}:)]



(ANSA) -
Coppia investita e uccisa su strisce

30 Dicembre 2011 18:48


VARESE - Un'anziana coppia e' stata investita e uccisa mentre attraversava sulle strisce pedonali. E' successo a Varese questa mattina. La donna, Gavina Piras, 82 anni, e' deceduta sul colpo. L'uomo, Antonio Deligios, 87 anni, ricoverato in gravissime condizioni a causa del trauma cranico riportato nell'impatto, e' morto nel pomeriggio. A investire la coppia e' stata una donna di 51 anni di origine dominicana, che era alla guida di un furgone.


come vedi è difficile dimostrare l'indice di inciviltà alla guida della popolazione di una regione come la Lombardia, dove le vittime in quest'ultimo tragico evento non erano certamente lombarde e l'investitrice non è neppure italiana.



La stessa cosa sulla criminalità al nord.
tesi ridicola per sostenere il grado di civiltà.
Perchè anche in quel caso, approfondendo la questione e con le cifre alla mano, si scopre che la criminalità al nord vede coinvolto nella quasi totalità dei casi cittadini stranieri (in particolare nord-africani, rumeni, albanesi, sudamericani....che ti aspettavi ..forse norvegesi [:o)]), oppure famiglie e clan meridionali trapiantati al nord.

La criminalità al nord non rappresenta l'indice di inciviltà dei settentrionali ma semmai indica quanto i settentrionali siano vittime della criminalità d'importazione.

e potremmo andare avanti..

e tu potresti replicare come l'altra volta citando (scusa ma a sproposito) casi come vallanzasca o la uno bianca...
Ultima modifica di rmnd il 30/12/2011, 22:00, modificato 1 volta in totale.

30/12/2011, 22:05

guarda che ho utilizzati gli indici che tu hai ritenuto buoni [:245].
Ed ho utilizzato statalistiche osservazioni, dati ufficiali e percezioni comuni.

Poi chi vuole può rifugiarsi nel mito, arrampicarsi sugli specchi, dare la colpa ai meridionali immigrati etc etc., è liberissimo di farlo. Ma che così facendo si stia affidando al pregiudizio e ignorando la realtà dei fatti è fuori da ogni dubbio.

30/12/2011, 22:22

Blissenobiarella ha scritto:

guarda che ho utilizzati gli indici che tu hai ritenuto buoni [:245].
Ed ho utilizzato statalistiche osservazioni, dati ufficiali e percezioni comuni.

Poi chi vuole può rifugiarsi nel mito, arrampicarsi sugli specchi, dare la colpa ai meridionali immigrati etc etc., è liberissimo di farlo. Ma che così facendo si stia affidando al pregiudizio e ignorando la realtà dei fatti è fuori da ogni dubbio.




No, perchè nel primo link da te postato, quella sul senso civico si elencano una serie di comportamenti considerati incivili.

Invece nella tua rassegna stampa hai postato articoli per avvalorare o meglio ribaltare la tesi che quei comportamenti incivili sono da attribuirsi in percentuale ai settentrionali.
In realtà , se indaghi un minimo, scopri che quei comportamenti incivili al nord sono attribuibili in stragrande maggioranza a individui non certo settentrionali a danno (questo si) dei settentrionali.

31/12/2011, 00:11

Blissenobiarella ha scritto:

No. lo studio che ho pubblicato inquadra degli indici di civiltà [:)]. Ma non è un monitoraggio sul territorio.

Io vivo sia al nord che al sud ( più al nord che al sud) Al sud ci sono indubbiamente problemi seri di vivibilità, ma non di inciviltà nonostante la gente abbia decisamente maggiori motivi per essere arrabbiata.


concordo, il resto sono solo bieche faziosità che mirano a dividere il popolo italiano e venderlo allo straniero.

31/12/2011, 01:23

Già nel '75 si parlava di padania e di macroregioni del nord e il sud tremava ...brrrrr
[:o)]

http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/action,viewer/Itemid,3/page,0003/articleid,1110_01_1975_0282_0003_16352669/

LaStampa - 06.12.1975 - numero 282 - pagina 3

Un no alla Padania
LA RISPOSTA DELLA CALABRIA SUL PROGETTO
Un no alla Padania Il presidente della giunta regionale calabra, Perugini, teme che il piano Fanti aumenti lo squilibrio tra Nord e Sud - "Occorre una risposta collettiva delle Regioni"

(Dal nostro inviato speciale) Catanzaro, dicembre.
Il palazzo della Regione Calabria è assediato da alcune decine di disoccupati: bivaccano nei corridoi, invadono gli unici. Il presidente della Giunta, Pasquale Perugini, 49 anni, ex assicuratore e oggi politico a full-time, supera con fatica, tra la folla che preme, il saloncino della sua segreteria.

« Ecco, questa la realtà di ogni giorno: uno spaccato di Calabria. Povertà, emarginazione, fame. Io governo — dice — una polveriera: si esige una risposta politica che tarda ad arrivare ». Perugini è un uomo concreto: si è creato un piccolo staff di collaboratori efficienti inserendo tra i suoi uomini giovani non democristiani. Dodici, quattordici ore di lavero non lo fiaccano, né lo spaventano i trecento chilometri che percorre quasi ogni giorno tra Cosenza, Catanzaro e Reggio, che in Calabria si dividono l'Ente Regione. E' un «pendolare» della politica ma subito aggiunge: «Abbiamo ricucito antiche ferite: oggi la Regione ha un ruolo e una dimensione, ma la crisi, d'improvviso, può scatenare tensioni sopite e distruggere tutto ».

Alla conferma della riunione dei presidenti del Meridione, convocata dal governo per un confronto sul rifinanziamento della legge per il Mezzogiorno, è apparso polemico.

Si è detto turbato dalla proposta di Guido Fanti di aggregare le Regioni del Po e ha aggiunto: « Proprio ora che si parla di Padania, avremmo voluto discutere di Mezzogiorno con i rappresentanti delle Regioni forti ».

Voleva incontrare a Palermo Golfari, Viglione. Carossino, Tomelleri e Fanti perché si dice convinto che « l'ipotesi di una "Lega del Po" interrompe il dialogo che le Regioni, tutte insieme, hanno avviato da tempo ».

Teme che il progetto Fanti allarghi a forbice lo squili¬ brio Nord-Sud, ed è certo che i problemi delle aree «forti» si aggraveranno « nel giro di pochi mesi se l'ipotesi di ristrutturazione industriale non compie, subito, un salto di qualità. Dal triangolo industriale — sostiene Perugini — si passa al pentagono: si aggiunge il Veneto e l'Emilia, per estendere l'alleanza tra ricchi.

Ma come sapranno rispondere — domanda — le città emiliane o le province venete ad un'estensione delle aree metropolitane? ». Milano, Genova, Torino sono al limite: un groviglio di problemi, di pendolarità, di carenze di strutture sociali. «Si sa forse — dice Perugini — in quali condizioni vivono i nostri emigrati? ». Sono degli emarginati.

La. proposta di Fanti rafforzerebbe soltanto le aree del Nord, dilatando lo squilibrio. In cinque anni, novantamila calabresi al Nord, ed altri diecimila premono per partire. « Sono rimasti senza lavoro — dice — la crisi li ha colpiti, ed ora anche per loro l'emigrazione è l'unica via d'uscita». E' necessaria, allora, «un'inversione di tendenza ». Le Regioni, tutte insieme, debbono proporre al governo una piattaforma unica per l'utilizzazione « razionale ed equilibrata » delle risorse disponibili. « La flessione economica è grave e complessa: nessun aiuto può venire da un'aggregazione padana, né sono sufficienti — dice — affermazioni di principio di "contenuto meridionalista": noi chiediamo di più: proposte operative e concrete ».

La Calabria prepara adesso il piano economico regionale e Perugini è deciso. « Ciò che non si deve dimenticare — sostiene — è la realtà calabrese: non abbiamo bisogno di pietismo né dobbiamo mettere in moto modelli di sviluppo che imitino il Nord che segna il passo e rischia di crollare ».

L'obiettivo è un altro: quello di uno sviluppo razionale del Paese. La Calabria deve uscire « dal cìrcolo vizioso » della povertà, e Perugini preannuncia «marce e mobilitazione». « Vogliamo un colloquio costruttivo con le altre Giunte — dice —, ma siamo fermamente decisi a promuovere una mobilitazione generale dei calabresi: a Catanzaro, a Cosenza e a Reggio, ma anche degli emigrati. Vivono nei grossi centri industrializzati e saranno loro a sensibilizzare l'intero Paese sul Mezzogiorno. Basta con le analisi e gli studi: chiediamo interventi decisi e radicali ».

Nella proposta di Padania, Perugini vede « un attentato al regionalismo, un ritardo nel processo di crescita regionale ». C'è il rischio di creare una frattura gravissima tra Nord e Sud: « Si vuole mettere insieme un trust — sostiene — che ci dividerebbe. Occorre grande prudenza: una disputa tra Regioni forti e Regioni deboli ci dividerebbe consentendo ancora una volta al governo centrale di imperare ».

Accusa Roma e il suo stesso partito di immobilismo e indica un unico rimedio: « Una risposta collettiva delle Regioni, un dialogo serrato e costante con il governo e, al tempo stesso, la partecipazione delle Regioni alla definizione della politica in sede Cee ». « Le scelte comunitarie — dice — hanno tali ripercussioni sui piani regionali che non è più pensabile una nostra assenza a Bruxelles ».

Perugini non ha dubbi e, contro la « Padania », aggiunge che la politica comunitaria deve guardare con maggior attenzione ed interesse alle Regioni povere al di là di ogni tentazione di riproporre modelli macro-regionali, che annullerebbero ogni iniziativa di sviluppo razionale europeo. «Si finirebbe ancora una volta — dice — col rafforzare le aree privilegiate dei sìngoli Paesi, lasciando irrisolti problemi gravi ed antichi ». E conclude: « E' bene che si capisca, una volta per tutte, che il Mezzogiorno non vuole essere oggetto passivo dell'intervento statale. Rivendichiamo, al contrario, un nostro ruolo di partecipazione attiva alla vita economica sociale e culturale del Paese ». Francesco Santini

31/12/2011, 01:31

E' ora che il nord torni seriamente a discutere per il suo bene, sul progetto macroregionale.



LaStampa - 29.11.1975 - numero 276 - pagina 3

http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/action,page/id,1110_01_1975_0276_0003_16350319&s=5c975a47d42822b67d0690c59b927da4

[color=blue]Una Padania mitteleuropea

#65279;Una Padania mitteleuropea
IL DIBATTITO SULLA SUPER REGIONE DEL PO
II presidente della Giunta veneta accetta l'idea di Fanti, ma pensa all'asse Venezia-Trieste


(Dal nostro inviato speciale) Venezia, novembre.

A San Toma, nelle sale damascate e pesanti di palazzo Balbi, nuova sede della Regione, la vista sul Canal Grande richiama splendori antichi e nell'aria un po' stantia, da « Serenissima », Angelo Tomellari, 51 anni, ingegnere e presidente democristiano della Giunta veneta, entra nel dibattito sulla Padania aperto in Emilia dal comunista Guido Fanti, con un richiamo allo spirito mitteleuropeo.

E questo, non per respingere l'interregionalismo di Bologna ma per chiarire, con un appello alla realtà, che l'interesse della sua regione è rivolto all'area del Po ma non trascura, nel sapore della tradizione, il « gran peso » dell'asse Venezia-Trieste. Da doroteo, « ma di antico lignaggio », come egli stesso si definisce per collocarsi nella costellazione della de veneta, Tomellari si attesta, per la Padania, sulle posizioni di Cesare Golfari, presidente democristiano della Giunta lombarda.

Aggiunge che il Veneto è sempre stato favorevole ad accordi tra regioni ma precisa, « tra zone omogenee, su problemi di comune interesse ». Respinge ogni ipotesi che possa prefigurare nuovi livelli istituzionali o « leghe » di qualunque tipo e ammonisce: « Stiamo attenti a non creare una santa alleanza tra regioni forti ». Si risolverebbe, avverte, in chiave antimeridionalista. Su questo, anche se le intenzioni di Fanti appaiono diverse perché l'ipotesi Padania è stata prospettata come « elemento di riequilibrio » per il Mezzogiorno, il presidente veneto insiste molto e spiega che, « non a caso », nella prima legislatura, le Regioni si sono poste il problema di dar vita, come già lo hanno fatto i Comuni, a una loro associazione nazionale e, « non a caso », l'idea è stata scartata.

« Mi si deve spiega-1 re, domanda, come l'antico progetto dei canali navigabili del mio collega dì partito Bassetti, possa andare incontro alle aspirazioni del Sud. Allora, come oggi, non lo capisco ». Tra due porti Ma subito aggiunge che di Padania è bene parlare: « Un grande tema, dice, che certo non boccio ». Il Veneto, come « terra di relazioni », il Veneto, come « momento politico non isolato ». Tomellari di questo è convinto: « L'abbiamo sempre detto: nessuna preclusione; ma non nascondiamo, puntualizza, che guardando Venezia siamo più tentati verso il Centro Europa che in direzione del Centro Italia ».

E questo, spiega, non per considerare l'Emilia una « regione centrale » ma per dire che, « se osserviamo Venezia la vediamo a Monaco ». Adesso, poi, con Suez riaperto, per Tomellari la linea adriatica spinge verso la Germania e qui il « discorso porto » è su Venezia e Trieste. « Sì. in Romagna c'è Ravenna, ammette, ma per noi Venezia e Trieste rimangono Venezia e Trieste ».

Parla della Liguria e di Genova, ma dice: « Sono grandi distanze e ci viene, immediatamente, da pensare alle due regioni a statuto speciale a noi vicine: al TrentinoAlto Adige e al Friuli-Venezia Giulia ». E perché no, aggiunge « alle regioni alpine cui, ovviamente, il nostro Bellunese e le nostre province in genere sono sensibilissime ». Torna al Po e subito lo configura come un « problema veneto scottante », comune alle altre quattro regioni, che non può essere affrontato se non in prospettiva di gestione unitaria. « E' un fatto reale, dice, e su questo sono d'accordo con Guido Fanti». Non si ferma al fiume per il quale sono urgenti «programmi e miliardi comuni » ma propone, nel pacchetto Padania, altri temi concreti: navigazione interna, rete integrata di comunicazioni, ambiente, politica del territorio, strategia industriale e ripartizione dei compiti.

« Ci si può vedere e discutere, anche se, operativamente, la ricerca di soluzioni è difficile ». Per una rete integrata di tra- sporti Tomellari si richiama ad un'unica possibilità: « E' essenziale, spiega, una considerazione in termini europei». Poi, se gli si domanda quale sia, in definitiva, la sua idea di Padania, Tomellari appare meno sfuggente e spiega: « Innanzitutto dividiamo i problemi: sul discorso amministrativo c'è un nostro interesse; sul discorso politico le perplessità si sommano ».

Si richiama ai rapporti con l'Europa orientale e centrale ed ai contatti con quella mittel-Europa che, dice, se un tempo ha avuto specifiche manifestazioni politiche, non ha certamente cessato di costituire « un fattore culturale tuttora operante ». Mete comuni E' questo, a giudizio del presidente della Giunta veneta, un nodo cui quanti non hanno partecipato storicamente forse non possono capire. Sono legami culturali ma anche economici che «non hanno bisogno di essere sottolineati in modo particolare ».

Ma se il « cemento » Padania viene svolto in termini di confronto e di partecipazione sul piano a medio termine in vista dell'incontro « governo-regioni », allora, per Tomellari, è chiaro che « esistono larghe sfere d'interesse comune tra tutte le regioni in termini istituzionali, che esistono numerosi problemi di portata generale rispetto ai quali le diverse regioni possono, di volta in volta, trovare motivi di aggregazione ».

Ma, sentenzia rapido, « tutto questo, naturalmente, da valutare alla luce degli inte ressi generali di ciascuna regione e, perché no, delle diverse situazioni politiche ». Non sottovaluta, accanto agli interessi in comune, le diversità: « Un'Emilia e una Liguria rosse, una Lombardia e un Veneto guidate da democristiani, un Piemonte con presidente socialista ». Allarga le braccia: « Certo, io sono governativo, dice, e quando andiamo all'interregionale sono esuberante, a volte mi scateno, ma non posso ignorare la realtà centrale: attenzione a non creare uno Stato nello Stato ». Comunque, pur con molte riserve, Tomellari è ben disposto. « Ci incontreremo, dice, e ci confronteremo ». Problemi concreti e comuni ce ne sono.

« Fanti ne ha elencati alcuni, altri Golfari, altri ancora Carossino. Aspettiamo la voce del Piemonte, ma certamente altri ne vogliamo proporre noi ». Agricoltura, ambiente, difesa del suolo: « E' giusto dire che si estendono su aree geografiche ben più vaste delle singole regioni e che insieme, in comune, vanno affrontati: purché si pensi ai problemi concreti e non si voglia riempire la pentola Padania con altri ingredienti per cucinare un piatto diverso». Francesco Santini (Le precedenti puntate dell'inchiesta sono apparse su La Stampa del 6, 8 e 9 novembre).

Pagina 3

(29.11.1975) LaStampa - numero 276

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31/12/2011, 01:36

http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/action,page/id,1110_01_1975_0260_0019_21488467&s=5c975a47d42822b67d0690c59b927da4

StampaSera - 28.03.1984 - numero 88 - pagina 10
[color=blue]Alla Liguria, Padania va bene

Dibattito sulla super regione proposta da Guido Fanti

Per il presidente Carossino la prima occasione di collaudo dell'"intesa a cinque" (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia) sarà il prossimo confronto col governo sul programma a medio termine Dal "triangolo industriale" al "pentagono" -

"Nessuno vuol far pagare al Mezzogiorno nuovi prezzi" (Dal nostro inviato speciale; Genova, 8 novembre.

Cento giorni di governo rosso, e il presidente della giunta ligure, Angelo Carossino, 46 anni, genovese, non gode, almeno nella sua regione, di quella che comunemente si definisce una buona stampa. Lavoratore instancabile e metodico, è accusato adesso, assieme alla giunta socialcomunista, di una certa lentezza e, spesso, di immobilismo dinanzi ai problemi e alle tensioni che la crisi economica diffusa in tutto il paese non risparmia oggi neppure alla Liguria che è, stando alle statistiche, la regione più ricca d'Italia. Di questo Carossino si rammarica sinceramente, ma è convinto che l'attenzione e la prudenza che pone in ogni decisione finiranno, alla lunga, col capovolgere l'immagine, diffusa tra chi non lo conosce, di funzionario metodico, di uomo di partito un po' grigio, privo di fantasia. «Noi non abbiamo la bacchetta magica» dice, a bassa voce per i postumi di un'influenza scozzese che ancora si trascina, «ma certo guardiamo in prospettiva: le soluzioni parziali, i problemi affrontati a metà non servono: non porterebbero ad altro che ad aprirne di nuovi, più complessi e più intricati». Cosi, pur rischiando in alcuni ambienti l'impopolarità, insiste nella tesi che gli è cara della necessità di abbinare la programmazione economica a quella dell'assetto del territorio e di estenderla ad aree geografiche sempre più vaste. Sposa quindi senza riserve il progetto lanciato in Emilia da Guido Fanti per un'intesa tra le regioni dell'area padana e aggiunge che il ruolo delle grandi unità territoriali, nel rinnovamento economico e sociale del Paese, è oggi «un punto di riferimento obbligato» per definire, con le linee di intervento futuro, i progetti degli enti locali.

«Fanti si ferma al Po — dice Carossino — io allargo gli orizzonti, e aggiungo che il settore marittimo - portuale rappresenta ormai un elemento nodale per affrontare i processi di rinnovamento industriale del Paese». Sostiene che sempre, in passato, il problema dei trasporti marittimi e ferroviari è stato sacrificato e sentenzia: «Per la ripresa e la competitività del mercato interno tre condizioni: ristrutturazione della flotta, piano ferroviario, piano poliennale dei porti. Tutto questo tenendo ben presenti le esigenze dell'hinterland naturale, quindi, in blocco, delle regioni padane». Quattro mesi appena di governo e Carossino, ormai più volte, ha visto mutare in Liguria l'atteggiamento di quanti credono nel ruolo della Regione. Non lo preoccupa il senso di paura e di incertezza che si è diffuso in alcuni ambienti all'indomani del 15 giugno. «Con il voto — dice — si sono spezzati i vecchi equilibri e il timore ha investito vaste sacche di rendita urbana, di privilegi ingiustificati». Ciò che più gli sta a cuore sono «la curiosità e l'attesa» che si sono manifestate negli ambienti imprenditoriali per quanto la giunta socialcomunista sarebbe riuscita a fare. Contesta che, all'interesse del primo momento, si sia sostituito adesso un senso di scetticismo, quasi di una «fatale condanna» per la Liguria destinata ad accumulare nodi irrisolti. «Certo — ammette — ci può essere un logoramento». Respinge il pessimismo e dice che, anche se in modo velato e non appariscente, già molto è cambiato Poi, con uno scarto di voce che si fa d'improvviso più alta, si chiede: «Che cosa dovevamo fare? Abbiamo trascorso mesi interi con i lavoratori, a discutere con i sindacati, con gli stessi imprenditori, a sostituirci al vuoto centrale per decine e decine di piccole e medie aziende in difficoltà, con l'acqua alla gola». Torna sereno. «Certo, siamo agli inizi — dice convinto — molto ancora si deve fare». Si sofferma sulla «Conferenza economica sullo stato della Liguria » e la giudica un successo, un segno evidente del clima che cambia. Si è aperto un dialogo, è un momento di riflessione essenziale tra forze politiche e forze sociali. «Tutti insieme — dice — dobbiamo decidere in che direzione muoverci, dove andare: è un momento di riflessione, anzi un confronto per affrontare un programma a medio termine». E' convinto che una fascia costiera, limitata e sottile come quella ligure non può ospitare contemporaneamente stabilimenti per i bagni di mare e stabilimenti chimici; turismo e porti petroliferi, ville, complessi siderurgici e ghetti urbani. «Ecco le scelte — dice — du concordare con le regioni padane, con gli altri presidenti di giunte, con la nuova figura geometrica proposta da Fanti, che parte dal nostro triangolo industriale e si allarga al Veneto e all'Emilia».

Respinge il timore sollevato dal presidente della giunta lombarda. Golfari, nell'aggregazione delle regioni della Valle Padana intravede il pericolo di un ulteriore allontanamento del Meridione. Carossino non è d'accordo, e afferma che il ruolo delle grandi unità territoriali, in una politica di rinnovamento economico e sociale, è ormai un punto di riferimento «obbligato» per uscire dalla crisi che assedia il Paese. «Naturalmente — puntualizza Carossino — il coordinamento delle iniziative e l'impegno congiunto delle Regioni padane non deve sostituire, al pericolo di chiusure regionalistiche, la più grave logica delle aree forti e deboli che sino ad oggi ha caratterizzato le linee di sviluppo del Paese». La validità del discorso padano va controbilanciata dal rapporto di prospettiva e di sviluppo del Meridione. «Nessuno — dice — vuole far pagare al Mezzogiorno nuovi prezzi. Anzi, è il contrario: bisogna invertire una tendenza contemperando esigenze diverse, non contrapposte». Per Carossino la politica degli ultimi trent'anni dimostra che quando le scelte di politica industriale e di politica del territorio proposte per le regioni del Nord non sono coerenti ed equilibrate, vengono a mancare i presupposti per porre nei giusti termini i problemi del Sud d'Italia.

«Con uno slogan — aggiunge — vorrei dire che la prima "verifica" meridionalista è una "verifica" interna alle strutture economiche e sociali delle aree del Nord». — Ma allora, gli domandiamo, lei crede in una Padania a breve scadenza? «Sono in corso i primi colloqui — risponde —. Ne ho parlato con Golfari e anche lui mi sembra ben disposto. A questo punto ciò che più è necessario è che si vada al confronto con il governo previsto per metà novembre con un'idea chiara sul programma a medio termine e che al dialogo con i sindacati Roma affianchi quello con le Regioni. E' intanto su questo punto che Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto ed Emilia possono presentarsi con un primo accordo». Poi torna ad appassionarsi al discorso e si domanda: «Ma insomma, che cosa vogliono questi economisti? Perché questa visione tecnocratica della programmazione? Non è giusto che tutto esca dalle loro teste senza un confronto dialettico con la base, con le realtà locali, quindi con le Regioni, che sono le prime interlocutrici dei problemi del Paese, con i quali giorno dopo giorno si battono, per risolverli, per sostituire l'assenza centrale». Per Carossino quello dell'ente Regione è un «passaggio obbligato» per uscire dalla crisi e dice: «Un accordo padano aiuterebbe, senza dubbio, a chiarire questo problema; il superamento della depressione, la svolta passa per le Regioni». Francesco Santini

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(09.11.1975) LaStampa - numero 260

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31/12/2011, 01:43

Grazie al sud la padania nn si è fatta nel '70.

Un motivo in più per auspicare oggi, qualcosa che vada oltre il semplice federalismo...e liberarsi una volta per tutte di questa palla al piede.


LaStampa - 09.12.1975 - numero 284 - pagina 2 >> Dettaglio articolo
[color=blue]Anche la Campania dice no alla "superlega dei ricchi,,


Un nuovo rifiuto dal Sud alla proposta per la Padania

Il presidente della giunta regionale Mancino: "Manterrebbe il Sud povero. Dividere l'Italia in grandi aree non serve al riequilibrio nazionale" - L'iniziativa di Fanti giudicata "inopportuna e impolitica" (Dal nostro inviato speciale) Napoli, 8 dicembre.

Al no della Calabria sulla proposta Fanti di una grande lega del Po, si aggiunge l'opposizione, meditata e decisa, di Nicola Mancino, presidente della giunta della Regione Campania. Democristiano, uomo di punta della corrente di Base, Mancino è in buoni rapporti con il presidente emiliano. Ci tiene che si sappia e, più ancora, sottolinea l'importanza del dialogo interregionale. Il colloquio, dice, «non si deve guastare, ma sono contrario alla nascita di organismi interregionali parziali». E questo perché la Padania, pur nascendo con «buoni propositi» meridiona- listi, finirebbe col contrapporre un Nord forte ed industrializzato ad un Sud povero e dilaniato dal sottosviluppo.

«Avremmo infine — prevede — una terza fascia centrale di Regioni neutre ed indifferenti». Al di là del colore politico e della composizione di giunta, interrogando i presidenti regionali sul tema proposto da Fanti, vengono fuori due accuse al governo centrale: la prima è di «resistenza miope» ad ogni iniziativa di concreto decentramento regionale; la seconda, più generica, è di un'uassenza di potere decisionale» che dal centro si riflette in periferia.

L'analisi si ripete con monotonia puntuale. «Ad un impegno del ministro per le Regioni — dice Mancino — non corrisponde una volontà del governo di regionalizzare la gestione del potere». Ecco perché, a giudizio del presidente della Campania, emergono proposte di aggregazione «inopportune e impolitiche». Secondo Mancino, in assenza di una politica economica coerente e decisa si è creato un vuoto nel Paese.

«La crisi imperversa — dice — e si apre lo spazio a ipotesi di aggregazione». Ma il problema, a suo giudizio, è un altro: «Se stenta a venir fuori un vero programma a medio termine, la gravità della situazione dell'apparato produttivo è a tal punto che nessuno può contestare a Fanti o ad altri il diritto di assumere iniziative sostitutive». La Padania non risolverebbe la crisi per le cinque Regioni forti, ma resta per Mancino un segno dei nostri tempi e rappresenta «l'esigenza indifferibile di organizzare un potere interregionale per riempire un vuoto che, è inutile metterlo in dubbio, si è creato per l'assenza romana». Una contrapposizione non gioverebbe al Paese ma certo, dice Mancino,

«se la Padania si consorzia, arriviamo alla contrapposizione il che non è nei propositi dì Fanti». Il Sud potrebbe allora coaliz\ \ *-. " C. Mancino — non è auspicabile per nessuno». Il punto politico è allora quello di invertire una tendenza antica di un secolo.

«La Padania — dice Mancino — ripropone sostanzialmente gli equivoci della politica unitaria e centralizzatrice portata avanti dall'unificazione ad oggi». Questa politica ha indirizzato lo sviluppo economico del Paese in direzione Nord, creando nel Mezzogiorno, con il depauperamento delle risorse, vaste sacche di depressione. La flessione economica investe oggi anche le zone forti; avanza sempre più impellente l'esigenza di una programmazione sia pure a medio termine ma, sostiene Mancino, ristrutturare le aziende e riconvertire le industrie non è sufficiente quando questi interventi si proiettano a «difesa delle preesistenze». «Non esauriamo — dice — le risorse disponìbili in termini esclusivi di razionalizzazione delle aree industrializzate; cerchiamo, al contrario, di spostare al Sud l'asse industriale per una crescita armonica ed equilibrata del Paese».

Esiste, per Mancino, in Italia un affievolimento dell'impegno meridionalista e la conferma viene dalla proposta di Padania. I contraccolpi più forti sono stati scaricati dalla crisi sul Mezzogiorno ed in termini socio-economici più che culturali si registra una «caduta di meridionalismo». «Non credo — dice — in un antimeridionalismo emiliano; al contrario ritengo che la proposta di Fanti finirebbe col generare un meridionalismo subalterno alle grandi scelte di poliVia economica lanciate per organizzare s collegare interessi comuni a grandi aree geografiche». Una «lega dei poveri» contrapposta a quella dei ricchi finirebbe, per il presidente della Campania, con l'indebolire la crescita del regionalismo.

«C'è il grosso nodo della riconversione — dice — accanto a quello di salvaguardare ed espandere per quanto è possibile l'occupazione: di qui la necessità, al di là di ogni tentazione settoriale, di organizzare il momento unitario delle Regioni rispetto al governo centrale con il quale esse si debbono porre come interlocutrici principali, assieme ai sindacati». Dividere l'Italia in grandi aree non servirebbe né alla soluzione dei problemi padani né come fattore di riequilibrio nazionale.

«Ciò che è oggi necessario — dice Mancino — è una politica di piano e tutte le Regioni, unite e con cordi, debbono puntare sulla programmazione con un potere reale di partecipazione alle scelte». Il frazionismo, avverte, gioverebbe soltanto a chi, per «colpa o incapacità», accumula ritardi su ritardi. Pensa ad un superministero economico che assorba le competenze di molti dicasteri: «Le Regioni — afferma — debbono avere interlocutori validi; ci si avvia ad una riconversione industriale: è un fatto rivoluzionario perché non si tratta di dare sovvenzioni ad aziende in crisi; c'è piuttosto la premessa per Ve- spansione dell'apparato produttivo. Come vogliamo gesti- j re la politica dell''occupazio-lne, con l'assenza di una dialettica interregionale unitaria?». La domanda e per Fan- ti Francesco Santini I

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(09.12.1975) LaStampa - numero 284

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31/12/2011, 01:53


http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/action,page/id,1110_01_1975_0257_0010_21486513&s=5c975a47d42822b67d0690c59b927da4
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LaStampa - 06.11.1975 - numero 257 - pagina 9
[color=blue]Fanti spiega la sua proposta per una grande «lega del Po»

» Ma nascerà davvero la super regione della Padania? Fanti spiega la sua proposta per una grande «lega del Po»
L'accordo tra Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto ed Emilia per superare la crisi è giudicato dal presidente emiliano "improcrastinabile" - Quest'area geografica "ha in comune un groviglio di problemi irrisolti " - Né un'insidia al governo, né un'intesa " sulla testa del Meridione " -

Prossimo incontro a Cremona (Dal nostro inviato speciale) Bologna, 5 novembre.
Alla vigilia dell'incontro governo-Regioni, fissato a Roma per metà novembre, Guido Fanti, presidente della giunta socialcomunista dell'EmiliaRomagna, rilancia, con il tema «padania», il ruolo dell'area del Po e giudica improcrastinabile un accordo tra Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto ed Emilia per superare la crisi che ha colpito il Paese. C'è sul tavolo del governo Moro il piano d'intervento a medio termine e Guido Fanti propone la partecipazione delle Regioni al dialogo per il rilancio economico. Chiede perciò che al discorso con i sindacati il governo affianchi in parallelo quello con le Regioni, impegnate, in queste settimane, ad attuare i decreti anticongiunturali e a preparare i bilanci del prossimo anno. «E' un'occasione che il Paese non può perdere — dice —.

E' un appuntamento al quale gli enti locali, proprio per le funzioni loro attribuite, non possono mancare». Inserisce su questo punto il progetto di un accordo tra le cinque regioni dell'area del Po e subito aggiunge che la proposta non nasconde l'insidia di scaricare una nuova forza sul governo centrale; vuole, al contrario, «convogliare l'apporto coordinato di un'area geografica che ha in comune un groviglio di problemi irrisolti, di scelte non fatte». «Nessuno vuole indebolire il governo Moro — dice —. Anzi, la nostra è una proposta di sostegno» e liquida i timori di un'aggregazione tra Regioni forti, fatalmente contrapposta ad un Mezzogiorno debole, chiarendo: «Nel Centro-Nord la crisi economica non si è tradotta, come al Sud, in crisi sociale; quindi in un discorso ampio di programmazione, la strategia di intervento non si deve risolvere sulla testa del Meridione d'Italia: anzi, le cinque regioni del Po sono chiamate a incidere come fattore di riequilibrio».

Fa un esempio, quello dei servizi sociali, che sempre è stato molto a cuore agli amministratori emiliani, e si dice «pronto a non pochi sacrifici». Ricorda che in questo settore il livello raggiunto dalla sua Regione rappresenta una «singolare eccezione» ma si domanda: «In una situazione di crisi e di dissesto generale dell'economia è giusto continuare con le scuole materne e gli asili nido, al di fuori di ogni programmazione nazionale? Si possono ancora spendere somme così ingenti?». Per Fanti è necessario un coordinamento della spesa pubblica sul piano nazionale e subito aggiunge: «Noi siamo pronti a sacrificare parte delle nostre risorse purché si sappia dove vanno a finire questi quattrini e, insieme, si decida come utilizzarli: si esige quindi un coordinamento secondo priorità valutate e programmate complessivamente».

In questo quadro, che parte da un'analisi di crisi per il sistema economico «senza precedenti in quarantanni», il presidente della giunta emiliana individua nel superamento delle strutture del vecchio Stato centralistico e nella rapida attuazione del nuovo Stato decentrato «la via d'uscita» per il Paese. «Le Regioni — dice Fanti — rifiutandosi di chiudersi in se stesse, sono chiamate a svolgere il ruolo di protagoniste della politica nazionale e il consolidarsi di rapporti permanenti nell'area padana rappresenta un contributo decisivo». Le singole realtà regionali sono per Fanti limitate e i grandi temi, da quello industriale a quello agricolo, da quello dell'occupazione a quello degli investimenti, «si estendono su aree geografiche ben più vaste». Le risorse potenziali del Po sono disperse ed inutilizzate; la crisi dell'agricoltura investe pesantemente anche le zone padane tradizionalmente più avanzate. Il patrimonio zootecnico si depaupera di giorno in giorno mentre il più grande fiume italiano è oggi una «minaccìa naturale», non una fonte di ricchezza.

Il progetto di aggregazione per le Regioni della Valle Padana è in formazione e si annunciano i primi contatti informali tra i presidenti delle giunte regionali. Fanti individua i punti che prospetterà alla prossima riunione promossa a Cremona dal presidente della Lombardia Golfari. Il tema scottante dell'occupazione è per Fanti al primo posto e le regioni padane, nel tentativo di collaborare, debbono tener presenti essenzialmente, con gli sbocchi professionali dei giovani, il lavoro nelle campagne.

«Ed è proprio nell'agricoltura — dice — che si fa necessario uno sviluppo coordinato tra regioni padane e quelle meridionali»: non si può continuare a produrre disordinatamente, senza confrontarsi sui problemi dell'irrigazione, delle culture pregiate, dell'industrializzazione agricola, dei rapporti di produzione in agricoltura, della connessione agricoltura-industria. Dall'agricoltura passa all'industria: «C'è da tener conto della domanda sociale — dice — ma è necessario individuare, tutti insieme, gli sbocchi sui mercati interni e su quelli esteri: ecco la necessità del confronto tra le regioni del Po». Non si può ignorare la politica delle localizzazioni industriali per uno sviluppo equilibrato del territorio. Fa l'esempio dell'Innocenti, della necessità di riconversione produttiva da programmare con una base di organicità comune e dice:

«Ecco la via d'uscita, in nuovi indirizzi di politica industriale capaci di promuovere l'ammodernamento e la ristrutturazione di alcuni comparti e di favorire processi programmati di riconversione nei settori destinati ad un ridimensionamento».

Dall'agricoltura, all'industria, alla ricerca scientifica, all'utilizzazione delle risorse naturali dell'area del Po, ad una diversa politica finanziaria che consenta un reale coordinamento.

«Non c'è dubbio — dice — che non possiamo parlare di programmazione nazionale e regionale, senza lo strumento essenziale della politica finanziaria ed è qui che è necessaria un'iniziativa comune delle Regioni non solo per la loro autonomia ma, nella direzione più generale, di una riforma complessiva della finanza centrale».

Questa della Padania è per Fanti una proposta essenzialmente politica: ne ha parlato a Bruxelles la settimana scorsa in sede Cee con il presidente Ortoli e dice: «E' inutile andare a Bruxelles a chiedere soldi per le Regioni quando non ci sono: la nostra proposta è stata diversa: chiediamo piuttosto che siano le Regioni e non la Cassa per il Mezzogiórno a gestire i fondi riservati in sede comunitaria alle aree depresse del nostro Paese».

Francesco Santini Bologna. Guido Fanti (Foto Aldo Bonasia - Dfp)

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(06.11.1975) LaStampa - numero 257

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31/12/2011, 10:37

http://www.qds.it/5266-regione-aggancia ... tivita.htm


verrebbe da ridere, piuttosto che piangere ...
da quarant'anni questi politici meridionalisti sguazzano tra stipendi faraonici e false promesse, artefici dello sfascio del paese
concordo che un taglio netto è l'unica soluzione, ognuno per la propria strada
sarebbe la salvezza inanzitutto proprio del meridione

31/12/2011, 10:40

Blissenobiarella ha scritto:

Diciamo che per inventarsi che al sud c'è meno civiltà che al nord bisogna inventarsi qualunque cosa.
Incesti al sud [:D], ma perchè non anche rapporti con animali giacchè ci siamo?


Come ho già scritto altrove, siamo dei veri cavernicoli, che ci vuoi fare [:D].

Blissenobiarella ha scritto: In ogni caso Per quanto riguarda la violenza in famiglia le statistiche vedono ancora il Nord ai primi posti.


Naaaa, se un uomo del nord è rozzo è accettabile. mentre se lo fa un uomo del sud è solo un rozzone, un sudicione, vedi che è come ho scritto altrove?
....ovvero, come la fa la sbaglia?
Ai leghisti è concesso tutto, perchè loro hanno charme, ti porto le prove:



I rappresentanti di sopra hanno anche una furbizia fuori dalla norma, pronti a non farsi fregare da nessuno, come questo video dimostra:



Ma non c'è solo costui, ci sono anche tanti altri rappresentanti leghisti colmi di buon charme e furbizia come questo.

Blissenobiarella ha scritto: E' sempre più evidente che i leghisti per supportare le loro tesi, si sono costruiti un Italia immaginaria, come è immaginaria la padania


La più bella frase che abbia mai quotato in vita mia!
E così sia [:D]!

In questa discussione ci potranno anche essere centocinquantamila documenti ma non li leggerò mai (a parte che in alcuni di essi ho colto alcune "piccole" inesattezze - che non starò certo a spiegare perchè tanto nessuno accetterà mai perchè....sei un terrone piagnucolone vittimome! [8D] - , ma per rendere onore alla padania questo e altro [^]) perchè....mi spiace, senza la prova pratica sul territorio....non ci siamo [:o)]!

31/12/2011, 11:13

Blissenobiarella ha scritto:

Ufologo 555 ha scritto:

Io non sono leghista; però ho molti amici del Sud, e .... [:(]


E praticano l'incesto...certo capisco [:D]


No, ma me ne raccontano ... (Poi basta aprire i quotidiani; le cose peggiori ... Ma lasciamo perdere!) Niente polemiche, erano constatazioni (prutroppo) [8)]
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